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| << | < | > | >> |Indice9 Prefazione Una storia, non una tradizione? Un dibattito aperto dal centenario del Politecnico di Torino CARLO OLMO E FRANCESCO PROFUMO 16 Nota del curatore 21 Verso una storia del pensiero tecnologico 57 Solidità e costruzione. Su alcuni aspetti del pensiero costruttivo nel secolo dei Lumi 101 Industria e rigenerazione sociale: i sansimoniani e l'Ecole Polytechnique 133 Dalla rovina alla ruggine. I paesaggi dell 'angoscia |
| << | < | > | >> |Pagina 21Verso una storia del pensiero tecnologicoPer studiare il vasto tessuto del cambiamento tecnologico è necessario capire che cosa esattamente sta cambiando e definire gli equilibri generali che le innovazioni massicce possono turbare. Il cambiamento tecnologico non si può descrivere solo come una sequenza di controversie e di adattamenti minimi, sul modello della sociologia della conoscenza. Il cambiamento tecnologico è anche il prodotto di dislocazioni globali. Per meglio interpretarle è di aiuto la nozione di sistema tecnologico. Gli storici hanno proposto varie definizioni di tale nozione, ma, a mio avviso, due sono particolarmente significative: se considerate insieme, esse sono complementari nell'approccio al panorama delle regole tecnologiche e al cambiamento tecnologico inteso come un mutamento di sistema. La prima delle due definizioni si deve allo storico francese Bertrand Gille, che l'ha enunciata in una rassegna sulla storia della tecnologia. Colpito dal fatto «che entro certi limiti, come regola molto generale, tutte le tecniche, in varia misura, dipendono le une dalle altre, sicché dovrebbe esserci una certa coerenza tra loro», Gille ha provato a definire e a descrivere tale coerenza. Ha cominciato prendendo in esamestrutture corrispondenti a ciò che egli definisce «un singolo atto tecnico», quali ad esempio l'uso di un utensile e la gestualità ad esso connessa, o l'uso di una singola macchina progettata per uno scopo specifico. A un livello differente, ha descritto gli «insiemi tecnologici» come combinazioni di strutture volte a conseguire obiettivi più articolati, come la produzione di ferro in un altoforno. Quegli insiemi erano a loro volta parte di entità più grandi, che Gille chiama «filières techniques», filiere tecnologiche, qual è il processo che porta dalla miniera all'altoforno. Sulla base di questa analisi un sistema tecnologico si potrebbe quindi definire come «la coerenza, a diversi livelli, di tutte le strutture tecniche, di tutti gli insiemi e le filiere tecnologiche» che coesistono nello stesso momento. Ripercorrendo lo sviluppo storico della tecnologia e usando la sua definizione di sistema tecnologico, Gille ha operato una distinzione cruciale tra l'epoca dei «sistemi classici», caratterizzata dall'uso di acqua e legno, e il primo sistema industriale, fondato su vapore, carbone e ferro. In questa prospettiva i grandi cambiamenti tecnologici, come la prima rivoluzione industriale tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, apparivano come la transizione da un sistema a un altro. Gli storici francesi hanno attinto a piene mani all'impostazione di Gille. Tuttavia, per quanto stimolante, il suo quadro concettuale si collega difficilmente a studi di orientamento più sociologico sulla tecnologia e il cambiamento tecnologico. Per colmare il divario tra la concezione sistemica di Gille e le analisi puntuali di singole istituzioni e professioni, ci viene in aiuto la definizione di sistemi tecnologici proposta da Thomas P. Hughes, definizione che mira a stabilire un legame forte tra i fondamenti tecnici e le organizzazioni istituzionali e professionali che li gestiscono. Essa gli ha permesso di descrivere in modo assai convincente lo sviluppo dell'energia elettrica nel mondo occidentale. Meno globali dei sistemi di Gille, i sistemi tcnologici di Hughes sono costruiti forse meno bene, dal momento che comprendono realtà eterogenee come le organizzazioni umane e i manufatti tecnici; tuttavia, ciò che manca loro in termini di precisione concettuale è ampiamente compensato dalla loro fecondità empirica. Le proposte di Gille e Hughes sono da considerarsi contributi fondamentali alla storia della tecnologia. Nel mio saggio mi piacerebbe aggiungere qualcosa a questi due approcci, prendendo in considerazione il pensiero tecnologico e la sua evoluzione, in special modo le strutture mentali collettive alle quali gli attori della produzione - dirigenti, tecnici e operai - si riferiscono quando pensano e agiscono. Come cercherò di dimostrare, dette strutture mentali caratterizzano tipologie di conoscenze e di ragionamenti, ma anche di comportamenti; danno vita a rappresentazioni e modelli di pensiero che si applicano, a vari livelli, a svariate realtà. Esistono, ad esempio, rappresentazioni assai generali dell'efficienza basate su interpretazioni associate di natura e società e rappresentazioni più specifiche dell'organizzazione e delle tecniche di produzione. Il moderno concetto di lavoro, che mescola l'energia con le riflessioni sociali, è un tipico prodotto del primo genere di rappresentazione. Così pure vi sono modelli che si applicano al controllo dei lavoratori, mentre altri influiscono sui problemi di progettazione.
