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| << | < | > | >> |IndicePREMESSA DEL CURATORE 7 PROLOGO 35 PRIMO LIBRO 37 SECONDO LIBRO 115 EPILOGO 243 LE DATE DELLA BIOGRAFIA 249 INDICE DEI NOMI GEOGRAFICI 251 |
| << | < | > | >> |Pagina 7PREMESSA DEL CURATORE"Non ho descritto neppure una ventesima parte" Eppure, il racconto di Marco Polo è ancora oggi inesauribile Agli albori della storia europea prendeva forma, ancora vaga e confusa, nutrita di voci e chimere, l'immagine oscura di un impero nel lontano Oriente. Ci si figurava esseri misteriosi che vivevano al di là di Borea, il vento che spira dal nord, ai quali si accennava già nell'VIII secolo a. C. in un frammento dal Catalogo delle donne del poeta greco Esiodo. E poco più tardi ecco spuntare gli "Iperborei", che nel "panorama universale" dello sciamano Aristea di Proconneso acquistano contorni più precisi: li si presentava come una gente pacifica, diversamente da tutti i popoli confinanti. D'allora in poi vennero associate a quel mite popolo terre abitate da anime beate, da animali con un occhio solo e da grifoni, luoghi in cui regnava la vita eterna, Paesi il cui confine era segnato dal baluginare dell'oro: giardino incantato, ai limiti delle latitudini abitate, accessibile solo agli dèi. In seguito, nel VI secolo, con il resoconto di viaggio di Ecateo di Mileto fece il suo ingresso nell'immaginario occidentale l'India conturbante e ammaliatrice, che divenne presto la patria dei "prodigi" d'Oriente, sfumati poco a poco nel reame dell'inconcepibile. Dopo che Scilace di Carianda, nel suo Periplo delle colonne d'Ercole, scritto tra il VI e il V secolo, ebbe vaneggiato di esseri orrendi e improbabili, che usavano i loro enormi piedi piatti come riparo contro il sole, e favoleggiato di gigantesche formiche che cercavano l'oro tra i granelli di sabbia, Erodoto, nelle sue Storie della fine del V secolo, poté invece designare gli Indiani come contemporanei "che conosciamo, e dei quali abbiamo testimonianze precise". Ma la congettura che tale Paese fosse "l'estrema contrada d'Oriente" fu smentita solo in quel giorno di tarda estate del 326 a. C., quando Alessandro Magno, durante la sua marcia attraverso l'India, si arrestò alle rive dello Hyphasis (Beas), verso sud. "Forse scorrono anche altri grandi fiumi sul territorio indiano", considerava il cronista della campagna Arriano, nella sua Anabasi di Alessandro, compilata intorno alla metà del II secolo d. C. "Ma io non posso affermare nulla di certo sui territori che si trovano oltre lo Hyphasis, poiché il re dei Macedoni non si spinse al di là di esso".
