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| << | < | > | >> |Indice9 Premessa 17 Capitolo primo Soggettività e romanzo: quando il lettore non è blasé 17 1. Scrittura, intimità, romanzo 22 2. Geografia delle passioni: carte e percorsi 25 3. Il romanzo epistolare 27 4. La lettura come contagio 30 5. Fra autenticità e distacco 33 Capitolo secondo Leggere le passioni. Le istruzioni di Rousseau 33 1. Modelli figurativi del sentire 38 2. La Prefazione 43 3. L'enunciazione epistolare 45 4. La passeggiata sul lago 48 5. La costruzione del Destinante 53 Capitolo terzo Noia e melanconia. Leopardi lettore di Tasso 53 1. Il "poeta melancholicus" 58 2. Il Tasso di Leopardi 68 3. Strategie di controllo e passioni 75 Capitolo quarto Il sintomo come passione del corpo 75 1. Dalle cause alle ragioni 79 2. L'affettività come modo di conoscenza 82 3. L'esperienza del corpo 85 4. Soggetto e oggetto 88 5. Parola parlante e parola parlata 95 Capitolo quinto Il campo dialogico della lettura 95 1. "La parola letteraria" di Jacques Geninasca 97 2. La lettura del testo estetico 101 3. Il tema delle diverse razionalità 104 4. Dall'"oggetto testuale" al "discorso" 106 5. Dal discorso letterario al suo Soggetto 110 6. Letterarietà e tipologia dei discorsi 113 7. L'efficacia del testo 114 8. Etica, estetica e dialogicità 116 9. La prensione ritmica 121 Capitolo sesto Lo spazio letterario: sguardi e razionalità a confronto 121 1. Scienza e letteratura come discorsi 125 2. Razionalità a confronto: sguardo estetico vs senso comune 130 3. Metafora e discorso della scoperta 132 4. Punti di vista in gioco: il fisico e lo scrittore 141 Capitolo settimo Praticare il testo. Oltre l'interpretazione, gli usi Isabella Pezzini, Veruska Sabucco 141 1. Uso e interpretazione 143 2. Media fan e rinegoziazione dei significati 148 3. Interpretare: una pratica appassionata 154 4. Nulla è più aperto di un testo chiuso 159 Capitolo ottavo L'efficacia del testo. Effetti e affetti nella semiosi 159 1. Effetti e semiosi 162 2. L'effetto di senso 165 3. Effetti di realtà 167 4. L'illusione referenziale 171 5. Effetti di verità 174 6. Efficacia simbolica e dintorni 176 7. Centralità del "corpo" 178 8. Effetto placebo e "effetto-testo" 183 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 9PremessaI capitoli di questo libro nascono come saggi e interventi scritti in occasione di convegni, dispersi in pubblicazioni di difficile reperimento, ma uniti da una stessa linea di ricerca, che tenteremo qui di indicare.
Cominciamo dal titolo che abbiamo scelto. Il "testo galeotto" rinvia ai
versi dell'Inferno che nel quinto canto
descrivono l'incontro di Dante con Paolo e Francesca, rei
di essersi abbandonati a un amore proibito. Θ stato proprio un libro, o meglio
la sua lettura, a "tradirli", un libro
che a sua volta racconta di un altro celebre amore, quello
di Lancillotto per Ginevra:
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante. La lettura, dunque, emerge da questi bellissimi versi come una pratica efficace, in grado cioè di indurre dei cambiamenti, in questo caso decisivi, nei soggetti che vi si dedicano e abbandonano. Tanto più se ciò che si legge tocca, riguarda aspetti profondi del modo di essere e di sentire: l'amore rappresentato si impone con forza oltre i limiti del testo che lo inscena, emoziona i suoi lettori al punto da rivivere malgrado e attraverso di loro. I nostri esercizi di analisi semiotica e di riflessione critica cercano proprio di approfondire questa dimensione della significazione, fra rappresentazione e produzione di effetti di senso affettivo-patemici. Procedono nel solco di precedenti lavori, marcati dalla duplice impronta, strutturale e interpretativa, di approccio al testo (Pezzini, a cura, 1991; Pezzini 1998). Oggetto di studio sono dunque le forme e i modi attraverso i quali la soggettività trova spazi attivi di iscrizione testuale. I testi di cui ci occupiamo sono qui soprattutto letterari, ma non solo e non necessariamente, come vedremo nel capitolo settimo, dedicato alla fruizione televisiva "di culto". L'ipotesi