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| << | < | > | >> |IndiceIX Prefazione 1. Giornalista tra museo e futuro 1 1.1 Newseum 3 1.2 Etica e tecnologia: dalla realtà alla moviola 6 1.3 Il primato della scrittura: spazio e tempo 6 1.4 Da Gutenberg a internet: le due rivoluzioni 13 1.5 Trent'anni di internet: dalla Guerra fredda alla rete globale 15 1.6 La rete diventa free 15 1.7 Sesto potere 16 1.8 New media (per una definizione) 2. L'informazione in rete 19 2.1 I dieci anni che dovevano sconvolgere i giornali 19 2.2 Usa '92 20 2.3 Italia '95 21 2.4 L'esercito fantasma 21 2.5 Politiche '96: l'esperimento della "Repubblica" 21 2.6 Casa Bianca '98: niente sarà più come prima 22 2.7 Il boom del '99: la concorrenza arriva anche in Italia 23 2.8 La crisi di fine millennio: la bolla scoppia 23 2.9 Generazione cannibale: la scelta dei bit 24 2.10 Apocalittici vs giornalisti-ingegneri 24 2.11 Il sistema dei media: tout se tient 24 2.12 La complementarietà 25 2.13 Lettori e/o Utenti da ufficio 25 2.14 La Nintendo Generation 3. Una professione tra realtà e mito 26 3.1 Lintellettuale senza scuola 29 3.2 Dall'inviato all'embedded 35 3.3 Salam Pax, chi era costui? 36 3.4 I "forzati" del desk 40 3.5 Linviato nel cyberspazio 40 3.6 Il pensiero multimediale 41 3.7 Chi ha paura dei giornalisti online? 4. Una storia americana 44 4.1 Il sexgate 46 4.2 "Fermate le macchine" 47 4.3 Feeding Frenzy: la "frenesia famelica" della stampa 48 4.4 Le fonti, le fonti delle fonti e le smentite 49 4.5 Le regole 5. Il giornalista online 52 5.1 Redazioni 52 5.2 Dentro il giornale 53 5.3 La composizione elettronica 57 5.4 La redazione online 58 5.5 Profili professionali 59 5.6 Giornalisti multimediali 60 5.7 Stessa professione, ritmi diversi 60 5.8 Stessa professione, stessi rischi 6. Il giornale online 65 6.1 Interattività e multimedialità 66 6.2 Il giornale elettronico: caratteristiche 69 6.3 La home page 71 6.4 Overload 72 6.5 L'agenda setting e i file di log 74 6.6 Il lettore telematico 7. Le fonti 78 7.1 Credibilità: il problema delle fonti 78 7.2 Ricerca e selezione delle informazioni 81 7.3 L'e-mail come fonte 84 7.4 Giornalismo investigativo: a caccia nella rete 85 7.5 Come valutare le fonti 86 7.6 Ritorno alla firma 87 7.7 L'editoria sul web 87 7.8 Le banche dati 90 7.9 Le biblioteche elettroniche 90 7.10 Le librerie online 8. Le notizie 92 8.1 Selezione, gerarchizzazione, presentazione 94 8.2 Elaborazione, impaginazione e pubblicazione sul web 94 8.3 Aggiornamento delle news 95 8.4 Inviati, corrispondenti e giornali locali 95 8.5 Strumenti: dalla e-mail alla videochat 96 8.6 Tipologia delle notizie 101 8.7 Leggende metropolitane nella rete 102 8.8 Il caso: non sparate sulle "donne Bambi" 9. La scrittura 105 9.1 Prime regole: scrivere semplice e il metodo di Cartesio 106 9.2 La Bibbia sul comodino 107 9.3 Il lead e le 5 W 108 9.4 Il linguaggio 113 9.5 La punteggiatura 116 9.6 L'editing 119 9.7 La scrittura online 120 9.8 La costruzione dell'ipertesto 121 9.9 Scritture multimediali: audio, video, foto, animazioni 123 9.10 Elementi dello stile: i link 10. Quale futuro? 124 10.1 Modelli di business 124 10.2 L'economia d'impresa 125 10.3 Verso un modello "misto" 125 10.4 Il banner che ha fallito 126 10.5 L'area Premium 126 10.6 Il caso "Salon" 127 10.7 Telefonia 3G 127 10.8 Bassi costi, tanti giornalismi 127 10.9 Il caso Prestige 128 10.10 Navigare in un mare di blog 128 10.11 Il grado zero del giornalismo 130 11. Convergenze e divergenze 131 11.1 Come leggeremo le notizie in futuro? 131 11.2 Previsioni e visioni 133 11.3 Voglio una vita semplificata 134 11.4 Mass medium o my medium? 