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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione: Milano a portata di mano 6 Tutto quello che volevate sapere sui milanesi ma non avete mai osato chiedere 6 MILANO E IL MONDO 8 La nebbia non è piú quella d'una volta... 11 La nostalgia del buon tempo andato, ovvero la Milano senza le mezze stagioni 11 Milano e la pioggia 12 Milano e la neve 13 I VALORI 17 Milano tempo, denaro, lavoro 17 Tempo 18 Denaro 21 Lavoro 24 Parole, parole, parole 27 Milano in lingua 30 La fonologia ambrosiana 30 Il popolo eletto 34 La bontà ambrosiana 37 La prodigalità ambrosiana 39 Rustici o schietti? 43 IL CAFFÉ 45 L'happy hour 47 Ristoranti 51 Le piazze 53 I piccioni 55 Le zanzare ambrosiane 57 IL TRAFFICO 59 Le tangenziali 60 Come difendersi dalle tangenziali, ovvero tutte le indicazioni precise per attraversarle e sopravvivere 63 Le circonvallazioni 67 Le code 68 Come guidano 69 Le schede parcheggio 71 Lo scooter 72 Milano in bici 74 IL MILANESE E LA TAVOLA 78 Il panettone 81 La cotoletta 82 Il Campari 83 GRANDE MILANO 85 La fabbrichetta 86 Milano-Roma 89 Milano in cagnesco 90 MILANO E LA MODA 94 Sfilate e modelli 94 Dimmi com'è strano, innamorarsi a Milano 95 Griffes 96 Il tipo e la tipa "giusti" 98 Il kit "troppo giusto" 99 MILANO E LO SPORT 102 Milan-Inter: casciavid e bauscia 102 San Siro 106 Lo sport all'Idroscalo 108 Correre alla montagnetta 110 IL TEMPO LIBERO 113 Milano by night 114 I Navigli 116 LE FESTE COMANDATE 119 Sant'Ambrogio 119 Il Natale 120 Il Ferragosto 124 Le vacanze 125 |
| << | < | > | >> |Pagina 17Ricordate la trinità goliardica Bacco, Tabacco e Venere? Chiudete gli occhi, fate buio nelle vostre menti. Dimenticateli, prego, rivolgete il pensiero al centro della Mitteleuropa, alla città a nord di Roma, cuore di civilissimi valori, fulcro di traffici internazionali e planetari. Lì le genti sono devote a Tempo, Denaro e Lavoro, divinità di origine celtica, ricollegabili al culto di Business e Smog, dèi primitivi nati dai resti dell'esplosione del "Big Ben", dio olimpico ancora oggi sacro ai britannici. In sintesi sono le divinità care a Milano. Ipostatizzazione dei loro massimi valori: Tempo, Denaro e Lavoro. Che poi sono anche le ossessioni dei milanesi. La loro mancanza è motivo di ansia, stress e forti dolori addominali. Anche perché sono divinità sempre in fuga, sempre in movimento. Il Tempo fugge, il Denaro si spende, il Lavoro si perde. Per questo i milanesi fanno offerte sacre e devote alle tre divinità. Perché stiano sempre al loro fianco e non li abbandonino mai.
Il culto, antichissimo, è ancora vivo a Milano. Alle
tre divinità vengono dedicati offerte ed ex voto. I più
devoti sono persino arrivati a immolare un parente...
Inseguito, adorato, desiderato più del tredici al Totocalcio, per i
milanesi, memori dei motti latini
tempus fugit, tempus volat,
il tempo è soprattutto denaro, concetto per il quale non vale tanto la
sinonimia, semmai la stretta coincidenza e dipendenza. Il tempo
è
denaro. Con una differenza, che esso è ancora più inseguito del denaro — il che
la dice tutta — perché almeno di quello ne hanno da spendere. Di tempo, mai.
La prima cosa da imparare è che i milanesi dispongono sempre di pochissimo per sé, figuriamoci per gli altri. Lo sperpero di tempo li mette in uno stato di disgusto verso la realtà sino a spingerli all'apatia e all'astenia cronica.
Se lo perdono, si ritrovano senza una delle coordinate
kantiane fondamentali, per questo si disorientano nel
traffico, smarriscono le chiavi di casa o, nel peggiore dei casi, dimenticano il
cellulare nel bagno della metropolitana.