Un'esposizione tanto coscienziosa quanto perentoria, perché confermava che
il
Finis Terræ
non era l'India. Tanto più che, riguardo
a questa opinione, a partire dal passaggio tra un'epoca e l'altra, vi
erano prove che si potevano "toccare con mano" o, per essere più
precisi, che si erano apprese per sentito dire. Nel II Libro delle
Georgiche,
poema latino ultimato nel 29 a. C., Virgilio insegnava che non tutte le piante
riescono a prosperare in un terreno qualsiasi, ma possono svilupparsi al meglio
solo nel loro ambiente naturale. Pedantemente domandava:
Perché descriverti l'arbusto da cui trasuda il balsamo odoroso, le bacche dell'acanto sempreverde? O parlarti delle boscaglie etiopi Imbiancate di morbido cotone, di come i Seri cardino col pettine i sottili fili di seta dalle foglie? I Latini non conoscevano ancora la parola "Cinesi" (e neppure i Greci). Parlavano piuttosto di "Seres", vocabolo che si riferiva tanto ai produttori quanto ai fornitori di seta. La rotta mercantile lungo la quale i Latini stessi esportavano i loro prodotti aveva inizio in diversi punti della patria dei "Seres", dopodiché portava o verso nord, diramandosi nei deserti al di là dei monti, oppure si sviluppava a sud dell'Himalaya, suddividendosi in mille rivoli addentro all'India. Infine raggiungeva le rive del Mare Nostrum, da dove proseguiva per l'Africa e l'Europa, per Bisanzio e Alessandria. Ma la meta principe era Roma. [...] "Dovete dunque sapere", inizia a dire la Descrizione del mondo, che pare ottimamente informata su di loro, che i due, recatisi a Costantinopoli con ogni sorta di mercanzia "nell'anno del Signore 1250", si trasferirono in seguito per un certo periodo, per incrementare ancora i loro guadagni, a Sudak (Soldadia) in Crimea, dove il terzo dei fratelli Polo, Marco senior, possedeva una filiale di commercio. Quindi si erano trattenuti "per un anno" sul Volga, nella sfera di un discendente di Gengis Khan, Berke; finché, spinti sempre più a Oriente dal crescente scompiglio creato dalla guerra, avevano trovato a Buchara (Bokhara) un po' di pace. Qui un ambasciatore di passaggio li aveva invitati a seguirlo fino alla residenza di un altro nipote di Gengis Khan, il grande imperatore Kublai Khan, ed essi avevano impiegato "un anno intero" per raggiungere il sovrano, che soggiornava con la sua corte a Pechino (Khanbaliq) nei mesi invernali. Il Gran Khan, incuriosito da quella "gente venuta dalla terra d'Italia" e interessato a diffondere la loro fede, aveva infine congedato i suoi ospiti affidando loro un messaggio da comunicare al Papa, per pregarlo di rimandarli in Oriente accompagnati da cento persone competenti in materia. Questi uomini avrebbero dovuto essere in grado di spiegare la superiorità del loro Dio sugli idoli dei Mongoli; inoltre, Kublai avrebbe ricevuto con sommo piacere un pochino dell'olio che ardeva nella lampada del Santo Sepolcro. Con la promessa di adempiere al loro incarico, i due Veneziani si erano incamminati verso casa ed erano rimasti in viaggio per "tre anni" fino a giungere al Golfo di Iskenderun (Giazza) sulla costa del Mediterraneo; e "nel mese di aprile 1269" arrivarono al porto di Akko (Acri). Da qui volevano proseguire fino a Gerusalemme per colmare un'ampolla con l'essenza della Luce Perpetua, ma avevano saputo, appena sbarcati, che Papa Clemente IV giaceva ormai nel sonno eterno. Quindi l'incarico loro affidato non poteva essere portato a termine completamente (chi avrebbe nominato i cento saggi?), perciò i due si diressero senz'altro a Venezia, "dove Nicolò seppe che sua moglie, che partendo aveva lasciata incinta, era morta, dopo avergli fatto dono di un figliolo maschio, cui era stato imposto il nome di Marco e che si trovava ora in età di 19 anni". [...] Nonostante la rivalità della superba Repubblica di Genova, Venezia allargò ancora il proprio raggio d'influenza: nel 1269 sottomise Umago in Istria, nel 1270 Cittanova in Slovenia e nel 1271 San Lorenzo, ancora in Istria.
Era un'epoca di gloria quella in cui i fratelli Polo tornarono alle loro
calli. E probabilmente fu anche l'entusiasmo di quegli anni, che
presumeva di poter conquistare il mondo intero, che li spinse,
intorno alla Pasqua del 1271, a tener fede alla parola data al Gran
Khan. Il successore di Clemente IV non era ancora stato designato
e quindi non si poteva risolvere la questione dei cento saggi; ma
almeno era possibile procurarsi a Gerusalemme un po' di Oleum
Sanctum. Quindi i Polo decisero di partire quanto prima per Acri.
E questa volta avrebbero condotto con loro anche il giovane Marco,
che aveva allora 17 anni.