135 11.5 Il successo 135 11.6 Giornalista nel futuro 136 11.7 Sms: le news arrivano sul cellulare 140 11.8 Dal wap all'internet mobile 141 11.9 I contenuti 143 11.10 Un mondo a tre velocità 12. Sitografia 146 12.1 Giornalista tra museo e futuro 150 12.2 L'informazione in rete 158 12.3 Una professione tra realtà e mito 163 12.4 Una storia americana 164 12.5 Il giornalista online 165 12.6 Il giornale online 166 12.7 Le fonti 171 12.8 Le notizie 172 12.9 La scrittura 173 12.10 Quale futuro? 173 12.11 Convergenze e divergenze 175 Bibliografìa 177 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina IXPrefazioneIl giornale ha tre funzioni: informare, interpretare e divertire Melville Staner, "Chicago Morning News" e "Daily News" Esiste un nuovo giornalismo? Le trasformazioni tecnologiche che hanno interessato la professione negli ultimi trent'anni, la digitalizzazione diffusa, l'avvento di internet e l'imporsi di nuovi media stanno cambiando il modo di lavorare dei giornalisti? Il termine "New Journalism" non è nuovo. Verso la fine dell'Ottocento fu utilizzato per indicare la stagione di un giornalismo "divertente", attento alle "storie", inaugurata dal "World" di Joseph Pulitzer (1883) e dal "Journal" di Willliam Randolph Hearst (1895). Qui viene usato per indicare le trasformazioni che la rapida evoluzione dei nuovi media, a partire dall'ultimo decennio del secolo scorso, hanno introdotto nel lavoro del giornalista. Questo manuale, che nasce soprattutto dall'osservazione dei processi in atto, è costruito su due tesi. La prima è che la professione del giornalista, contrariamente a quanto sostenuto da molti, non sia cambiata con l'avvento delle nuove tecnologie digitali. Il giornalista - oggi più che mai - è un mediatore che seleziona e gerarchizza le notizie per tutti coloro che, facendo un altro lavoro, non hanno il tempo per scegliere tra i fatti che ogni giorno vengono riversati nel flusso mediatico cosa sia degno di essere portato in primo piano e cosa, invece, sia destinato a rimanere sommerso sotto l'impetuoso vortice delle informazioni. Il suo dovere è quello di sempre: dare tutte le notizie che vale la pena dare, informare, interpretare i fatti più complessi e, quando possibile, divertire rispettando tutte le regole deontologiche proprie della professione. Ciò che invece è cambiato profondamente, ecco la seconda tesi, è il modo di lavorare del giornalista. Le trasformazioni introdotte dai nuovi media stanno avendo sul giornalismo un impatto tale da averne già modificato molte pratiche e regole. L'accesso all'informazione globale, la convergenza tra telecomunicazioni, computer e media tradizionali avviata da internet, la velocizzazione del ciclo della notizia, oggi sempre più fruibile in tempo reale, l'interattività, la possibilità di disporre di contenuti multimediali su uno stesso supporto, la personalizzazione e l'ubiquità dell'informazione, che ormai si accompagna sempre e ovunque grazie ai dispositivi wireless, hanno avviato un processo di trasformazione che per trovarne uno altrettanto radicale bisogna risalire alla rivoluzione introdotta della penny press nel 1830. Alla fine degli anni novanta, i giornalisti che abbandonavano la carta attratti dall'avventura del giornalismo online erano guardati con sospetto e scetticismo dai colleghi, che preferivano rimanere ancorati alle solide certezze della routine professionale. Ma quel vento di innovazione non si è fermato dopo una stagione, come taluni avevano presagito. Il cambiamento è stato profondo, radicale, pervasivo e ha finito per interessare tutti i settori del giornalismo senza distinzioni tra carta, etere o rete. Sono trascorsi solo dieci anni da quando le prime versioni elettroniche dei quotidiani americani si sono affacciate timidamente sul web: oggi, improvvisamente, ci siamo svegliati per renderci conto che tutto sta cambiando nel mondo dell'informazione. E non solo perché i giornali online sono ormai una realtà. Anche gli strumenti che ci consentono di realizzare i giornali