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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1. Che cos'è la globalizzazione dell'economia (e che cosa possiamo farci) 11 2. Fatti e misfatti. Tecnologia, imprese multinazionali, finanza e lavoro 33 3. Chi decide? Poteri globali contro democrazia internazionale 53 4. Scontro al vertice. I controvertici della società civile 81 5. Conclusioni. Quattro carte da giocare 111 Bibliografia 125 La globalizzazione dal basso su internet 134 APPENDICE DOCUMENTI DELLA GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO 137 Documenti delle Assemblee dell'Onu dei popoli (Perugia, 1995-1999) 139 Documenti del controvertice di Seattle (1999) 157 La dichiarazione del Millenium Forum delle Organizzazioni non governative (2000) 139 Il documento finale del World Social Forum di Porto Alegre (2001) 187 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Le proteste contro la globalizzazione non sono iniziate a Seattle il 30 novembre 1999 e non iniziano a Genova nel luglio 2001. Hanno una storia parallela all'affermarsi, a partire dagli anni '80, del progetto neoliberista di globalizzazione dell'economia e di arretramento dello stato e della sfera pubblica. Accanto a tentativi di resistenza, il movimento più significativo che è emerso è quello che propone un progetto alternativo di globalizzazione dal basso. Vuole cioè uscire dagli angusti orizzonti nazionali, ma rovesciando i valori - profitto e potere - delle imprese multinazionali, della finanza, dei governi, rimpiazzandoli con le idee della democrazia e dell'uguaglianza, di uno sviluppo umano compatibile con la natura, del diritto a un lavoro per tutti, della giustizia economica e sociale a scala del pianeta. La globalizzazione dal basso è cresciuta in parallelo all'emergere di una società civile globale che contesta il potere che è ora nelle mani delle multinazionali, degli stati più importanti, di organismi internazionali come il G8, il Fondo monetario, la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale per il conunercio. Quello che viene richiesto è un nuovo modello di democrazia sovranazionale, di rispetto per le autonomie degli stati, di coinvolgimento della società civile nel prendere le decisioni che riguardano i cittadini del mondo. Questo libro parte, nel capitolo 1, da una definizione della globalizzazione, con una sintesi del dibattito e alcuni dati essenziali. Delinea poi i processi economici che la caratterizzano e, nel capitolo 2, affronta i protagonisti - imprese multinazionali e finanza - e le loro strategie che cambiano il volto dell'economia mondiale: cambiamento tecnologico, investimenti esteri e speculazioni finanziarie, e gli effetti che ritroviamo sul lavoro e l'occupazione di tutti i paesi. Ma chi decide su questi processi? La risposta, nel capitolo 3, è che gli stati hanno dato l'avvio ai processi di liberalizzazione da cui è decollata la globalizzazione, governata ora in modo approssimativo e instabile da una manciata di potenti organismi sovranazionali che non hanno legittimazione democratica e non rispondono alla società. Di qui nasce l'esigenza di una democrazia sovranazionale che bilanci i poteri economici e statali, riconoscendo un ruolo alla società civile. Il terreno più importante che ha visto l'emergere di nuovi movimenti sociali transnazionali, esaminato nel capitolo 4, è stato il moltiplicarsi di controvertici, in cui i maggiori centri di potere del pianeta sono stati affrontati in modo sistematico e radicale da un'emergente società civile globale. Da quindici anni conferenze parallele, azioni simboliche, manifestazioni affiancano nei cinque continenti tutti gli incontri dei poteri politici ed economici globali: dalle conferenze Onu su ambiente, donne e sviluppo sociale, ai summit di G7-G8, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, dai vertici dell'Unione europea a quelli dell'Area di libero commercio delle Americhe. L'analisi di queste iniziative, ora diventate così incalzanti da susseguirsi ogni mese, delinea gli obiettivi, gli strumenti, i protagonisti e i risultati di questa innovazione sociale che ha unito movimenti e iniziative politiche attraverso i confini nazionali. Le conclusioni, infine, considerano le dinamiche dei nuovi movimenti globali e scoprono quattro carte che la società può giocare con efficacia per riprendere - almeno un po' - il controllo dei processi economici a scala globale. | << | < | > | >> |Pagina 11Di globalizzazione dell'economia si parla ovunque, ma raramente viene offerta una definizione rigorosa. Possiamo definirla come una fase del capitalismo moderno iniziata negli anni '80 e caratterizzata da una accelerata integrazione internazionale