di sfondo è che in ambiti culturali dati alcuni testi contribuiscano in modo privilegiato a stabilizzare configurazioni del sentire e di conseguenza del vivere, partecipando in modo significativo alla costituzione delle identità dei soggetti. Il che significa pensare ai testi anche come potenziali "modificatori" di una società e di una cultura, restituendo loro un'effettiva "carica" semantica. Facciamo subito un esempio, per chiarire in parte di cosa vorremmo parlare. Jurij Lotman, in un celebre saggio, descrive la poetica di vita quotidiana dei decabristi, i nobili rivoluzionari che insorsero tragicamente contro lo zar Nicola I nel giorno della sua incoronazione, il 14 dicembre 1825. Lotman mostra come il loro comportamento nella vita di ogni giorno, anche negli aspetti più minuti, come nel modo di vestirsi o di atteggiarsi, fosse improntato a una serie di scelte significative, coerenti con i loro ideali. E insiste sul ruolo modellizzante che ebbero alcuni grandi testi letterari, adottati come "guida", nel mettere a punto questa vera e propria "forma di vita": "I decabristi" egli scrive "introdussero nel comportamento l'unità, ma non riabilitando la prosa della vita, bensì passando la vita attraverso il filtro dei testi eroici ed eliminando in tal modo tutto ciò che non doveva essere iscritto negli annali della storia" (Lotman 2006, p. 256). Se non si tratta di un esempio "vincente", data la triste fine dei nobili rivoluzionari di cui si tratta, speriamo che sia almeno calzante. Non si tratta di affermare soltanto, con Lotman, che il comportamento quotidiano può essere costruito e analizzato "come un testo", cosa che d'altronde la semiotica ormai abitualmente fa, o che ci siano testi che "iscrivono" mirabilmente, e dunque tramandano, certi modi di essere e di fare.
Si tratta anche di cogliere l'occasione di insistere sull'intreccio, sul
circuito virtuoso che si può venire a creare
fra forme di vita vissute e forme di vita testuali, fra comportamenti,
esperienze e consumi, e dunque anche fra testi e "pratiche", per citare una
preoccupazione attuale della ricerca. Si tratta di restituire esplicitamente ai
testi e alle pratiche che li riguardano, come lettura, scrittura, circolazione,
traduzione, e così via un senso unitario e un
peso specifico all'interno di un dato momento culturale,
allargando lo sguardo in modo da comprenderli insieme.
La semiotica testuale si è sviluppata progressivamente
come una teoria generale della narratività, disaggregando,
ampliando e riarticolando in un modello comune i risultati
ottenuti dalle ricerche dapprima sulle fiabe e sui miti (i
formalisti, Propp, Lévi-Strauss), poi più in generale sul
racconto (la narratologia, Barthes, Brémond, Genette,
Eco...). Nell'approccio strutturale della scuola parigina
sorta intorno a
Algirdas Julien Greimas,
la cosiddetta "grammatica narrativa" si è venuta elaborando a partire da
un nucleo ristretto di categorie e termini interdefiniti fra loro: gli attanti
(Destinante/Destinatario; Soggetto/Oggetto)
e le loro relazioni, gli stati e le trasformazioni. Nella forma
stereotipata dello Schema Narrativo Canonico, essa si caratterizza soprattutto
nei termini di concatenamenti di
azioni (la dimensione cosiddetta pragmatica del racconto)
e di circolazione del sapere (la dimensione cognitiva) preliminare e conseguente
allo svolgersi delle azioni. Le acquisizioni e i confronti fra le modalità
(volere, dovere, sapere, potere) offrono strumenti via via più sottili per
descrivere le dinamiche fra attanti: accanto all'"azione" assume progressiva
pertinenza come oggetto di studio la
"passione", ovviamente ridefinita nei termini e con gli strumenti semiotici
(Fabbri 1998). L'allargamento di campo è
tanto più urgente tanto più diviene esplicita la vocazione
assiologia della semiotica, il suo occuparsi, cioè, di valori
che non sono soltanto semplici differenze, ma cariche semantiche, che diventano
obiettivi, investimenti. Il "senso"
oggetto della sua ricerca è senso per qualcuno, cioè
direzione verso
qualcosa. Qualcuno parla di "senso della vita".