stampati, dalla e-mail alle immagini digitali, sono diversi. Dopo il primo decennio di sperimentazione, il giornalismo online è entrato nella fase matura: notizie in tempo reale, aggiornamenti continui, interattività, contenuti multimediali e personalizzazione sono ormai patrimonio comune di giornalisti e lettori. La questione non è più riconoscere l'esistenza e la dignità professionale del giornalismo online, ma capire come e in che modo questo nuovo giornalismo abbia contaminato e influenzato i processi produttivi in redazione, imponendo nuove regole e una nuova organizzazione del lavoro. Computer, videocamere e registratori digitali, internet, hanno cambiato il nostro modo di cercare le notizie, verificarle, approfondirle, ma anche di scriverle attraverso la contaminazione fra più linguaggi e percorsi di scrittura non più solo lineari ma anche ipertestuali. Fino a pochi anni fa, per i media tradizionali, le notizie erano un prodotto finito, che poteva essere aggiornato nel quotidiano del giorno successivo o nel telegiornale della sera. Oggi le notizie vivono in uno stato di work in progress dove non esiste l'ultima versione, ma tutto viene cambiato e aggiornato in un flusso continuo che segue in tempo reale l'evolversi degli avvenimenti. Questo manuale si pone l'obiettivo di illustrare come i nuovi media stanno trasformando il lavoro del giornalista, ma vuole anche tentare di focalizzare le nuove regole e raccontare come è cambiato e sta cambiando il giornalismo con l'avvento di internet e delle tecnologie digitali. Nella convinzione che le profonde trasformazioni in atto abbiano aperto la strada a un nuovo giornalismo nel quale anche il lettore, grazie all'interattività, acquisisce una centralità nel processo dell'agenda setting sconosciuta ai vecchi media. Se all'inizio del terzo millennio non è pensabile un mondo senza i giornali di carta, non lo è neppure uno senza i giornali online. | << | < | > | >> |Pagina 263. Una professione tra realtà e mitoNon sono laureato, faccio il giornalista. Silvio Magnozzi (Alberto Sordi), in Una vita difficile (Dino Risi 1961) 3.1 L'intellettuale senza scuola "Lei sa cos'è il Csm?". "Che culo, mi è capitata una domanda facile!", pensa il candidato che, senza esitare allarga un sorriso sicuro e spara: "Un cellulare". Avanti il prossimo. "Mi spiega cos'è la Casagit?". "La Cassa di Risparmio dei giornalisti", naturalmente. La candidata confonde la Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani con un istituto di credito, ma la commissione ritiene che le si possa concedere una domanda di riserva, di quelle che si fanno per dare una mano: "Mi parli della legge Mammì". "Non ne ho idea, non so di cosa si tratta", taglia corto la ragazza che ha fatto il praticantato in una televisione locale. Pazienza. Tanto anche lei, come il suo collega che ha scambiato il Csm con il Gsm (in fondo la differenza è tra una palatale sorda e la sua variante sonora), supererà l'esame di Stato per giornalista professionista (Roma, sessione febbraio 2001) e otterrà l'ambita, agognata tessera rossa, che consente di rispondere fieri all'impertinente domanda: "Lei che lavoro fa?". "Faccio il giornalista". L'attuale esame di Stato è assolutamente inadeguato a valutare l'accesso alla professione giornalistica. Pensato in un periodo in cui i giornalisti laureati erano un'eccezione e la professione si imparava sul campo, l'esame è diventato oggi una sorta di atto dovuto, la ratifica di quanto già stabilito, piuttosto che la verifica dei saperi professionali. Solo con la riforma che prevede un percorso universitario specifico per accedere alla professione giornalistica, si può sperare di innalzare il livello di cultura di base indispensabile per svolgere una professione che oggi si presenta con un grado di difficoltà e di conoscenze specifiche assai