Nicolò, trovatosi vedovo, aveva fatto buon uso degli anni tra il 1269 e il 1271 andando ancora una volta in cerca di moglie. La prescelta fu Fiordalisa Trevisan, che avrebbe regalato al giovane Marco Polo, in viaggio con il padre e lo zio, un fratellastro che venne chiamato Maffeo (junior). Nicolò aveva disposto bene ogni cosa.... Partirono per Acri in tre: Nicolò Polo, Maffeo (senior) e il giovane Marco. Era il periodo di Pasqua del 1271. Si procurarono l'olio che il Gran Khan aveva richiesto, ebbero le credenziali (siccome il Soglio di Pietro era ancora vacante) da Tedaldo Visconti da Piacenza, legato papale ad Acri, e fecero quindi vela verso nord-est, per Iskenderun. Là vennero a sapere, con grande stupore, che quello stesso Nunzio Apostolico che avevano lasciato da poco, il 9 settembre 1271 era stato prescelto come Vicario di Cristo con il nome di Gregorio X. Com'è da immaginarsi, girarono i tacchi. Ricevettero la benedizione papale e alcuni messaggi per il Gran Khan, doni e promesse. Quindi furono congedati, anche se non proprio con un seguito di cento uomini di Chiesa, in compagnia di due domenicani: Nicolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli. E ora il "gran viaggio" poteva incominciare. [...] Alquanto meglio siamo informati, dal primo capitolo de La descrizione del mondo, sull'arrivo dei tre viandanti venuti da Occidente al cospetto dell'imperatore dei Mongoli: "Avvicinandosi alla sua persona mostrarono la loro deferenza, prostrandosi sulla soglia con il viso a terra. Egli ordinò subito loro di rialzarsi, e di raccontargli le circostanze del viaggio e tutto quello che era avvenuto durante la loro udienza con Sua Santità il Papa. Essi narrarono gli avvenimenti secondo il loro ordine e l'imperatore li ascoltò con particolare attenzione. Quindi furono posti dinanzi a lui gli scritti e i doni di Papa Gregorio. Dopo aver letto i primi, Kublai lodò la fedeltà e lo zelo dei suoi ambasciatori e poi, prendendo in consegna l'olio del Santo Sepolcro con il doveroso rispetto, diede ordine che fosse custodito con religiosa cura. Notato Marco, domandò chi fosse. Nicolò Polo rispose che era suo figlio e servitore di Sua Maestà. Il Gran Khan si compiacque di prenderlo sotto la sua particolare protezione e lo nominò tra i suoi accompagnatori d'onore".
Sta scritto si fosse nel giugno del 1275. I tre uomini, dalla loro partenza
da Venezia, erano rimasti in cammino per più di quattro anni.
E alla durata di un tale viaggio sarebbe stato proporzionato il tempo che Nicolò, Maffeo e Marco Polo avrebbero trascorso d'allora in poi al seguito del Gran Khan. Kublai (il cui avo Gengis Khan, con le sue irruzioni fino al Dnjepr, aveva posto le basi affinché le orde del figlio Ögödai, uno zio di Kublai, nel 1241 potessero spingersi fino a Liegnits, in Slesia. E fu proprio a Liegnitz che stranamente, dopo la vittoria contro il Duca Enrico II di Slesia, intrapresero la ritirata dall'Europa) questo rampollo di un popolo di selvaggi cavalieri, regnava, sia pure in qualità di Gran Khan, solo su una piccola parte di quello che era stato l'impero dei Mongoli. In seguito a discordie di famiglia e di stirpe, i discendenti di Gengis Khan avevano diviso brano a brano l'immenso impero che si stendeva dal Mar Giallo al Mar Caspio. Dopo lo smembramento Kublai si era impadronito dell'Asia orientale e, al momento della venuta dei Polo, stava estendendo la sua egemonia, con