A partire dagli anni Ottanta, molte analisi si focalizzano sui "racconti di passione", e il modello si arricchisce con il riconoscimento di una vera e propria dimensione passionale nella generazione del senso. Per alcuni, l'approfondimento di questa direzione di ricerca non può limitarsi a un accrescimento e a un riaggiustamento della semiotica cosiddetta "standard", quella per intendersi che viene sistematizzata nel Dizionario di Greimas, Courtés (1979), ma può diventare l'occasione di una più ampia e radicale rielaborazione teorica, che, anche in seguito alla scomparsa di Greimas, prende strade in parte diverse fra loro.
Questo non significa che l'analisi testuale abbia esaurito la sua funzione,
se il
testo,
nella semiotica matura, ha sostituito il
segno
come oggetto privilegiato di indagine. Testo, dicevamo prima,
non solo
come congegno linguistico-semiotico in sé "immanente", definito dalle relazioni
che lo costituiscono, e contemplato
sub specie aeternitatis, ma anche
come spazio di configurazione e di articolazione
del "senso", luogo del provvisorio intrecciarsi e del fissarsi
dell'enciclopedia e dunque della memoria culturale, terreno di sperimentazione e
di conflitto... Testo insomma
non solo come "totalità significante", ma, a sua volta, come unità significativa
di un insieme culturale più vasto: semiosfera in una semiosfera più ampia e
viva, attraversata da tensioni e dinamiche proprie (cfr. il capitolo settimo,
Praticare il testo: oltre l'interpretazione, gli usi).
Restiamo nell'ambito delle "passioni", che qui soprattutto ci interessa: esse strutturano il "sentire" relativamente a una cultura e a un momento dati, come abbiamo detto, entrano nel gioco della cosiddetta prassi enunciazionale, dell' uso, nel senso che Hjelmslev dà a questo termine. Attraverso i discorsi sociali che le "parlano" e le fanno parlare, si fissano in configurazioni relativamente stabili e riconoscibili, fino a diventare topoi letterari, o stereotipi di uso comune, tassonomie connotative (cfr. il capitolo terzo, Noia e melanconia. Leopardi lettore di Tasso). E forse, a quel punto, hanno esaurito il loro ruolo nell'innovazione culturale, benché continuino a circolare e a mantenere una certa efficacia "pratica". Ci volevano la penna, la maestria e la sensibilità di Roland Barthes, ad esempio, per osare riprendere e rimettere in circolo, alla fine degli anni Settanta, momento di grandi teorizzazioni, il discorso amoroso. Un tipo di discorso in privato praticato da tutti, eppure quasi negletto e svalutato, la cui indigesta consistenza Barthes spezzava appunto in frammenti: altrettanti luoghi o figure canonici attesa, assenza, dichiarazione, scena... a cui veniva però sottratto il peso di una trattazione troppo sistematica, sapienziale (Barthes 1977). In realtà Barthes procedeva facendo giocare insieme senso comune, arte, filosofia e, soprattutto, letteratura, dove "esseri di carta" si fanno amare o odiare, vivono le loro storie, figurando in esse assai più di quanto a prima vista non sembri. A questo proposito, va sottolintato che nella semiotica testuale si è continuato a rivendicare l'interesse per forme e modi diversi in certi casi alternativi della conoscenza. Si mantiene così la distinzione, graduabile, tra i poli discorsivi verbali e non dell' astrazione (teoria, scienza, filosofia) e della figuratività (mito, fiabe, parabole, ma anche articoli di giornale, pubblicità). Con quest'ultima espressione si designa "la proprietà di produrre e di trasmettere significati in parte analoghi a quelli tratti dalle nostre esperienze percettive" (Bertrand 2000, p. 99), sollecitando nei destinatari forme di adesione a quelle che paiono evidenze, in base al principio assai generale per cui "vedere è credere". Il che, d'altra parte, non esclude un uso complesso delle figure, ad esempio in ragionamenti di ordine analogico, che "persuadono" in modo obliquo e indiretto (cfr. il capitolo sesto, Lo spazio letterario. Sguardi e razionalità a confronto).