più vaste di quanto non fosse quarant'anni fa quando fu istituito l'Ordine. Del resto, molto è cambiato nella professione negli ultimi vent'anni del secolo scorso. All'inizio degli anni ottanta nella maggior parte delle redazioni si usava ancora la macchina per scrivere. Solo alcuni giornali, come "La Stampa", avevano avviato un processo di digitalizzazione che in pochi anni avrebbe cambiato radicalmente il modo di lavorare dei giornalisti. La scuola, fino ad allora, era stata la "bottega". Il collaboratore o il giovane praticante in redazione imparavano il mestiere dal collega "anziano", che passava il pezzo e spiegava come fare l'attacco. Si faceva riscrivere un articolo anche tre volte, finché non si riteneva il risultato soddisfacente. Hanno imparato così, dalla gavetta, generazioni di cronisti. Agli apprendisti si chiedeva soprattutto di consumare le suole sui marciapiedi a caccia di notizie. In un'epoca in cui i capo redattori, soprattutto in provincia, erano angosciati dal trovare sufficiente materiale per riempire le pagine, quei ragazzi giovani e scatenati per la città erano piuttosto rassicuranti. Il flusso delle informazioni, allora, non era neppure lontanamente paragonabile al mare magnum di notizie che oggi arriva quotidianamente nelle redazioni centrali e periferiche. In questo ambiente tutto sommato ancora semplice, con poche contaminazioni tra carta, televisione e radio, al giornalista bastavano pochi strumenti (carta, penna, macchina per scrivere, registratore, telefono) e poche regole: un buon attacco; possibilmente attitudine alla titolazione; la capacità di fiutare, selezionare e gerarchizzare le notizie. Molta pratica e poca teoria, dunque, anche se non mancavano i giornalisti più bravi e preparati che non tralasciavano di infondere agli apprendisti oltre agli strumenti del fare, gli insegnamenti etici del pensare, della libertà, dei condizionamenti e dei pericoli di una professione spesso contagiata dal potere. Poi è cambiato tutto. Se non nelle regole deontologiche, che restano valido fondamento della professione, nel modo di lavorare. La prima rivoluzione digitale, quella appunto iniziata agli inizi degli anni ottanta con l'introduzione dei video terminali nelle redazioni, ebbe l'effetto di marginalizzare una parte dei giornalisti più anziani che non seppero o non vollero adeguarsi ai nuovi strumenti. Pare strano, parlando di una categoria che dovrebbe avere nei propri geni la capacità di leggere la società e le sue trasformazioni per raccontarle agli altri. Eppure è stato così. Alcuni giornalisti, che avevano imparato la professione in "calzoni corti" percorrendo le strade polverose dell'Italia del dopoguerra, non vollero saperne di staccarsi dalla macchina per scrivere e misurarsi con quella nuova diavoleria. Altri finirono per accettare il nuovo coinquilino sulla scrivania, ma si limitarono a farne un uso tecnologicamente minimale. In pratica hanno continuato a utilizzarlo come una macchina per scrivere rifiutandosi di scoprirne le funzionalità più innovative destinate, appunto, a cambiare il modo di lavorare e anche di scrivere i pezzi. La generazione dei trentenni, arrivata ai giornali dall'università, seppe riciclarsi meglio e più velocemente. Uomini e donne che avevano iniziato a scrivere articoli battendo sui tasti delle macchine per scrivere, che avevano imparato a fare i titoli contando le battute sul foglio di carta, ma che guardavano alla dimensione elettronica con entusiasmo e curiosità, certi che senza di essa si sarebbe stati presto espulsi dal processo produttivo. Così è stato. Basti pensare che per la generazione successiva, quella approdata nelle redazioni negli anni novanta, l'elettronica era già un bagaglio culturale acquisito e la macchina per scrivere un rudimentale pezzo di modernariato da acquistare per esibire