Rifacendosi a fonti accreditate, autorevoli linguisti sostengono che siano stati loro a diffondere gli avverbi temporali aggiustati di opportuni suffissi di minoranza. "Attimo" è stato trasformato dai milanesi nel diminutivo "attimino", "minuto" in "minutino", [...] | << | < | > | >> |Pagina 43Un altro luogo comune falso e tendenzioso ha diffuso oltre il Resegone la maldicenza astiosa che stigmatizza i milanesi come gente un tantino ruvida, sbrigativa e persino scontrosa. Ennesima maldicenza a cui si deve rimediare esponendo i fatti nella loro essenzialità. Può capitare, talvolta, che alcuni negozianti milanesi ti sbattono la saracinesca in faccia. A onor del vero, va sottolineato che la loro non è scortesia, bensì, premura: i milanesi sono infatti premurosi nell'istruirci alla puntualità svizzera, cronometrica, precisa, esatta. Pertanto, la loro non è ostilità verso l'altro, ma profonda disponibilità ad educarlo per il mondo, che deve affrontare. E il mondo, è noto, è Milano, città onnicomprensiva del pianeta intero. Il milanese sa qual è il suo dovere di urbano e civile cittadino: la sua generosità lo porta a diffonderlo al globo. Brusco, rapido, subitaneo, l'atteggiamento del milanese muove nella direzione del maestro di vita: il mondo è globalizzato e connesso, si fonda su operazioni virtuali e subitanee, veloci e precise. Tale ruvidezza nei comportamenti, che i maligni diffondono nel pregiudizio della maleducazione, è un atteggiamento assunto dall'investitura di insegnare come ci si comporta, in ogni luogo, momento, circostanza. Il milanese non è scontroso, irritabile, burbero. Semmai potrebbe apparire un poco rustico, ma proprio perché è troppo schietto, esageratamente spontaneo e soprattutto smaccatamente sincero. Se deve insegnare al mondo come comportarsi, meglio allora seguire la via dell'esempio e della pratica. Le parole sono solo flatus voci, suoni che svaniscono e si dimenticano, perdendosi tra la polvere. | << | < | > | >> |Pagina 45La parola caffè rimanda ai primi anni della dominazione asburgica. Ai tavolini eleganti e alle poltroncine di fine Settecento disposti con ordine nelle salette del "Caffè" per accogliere le penne dei milanesissimi fratelli Verri. La prima rivista manifesto dell'Illuminismo italiano nasceva proprio lì, in questo luogo d'incontro per eccellenza, in questo spazio deputato allo scambio d'idee, opinioni o semplici chiacchiere. Il Caffè dei Verri era la conquista laica e mondana, da parte della borghesia milanese, di un luogo e di un ruolo. Bene: scordate queste reminiscenze storico-letterarie. Spegnete le musiche dei valzer viennesi. Accendete a tutto volume quelle tecno e hard di Radio dj. Ci siamo. Siamo praticamente già entrati nei nuovi caffè. Ecco il "Fast coffee" per servirci. Si tratta di una rivoluzione sociologica fondamentale. Un travolgente cambio di costumi e abitudini. È l'applicazione della filosofia americana del cibo veloce alla cuccuma, alla moka. La risposta milanese al fast food, che reagisce con il caffè sprint. Meraviglia della causa-effetto, dello stimolo-reazione, della domanda-risposta. Per l'applicazione pratica ottimale del "fast coffee", dai caffè è stato eliminato qualsiasi elemento di "supporto al relax", di incentivo al sollazzo, di incoraggiamento alla pennica. Tolti di mezzo inutili tavolini perditempo, comode poltroncine oziosissime, salettine da conversazione che stimolano il tira a campà. In uno spazio stretto come un budello, dove gli obesi aspettano fuori, si erge il solo bancone. Si entra, si paga, si beve, si esce e soprattutto non ci si ferma mai. Ai caffè da conversazione si sono sostituiti i bar di passaggio, posti agli angoli, nelle vicinanze delle fermate degli autobus, anche vicino all'ingresso della metropolitana. Perché quella nera e fumante bevanda va presa al minuto secondo. Basta sprecare tempo, prima annusandone l'aroma, poi elogiando la consistenza della schiumetta, quindi la tenuta del sapore nel palato e infine, esaltando il gusto che lascia in bocca. Tutto questo è di chiara memoria partenopea. Scordate la tazullela 'e caffè, per