Anche il discorso sulle passioni, dunque, può scegliere la via di proporsi
attraverso
modelli figurativi,
come dimostra il filosofo
Jean-Jacques Rousseau,
che
apertis verbis
disprezzava la scrittura romanzesca, e fu l'autore di un
grande classico come
La Nouvelle Heloise
(cfr. il capitolo secondo,
Leggere le passioni. Le istruzioni di Rousseau).
La scrittura romanzesca è uno dei grandi dispositivi di elaborazione della
soggettività moderna, accanto e/o in alternativa alla sistemazione filosofica.
Un dispositivo "figurativo", che cioè sceglie le forme di un pensiero concreto,
messo in scena e incarnato nei panni di attori che
prestano esemplarmente le loro vite alle peripezie non più
soltanto dell'agire ma soprattutto del sentire (cfr. il capitolo quarto,
Il sintomo come passione del corpo).
Un pensiero non necessariamente esatto, ma che beneficia delle
possibilità dell'intreccio e di uno spazio di manovra relativamente ampio, e che
dunque rende possibile l'esplorazione intensiva come il tentativo, l'esitazione,
che può contare sul non detto, sulle maglie larghe di un tessuto pieno di
risorse, di pieghe, di sfumature, di aperture. Un
pensiero diffuso nei dettagli, capace soprattutto di "passare" attraverso una
forma di connessione con il proprio
pubblico ritenuta fino a un certo punto per lo più piacevole: l'esperienza di
lettura (cfr. il capitolo primo,
Soggettività e romanzo: quando il lettore non è blasé).
Θ facile a questo punto osservare che molto spesso alle "passioni enunciate" corrispondono "enunciazioni appassionate". I testi producono modelli culturali che organizzano le soggettività, il "sentire", e al tempo stesso offrono modelli di adesione e di repulsione verso i contenuti che mettono in scena. Si riaffaccia in questo modo la questione dell'efficacia semiotica: in che modo i testi intrigano, coinvolgono e arrivano a trasformare qualcuno dice addirittura a "convertire" i propri fruitori? (cfr. il capitolo ottavo, L'efficacia del testo. Effetti e affetti nella semiosi).
Parlare di spazi testuali come "spazi attivi" significa pensare che la
soggettività non vi è soltanto deposta, codificata e articolata in forme
riconoscibili, passioni culturali, ma
vi è al tempo stesso messa in serbo, custodita, trattenuta, in
attesa di tornare a farsi sentire, di entrare in risonanza con
una nuova e spesso diversa soggettività, quella del lettore,
in un dialogo tanto inesauribile quanto a volte casuale, di
esperienze del senso. Non v'è testo che, frequentato con attenzione, non finisca
per irretire, per farsi abitare.
La storia della critica e lo sviluppo delle teorie della letteratura hanno dovuto necessariamente imparare a distinguere e a separare le varie istanze che si incontrano sul terreno del fenomeno testuale, e che la tradizione polarizza nella triade delle intentiones, ridiscusse ampiamente da Umberto Eco: l' intentio auctoris, l' intentio operis e l' intentio lectoris (Eco 1979, 1990). L'approccio semiotico ha optato con decisione per la pertinenza della seconda, riuscendo, nel migliore dei casi, a mostrare come essa possa implicare le altre due, almeno nei termini di quelle strategie virtuali e relazionali, di quelle istruzioni per l'uso che presiedono a un'attualizzazione empirica del testo, come nell'approccio cosiddetto interpretativo. Anche negli approcci derivati dalla linguistica dell'enunciazione, l'idea di fondo è che il testo, costitutivamente, metta in gioco strutture e simulacri che, tipicamente, possono essere proiettati, o ribaltati, dal suo interno all'esterno. La posta si alza, ad esempio per Jacques Geninasca, un autore alla cui riflessione queste pagine devono molto, fino a rendere indissociabile la riuscita interpretativa di quel tipo particolare di discorso, definito estetico, dall'acquisizione, da parte dell'interprete, della competenza specifica in grado di cogliere, in un processo di semiosi in atto, la struttura singolare di un dato testo (cfr. il capitolo quinto, Il campo dialogico della lettura). Ma la teoria di questi incontri ravvicinati fra lettore e testo non è soltanto un dispositivo di affermazione dell' ordine del discorso (Foucault 1971). Ben al contrario, mi pare, essa fonda la stessa possibilità di misurarsi con intelligenza con l'infinità delle letture e delle pratiche testuali che ogni cultura rende al suo interno pertinenti. | << | < | > | >> |Pagina 121Capitolo sesto
Lo spazio letterario: sguardi e razionalità a confronto
Sul tema "Il testo letterario e il sapere scientifico" sono state ampiamente
esplorate le "condizioni di possibilità" dei transfert tra scienza e letteratura
ed è stata riesaminata e stigmatizzata la vecchia separazione tra scienze
dello spirito e scienze della natura, o più modernamente
tra le cosiddette
"due culture".
