|
|
| << | < | > | >> |Indice7 PREMESSA 9 INTRODUZIONE CAPITOLO PRIMO 17 Ragione e senso CAPITOLO SECONDO 89 La loggia CAPITOLO TERZO 113 Intersezioni. Spazi dentro spazi CAPITOLO QUARTO 145 Il nudo e l'«horror vacui» CAPITOLO QUINTO 177 Il numero, la musica, l'assoluto CAPITOLO SESTO 201 La gioia del cantiere CAPITOLO SETTIMO 225 Il paesaggio palladiano 257 BIBLIOGRAFIA |
| << | < | > | >> |Pagina 7PremessaQuesto libro deriva da una misteriosa affinità: l'affinità Palladio-Borromini che, suggeritami all'inizio solo dal fatto che entrambi iniziarono la loro attività come scarpellini, mi si è riproposta nel tempo sotto varie forme, in particolare nel loro rappporto disinibito e creativo con l'Antichità classica; nella trasparenza nelle opere e nei disegni del processo ideativo e progettuale; nella contrapposizione del valore della forma, prodotto della mano dell'uomo, al valore venale della materia; nel pieno possesso di un mestiere indissolubile da un'istanza etica di impegno e di fedeltà. L'intenso rapporto di Borromini con Palladio dimostra che la diversità di indirizzo teorico non impedisce ad architetti lontani nel tempo e nello spazio di costruire, su alcuni punti di tangenza, un rapporto profondo di derivazione. L'interesse per il maestro vicentino filtrato dal sicuro possesso (tra i mille libri della sua preziosa biblioteca) dei Quattro Libri dell'Architettura, si evidenzia in Borromini nella parentela tra le due corti della casa dei Filippini e la corte del palazzo di Iseppo da Porto, come nel soffitto della Biblioteca Vallicelliana e poi nel progetto per il restauro di San Paolo fuori le mura, che replica l'impianto della villa Trissino con le ali concave che si aprono come un abbraccio e ripropone l'abside colonnata della chiesa del Redentore, ma non mancano ispirazioni palladiane anche nel linguaggio decorativo, nel motivo, ad esempio, degli archetti incatenati, presente nella xilografia delle Malcontenta che Borromini ha ripreso nel San Carlino, nel parazzo Falconieri e a Sant'Ivo. Un ipotetico indizio di una conoscenza diretta da parte dell'architetto lombardo delle opere palladiane potrebbe individuarsi infine in una strana coincidenza: la stella ritagliata sul fondo di un oculo nella villa Cornaro che ritroviamo amplificata nelle finestre ovali dell'attico nella facciata di Sant'Ivo alla Sapienza; ma, a parte il dubbio sulla autografia palladiana, l'analogia può essere risolta facendo appello alla riedizione del Longhena, nella chiesa della Salute, del supposto motivo palladiano, segno ulteriore comunque di questo dialogo al di là degli steccati temporali e ideologici che permea di sé e arricchisce di percorsi trasversali la storia dell'architettura universale. Va anche ricordato il comune interesse per una soluzione etica osservata nel Battistero lateranense: un basamento a fogliame sovrapposto a una base canonica che consente di rendere più alto il fusto di una colonna. Palladio illustra l'esempio romano nei Quattro Libri e adotta una soluzione analoga nella facciata interna della chiesa di San Giorgio, mentre Borromini ne parla nell' Opus Architectonicum e applica questo stratagemma per utilizzare una colonna antica nella casa dei Filippini. L'interesse per Palladio richiedeva però, per potersi trasformare in un contributo critico, una frequentazione diretta dell'opera. Esser vissuto per dieci anni a Venezia ed essere diventato nell'ultimo decennio in qualche modo un «architetto veneto», aver visto una sintesi del mio lavoro ospitata nella Basilica di Vicenza, ha riacceso in me questo interesse, trasformandolo in un debito da saldare, tanto da convincermi a rendere un omaggio, forse superfluo ma non per questo meno sentito e profondo, a una delle figure più celebrate e imitate, ma anche più spesso fraintese, della storia dell'architettura. Non meno importante era poter disporre di un esauriente materiale iconografico e l'incontro con l'amico Lorenzo Capellini, grande fotografo al quale dobbiamo immagini indimenticabili di volti umani, ha risolto questo problema in modo unitario con una campagna che ha comportato più di cinquemila scatti, tutti datati 2007, che ci consegnano una nuova immagine dell'opera palladiana, non pedante e compassata, ma spontanea e disinibita. Così è nato questo piccolo libro che raccoglie riflessioni e letture, ma soprattutto vuol dare atto della gioia di aver conosciuto attraverso i suoi scritti, i suoi disegni e le sue opere uno degli uomini che ha dato più prestigio al mestiere dell'architetto, esaltandone sia il valore mentale di pensiero reificato sia quello più concreto di materia saldamente organizzata per essere utile, per piacere e per durare. | << | < | > | >> |Pagina 171. Ragione e senso«Palladio era un artista sensuale, altrettanto esperto nella alchimia della visione quanto qualsiasi pittore veneziano del suo tempo [...]