delle attività economiche, sia nelle forme tradizionali - commercio e investimenti diretti all'estero - sia in forme nuove, come investimenti finanziari a breve termine, speculazioni sui cambi, commercio nei servizi, variegati accordi tra imprese, complessi flussi di conoscenze e tecnologie. Accanto a un'intensificazione quantitativa dei flussi di merci, servizi, capitali e conoscenze, in genere concentrati in aree regionali specifiche (l'Europa, il Nord America e l'Asia orientale), è emersa una diversa qualità delle forme di integrazione internazionale. La scala globale di queste attività è stata favorita dalla riduzione dei costi di trasporto, comunicazione e coordinamento consentiti soprattutto dall'emergere di un nuovo «paradigma tecnologico» legato alle nuove tecnologie dell'informazione e comunicazione. Il commercio internazionale è sempre meno lo scambio tra beni fortemente diversi (ad esempio materie prime esportate dai paesi del Sud del mondo e beni industriali esportati da quelli del Nord), ed è ora dominato da commerci all'interno dello stesso settore (ad esempio auto italiane contro auto tedesche). Le grandi imprese multinazionali sono le protagoniste della globalizzazione, organizzano sempre più la propria produzione su scala sovranazionale, localizzando fasi produttive diverse nei paesi dove i costi del lavoro sono inferiori, o dove c'è accesso a nuovi mercati, materie prime, tecnologie e conoscenze. Così, ad esempio, nel commercio estero italiano crescono rapidamente gli scambi all'interno della Fiat, di componenti e di auto finite tra Italia, Polonia, Brasile, Argentina e Turchia, i principali paesi in cui sono presenti gli impianti della società. In parallelo, le economie dei paesi più ricchi sono state caratterizzate da un rapido sviluppo delle attività finanziarie: i mercati dei capitali, dei cambi, le Borse, le forme di risparmio previdenziale e altri investimenti finanziari hanno un peso crescente nelle attività economiche, determinando quote sempre maggioti dei profitti delle imprese e dei redditi delle persone, sia presenti che futuri, come le pensioni pagate da fondi privati. Poiché a partire dagli anni '80 è stato eliminato qualunque controllo sulla mobilità internazionale dei capitali, la finanza si è sviluppata in un contesto effettivamente globale, con una logica speculativa che ha gonfiato le transazioni finanziarie alla ricerca di piccoli margini di guadagno nella compravendita di valute o titoli sui mercati di tutto il mondo. I protagonisti dell'economia globale sono le imprese e i mercati, ma questi processi non sarebbero stati possibili senza deliberate scelte politiche dei governi dei paesi più ricchi, poi via via imposti a tutti gli altri. A partire dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e dagli Stati Uniti di Ronald Reagan, gli anni '80 hanno visto un'ondata di politiche di liberalizzazione dei mercati, di deregolamentazione e di privatizzazione di molte attività economiche precedentemente gestite dallo stato. Il risultato è stato un ritiro dell'azione pubblica e dei controlli da parte degli stati nazionali su molte attività economiche, lasciate alle attività delle imprese sia nazionali che straniere. Le decisioni politiche di liberalizzare i mercati, il commercio, gli investimenti, la finanza hanno creato le condizioni per sviluppare queste attività sempre più a scala sovranazionale, svuotando rapidamente le capacità di controllo dei governi nazionali sulle proprie economie. | << | < | > | >> |Pagina 30La globalizzazione dal bassoForze economiche e imprese hanno disegnato il progetto di globalizzazione neoliberista. Alcune istituzioni politiche hanno posto il problema di una globalizzazione dei diritti e delle responsabilità. La società civile di tutti i paesi ha cercato una strada diversa, resistendo alla prima e rivendicando la seconda. Ma ha soprattutto esteso le proprie attività attraverso i confini nazionali, facendo emergere quello che possiamo chiamare una società civile globale, una sfera di relazioni e azioni collettive senza frontiere, indipendenti dall'operato degli stati e dei mercati. Pur con le inevitabili ambiguità e le immagini sfocate che questo concetto comporta, non si può ormai parlare di globalizzazione senza tener conto di questo nuovo protagonista (si veda Keane, 1988; Arato e Cohen, 1990; London School of Economics, 2001). All'interno della società civile globale, i soggetti più attivi sono nuovi movimenti sociali e le reti di organizzazioni impegnate su temi internazionali. Le loro origini sono nei movimenti dei decenni passati sui temi della pace, dei diritti umani, della solidarietà, dello sviluppo, dell'ambiente, e sulle questioni delle donne. A