con orgoglio in salotto. L'introduzione dei video terminali e la digitalizzazione non fu che il primo passo. In pochi anni sarebbe cambiato tutto: la tecnologia che avrebbe portato alla nascita del villaggio globale era già pronta. Bastava applicarla. La seconda rivoluzione nella professione coincide con l'esplosione di internet alla fine degli anni novanta. Le prospettive di un cambiamento così radicale e profondo in una professione che era rimasta sostanzialmente legata agli stessi processi produttivi per secoli spaventarono non poco la categoria. Tra gli apocalittici si iscrissero anche giornalisti di ampie e aperte vedute, come Giorgio Bocca, che vedevano nella nuova dimensione la fine della professione. Ma la questione, ancora una volta, non era se la scienza fosse buona o cattiva, di destra o di sinistra, se la tecnologia e le macchine avessero portato via il lavoro agli uomini. La questione era ed è, molto semplicemente, capire i nuovi media e la realtà, enormemente più complicata, del lavoro di giornalista. Nell'«era dell'accesso», per usare l'espressione di Jeremy Rifkin, siamo immersi in un flusso poderoso e continuo di informazioni reperibili sempre e ovunque da tutti. Sinergie, convergenze, interazioni, sono processi che si controllano solo se si hanno conoscenze specifiche. Radio, televisione, agenzie, uffici stampa, internet, garantiscono ogni giorno un flusso ininterrotto di notizie e di informazioni. I media hanno assunto un ruolo sempre più importante e decisivo nella vita delle nazioni. In un mercato delle notizie che si è espanso in misura planetaria, o forse dovremmo dire globalizzata, il lavoro di chi deve fare informazione diventa molto più difficile: occorre imparare a usare e padroneggiare nuovi strumenti di ricerca e, soprattutto, di verifica. Occorre una capacità nuova di muoversi tra reale e virtuale. Occorre, comunque, una padronanza di tutti i sistemi di produzione e diffusione delle notizie. Internet ha introdotto una contaminazione tra media e generi impensabile solo pochi anni fa. Oggi i giornalisti di tutte le grandi aziende editoriali del mondo - dalla Cnn alla Bbc, dal "Wall Street Journal" a "Usa Today", dal "Corriere della Sera" a "la Repubblica" - si trovano a maneggiare indifferentemente testi, file audio e video. Questa rivoluzione ha avviato un processo di convergenza tra i media. Oggi è possibile vedere un tg indifferentemente alla televisione, sul PC o sul cellulare. Né internet né i cellulari spazzeranno via i giornali di carta, la radio o la televisione, come avevano temuto gli apocalittici o auspicato i guru entusiasti della prima ora. Ma è innegabile che si siano imposti come nuovi media, con specificità proprie, destinati a convivere con i media tradizionali. Nel terzo millennio, auspicare e difendere ancora una formazione giornalistica esclusivamente improntata sulla gavetta vuoi dire abdicare al controllo dei processi dell'informazione da parte di coloro che invece dovrebbero gestirli per garantire quella assoluta libertà e indipendenza che sono la migliore garanzia di ogni democrazia moderna. Non si tratta di difendere il lavoro di giornalista, che è già cambiato e continuerà a cambiare inevitabilmente sotto la spinta dell'innovazione tecnologica. Deve invece essere difesa la professione, con le sue regole e la sua deontologia. Nessuno vuole disconoscere la gavetta, che del resto è un momento importante della formazione in tutte le professioni, dal medico all'avvocato, dall'architetto al farmacista, ma una preparazione specifica, universitaria sui saperi del giornalismo, anzi dei giornalismi, è il punto di partenza migliore per affrontare il mestiere, in redazione, accanto al "maestro" che butta via i pezzi o il file video e li fa rifare anche cento volte se occorre. Perché oggi più che mai questo lavoro