Sono stati mostrati inoltre molti degli aspetti e delle circostanze che rendono
possibile e pertinente quando non auspicabile l'individuazione di forme di
"traducibilità" reciproca, pur nel rispetto
delle rispettive autonomie e specificità (Imbroscio, a cura, 2003). In questo
intervento non potrò che ripetere alcune delle molte cose già dette: cercherò di
focalizzare l'attenzione su alcune letture dello spazio letterario come
luogo di riflessione aperto sulle questioni che ci interessano
1. Scienza e letteratura come discorsi In quanto formazioni discorsive, sapere scientifico e letteratura risultano dalla messa in opera di procedure linguistico-semiotiche: di esse si sostanziano entrambi, secondo declinazioni specifiche, per trasformarsi in oggetti di significato e di comunicazione. Per descrivere analiticamente questi processi Paolo Fabbri auspica la nascita di una "elittopedia delle scienze della significazione", un approccio di studio unificato ma a due fuochi: uno per le scienze dell'uomo e uno per le scienze della natura. Il suo scopo sarebbe quello di andare oltre il livello, già praticato, delle analisi semantiche, grammaticali e stilistiche dei testi scientifici e di esplorare più radicalmente i sistemi e i processi di significazione che sono all'opera nelle diverse formazioni discorsive. La riflessione nasce dai lavori di ricerca condotti in questa direzione: ad esempio nei saggi raccolti nel volume Una notte con Saturno, Frarηoise Bastide ricercatrice "bifronte" di ambito scientifico e semio-linguistico segnala i dispositivi intricati di traduzione che intercorrono tra il mondo dei fatti e quello delle sue descrizioni e spiegazioni, fra l'oggetto "reale" e quello "rappresentato". Tappe che spesso lo scientismo e la divulgazione, nelle presentazioni dei risultati raggiunti, tendono a cancellare. Il "fatto", elemento centrale nella prospettiva scientifica, risulta invece progressivamente costruito dalle diverse pratiche, di laboratorio ma anche linguistiche. Diventa allora interessante imparare a rendere conto non solo del "risultato finale" delle procedure scientifiche, solitamente presentato come un dato oggettivo e senza storia, ma anche del processo che vi ha portato. La riflessione sui requisiti e i criteri cui deve rispondere il linguaggio scientifico (ad esempio il dover risultare da una codifica forte, la sua univocità, chiusura, tensione verso la formalizzazione ecc.) ha invece spesso finito per creare una sorta di mitologia tutti i discorsi e gli approcci ne sono soggetti , per cui esso appare caratterizzato non soltanto dall'aspirazione, ma dalla prerogativa della precisione, della limpidezza concettuale, dell'oggettività, della responsabilità e in definitiva della verità. Il tutto in contrapposizione più o meno esplicita con il discorso evocativo, ambiguo, soggettivo, edonistico-esistenziale, finzionale, irrazionale che sarebbe proprio della letteratura. Come è stato ricordato, peraltro, il sapere scientifico si "fa" non solo nel chiuso dei laboratori ma nello spazio sociale più complessivo, in cui i discorsi sono anche e soprattutto pratiche significanti che mirano a poste in gioco ben precise. Uno spazio in cui certamente non tutti i discorsi hanno la stessa centralità, lo stesso peso e soprattutto lo stesso potere. Nell'ambito degli studi semiotici interessati ai problemi posti dalle tipologie discorsive, è stato portato avanti un doppio tentativo: da un lato quello di individuare concetti e metodi sufficientemente generali da poter rendere conto in modo commensurabile della costruzione dei vari tipi di discorso e di pratiche enunciative, e dall'altro quello di ritornare a specificare le singolarità di questi ultimi. Anche il tema della traduzione su cui di recente si è focalizzata la ricerca va in questa direzione: evidenziare ad esempio i "punti di