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| << | < | > | >> |Pagina 3IntroduzioneQuesto libro nasce da un dubbio: il sospetto di un'assenza, di una cancellazione o anche solo di un'omissione. Cancellazione che però investe tutta la nostra storia (come specie dominante di questo pianeta), la nostra cultura, i nostri sistemi di credenze, gran parte delle nostre istituzioni e persino, almeno in parte, la scienza. In quest'ultimo caso si tratterebbe però di un'omissione non voluta. Infatti non si può che nutrire assoluta fiducia nella cristallina onestà della scienza (che non significa verità, e non lo pretende; questa è retaggio solo delle religioni), ma anche comprensione della sua fondante incompiutezza. E fiducia quindi nell'ottima fede dei suoi officianti, senza il cui minuzioso, paziente lavoro sarebbe del resto stato impossibile anche solo giungere a formulare il dubbio da cui siamo partiti. Il sospetto cioè che nella lunghissima, paziente e incompleta ricostruzione della storia della nostra specie e delle prassi che hanno dato luogo alle attuali forme delle civilizzazioni umane sia stato omesso o forse eccessivamente sotteso il protagonista primo degli eventi che ci hanno estratto dall'animalità per spingerci sul faticoso e rischioso cammino della civiltà, o almeno della civilizzazione: ossia, appunto, Eva, la Donna, la femmina di Homo sapiens. Ma cosa può spingere un giornalista o uno scrittore a infilarsi in un campo così complesso e sofisticato quale quello della paleoantropologia umana, senza possedere i necessari passaporti accademici? Proprio il fatto di essere un cronista, che si sente autorizzato dalla sua curiosità e da quella dei suoi lettori a montare sulle le spalle degli specialisti - per i quali non può che nutrire rispetto e gratitudine — per cercare di capire da dove nasce non solo la millenaria esclusione della Femmina dalla Storia ma anche in quale misura essa abbia contribuito o addirittura determinato la svolta che ci ha condotti fin qui. Per intraprendere questo percorso il cronista ha con sé pochi strumenti. In primo luogo dovrà introdursi di soppiatto in quel Regno delle Madri che è la nostra infanzia come specie, poi saccheggiare il patrimonio di informazioni che costituiscono il tesoro raccolto in poco più di un secolo dai paleontologi e dagli etologi, per cercare di comprendere il ruolo della Femmina nel mondo animale, dal quale proveniamo. Quindi dovrà fare massiccio ricorso alla potenza euristica dell'evoluzione darwiniana; in particolare applicando l'idea-guida della selezione naturale e il concetto di fitness all'evoluzione culturale e comportamentale della nostra specie - idea che sembra sedurre alcuni psicologi californiani - e inoltre utilizzando l'ipotesi - già presentata in altri contesti - secondo la quale nei nostri comportamenti culturali e sociali attuali si nascondono dei "giacimenti comportamentali" (definiti altrove come «norme fossili») che senza dubbio hanno una radice biologica, ma rappresentano altresì un adattamento comportamentale sedimentato nel corso dei millenni, e hanno determinato non solo le nostre scelte, ma anche la nascita e la vicenda delle nostre istituzioni. Innanzitutto, appunto, i difficili rapporti tra i generi, che vengono drammaticamente alla luce in questo periodo in Occidente, a partire da altri contesti, dal processo di emancipazione femminile e dal crollo delle impalcature culturali tradizionali che da diecimila anni hanno regolato i rapporti tra i sessi, e anche dalle scoperte scientifiche e tecnologiche che hanno consentito di separare sessualità e riproduzione. Infine il cronista dovrà risalire a quelle pulsioni biologiche che sono all'origine della nostra vicenda. Per il maschio, certamente, quella sessuale: la ricerca dell'accoppiamento, della scarica libidinale, che nell' Homo sapiens diviene una spinta quasi tormentosa e violenta - più forte persino della ricerca del cibo - fino a determinare non solo la conflittualità maschile, la competizione, ma anche l'appropriazione gelosa del proprio target e la "privatizzazione" della partner. Nella femmina il confronto con altri mammiferi sembra indicarci che questa pulsione, pur esistente, ha altri risvolti (fisici e psichici) rispetto alla «fissazione sessuale» del maschio (come la definisce il sessuologo svizzero Zwang). In lei giganteggia un'altra pulsione, connessa alla struttura stessa del corpo femminile: quella verso la maternità e l'istinto riproduttivo, non solo nel senso di procreazione come bisogno e destino, ma collegata alla cura, al nutrimento, alla protezione (a lungo termine tra gli umani) dei cuccioli. Il cucciolo d'uomo, infatti, non solo nasce estremamente debole e indifeso, ma conserva a lungo la sua totale dipendenza per sopravvivere dalle cure degli Adulti. Solo molto tardi, rispetto ad altre specie, diviene autosufficiente, ed è particolarmente immaturo alla nascita anche dal punto di vista dello sviluppo neuronale (il che gli consente di venire fortemente modellato anche cerebralmente dal rapporto con l'ambiente, al quale perciò è fortemente plastico). La femmina di Homo sapiens è quindi spinta a fornire al neonato una protezione estensiva, che va dalla nutrizione e dalla protezione fisica al modellamento neuronale. Da questo prolungato, esteso e indispensabile contatto fisico e psicologico, e dalla esigenza di interpretare i bisogni vitali ed emozionali del cucciolo, nasce la pulsione della femmina a prendersi cura, a