altro importata dai terun pelandrùnn... All'ombra della Madunina il caffè si ingurgita, si tracanna, si butta giù senza fermarsi a respirare. La calda bevanda sudamericana va bevuta in piedi, continuando a camminare, al volo, solo dopo avere ben riempito i polmoni. È vero, saranno aumentati i casi di ustioni alla lingua registrati dagli ospedali milanesi, ma sono diminuiti gli episodi di assenteismo e aumentati i coefficienti di efficienza. E quando lo dicono i coefficienti...! | << | < | > | >> |Pagina 78C'è poco da fare: i milanesi anche a tavola si distinguono dai napoletani, dai romani e dai siciliani. Fanno scuola a sé, non imitano nessuno, semmai vale il contrario. La tavola va presa come la vita: senza perdite di tempo. Se un milanese vi fa l'onore di invitarvi al ristorante abbiate già in mente cosa ordinare, ben prima di varcare il ristornate scelto. Ditelo non appena il cameriere vi fa accomodare. Farete la gioia del vostro amico... E degli stessi ristoratori, che pare abbiano assecondato questo stile conviviale rapido, immediato, dal veloce turn over. Risale infatti agli anni '80 – ai rampanti, edonistici, anni della "Milano da bere" – l'apertura di un "ristorante a tempo". Cioè un ristorante che praticava sconti in modo inversamente proporzionale al tempo impiegato a consumare il pasto. Meno ci si tratteneva a tavola, meno si pagava, per dirla in spiccioli. Consumo veloce, conto più leggero: una miscela che fece esplodere d'ammirazione e commozione i milanesi. E che poteva attecchire solo a Milano. A Roma, di certo a nessuno sarebbe mai venuta in mente una simile idea, mentre a Napoli solo a ipotizzare o accennare un locale con queste caratteristiche si sarebbe stati di colpo aggrediti da una banda di pizzaioli ca pummarola 'n coppa. La velocità nell'ordinare deve essere accompagnata da quella ancor più rapida di assimilare le pietanze. Perciò, seguite il consiglio di non perdere troppo tempo in un'inutile masticazione. Meno che meno nel tentativo — ozioso e deviante — di assaporare il piatto. Deglutite il più presto possibile. Così velocemente da non sapere neppure cosa avete ingerito, magari persino forchetta e coltello. Non preoccupatevi per la digestione, e nemmeno per le posate. Il coperto è compreso nel prezzo. Va bene un Alka Seltzer. E se proprio volete conquistarvi il cuore del vostro amico, ordinate un amaro Ramazzotti. Lo vedrete cambiare espressione. Vi guarderà con un certo ghigno ammiccante. Avete preferito un'invenzione ambrosiana alla volgarissima grappa, amata dai veneti polentoni, lenti e terroni del Nord.
Se avete bene imparato che a tavola non si perde
tempo, allora non stupitevi se, durante l'abboccamento con l'amico milanese,
questi non vi parlerà molto, minimizzando le frasi in efficacissime ed
economiccisime espressioni quali: "Passami il sale". A pranzo non si conversa.
A tavola si continua a lavorare.
Attaccati al telefono cellulare i milanesi, infatti,
non smettono di informarsi su come stanno andando
gli affari. C'è persino chi si porta al ristorante il computer e continua a
lavorare senza treua. Addirittura qualcuno sfrutta i momenti di attesa mandando
fax, redigendo report e deliberando in diretta, via satellite,
con il consiglio d'amministrazione.
Il panettone non è il dolce tradizionale di Milano. È Milano stessa. Il suo simbolo, il suo stendardo. Se i milanesi potessero, si presenterebbero estraendo non il biglietto da visita ma una fetta di panettone. Dolce che ai loro palati non regge nessun confronto. Anche perché non lo hanno mai messo in discussione, e quindi mai paragonato a nessun altro dolce. È il più buono e basta. E lo mangiano con gli occhi lucidi dalla commozione.
Emblema della città,
i milanesi lo considerano non solo buono, ma anche esteticamente bello. A tal
punto che lo hanno messo quasi a ogni angolo della strada.
Quei panettoni di cemento armato sistemati davanti a
marciapiedi e ingressi pedonali, altro non sono che la
realizzazione artistica del
panettun.
Sculture postmoderne, disseminate in un numero altissimo in ogni angolo di vie,
vicoli e piazze.