partire da questi temi specifici, i nuovi movimenti hanno sviluppato la capacità di affrontare problemi di natura globale, di costruire reti di informazioni, di preparare azioni comuni, di trovare soluzioni autoorganizzate attraverso i confini nazionali, mettendosi in relazione in modi originali con le sedi dei poteri sovranazionali (si veda Amin et al, 1990; Arrighi, Hopkins e Wallerstein, 1992; Lipschutz, 1992; Keck e Sikkink, 1998; Waterman, 1998; Della Porta, Kriesi e Rucht, 1999; Florini, 2000; Cohen e Rai, 2000; O'Brien et al. 2000; Klein, 2001) Tutto questo descrive l'emergere di un progetto alternativo di globalizzazione dal basso della società civile globale. Secondo Richard Falk, che ha coniato questa definizione (Falk, 1993, 1997), la globalizzazione dal basso ha il potenziale di «concettualizzare valori ampiamente condivisi sull'ordine mondiale: minimizzare la violenza, massimizzare il benessere economico, realizzare una giustizia sociale e politica e sostenere la qualità ambientale» (Falk, 1999 p. 130). Se questi valori della società civile globale rimangono lontani dal rappresentare un'alternativa coerente, essi sono alla base della resistenza al progetto di globalizzazione neoliberista, delle pressioni per diritti e responsabilità globali e hanno ispirato l'azione dei nuovi movimenti globali (si veda Brecher e Costello, 1996). Questa scala di azione è legata all'indebolimento degli stati e della politica nazionale; secondo Falk, «gli spazi democratici disponibili per resistere alla globalizzazione dall'alto tendono a essere situati in prevalenza a livelli di impegno o locale, o transnazionale» (Falk, 1999 p. 134) e «la globalizzazione dal basso, oltre a comprendere una moltitudine di lotte locali, è un veicolo per la promozione a livello transnazionale di una democrazia sostanziale come contrappeso al neoliberismo» (id. p. 150). Negli ultimi decenni moltissime campagne e iniziative hanno dato concretezza all'idea di società civile globale e hanno disegnato i percorsi e i contenuti della globalizzazione dal basso. Tra queste, le campagne per i diritti umani, per quelli delle donne, dei bambini, e contro la pena di morte; i movimenti per la pace; le campagne sui temi arnbientali; la richiesta di diritti del lavoro internazionali; le iniziative di cooperazione allo sviluppo, commercio equo, finanza etica e microcredito, auto-organizzazione sociale; le campagne sul debito del terzo mondo, per la Tobin Tax sulle transazioni valutarie, e contro le istituzioni internazionali, dal Fondo monetario, alla Banca mondiale, all'Organizzazione mondiale per il commercio, tutte segnalate nei documenti della società civile globale raccolti nell'appendice a questo volume (si veda poi, tra gli altri, Pettifor, 1998; Keck e Sikkink, 1998; Watennan, 1998; Pianta, 1998; Marcon e Pianta, 1999; Lotti, Giandomenico e Lembo, 1999; Houtart e Polet, 2000). | << | < | > | >> |Pagina 33Hanno preso quello che potevano prendere per il gusto di quello che doveva essere preso. È stata solo una rapina a mano armata, omicidio aggravato su grande scala, e uomini che lo compivano alla cieca - com'è tipico di chi affronti una tenebra. La conquista della terra, che per lo più significa portarla via a quelli che hanno una carnagione diversa o i nasi un po' più piatti di noi, non è una cosa carina a vederla da vicino. Quello che la redime è soltanto l'idea. L'idea che ci sta dietro; non una pretesa sentimentale, ma un'idea; e il credo senza egoismo in quest'idea - qualcosa che puoi costruire, inchinarti davanti ad essa, offrirci sacrifici. Joseph Conrad, in Cuore di tenebra (1985 p. 31-32), così fa descrivere quel modello di globalizzazione che è stata la conquista coloniale del diciannovesimo secolo. «Quello che ci salva è l'efficienza - la devozione all'efficienza» aggiungeva poco sopra, e l'idolo dell'efficienza e del mercato, allora come oggi, è quello a cui sono offerti i sacrifici delle vittime dei sistema economico. Oggi, che cosa ha preso il posto che hanno avuto nell'età degli imperi coloniali le navi a vapore e le ferrovie, la Compagnia delle Indie e le banche della City? La risposta è semplice: le nuove tecnologie di comunicazione, le imprese multinazionali, la finanza globale. Le trasformazioni dell'economia globale degli ultimi due decenni possono essere interpretate come lo sviluppo parallelo e interdipendente di tre processi: il cambiamento tecnologico, con l'emergere di un «nuovo paradigma» basato sulle tecnologie dell'inforinazione e della comunicazione; l' internazionalizzazione della produzione, con l'emergere di sistemi di produzione internazionali controllati dalle grandi imprese multinazionali; la finanziarizzazione dell'economia, con