crisi", di apparente intraducibilità tra un linguaggio e l'altro può anche servire come un indicatore delle specificità e singolarità ricercate (cfr. Dusi, Neergaard, a cura, 2000). In generale, rispetto alla questione dei criteri in base ai quali differenziare le tipologie discorsive, si assumono principalmente due prospettive. Per la prima, lo "specifico" dei discorsi e dei testi, nonché il loro "valore di verità", sarebbero in realtà un'attribuzione esterna, una connotazione dipendente dall'apprezzamento e dalla valorizzazione operati dalla cultura all'interno della quale il discorso viene prodotto. Va in questa direzione la riflessione di Jurij Lotman riguardo le variazioni di valutazione dei testi: i mutamenti storici dei contesti socio-culturali nei quali i testi si vengono successivamente a trovare potrebbero spiegare i motivi per cui ad esempio alcuni di essi, recepiti come religiosi nel Medioevo (e cioè veri), vengano letti come letterari (prodotti di finzione) qualche secolo più tardi (e lo stesso potrebbe dirsi di testi che con il tempo perdono il loro "valore scientifico" e ne acquistano uno documentario, o estetico). Il testo, in questa prospettiva, viene considerato un' invariante che può essere sottoposta a molteplici letture, in dipendenza dai mutamenti dell'ambiente di ricezione. Commentando questa posizione, Algirdas Julien Greimas osserva che in una certa misura l'ipotesi si può anche rovesciare: la diversa interpretazione data a un testo, più che contribuire alla sua definizione, è utile per comprendere il modo in cui sono i contesti culturali a definire se stessi, in relazione ai discorsi che vi circolano (cfr. Greimas 1983, pp. 104 sgg.). Θ indubbio, ad esempio, che il confronto con altre culture che l'Occidente sta attualmente (e soffertamente) sperimentando ha proprio a che fare con il diverso valore "assoluto" che attribuisce al discorso religioso. Ma in semiotica, come in altri ambiti della riflessione epistemologica, si esplora anche una seconda prospettiva, e cioè l'idea che differenti tipi di discorso manifestino forme diverse di "razionalità", diversi "modi di instaurazione dell'intelligibilità" (coerenza e significazione di un testo, o di un insieme di fenomeni), e ci si interroga sulla loro commensurabilità e traducibilità reciproca. Non così differentemente da come Ernst Cassirer, ad esempio, nella Filosofia delle forme simboliche (1923), aveva sottolineato la continuità del tentativo umano di trovare vie di sintesi per passare dal particolare all'universale, dall'esperienza soggettiva al dato oggettivo: arte, mito, scienza, religione sono quelle "attività originarie formative" che possiedono principi e forme simboliche autonome, non traducibili le une nelle altre, e di cui però il linguaggio costituisce il terreno di incontro onnicomprensivo (cfr. Pozzato 2000). La semiotica cosiddetta intepretativa, nella linea Peirce-Eco, si appoggia fortemente sull'idea di una "terza via" della logica del pensiero, quella abduttiva, rispetto ai meccanismi inferenziali classici di induzione e deduzione, a cui si riconduce, sia in campo artistico che in campo scientifico, il primato e la chiave della creatività (cfr. Eco, Sebeok, a cura, 1983; Eco 1990). In ambito strutturale, vale la pena di ricordare la riflessione di Greimas sui due universi cognitivi che sembrano dominare schizofrenicamente il pensiero occidentale, corrispettivi a fede e ragione, e cioè quello del credere, il cui luogo d'esercizio sembra rappresentato tipicamente da religione, filosofia e poesia, e quello del sapere positivo, il cui territorio principe è per l'appunto quello della scienza. Compresenza e non alternatività: cosa di più suggestivo nota lo studioso lituano del manifestarsi, nel XIX secolo, accanto allo scientismo, della poesia simbolista, che è una forma particolare di discorso