Gli piaceva modulare la luce, e introdusse nell'architettura valori
coloristici e di superficie del tutto nuovi [...] È stata appunto questa sintesi
degli elementi sensuali e intellettuali a rendere Palladio così caro a tante
generazioni».
JAMES S. ACKERMAN
L'architettura palladiana ha sempre riscosso consenso su due fronti, da parte degli osservatori che apprezzano la sua fedeltà a un ideale di razionalità e di regolarità, e da parte degli «osservatori inquieti», che ne hanno riconosciuto, come ha detto Piovene, «l'inaspettato, la fluidità, il mistero, la combustione fulminea delle visioni». L'aver fatto parte di una temperie culturale che ha visto negli stessi anni maturare la visione pittorica di Tiziano, del Veronese e dei Bassano mette in guardia chi volesse nascondere la sua sintonia con un modo sensuale ed edonistico di esprimersi, così come la costante ed efficace ricerca di un valore didattico per le proprie scelte mette in guardia chi volesse sottovalutare l'intento di conciliare ragione e senso, aspirazione profonda del suo operare. Il razionalismo palladiano si esprime anzitutto attraverso due sistemi di controllo indiretto della qualità estetica e distributiva: la «tipologia» e gli ordini classici, e in tutti e due i casi il trattato vitruviano è il punto di partenza. Nelle prime ville è presente la nozione tradizionale di casa della pianura veneta, un blocco prismatico coperto a tetto con muri di spina che integrano l'anello murario esterno e rispondono alle misure standard delle travature più in uso. Palladio si limita in principio a imporre a questo modello elementare la partizione simmetrica in tre o cinque fasce ortogonali alla facciata d'ingresso lasciando alla parte centrale una larghezza maggiore, coincidente con un loggia, come avviene nelle ville Godi, Gazzotti, Saraceno, Caldogno, Angarano e Thiene a Quinto Vicentino. Solo a partire dalla villa Poiana nasce il sistema illustrato da Wittkower in una famosa tavola comparativa, che consiste nell'individuazione di cinque fasce parallele di diverso spessore, più larga quella centrale che corrisponde di solito alla loggia, più strette le due adiacenti, che ospitano di norma le scale, e di valore intermedio quelle laterali. All'interno di questa maglia flessibile rifulge l' ars combinatoria palladiana, che consente alle sale centrali di assumere forme le più diverse, dal quadrato, al cerchio, alla croce, alla «T»; alle scale di disporsi simmetricamente dividendo la casa in due insiemi di stanze; alle logge di caratterizzare la facciata con la loro permeabilità spaziale. A questo secondo tipo appartengono le undici ville indicate dal Wittkower: Thiene a Cicogna, Sarego alla Miega, Poiana a Poiana Maggiore, Badoer a Fratta Polesine, Zeno a Cessalto, Cornaro a Piombino Dese, Pisani a Montagnana, Emo Capodilista a Fanzolo, Foscari alla Malcontenta, Pisani a Bagnolo e la Rotonda. In verità la Rotonda, insieme alla villa Trissino, alla villa Mocenigo e alla villa Thiene di Cicogna, individua un terzo tipo con due assi di simmetria ortogonali. Rispetto alla posizione delle barchesse si possono poi individuare altre tre tipologie: quella delle braccia concave (Badoer, Trissino, Mocenigo e Thiene a Cicogna); quella dei portici rettilinei, che fanno da ali alle ville Mocenigo a Marocco, Emo Capodilista e Barbaro, e quella della configurazione a «C» in cui la villa è circondata da portici su tre lati, alla quale appartengono le ville Poiana a Poiana Maggiore, Sarego a Santa Sofia, Pisani a Bagnolo, Saraceno a Finale di Agugliano, Repeta a Campiglia dei Berici, Ragona a Ghizzole di Montegaldela e Angarano a Bassano del Grappa. Quest'ultima presenta un sistema di barchesse ampliabile secondo uno schema a pettine. La tipologia a corte appare nella villa Serego a Santa Sofia, parzialmente realizzata, e nella villa Mocenigo a Dolo, purtroppo distrutta. Un tipo intermedio tra villa e palazzo, privo di accessori agricoli, riguarda infine il palazzo Antonini di Udine, la villa Garzadori a Vicenza, la villa Sarego alla Miega, la villa della Torre a Verona, la villa Cornaro a Piombino Dese, la villa Pisani a Montagnana e la villa Foscari alla Malcontenta. | << | < | > | >> |Pagina 1775. Il numero, la musica, l'assoluto«Divina è la forza de' numeri tra loro con ragione comparati, né si può dire che sia cosa più ampia nella fabbrica di questa università che noi mondo chiamiamo, della convenevolezza del peso, del numero et della misura, con la quale il tempo, lo spatio, i movimenti, le virtù, la favella, lo artificio, la natura, il sapere ed ogni cosa in somma divina et humana è composta, cresciuta e perfetta».