L'obiettivo principale del mio lavoro sul pensiero tecnologico è suggerire
uno stretto rapporto tra le strutture mentali
collettive sopra citate e le nozioni di coerenza su cui si basano i sistemi
tecnologici di Gille. Nondimeno, quelle strutture mentali devono mettere in
relazione i fondamenti tecnici
con le forme di organizzazione istituzionale e professionale
nelle quali sono attuate. Esse svolgono un ruolo nella costruzione dei sistemi
di Hughes; ne consegue che la loro evoluzione fa parte dei grandi cambiamenti
tecnologici. In una recente ricerca ho cercato di dimostrare come la
trasformazione dei riferimenti mentali degli ingegneri abbia influito sul
processo che ha portato la Francia dalla fine dell'età classica
nel pieno dell'età industriale. La parte principale di questo
articolo riguarderà quell'esempio specifico e le lezioni che se
ne possono trarre. Preliminarmente, per chiarire il mio approccio generale
all'argomento, comincerò però con alcuni
cenni sulla tecnologia e il pensiero tecnologico.
TECNOLOGIA, NATURA E SOCIETÀ Molti storici contemporanei, da David Landes a François Caron, definiscono la tecnologia una forma di produzione sociale. Non va dimenticato, tuttavia, che la tecnologia ha a che fare con la natura; più precisamente, essa fornisce un'interpretazione della natura in rapporto alla divisione sociale del lavoro. La tecnologia serve ad adattare questa divisione del lavoro ai principi di efficienza che si possono desumere dall'osservazione del mondo fisico. Detti principi sono in parte il risultato di costruzioni e rappresentazioni mentali. Non c'è una natura universale, né principi di efficienza duraturi: vi sono semmai delle rappresentazioni storicamente determinate della natura e dei principi di efficienza che da esse derivano. Fino al Settecento e all'inizio della prima rivoluzione industriale, il principio di funzionamento automatico era sinonimo, ad esempio, di trasmissione del movimento. Ingegneri come il celebre progettista del rinascimento Francesco di Giorgio hanno concepito soprattutto meccanismi cinetici. Con lo sviluppo del motore a vapore, nell'Ottocento, il funzionamento automatico divenne sinonimo di produzione e trasmissione di energia. In tempi recenti il significato è nuovamente cambiato per corrispondere alla circolazione delle informazioni. Tramite questo tipo di evoluzione sembra che la tecnologia stia cercando continuamente di umanizzare la natura attribuendole bisogni e preoccupazioni umani. Al contempo cerca di naturalizzare la società attraverso l'adattamento di presunti principi di efficienza all'organizzazione della produzione.