è la somma di tanti saperi che richiedono vari livelli di cultura e di preparazione. | << | < | > | >> |Pagina 1199.7 La scrittura onlineParadossalmente (rispetto alle sue caratteristiche di spazio illimitato) la tecnica di scrittura del giornalismo online risente maggiormente del fattore brevità. È assurdo fare un pezzo lungo quando conviene fare un pezzo con due o tre link di approfondimento che oltre tutto incuriosiscono maggiormente il lettore e implementano il numero delle pagine viste. I link non necessariamente sono sempre testuali: possono essere visivi, grafici, video, audio. Quindi la loro funzione è anche quella di valorizzare il singolo articolo costruendolo in maniera ipertestuale e multimediale. Tuttavia sarà bene sfatare subito un pregiudizio: non è affatto vero che sul web si debbano necessariamente scrivere testi brevi. Le potenzialità ipertestuali consentono approfondimenti che la carta non concede. È vero che il lettore cerca notizie a colpo d'occhio, ma è altrettanto vero che, una volta trovata l'informazione che lo interessa, si dimostra desideroso di percorrere tutti gli approfondimenti disponibili. Casomai nel testo online, ancor più che in quello stampato, è necessario spezzare l'andamento uniforme della scrittura con l'irruzione eversiva di altre forme di linguaggio. Una strategia di contatto con il lettore ben illustrata da Daniel Pennac nel suo libro Come un romanzo. E ora eccolo, adolescente chiuso nella sua stanza, di fronte a un libro che non legge. Tutta la sua voglia di essere altrove forma tra lui e le pagine aperte uno schermo opaco che confonde le righe. È seduto davanti alla finestra, con la porta chiusa alle spalle. Pagina 48. Non ha il coraggio di contare le ore passate per arrivare a questa quarantottesima pagina. Il libro ne conta esattamente quattrocentoquarantasei. Come dire cinquecento. 500 pagine! Se almeno ci fossero dei dialoghi. Figurati! Pagine zeppe di righe compresse fra margini strettissimi, neri paragrafi ammassati gli uni sugli altti, e, qua e là, l'elemosina di un dialogo - due virgolette, come un'oasi, a indicare che un personaggio parla a un altro personaggio. Ma l'altro non gli risponde. Segue un blocco compatto di dodici pagine! Dodici pagine di inchiostro nero! Manca l'aria! Puttana merda! Gli scappa una parolaccia. Spiacente, ma gli scappa una parolaccia. Puttana merda che libro del cazzo! Mi scuso anch'io, ma sono assolutamente dalla parte di questo lettore e di Pennac. Ci deve essere un equilibrio fra testo e figure. Se le figure non ce le abbiamo, fra testo e qualcos'altro: citazioni, dialoghi, spazi bianchi e tutto quanto possa interrompere la monotonia delle righe compresse di pagine troppo compatte. Nella rete, anche lo spazio di un rigo bianco tra un capoverso e l'altro contribuisce a dare una boccata di ossigeno al lettore, a dare maggior ordine, e quindi chiarezza, al testo. Il redattore elettronico deve quindi tenere presente che sullo schermo le parole non "galleggiano" sole nello spazio bianco, come sul foglio, ma convivono in competizione con elementi grafici, immagini in movimento, fonti luminose, colori. È compito del redattore facilitare il percorso visivo dell'utente, richiamandone l'attenzione sul testo. Come suggerisce Pennac a proposito del libro, le schermate piene di parole fanno lo stesso effetto delle colonne di "piombo" di un romanzo o di un giornale: respingono. Per questo sul web, ancora più che sulla carta, è importante seguire alcune regole: - è fondamentale spezzare il testo dell'articolo in più paragrafi, meglio se introdotti da un breve titolo; - è opportuno frammentare la scrittura in blocchi di cinque-sei righe ciascuno per poi andare a capo, lasciando un'interlinea bianca che alleggerisce visivamente il documento e lo rende più piacevole all'occhio del lettore; - si