DANIELE BARBARO
«Palladio è stato un grande amico della mia giovinezza, un grande suggeritore segreto, come può suggerire chi non si esprime con parole ma con altri mezzi, per esempio la musica».
GUIDO PIOVENE
I biografi di Palladio concordano nell'attribuire all'incontro con Giangiorgio Trissino l'iniziazione palladiana alla cultura classica e la sua decisione di cambiare il suo nome originario da Andrea di Pietro della Gondola in Andrea Palladio. La rinominazione connessa ai rituali dell'accademia trissiniana, forse avvenuta nel corso di una cerimonia di investitura, si è arricchita recentemente, per merito di Lionel March, di un particolare curioso. Il nome Andreas Paladius (scritto in lingua latina, come sul fregio del tempietto di Maser), applicando i codici di equivalenza tra numeri e lettere dell'alfabeto inclusi da Agrippa von Nettesheim nel suo De occulta Philosophia, pubblicato nel 1533, corrisponde ai valori numerici 32 e 34. Moltiplicando i due numeri si ottiene 1088, che sempre utilizzando i codici di Agrippa, corrisponde alla parola Vitruvius. Palladio quindi deriverebbe il suo nome d'arte non solo e non tanto dall'angelo della tragedia del Trissino, ma da un riferimento criptico che ne stabilirebbe il destino come reincarnazione di Vitruvio. Sebbene la scoperta di March lasci qualche perplessità, non c'è dubbio che sia Palladio sia i suoi dotti amici Giangiorgio Trissino e Daniele Barbaro fossero coinvolti nel culto del numero e nell'interesse per la tradizione pitagorica e le sue riprese rinascimentali. Nelle sue definizioni dell'architettura Andrea parla quasi sempre di proporzioni: «l'architettura - si legge in una lettera al conte Giovan di Pepolli - non è altro che una proporzion dei membri in un corpo, cussì ben l'uno con gli altri e gli altri con l'uno simetriati e corrispondenti, che armonicamente rendino maestà e decoro». E ancora, nella stessa lettera: «dee il corpo con membri e questi con quello aver insieme armonica proporzione, e che da quello nasce poi quel bello che da gli antichi greci Heurithmia vien detto: che altro non vuol dire che cussì ben composto corpo che più non si desideri». Questa lettera autorizzerebbe il riconoscimento nell'architettura palladiana di un intenzionale antropomorfismo generalmente negato dagli studiosi. Ma l'armonia tra le parti e il tutto è vista da Palladio come impronta della creazione della quale il corpo umano è solo uno dei tanti risultati in cui i rapporti numerici costituiscono la struttura segreta. Che il culto del numero portasse a stabilire un nesso tra architettura e musica è quasi automatico e Rudolf Wittkower, con felice intuizione, indagò, nel suo libro del 1949 l'architettura palladiana alla ricerca di intenzionali corrispondenze. Né mancava in questa direzione di lavoro il punto fermo di un'esplicita dichiarazione del Maestro, visto che nella lettera relativa al parere richiestogli dai soprintendenti alla costruzione del nuovo duomo di Brescia così si esprimeva: [...] onde questa fabbrica non potrà se non fare bellissima vista e contento grandissimo, per la bella forma, a quelli che entreranno in chiesa perciocché, secondo che le proporzioni delle voci sono armonia delle orecchie, così quelle delle misure sono armonia degli occhi nostri, la quale secondo il suo costume sommamente diletta senza sapersi il perché fuori che da quelli che studiano di sapere le ragioni delle cose. Palladio, che si considerava uno di quelli «che studiano di sapere le ragioni delle cose» è naturale che cercasse, sulla scia di Leon Battista Alberti, di raggiungere «l'armonia degli occhi nostri», anche servendosi dell'analogia riconosciuta con le «proporzioni delle voci». Cionondimeno, molti studiosi recentemente si sono adoperati, con maggiore o minore rispetto verso il grande storico dell'arte, nel contestare la conclusione del libro di Wittkower, che sostiene la predilezione di Palladio per le proporzioni della teoria musicale. L'argomento è affrontato nei Quattro Libri con molta chiarezza nel capitolo 21 del primo libro: «Le più belle e proporzionate maniere di stanze, e che riescono meglio sono sette, perciocché o si fanno ritonde, e queste di rado, o quadrate, o la lunghezza loro sarà per la linea diagonale del quadrato della larghezza, o d'un quadro e mezzo o d'un quadro e due terzi, o di due quadri». Le proporzioni consigliate sono 1:1; radice di 2:1; 3:4; 2:3; 3:5; 1:2, cioè a dire, in termini musicali, eccettuando la radice di due, l'unisono, la quarta, la quinta, la sesta maggiore e l'ottava. Nel capitolo successivo Palladio offre la sua ricetta anche per il problema della proporzionalità, il rapporto cioè tra tre misure che riguardano, oltre larghezza e lunghezza di un ambiente, anche la sua altezza. | << | < | |