l'emergere di attività finanziarie che hanno un peso fortemente crescente rispetto all'economia reale e che si sviluppano a scala effettivamente globale. In questo capitolo analizziamo questi tre processi, e gli effetti che hanno avuto sulla crescita delle economie e sull'occupazione, lasciando sullo sfondo le politiche degli stati, al centro del capitolo 3. | << | < | > | >> |Pagina 53Grandi imprese multinazionali e finanza globale sono i nuovi poteri che hanno sottratto ai governi nazionali la possibilità di controllare lo sviluppo economico e sociale, riducendo l'efficacia degli strumenti di politica economica. I tassi di cambio e d'interesse, le politiche industriali e commerciali, il livello della spesa pubblica e dell'indebitamento di ciascun paese sono sempre più condizionati da quanto succede sui mercati globali, e sono sempre meno utilizzabili per raggiungere obiettivi economici o occupazionali a livello nazionale. In alcuni casi, come nel Trattato di Maastricht su cui è stata costituita l'Unione economica e monetaria europea, i vincoli a queste variabili sono stati definiti formalmente, imponendo politiche economiche che hanno rallentato la crescita e aumentato la disoccupazione. Per molti paesi dell'Est europeo e del Sud del mondo vincoli analoghi sono stati imposti dal Fondo monetario internazionale come condizione per concedere crediti. In altri ancora sono imposti dal funzionamento dei mercati finanziari che minacciano attacchi speculativi sulle monete nazionali e sulle borse se le politiche nazionali scelgono strade diverse. In tutti i paesi il risultato è stato uno scarso sviluppo, una forte disoccupazione, l'aumento di profitti e rendite finanziarie, il taglio della spesa pubblica di natura sociale e la crescita delle disuguaglianza. Ma non sono solo i governi nazionali ad aver perso il controllo dell'economia. Anche le istituzioni internazionali esistenti, come il G8, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, l'organizzazione Mondiale del Commercio, saldamente nelle mani dei paesi ricchi, si trovano in difficoltà ad affrontare i nuovi problemi globali. In questo capitolo analizziamo come tutti questi organismi affrontano le decisioni chiave per l'economia globale, chiedendoci chi le prende, perché, e per chi. | << | < | > | >> |Pagina 79Alla fine di quest'analisi su chi decide, perché e per chi nell'economia globale, il punto di fondo che emerge in modo ricorrente è la distribuzione dei poteri, la loro concentrazione nelle mani di una ristretta élite globale. Continua a essere appropriata la descrizione con cui C. Wright Mills concludeva il suo libro L'élite del potere:Gli uomini delle alte sfere non sono uomini rappresentativi; la loro posizione elevata non è il risultato di virtù morali; i loro favolosi successi non sono radicati in capacità meritorie. Quelli che occupano sedi alte e potenti sono selezionati e formati dagli strumenti del potere, dalle fonti della ricchezza, dai meccanismi della celebrità che prevalgono nella loro società. Non sono uomini selezionati e formati da una pubblica amministrazione legata al mondo della conoscenza e della sensibilità. Non sono uomini formati da partiti nazionali responsabili che dibattono apertamente e chiaramente i temi che questo paese affronta ora in modo così poco intelligente. Non sono uomini tenuti sotto controllo e responsabilizzati da una pluralità di associazioni volontarie che collegano il pubblico coinvolto nelle discussioni con i pinnacoli delle decisioni. Al vertice di un potere senza pari nella storia umana, hanno conquistato il successo nel sistema americano di irresponsabilità organizzata (Mills, 1959 p. 361) L'unica novità rispetto a mezzo secolo fa è che oggi siamo di fronte a un «sistema globale di irresponsabilità organizzata». Le oligarchie delle imprese multinazionali, della finanza e delle istituzioni economiche internazionali rifiutano di fare i conti con i problemi di legittimazione, di responsabilità e di democrazia. Per questo hanno accelerato l'erosione del potere dei governi nazionali e delle procedure democratiche per la formazione delle loro politiche. Per questo la natura democratica (più o meno formale) della struttura delle Nazioni Unite è ancora vista come una buona ragione per tener l'Onu lontano dall'economia. Per questo la società civile è tenuta ai margini del dibattito e delle decisioni in questo campo. È questo un limite di fondo del modello liberale: l'idea che la democrazia possa entrare in politica, ma si debba fermare alle porte dell'economia. Come vedremo nel prossimo capitolo, la società civile globale ora pone il problema di superare questo limite. |
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