l'aiuto del condottiero Bayan, dalla Cina del nord (Catai) alla Cina del sud (Mangi). Per il suo impero era un periodo di grandezza. E siccome il ventenne Marco godeva del favore di un tale sovrano, ed evidentemente era anche da lui guidato e incoraggiato, il giovane fece propria la prospettiva del suo protettore. Tutto quanto riguardava il Gran Khan era nobile. Tutto era sfarzoso. Nella sua sfera, tutto era giustizia, sapienza e proficuità, eccetera eccetera... [...] Il "grande viaggiatore" (come lo chiama Goethe) potè soddisfare pienamente il proprio entusiasmo per i grandi numeri specialmente quando, per incarico del Gran Khan, visitò il reame per riferire cosa accadeva "nel territorio". A Pechino lavoravano più di 25.000 prostitute. Il servizio postale si avvaleva di più di 200.000 cavalli. E i Tibetani consideravano le proprie figliole "da marito" soltanto dopo che fossero giaciute con mercanti delle carovane di passaggio. "Una consuetudine vergognosa"... scandalosamente interessante! I Polo vissero presso il Gran Khan per circa 17 anni. In quel tempo percorsero in lungo e in largo la Cina, il Vietnam, la Corea (Karli), Burma (Mien) e nel 1284 (forse) Ceylon. Marco Polo annotava intanto, come durante il lungo viaggio di andata, quello che vedeva e udiva. Fu sorpreso da certe zolle che bruciavano come carbone: "Queste pietre non fanno fiamma, fuor di quella che divampa un poco quando vengono accese, ma durante la combustione rilasciano molto calore". Registrò quali merci si trattavano e in quali luoghi, e quanto fosse utile l'invenzione della cartamoneta, per il Gran Khan non meno che per gli altri: "Nella città di Khanbaliq ha sede la zecca del Gran Khan, del quale si può a ragione dire che possegga il segreto dell'alchimia [...]". Una simile magia doveva essere nota anche all'imperatore del Giappone (Cipangu), la cui reggia era un castello fiabesco. "L'intero tetto è placcato d'oro, proprio come da noi si ricoprono i tetti delle case, o per dir meglio delle chiese, con il piombo". Marco Polo non ebbe modo di contemplare con i propri occhi il favoloso reame dell'isola nipponica, ma seppe ritrarlo, e in sfolgoranti colori. Dove tutto era così diverso da quanto Marco aveva visto per calli e campielli della sua Venezia, i confini tra Poesia e Verità potevano facilmente apparire sfumati: per esempio, la notizia che Nicolò e Maffeo Polo avessero costruito delle catapulte in occasione dell'assedio di Xiangyang (Sa-jan-fu), come quelle "utilizzat[e] in Occidente", è sfacciatamente falso. I costruttori dei marchingegni, secondo informazioni di fonte cinese, si chiamavano Ala-ud-din e Ismail, ed erano quindi musulmani (per non dire del fatto che l'accerchiamento della città aveva avuto fine nel 1274, cioè un anno prima dell'arrivo dei Polo in Cina!). [...] Il 9 gennaio 1324 Marco Polo scrisse il suo testamento, "poiché è dono d'ispirazione divina, e decisione di un senno che vede lontano, che ciascheduno abbia cura di disporre dei propri beni, affinché essi non restino male ordinati". Non conosciamo la data precisa della morte. La sua casa, che sorgeva dove il Rio di San Giovanni Crisostomo e il Rio di San Lio confluivano ad angolo retto, fu distrutta in un incendio nel 1596. La sua tomba nella chiesa dei Benedettini di San Lorenzo fu rasa al suolo all'inizio del XIX secolo.
Così, Marco Polo è uscito di scena discretamente, come vi era entrato.