sacro? (...) [Il simbolismo] si è sviluppato proprio nel momento in cui la scienza pretendeva di dare delle risposte ai problemi metafisici, e cioè proprio nel momento in cui i due domini del sapere e del credere si sovrapponevano e si incrociavano (Greimas 1983, p. 121). In conclusione, "non sarebbe una particolare sostanza del contenuto a determinare la relazione cognitiva che il soggetto intrattiene con essa, bensì la forma del contenuto: soltanto l'esame delle forme di organizzazione dell'universo cognitivo può ragguagliarci sul ruolo che vi svolgono sapere e credere" (ib.). Di qui il proposito di distinguere fra tipi distinti di razionalità, piuttosto che di parlare di ragioni contrapposte alle credenze, ricollegandosi alle già ampie ricerche in questo campo di antropologi e storici, come Claude Lévi-Strauss (1955, 1962) e Jean-Pierre Vernant (1974). | << | < | > | >> |Pagina 141Capitolo settimoPraticare il testo. Oltre l'interpretazione, gli usi
Isabella Pezzini, Veruska Sabucco
1. Uso e interpretazione La semiotica è stata estremamente sensibile, sin dai suoi primi sviluppi, alla questione della non automaticità così come della non necessaria univocità dell'interpretazione testuale. Dai tempi in cui il problema veniva posto nei termini di una teoria dei codici e quindi di un'attività che veniva chiamata di decodifica, infatti, si era sottolineata la possibilità che i destinatari di un testo non lo leggessero secondo i codici che avevano presieduto alla sua produzione, ma secondo i propri, fino al punto di produrre cosiddette decodifiche aberranti. L'espressione è diventata uno degli ossimori famosi della semiotica. La storia ormai, e non più solo la cronaca, ci dice che essa fu coniata durante un convegno tenutosi a Perugia nel 1965, divenuto celebre, nell'ambito di una relazione di Paolo Fabbri, Umberto Eco e altri, dedicata al progetto di uno studio interdisciplinare del rapporto televisione-pubblico (Fabbri et al. 1965). E in un articolo assai più recente, dedicato al lavoro di Paolo Fabbri, Eco insiste sul ruolo centrale che nei successivi interventi sulla comunicazione di massa si sarebbe continuato ad attribuire al "riconoscimento del diritto, da parte dei destinatari subalterni, a una decodifica alternativa" dei testi loro proposti, provocata da "un diverso insieme di interessi" rispetto a quelli dei produttori, anche in apparente contraddizione con un paradigma testualista "forte", poco interessato ai contesti di fruizione. Rifacendosi alla propria distinzione fra uso e interpretazione, Eco conclude scherzosamente che, adottandola, si potrebbe dire che "le masse userebbero i messaggi che le élite interpretano" (Eco 1999, pp. 155-158). Il problema della libertà dell'interpretazione, e d'altra parte dei suoi limiti a lungo ignorato dalla semiotica strutturale è stato com'è noto dominante nello sviluppo della semiotica testuale di Eco. Con il supporto teorico di Peirce, ha portato da un lato alla centralità della nozione di semiosi illimitata e dall'altro all'elaborazione della teoria del Lettore Modello, in base alla quale ogni testo porta iscritto in sé un simulacro del proprio interprete ideale. In questo percorso la nozione di decodifica aberrante si è ristrutturata da una parte nella opposizione fra uso e interpretazione (Eco 1979) e dall'altra in quella di sovrainterpretazione, in parte diversa e in parte sovrapponibile a questa (Eco 1992; Pisanty, Pellerey 2004). Il dibattito sui limiti dell'interpretazione ha avuto fra i suoi effetti quello di catalizzare l'interesse sugli aspetti più teorici e di principio della questione (ad esempio la corretta lettura di Peirce) e di focalizzarsi sempre principalmente sull' interpretazione piuttosto che sugli usi. Ne è emersa la convinzione diffusa che solo il primo dei due argomenti fosse di reale pertinenza semiotica.