può utilizzare il neretto per le parole chiave in modo da facilitare l'eventuale lettura veloce degli argomenti trattati nel pezzo; - è bene evitare la sottolineatura delle parole per non creare ambiguità con l'elemento che sul web caratterizza i link, inducendo il lettore a pensare erroneamente che si tratta di connessioni; - racchiudere il testo in colonne, in modo da limitare lo stress dell'occhio che vaga orizzontalmente da sinistra a destra e ritorno (40- 50 battute); - evitare testi troppo lunghi che richiedono uno scrolling eccessivo. Meglio, eventualmente, operare per link, isolando in documenti correlati eventuali parti (la biografia del personaggio, il collegamento ai precedenti, le cifre, i commenti e le reazioni ecc.); - evitare l'uso eccessivo dei colori per le parole: meglio il classico contrasto nero su bianco e riservare per esempio il rosso a un qualche elemento che si vuole mettere in evidenza; - per i font, scegliere caratteri semplici, i "bastoni" come Verdana, Arial, Helvetica. Tra i "graziati" è molto utilizzato il Times, scelto da molti giornali online americani come elemento di richiamo ai giornali a stampa anglosassoni; - evitare un eccessivo ricorso alle parole in maiuscolo, a esclusione dei titoli dove possono essere utilizzate per dare maggiore forza visiva; - non eccedere con le animazioni: far lampeggiare un elemento di testo richiama l'attenzione, utilizzarne due fa soprattutto confusione; - il corpo non deve essere né troppo piccolo né troppo grande: molti giornali online utilizzano fra i 12 e i 14 pixel, che corrisponde, più o meno, ai 10-12 punti tipografici. Anche la titolazione online è abbastanza diversa da quella della stampa. Nella home page il titolo è parte dell'ipertesto in quanto costituisce il link di collegamento con l'articolo, il video o la galleria di immagini. È dunque importante che il lettore abbia subito a disposizione tutti gli elementi necessari per operare la propria consapevole scelta. Per questo occorre che il redattore favorisca al massimo l'individuazione del contenuto del testo e la sua natura (testuale, video, audio, animazione grafica ecc.). Il titolo deve essere esplicito e il sommario, quando c'è, deve contenere in poche righe tutte le informazioni utili (le 5 W) per consentire al lettore di decidere se vuole accedere al contenuto dell'articolo o passare ad altro. Anche nei titoli si può utilizzare il neretto per richiamare l'attenzione su parole chiave o link (video, audio, forum, sondaggio, animazione). In casi eccezionali si può utilizzare un colore diverso, come il rosso (per esempio allo scopo di segnalare la cronaca in tempo reale di una partita di calcio o di un avvenimento di cronaca, o una videochat in corso). Ma in queste caso conviene non eccedere. Due o più parole in rosso in home page finiscono per vanificare la funzione di richiamo con un effetto complessivo stilisticamente abbastanza pacchiano. | << | < | > | >> |Pagina 12810.11 Il grado zero del giornalismoLa rete sta sviluppando anche altri sistemi di informazione per certi versi opposti a quelli tradizionali (gestiti dai giornalisti professionisti), e a quelli alternativi (gestiti da dilettanti). Questa nuova tendenza può essere sintetizzata in uno slogan: "L'informazione senza giornalisti". Fra i primi a esplorare questo mondo è stato il motore di ricerca Google, che nell'autunno del 2002 ha varato un progetto ambizioso: Google News. Si tratta di un sito d'informazione che categorizza, riportando fonte e ora di pubblicazione dell'informazione, articoli pescati da oltre 4000 media in lingua inglese distribuiti in tutto il mondo. Le pagine vengono aggiornate più volte al giorno come in un qualsiasi giornale online, solo che in questo caso non è previsto alcun intervento umano, tanto meno quello di un giornalista. Il "giornalista-ingegnere" ha così ultimato il suo ciclo evolutivo: c'è rimasto soltanto l'ingegnere. La tecnica si basa infatti su alcuni algoritmi in grado di catalogare le informazioni. «Ci sono tre criteri principali di selezione - spiega Marissa Mayer, direttore di Google News - il numero di articoli su questa o quella storia apparsi su internet; la credibilità della fonte; l'attualità dell'argomento trattato» (Rousselot 2002, p. 25). Seguendo questi criteri di selezione, l'ordinatore classifica un avvenimento tra le top stories e lo inserisce in una delle categorie "esteri", "cronache", o "sport". Questa classificazione asettica, basata su formule "matematiche", viene presentata dai manager di Google come un'opportunità di obiettività totale: nessuna linea politica o editoriale può influenzare minimamente la gerarchizzazione dell'informazione fatta dalle macchine. «Quello che noi vogliamo, è offrire il più vasto numero di punti di vista possibili agli utenti» assicura Marissa Mayer (ibidem). Appare fin troppo facile obiettare che la scelta "numerica" avviene pur sempre all'interno di un corpus che non può essere così obiettivo e indipendente come si vuol far credere. Prendiamo, per esempio, il lungo braccio di ferro politico e militare tra Stati Uniti e Iraq: tra gli oltre 4000 media in lingua inglese sparsi nel mondo, quanti riporteranno il punto di vista degli Stati Uniti e quanti quello degli iracheni? Nel sistema dei "giornalisti-robot", chi garantirà la voce delle minoranze? E chi quella parte dell'umanità che non ha accesso alle tecnologie e al villaggio globale? Una riflessione che ci porterebbe lontano. Accontentiamoci di ammettere che anche la matematica diventa un'opinione (quindi non obiettiva) quando applicata al giornalismo. | << | < | > | >> |Pagina 13111.1 Come leggeremo le notizie in futuro?Si possono ipotizzare due supporti su cui convergeranno i flussi dell'informazione: da una parte la "black box", un maxi-schermo fisso integrato con il PC; dall'altra il cellulare, supporto wireless, mobile ma always on, sempre collegato alla rete di internet a una velocità che consente di vedere un tg con la stessa immediatezza di una telefonata. Entrambi saranno interattivi, multimediali, ipertestuali, permetteranno di gestire le e-mail e di fruire dei programmi televisivi e radiofonici, di leggere le news e di accedere a tutti i servizi tipici di telefonia e internet: dalla musica al conto in banca. Il cellulare, inoltre, essendo già anche un sistema di pagamento, potrebbe risolvere i problemi di micro-pagamenti consentendo transazioni elettroniche anche per i piccoli acquisti di tutti i giorni: dal giornale al parcheggio.
Si individuano, dunque, due linee di convergenza: da una parte il supporto
fisso (TV + computer + internet + videoregistratore + stereo + radio + play
station + videotelefono); dall'altra quello mobile (cellulare + internet + radio
+ televisione + juke box + credit card). Fin qui, quello che ci possiamo
ragionevolmente aspettare in un futuro abbastanza prossimo. Ma è anche vero che
per un numero, presumibilmente alto, di utenti la convergenza non rappresenta
oggi un obiettivo appetibile. Quanto sarà disposto a pagare l'utente medio
televisivo, abituato ad avere già sul video, gratis, tutto quello di cui ha
bisogno, per avere news, sport, film e varietà su un telefonino? Perfino
l'utente più smaliziato e tecnologico potrebbe avanzare qualche perplessità
sull'opportunità di leggere una e-mail o l'estratto conto davanti al grande
schermo posizionato in salotto, seduto sul divano insieme a tutta la famiglia.
Nessuno ha ancora sperimentato una vera, piena convergenza: chi ci assicura che
il reale comportamento del consumatore proceda in sintonia con le possibilità
dello sviluppo tecnologico?
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