Discretamente, certo. Ma ha lasciato delle tracce. Perché abbiamo pur sempre la sua Descrizione del mondo. Ma possiamo dire di averla veramente? La sua descrizione? Nel prologo si legge che Marco Polo, durante il periodo di carcerazione a Genova, dettò di tutte le cose che aveva viste e udite durante il suo viaggio a un compagno di prigionia, di nome "Rustigielo". Rustichello da Pisa, caduto nelle mani dei Genovesi nel 1284, alla battaglia della Meloria (davanti alla costa toscana), e ormai in carcere da più di 10 anni, fu senza dubbio molto lieto di incontrare un compagno di pena che sapeva mettere le ali allo spirito. Tanto più che Rustichello era uno scrittore, che tra le altre cose si era distinto nel 1271 con un poema cavalleresco sul ciclo di Re Artù, il Livre du roy Meliadus. Il Meliadus iniziava con la frase: "Signori imperatori, re, principi, duchi, conti e baroni, cavalieri e vassalli e voi nobili tutti di questo mondo, che siete in misura di potervi deliziare di romanzi, pigliate questo libro, e fatevelo leggere riga per riga [...]". Queste parole si ritrovano pressoché identiche all'inizio della Descrizione: "Signori imperatori, re, principi, duchi, conti e cavalieri e quanti altri abbiano in animo di conoscere le svariate razze e stirpi della famiglia umana, ed i diversi reami, province e Paesi della parte orientale del mondo, leggete questo libro [...]". Di fronte alla strettissima parentela delle prime righe del racconto con il mélange di Rustichello si levano numerosi interrogativi: la Descrizione del mondo è davvero stata scritta in un carcere? E dov'è il manoscritto originario? In quale lingua fu redatto? Che ruolo vi hanno svolto Marco Polo e Rustichello? Marco Polo ha dettato, oppure ha messo a disposizione del Pisano annotazioni slegate? Aveva il Veneziano la completa paternità dell'opera? O ci troviamo forse di fronte a una mistificazione del genere di quella, per esempio, che conosciamo dal Robinson Crusoe di Daniel Defoe (1719), in cui pure si assicura, nella premessa, proprio come nel nostro prologo: "The editor believes the thing to be a just history of fact; neither is there any appearance of fiction in it..." (L'editore crede che questa sia una veritiera storia di fatti, né vi riscontra alcuna apparenza di finzione) e poi giù a raccontare una storia immaginaria! Sebbene la letteratura su Marco Polo abbia nel frattempo riempito alti scaffali a tutta parete nelle biblioteche, nessuna di queste domande ha trovato una risposta che non sia accompagnata dai vari "potrebbe" - "dovrebbe" - "sarebbe", da un qualche condizionale, che aspira a essere chiarito. Ma la chiarezza definitiva non è da sperarsi, riguardo alla Descrizione del mondo. Al contrario è l'incertezza a guadagnare terreno, se poniamo mente che fino a oggi si conoscono circa 150 manoscritti medioevali "di Marco Polo" (che sono tuttavia un numero modesto in rapporto ai 600 codici della Commedia di Dante, quasi contemporanea [circa 1307-1321]). Talvolta portano il titolo Devisement dou monde ("suddivisione del mondo"), talaltra Livre des merveilles ("libro delle meraviglie"), o ancora Il Milione (come dire: "il libro, dove si parla di milioni"); sono scritti in dialetto franco-italiano, in latino, in francese arcaico, in dialetto veneziano o toscano, in castigliano o catalano, in portoghese o ceco, in irlandese o tedesco; alcuni sono abbreviati e altri ampliati, e talvolta sono evidentemente scorretti. Così si spiega l'asserzione che Marco Polo avesse "per incarico speciale dell'imperatore" rivestito per tre anni la carica di governatore a Yangzhou (Jan-gui): fu l'imprecisione di un copista, che da "sejourna" (soggiornò) aveva fatto "seigneura" (fu signore)! E già Alvise Zorzi promosse Marco Polo, con un ardito "sembra che", a "soprastante o dirigente