Rimanendo nel tono scherzoso e quindi senza problematizzare a fondo i
termini adottati molte ricerche sulle pratiche di fruizione reale farebbero
piuttosto pensare che mentre le élite interpretano l'interpretazione, le "masse"
ne fanno uso, la praticano, e in modo estremamente fine. Vediamo come, nella
ricerca di Veruska Sabucco sulle cosiddette
fiction slash.
2. Media fan e rinegoziazione dei significati Come osserva Dick Hebdige (1979), studioso che ha dedicato il suo saggio più famoso allo studio delle subculture musicali giovanili, una subcultura può essere considerata una sorta di territorio di rinegoziazione dei significati. La subcultura che qui ci interessa è conosciuta come media fandom, e i suoi membri sono noti come media fan, fan di testi quali film o serie televisive di azione e avventura, poliziesche e di fantascienza, prodotte principalmente in Nord America e in Gran Bretagna, come ad esempio la saga filmica di Star Wars o telefilm come Star Trek, The X-Files, Starsky & Hutch. I media fan possono essere rozzamente divisi in "ufficiali" e "non ufficiali": i fan definiti "ufficiali" tendono a interpretare i testi secondo le convenzioni e i codici cui si atterrebbe presumibilmente un lettore modello di quel dato prodotto culturale, i fan definiti come "non ufficiali" tendono a farne piuttosto un uso, sempre nel senso echiano del termine. In altre parole, i fan "non ufficiali" rinegoziano il significato di questi prodotti culturali attraverso un processo che Henry Jenkins III, nel suo principale studio sull'argomento, chiama di "interpretazione, appropriazione, ricostruzione" (Jenkins 1992, p. 162), Più specificamente, "(...) i fan cessano di essere una semplice audience di testi popolari, diventano invece partecipanti attivi nella costruzione dei significati testuali e nella loro circolazione" (p. 24). La manifestazione materiale dei processi di riattribuzione di significato da parte dei fan è rintracciabile nei testi che essi producono, artefatti che sono il risultato tangibile e permanente delle discussioni e delle speculazioni dei fan riguardo alla presenza di un "sottotesto", ai significati effettivi o presunti tali di situazioni, scambi di battute, azioni dei vari personaggi dei film e delle serie televisive attorno a cui ruota il loro interesse. L'artefatto più comune è la fan fiction, che è una storia scritta da un fan e ispirata alla serie televisiva o al prodotto filmico che lo interessa. Le fan fiction narrano ulteriori avventure dei personaggi dei film e telefilm: ad esempio, possono presentare le ulteriori esplorazioni della galassia da parte dell'equipaggio dell'astronave Enterprise della serie Star Trek. Le fan fiction sono poi archiviate e distribuite tramite fanzine (pubblicazioni amatoriali), oppure su siti web gestiti dai fan medesimi.
Jenkins ha identificato dieci diversi modi in cui i fan interpretano/si
appropriano del/ricostruiscono il testo sorgente. Ognuna delle dieci strategie
corrisponde a uno o più "generi tematici" della fan fiction: approcci al testo
fonte, modi in cui i fan lo affrontano. Sono dieci modi di
intervenire indirettamente sulla serie televisiva: non potendola modificare
direttamente, i fan modificano la percezione che se ne può avere. In questo modo
si appropriano di un testo, lo fanno loro, attribuendogli significati da loro
stessi elaborati. In particolare, come vedremo
immediatamente sotto, probabilmente uno dei sottogeneri
della fan fiction nel quale l'opera di ricostruzione del testo da parte dei fan
è più evidente è la
fan fiction slash.
Questa rientra, secondo la classificazione di Jenkins, nella categoria
dell'erotizzazione del testo canonico, che può
a sua volta venire vista come una forma di "mutamento di
genere", anche questa una categoria prevista da Jenkins
nella sua a volte ambigua classificazione, che andrebbe ridefinita in termini
semiotici più precisi.
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