La storia del pensiero tecnologico deve tenere in conto le
rappresentazioni simultanee della natura e della società. Le
più grandi trasformazioni del pensiero tecnologico corrispondono ai cambiamenti
di tali rappresentazioni. Per fare un esempio, l'evoluzione dell'ingegneria
francese dell'Ottocento era legata a un cambiamento globale nell'interpretazione
del mondo fisico e della costruzione della natura cui esso condusse. La visione
ottocentesca della natura non era più
imperniata su regolarità architettoniche; a poco a poco si
andò incentrando sempre più sul dinamismo naturale delle
cose e degli esseri viventi. Un simile cambiamento era anche
legato a una nuova visione della società e del ruolo che si supponeva la
tecnologia dovesse svolgere nei destini umani: durante l'Illuminismo aveva preso
forma l'idea di un progresso collettivo. Lo sviluppo tecnologico e il progresso
sociale sembravano sempre più strettamente collegati.
PENSIERO TECNOLOGICO E RAZIONALITÀ Il pensiero tecnologico è un sistema complesso che funziona a differenti livelli. Per ciascun attore della produzione esso comprende una serie di conoscenze specifiche - il knowhow - e di regole interiorizzate di decisione e azione. Il knowhow ha un suo ruolo nell'abilità manuale dell'operaio così come nel progetto dell'ingegnere o nel processo decisionale del dirigente. Il pensiero tecnologico comprende anche saperi formalizzati come la meccanica, la fisica o la chimica per l'ingegnere. Da ultimo, abbraccia temi e rappresentazioni che appartengono alla sfera dell'immaginario. L'ossessione comune degli ingegneri per la fluidità ha evidentemente qualcosa a che fare con l'immaginario. Questi diversi livelli si sovrappongono: l'ideale di funzionamento automatico appare ad esempio all'intersezione fra il conosciuto e l'immaginario. | << | < | > | >> |Pagina 35PENSIERO E CULTURA TECNOLOGICIPer concludere, mi piacerebbe offrire due commenti sulla storia del pensiero tecnologico che qui ho cercato di presentare. Il primo riguarda la definizione di ingegnere. Il sociologo americano Peter Whalley, in un suo recente articolo, ha respinto quelle che ha chiamato «le definizione essenzialiste» a causa della estrema diversità delle aree di competenza e di impiego degli ingegneri. Per adattarsi a questa diversità ha suggerito di definire gli ingegneri secondo il loro status: uno status di lavoratori privilegiati, che godono della fiducia dei proprietari di capitali e del potere manageriale. L'interesse di questa proposta è innegabile; tuttavia, mi sembra necessario controbilanciarla tenendo conto della storia delle razionalità degli ingegneri. Dopo tutto gli ingegneri si caratterizzano anche per la ricerca costante di una conoscenza sistematica che renda efficiente l'organizzazione della produzione. Le forme storiche assunte da questa ricerca possono forse far luce sulla possibile definizione della professione.
Una seconda osservazione riguarda il rapporto tra la storia
delle razionalità degli ingegneri e la storia sociale. Questo rapporto, sia
chiaro, è frutto in gran parte di una mediazione a livello culturale. La storia
delle razionalità ci fornisce gli strumenti per stabilire una connessione tra
cambiamento tecnologico ed evoluzione culturale; tale connessione non è affatto
di tipo deterministico, vale a dire: la trasformazione del pensiero tecnologico
non sempre è una condizione necessaria per
l'innovazione tecnica. Il motore a vapore, per esempio, non si
è sviluppato perché nel corso del Settecento si era imposta una
nuova struttura mentale che aveva condotto a una ingegneria
analitica; semmai fu l'ingegneria a trovare stimoli nello sviluppo del motore a
vapore. Tuttavia si può facilmente dimostrare che senza una nuova mentalità
analitica e senza i risultati scientifici cui essa condusse, lo sviluppo delle
macchine si sarebbe fossilizzato. Anziché un nesso diretto di causalità tra
pensiero tecnologico e innovazione, ci si ritrova spesso di fronte una causalità
indiretta o differita. Lewis Mumford ha rilevato l'interesse di quel tipo di
causalità riconoscendo la remota origine della possibilità di una
meccanizzazione nella misurazione esatta del tempo introdotta nella vita
monastica medievale. Su una scala più ridotta, la storia della razionalità
nell'ingegneria contribuisce a spiegazioni dello stesso tipo. Ci aiuta a
comprendere il significato del cambiamento tecnologico prima di cercare di
attribuirvi delle cause definite.
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