dell'amministrazione del sale". Ciò che a una prima lettura sembra l'incerto intreccio di un tenue filo narrativo, si può considerare, dopo un esame più attento, "rinvigorito" dalla spontaneità che pervade "La descrizione del mondo"; è un po' come un "accompagnare" Marco nel suo viaggio, e nel vero senso della parola. Questa immediatezza si genera tra l'altro dal fatto che la struttura del testo viene spiegata chiaramente, in progress: "E ora che abbiamo di questo ormai narrato abbastanza, passiamo alla terra di Karkan", o: "In questo libro ci siamo proposti di narrare tutte le grandiose e mirabili gesta del Gran Khan regnante, che si chiama Kublai Khan", o ancora: "Ora, è d'uopo che descriviamo anche i territori confinanti, indicando in breve quello che vi si trova". È questo continuo e coinvolgente uso del "noi" che fa ben presto di chi ascolta o legge un "viandante virtuale". [...] Cristoforo Colombo, il Genovese, doveva un giorno lasciarsi incantare dalla malia de La descrizione del mondo. "Aurum in copia maxima", ha riscritto sul margine del suo esemplare latino stampato nel 1485, accanto alle righe che recitano: "Ibi est aurum in copia maxima". Su questa "nota a margine" dobbiamo rivolgere l'attenzione per poter riconoscere, nel quadro delle ipotesi sul movente che spinse Colombo nel suo viaggio verso "le Indie", il vero impulso. Non era solo una cosa buttata là, ciò che aveva fatto balenare ai suoi uomini e che si legge nel diario di bordo: "Oggi ho fatto radunare la ciurma e ho parlato dei Paesi che ci aspettano: li ho descritti così come li conosco dal racconto di Marco Polo. Quando ho accennato alle ricchezze, all'oro ed alle pietre preziose con cui ciascuno di loro potrà riempirsi le tasche, i volti si sono un poco rasserenati"... "Aurum in copia maxima". La promessa non mantenuta era la... vendetta di Marco Polo per la prigionia a Genova. I viaggi di Marco Polo...: quasi una fantasia? Tutto ciò che li riguarda è dubbioso, ma dovrebbe per questo essere un raggiro? Attribuito a un "Marco Polo"? Cose sentite dire, o soltanto immaginate? Il documento del sogno di un viaggio, piuttosto che di un viaggio da sogno? Dietmar Henze, che ha confrontato con una meticolosità senza pari la Descrizione del mondo con i dati geografici reali di cui parla il libro, ha dato su Marco Polo il seguente giudizio: "Ma il suo intero, lungo, presunto viaggio - e chiarire questo, è stato qui il compito principale - non è altro che una favola, o per dirla più chiaramente: il più colossale imbroglio dell'intera storia delle esplorazioni geografiche". Qui Henze, là Colombo. Là un lettore che ha prestato fede al testo, qui un pignolo controllore che condanna il libro come un inganno della peggior specie. È proprio il vasto raggio delle diverse possibilità di giudizio ad alimentare il fascino de La descrizione del mondo. Non è possibile fare chiarezza. Oppure sì? Quando Miguel de Cervantes Saavedra, nella prima parte del suo Don Chisciotte (1605), venne a parlare di ogni genere di storie incredibili (proprio in questo passaggio figura, tra gli altri, il nome di Marco Polo) previde condanne come quella di Henze. E quindi fece impartire, alla sfrenata potenza descrittiva e immaginifica, l'assoluzione da un canonico, con l'argomento: "tanto è più vaga la finzione quanto più al vero si avvicina, e tanto più gradita riesce, quanto ha più in sé del dubbioso e del possibile. Le favole debbono associarsi al discernimento dei loro lettori, ed essere scritte in modo che rendendo facili gl'impossibili, appianando le difficoltà, tenendo in sospeso gli animi, rendano il lettore o maravigliato o soddisfatto, e lo occupino in modo che la maraviglia vada di pari passo col diletto". Tanto basti! Sia pure la Descrizione del mondo Poesia o Verità: suscita in