ricercare il contatto (che in altre situazioni ha anche una connotazione sessuale) e anche ad allargare le possibilità di comunicazione reciproca. Da ciò l'ipotesi che il linguaggio nasca dall'interazione prolungata madre-cucciolo, dal bisogno materno di interpretare le esigenze, i bisogni del bambino, rivestendo queste forme di interazione di suoni significanti che alla lunga - in un contesto femminile-neonatale - si convenzionalizzano e standardizzano (come avviene del resto tuttora) e si estendono poi progressivamente alla comunità, compresi i maschi adulti, segnando così probabilmente una primordiale forma di linguaggio. Da una così totale interazione tra femmine e cuccioli nascono altre determinazioni: il bisogno e la difesa di una tana; la sua organizzazione (molto più casuale per i maschi, tendenzialmente nomadi e proiettati all'esterno dalla caccia), inclusa la tradizionale conservazione del fuoco e l'invenzione della cottura dei cibi; la scelta tutta femminile di sopperire all'aleatorietà intriseca del rifornimento maschile di viveri attraverso la caccia (dalla quale la femmina è praticamente esclusa perché non può lasciare i cuccioli a lungo senza protezione), ricercando e individuando altre fonti alimentari nelle vicinanze della tana: vegetali, frutta, tuberi, radici, larve, piccoli animali e insetti, attività questa che porterà successivamente forse persino all'invenzione dell'agricoltura, e quindi in tempi successivi alla proprietà del territorio e dei suoi frutti. In questo contesto, la scelta del maschio come partner fisso s'inserisce da un lato come necessità di disporre di una vigorosa manodopera e di una efficace protezione per sé e per i cuccioli, in cambio della "esclusiva" sessuale, ossia della coppia (favorita dalla sparizione dell'estro apparente nella femmina di Homo sapiens e dalla sua ricettività sessuale estesa) e dall'altro come selezione determinata probabilmente dalla neotenia (preferenza reciproca per gli individui che ricordano caratteri infantili: scarsità di pelo, testa grande, tendenza al gioco e alla mimesi), che alla lunga ha differenziato profondamente i nostri antenati dagli altri australopitechi. Quindi, secondo tale ipotesi, da ciò avrebbe avuto origine la formazione della coppia (anche plurima), conseguenza della esigenza femminile di garantire insieme a un partner (come del resto accade per altre specie) la protezione e l'allevamento dei cuccioli. Un processo dal quale sarebbe sorta la famiglia, nucleo fondamentale della società umana quale la conosciamo, utilizzando a tal fine la sparizione dell'estro periodico nella femmina di Homo sapiens, e la conseguente privatizzazione del sesso, la cui fruizione "privata" rappresenta lo stimolo che induce il maschio alla cooperazione con la femmina. In possesso delle armi della logica oltre che delle preziose informazioni che ci vengono dalla scienza e anche (perché no?) dalla fantasia, vorrei tracciare, più che un libro di divulgazione, un probabile e ipotetico panorama del processo che sta alle fondamenta dei nostri attuali istituti e comportamenti, utilizzando ciò che la paleoantropologia, l'etologia, la genetica e la sociologia oggi ci suggeriscono, e ricostruendo — con l'uso di lacerti narrativi — alcuni eventi critici di quel passato (come ha fatto Kurtèn con La danza della tigre). In poche parole: come e perché la nostra specie ha intrapreso il cammino di ciò che chiamiamo "civilizzazione", in quale misura la separazione biologica in generi ne è stata responsabile, e qual è stato il ruolo rivestito dalle femmine fino a quell'evento centrale che è stato il rovesciamento dei ruoli e la presa di potere dei maschi, fino all'invenzione del dio-padre o degli dèi che hanno detronizzato le primitive dee-madri. In questo cammino abbiamo fatto riferimento a un'inconscia memoria sedimentata dentro di noi come membri della specie che trascende la memoria individuale e contingente che ci accompagna nel nostro singolo, privato, itinerario di vita, e abbiamo attinto alle tracce di quegli "annali" della specie, celati nel patrimonio di miti, leggende, credenze e fiabe che rinviano ai primordi del nostro cammino. Una memoria, quindi, che contrassegna la nostra specie e determina ancora oggi, a livello non consapevole, una miriade di comportamenti e di risposte agli stimoli ambientali, e che forse è la radice più profonda nonché la spiegazione delle tante singolarità della nostra storia. Quindi, da diligenti cronisti, abbiamo intervistato la protagonista principale di questa vicenda, la Madre Prima, Eva (nera, per la contingenza storica).
Nella bibliografia abbiamo citato quella porzione — che più ci è
stata utile — della marea di testi prodotti su questi argomenti (oltre
ad avere sfacciatamente utilizzato le idee maturate in contatti e
conversazioni con scienziati di queste discipline). Ma due sono per
noi le pietre miliari che ci hanno guidati in questa ricerca: un libro
— oggi forse dimenticato, o comunque superato dalle ricerche di un
secolo e mezzo — che ci impressionò e dirottò i nostri interessi in
gioventù,
L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
(1884) di
Friedrich Engels,
e principalmente quel monumento della cultura europea che è
L'origine delle specie
(1859) di Charles Darwin, che ha mutato radicalmente la possibilità dell'uomo di
pensare se stesso, e senza la cui guida questo libro non avrebbe potuto neppure
essere pensato.
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