È il principio della riproduzione dell'opera d'arte:
l'idea, l'atto creativo resta
unico, e pertanto inimitabile, ma viene replicato in
molteplici copie. Per la gioia dei milanesi, che quando guardano una delle
sculture artistiche si commuovono. Gli occhi diventano lucidi e le parole si
strozzano in gola. Magia dell'arte. Magia del
panettun.
È buona, buonissima. Stimola la fame, calma l'appetito. A Milano la prescrivono nelle ricette mediche e la consigliano in farmacia. Pare che faccia bene per curare l'ansia, la depressione, lo stress, l'alopecia, la gastrite e la colite. Ultimamente la stanno usando anche nell'omeopatia, e uno studioso americano ha avanzato una ricerca in cui si attesta che cura meglio dei Fiori di Bach. Un milanese da dieci generazioni ha scritto addirittura che la formula del Viagra è un estratto di cotoletta. Questa affermazione trova conferma nella virtù tonica della cotoletta: aumenta vigore e forza fisica, oltre a combattere e neutralizzare l'impotenza. Provare per credere. Facendo attenzione, però. Perché cucinare la cotoletta non è facile. Riuscire a ottenere la doratura "terapeutica" significa osservare i momenti di una funzione liturgica. La sua sacralità inizia nella scelta della carne. Rigorosamente col manegh, cioè con l'osso: la tradizione culinaria meneghina non ammette deroghe proprio nell'elemento principale della cotoletta. Quindi, il rito prosegue con l'impanatura nell'uovo e in seguito nel pane grattugiato. Infine, la cottura su uno strato di burro. L'antica tradizione prescrive di cambiare pentola e condimento a ogni lato. Ad ogni modo, il prodotto finito deve essere dorato e croccante e accompagnato da alcune fette di limone. Starete già meglio dopo la prima somministrazione. La guarigione è assicurata dopo una terapia intensiva di una settimana. Non si prevedono effetti collaterali. | << | < | > | >> |Pagina 102Rossoneri e nerazzurri, per l'anagrafe. Diavoli e Furie, per i cronisti sportivi. Casciavid e bauscia per i milanesi autoctoni. Milan e Inter sono le due squadre storiche della capitale lombarda che hanno da sempre diviso Milano a metà. Come dire: guelfi e ghibellini. Il Milan è la squadra più antica. Venne fondata da un gruppo di inglesi ancora sul finire del secolo scorso. Per questo la battezzarono con l'anglosassone "Milan". Agli inizi del '900, però, un gruppo di imprenditori milanesi doc volle mettere insieme una squadra tutta sua. Da questa costola nacque L'Eva-Inter, che si allontanò subito dall'Adamo-Milan. Le due tifoserie si caratterizzarono nel tempo per alcune particolarità. I milanisti erano i rappresentanti della Milano proletaria, della Milano che per campare faceva lavori manuali, lavori di forza e fatica. Abituata ad usare il cacciavite, casciavid nell'idioma meneghino. Gli interisti invece avevano un'origine "bene". Erano gli imprenditori milanesi, i bauscia, quelli che avevano i danee e la fabbrichetta cunt cinquecent... Insomma erano gli sbruffoni, gli spacconi, i gradassi, anche un po' fanfaroni, che sproloquiano in modo esagerato dandosi un tantino di importanza. Il milanista era, invece, il rappresentante della Milano coeur in man, della città pronta a commuoversi e a mobilitarsi anche solo per un piccolo gesto. Tanto cuore e poco cervello, è vero, ma dalle spalle larghe di chi sopporta tutto e comunque. Di chi tifa ed è orgoglioso della sua squadra, anche se perde. L'interista più che generoso, sa soffrire e ci tiene a star male fino allo scadere del 90° minuto di gioco. Anche se all'80° sta vincendo 3 a 0, l'interista è corazzato alla sofferenza della rimonta avversaria e al calcio di rigore dei rivali allo scadere del gioco... Se il Milan gioca male per 85 minuti e segna al 90°, il casciavid torna a casa contento, perché la sua squadra comunque ce l'ha fatta, quasi si fosse conquistata la pagnotta.
L'interista è più critico. È temutissimo dai suoi giocatori. Se giocano male
sono fischi, insulti. Se segnano all'ultimo minuto, il
bauscia
si alza e tifa per la squadra avversaria. I suoi giocatori sono pagati per
giocare, mica per il sollazzo. La squadra ha i suoi
danee
e, se non fruttano, si cambia investimento...
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