noi, leggendola o ascoltandola, "maraviglia" e "diletto". E desta l'anelito a lidi lontani... Detlef Brenneche | << | < | > | >> |Pagina 35Signori imperatori, re, principi, duchi, conti e cavalieri e quanti altri desiderino conoscere le svariate razze e stirpi della famiglia umana, i diversi reami, le province e i Paesi della parte orientale del mondo, leggete questo libro. Vi troverete le più meravigliose e singolari descrizioni dei popoli, particolarmente d'Armenia, di Persia e di Tartaria, così come sono state affidate a questo volume da Marco Polo, saggio e colto cittadino di Venezia, il quale mantiene una netta distinzione tra quanto vide con i propri occhi e quanto gli fu raccontato da altri: poiché il libro deve presentare solo dati veritieri e attendibili. Dovete anche sapere come, dalla creazione di Adamo fino al giorno d'oggi, nessun uomo, né pagano né Saraceno né Cristiano, né di alcuna altra stirpe o discendenza, abbia mai veduto cose tanto svariate e grandiose come il summenzionato Marco Polo. E siccome egli desiderava rendere di pubblico dominio tutte le cose che vide e udì, per il bene di tutti coloro che non le poterono vedere con i propri occhi, così, nelle carceri di Genova, fece metter per iscritto quanto si trova nella presente opera da messer Rustichello, cittadino di Pisa, che dimorava nella medesima prigione, nell'anno del Signore 1298. | << | < | > | >> |Pagina 37Dovete dunque sapere, che nel tempo in cui Baldovino II era imperatore di Costantinopoli, dove si trovava un rappresentante del doge di Venezia, e nell'anno del Signore 1250, Nicolò Polo, padre di Marco, e Maffeo (o Matteo), fratello di Nicolò, Veneziani di nobile casato, onorati e bene istruiti, giunsero in quella città dal mare con un ricco carico di merci. Dopo aver a lungo riflettuto su cosa avrebbero fatto per l'avvenire, decisero, per incrementare se possibile il loro capitale, di proseguire il viaggio attraverso l'Eurinus o il Mar Nero. A questo scopo acquistarono molte gemme preziose, lasciarono Costantinopoli e navigarono su quel mare diretti a un porto, chiamato Soldaia. Qui proseguirono il viaggio via terra, finché giunsero alla corte di un potente signore dei Tartari occidentali, di nome Barka, che risiedeva nelle città di Bolgar e Assara e aveva fama di essere uno dei più liberali e colti principi della stirpe dei Tartari che si fossero conosciuti sino ad allora. Il re si rallegrò molto dell'arrivo dei nostri viaggiatori e li ricevette con distinzione. Essi gli mostrarono i gioielli che avevano portato e, vedendo che gli piacevano molto, glieli offrirono in dono. Il Khan guardò con ammirazione alla generosa cortesia dei due fratelli e, siccome non voleva mostrarsi meno magnanimo, pagò i loro gioielli il doppio di quanto valevano e aggiunse anche vari e ricchi doni. Trascorso un anno nelle terre di questo sovrano, i Veneziani furono colti dal desiderio di tornare in patria, ma trovarono impedimento a causa della guerra che era scoppiata tra il loro protettore e un altro Khan, di nome Alaù, signore dei Tartari orientali. In una battaglia che si era combattuta tra le due armate vinse quest'ultimo, e le truppe di Barka subirono una disfatta totale. Siccome le strade, in seguito a questo avvenimento, erano divenute malsicure per i viandanti, i nostri non avrebbero potuto arrischiarsi a tornare per la via dalla quale erano venuti; fu loro consigliato, come unica soluzione possibile per raggiungere Costantinopoli, di volgersi a Oriente lungo una via poco frequentata, cosicché potessero arrivare ai confini del territorio di Barka. Volsero quindi i loro passi verso una città di nome Oukaka, che sorge sul limitare del regno dei Tartari occidentali. Lasciato questo luogo e proseguendo il cammino oltrepassarono in barca il fiume Tigri, uno dei quattro fiumi del Paradiso, e arrivarono a un deserto che si estendeva per diciassette giornate di viaggio. In quella regione non si trovavano né città né castelli, né altre costruzioni che si potessero dire tali, ma solo Tartari con i loro armenti, accampati con le loro tende o sotto le stelle. Attraversato il deserto giunsero infine a Bokhara, una bella città situata nella provincia omonima, appartenente all'impero di Persia ma governata dal principe Barak. Proprio in quel periodo era comparso a Bokhara un uomo molto stimato e dotato di qualità eccezionali. Era stato mandato come ambasciatore da Alaù, di cui abbiamo già detto, al Gran Khan, signore supremo di tutti i Tartari, che si chiamava Kublai Khan e aveva la propria sede di governo sul limitare della terra ferma, in una direzione tra est e nord-est. L'inviato non aveva ancora avuto occasione, sebbene lo desiderasse molto, di vedere gente venuta dalla terra d'Italia. Quindi si rallegrò molto di incontrare i nostri viaggiatori, che avevano ormai appreso in certa misura a esprimersi in lingua tartara, e di poter quindi conversare con loro. Dopo che ebbe trascorso vari giorni in compagnia degli stranieri, e apprezzati i loro modi, propose che lo accompagnassero da un grande imperatore che sarebbe stato molto lieto di vederli comparire alla sua corte, poiché fino ad allora non era stato ancora visitato da gente di quel Paese. Inoltre assicurò che sarebbero stati accolti con onore e avrebbero ricevuto ricchi doni. Convinti del fatto che, se avessero voluto intraprendere il ritorno in patria, si sarebbero esposti ai più gravi pericoli, accettarono l'offerta e proseguirono il viaggio, raccomandandosi l'anima a Dio onnipotente, al seguito dell'ambasciatore, accompagnati da molti servitori cristiani che avevano portato con sé da Venezia. La direzione che presero era tra nord e nord-est, ma trascorse un anno intero prima che potessero arrivare alla residenza imperiale, a causa degli straordinari impedimenti dovuti alla neve e alle inondazioni dei fiumi, che li obbligarono ad attendere, fino a che la prima si fosse disciolta e i secondi fossero rientrati nel loro letto. Durante il viaggio videro molte cose mirabili, di cui però non facciamo menzione qui poiché saranno descritte in ordine (geografico) da Marco Polo, nei libri che seguono. | << | < | > | >> |Pagina 2491253? Partenza di Nicolò e Maffeo Polo da Venezia 1254 Nascita di Marco Polo, figlio di Nicolò Polo, a Venezia 1260 Partenza di Nicolò e Maffeo Polo da Costantinopoli 1265 Arrivo dei Polo dal Gran Khan a Pechino 1266 Partenza dei Polo dalla corte del Gran Khan a Pechino 1269 Ritorno di Nicolò e Maffeo Polo a Venezia 1271 Pasqua: partenza di Nicolò, Maffeo e Marco Polo da Venezia; udienza presso Tedaldo Visconti ad Acri; 9 settembre: elezione di Tedaldo Visconti al soglio papale (Gregorio X); ritorno dei Polo dal Papa ad Acri; partenza dei Polo per raggiungere il Gran Khan 1272 Soggiorno dei Polo a Badakhshan 1273-74 Soggiorno dei Polo a Zhangye 1275 Giugno: arrivo dei Polo dal Gran Khan a Shangdu 1277? Viaggio di Marco Polo nel Sichuan e nello Yunnan 1284? Viaggio di Marco Polo a Ceylon 1285 Primo viaggio di Marco Polo in Vietnam 1288? Secondo viaggio di Marco Polo in Vietnam 1291-92 Partenza dei Polo dalla Cina, dal porto di Quanzhou 1293-94 Arrivo dei Polo a Hormus 1295 Ritorno dei Polo a Venezia 1296? Cattura di Marco Polo come prigioniero, a opera dei Genovesi 1298? Stesura de La descrizione del mondo con Rustichello 1299 28 agosto: rilascio di Marco Polo da parte dei Genovesi 1300 Nozze di Marco Polo con Donata Badoer 1316 Visita di Francesco Pipino a Marco Polo
1324 9 gennaio: stesura del testamento di Marco Polo; morte di Marco
Polo; sepoltura nella chiesa di San Lorenzo
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