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| << | < | > | >> |Pagina VNelle conclusioni della sua opera La legge fisica Richard S. Feynman si domanda: quale sarà il futuro della scienza? continueremo per sempre a scoprire nuove leggi? Egli ne dubita: potrebbe persino diventare noioso ed arriveremmo, conclude Feynman, a un punto in cui tutte le leggi, almeno quelle che determinano l'essenziale dei fenomeni, sarebbero conosciute. Non si riscopre l'America. Tale concetto di una «fine della scienza» si riscontra in molte altre opere scritte da fisici autorevoli. Nel suo libro Dal big bang ai buchi neri, ad esempio, il cosmologo inglese Stephen Hawking predice l'avvento di una teoria unificata che ci consentirà di decifrare «la mente di Dio». La tesi esposta in questo volume giunge a una prospettiva diversa. La nozione di legge della natura, così come è formulata da Feynman o da Hawking, si riferisce ad un universo fondamentalmente reversibile, che non conosce differenza tra passato e futuro. La fisica, da Galileo a Feynman e Hawking, ha ripetuto la più paradossale delle negazioni, quella della freccia del tempo che pure traduce la solidarietà della nostra esperienza interiore con il mondo in cui viviamo. Le scienze del divenire e la fisica del non-equilibrio sono state respinte verso la fenomenologia, quasi ridotte a effetti parassiti che l'uomo introduce nelle leggi fondamentali. Cominciavamo finalmente a intravedere la possibilità di risolvere tale paradosso: la sua soluzione passa attraverso una generalizzazione del concetto di leggi della natura. Nel corso degli ultimi decenni un concetto nuovo ha conosciuto una fortuna sempre crescente: la nozione di instabilità dinamica associata a quella di «caos». Quest'ultimo fa pensare a disordine, imprevedibilità: ma vedremo che non è così. È possibile invece, come constateremo in queste pagine, includere il «caos» nelle leggi della natura, ma al prezzo di generalizzare tale nozione in modo da includervi le nozioni di probabilità e di irreversibilità. In breve, la nozione di instabilità ci obbliga ad abbandonare la descrizione di situazioni individuali (traiettorie, funzioni d'onda) per abbracciare descrizioni statistiche. È quindi a livello statistico che possiamo evidenziare la comparsa di una simmetria temporale spezzata. Come ho già detto, la formulazione tradizionale delle leggi della natura opponeva le leggi fondamentali atemporali alle descrizioni fenomenologiche, che comprendono la freccia del tempo. La riconsiderazione del «caos» porta anche a una nuova coerenza, a una scienza che non parla solamente di leggi, ma anche di eventi, la quale non è condannata a negare l'emergere del nuovo, che comporterebbe un rifiuto della propria attività creatrice. Oggi conosciamo diverse classi di sistemi instabili, da trasformazioni geometriche (mappe) che operano in tempi discreti fino a sistemi dinamici o quantità in cui il tempo agisce in modo continuo. È meraviglioso che attualmente la descrizione fondamentale accettata in fisica si faccia, come vedremo in queste pagine, in termini di sistemi instabili. Nell'ambito di questo libro non è possibile presentare un'esposizione sistematica dei problemi legati alla nozione di instabilità e del loro legame con l'irreversibilità. La mia ambizione è di fornire uno sguardo introduttivo alla trattazione che sto sviluppando nella mia prossima opera, Time, Chaos and the Quantum. | << | < | > | >> |Pagina 3Un titolo come Le leggi del caos può sembrare paradossale. Esistono leggi del caos? Il caos non è per definizione «imprevedibile»? Vedremo che non è così, ma che la nozione di caos ci costringe invece a riconsiderare quella di 'legge della natura'. Nella prospettiva classica una legge della natura era associata a una descrizione deterministica e reversibile nel tempo, in cui futuro e passato avevano lo stesso ruolo. L'introduzione del caos ci obbliga a generalizzare la nozione di legge della natura e a introdurvi i concetti di probabilità e di irreversibilità. Si tratta, in tal caso, di un cambiamento radicale, poiché, a voler seguire davvero questo approccio, il caos ci obbliga a riconsiderare la nostra descrizione fondamentale della natura. Non può essere affatto compito di questo libro presentare un'esposizione sistematica della teoria del caos. D'altronde esistono varie opere alle quali il lettore può fare riferimento, ma quel che vorrei sottolineare in questo contesto è il ruolo fondamentale del caos a ogni livello di descrizione della natura, che sia quello microscopico, macroscopico o cosmologico. Oggi si parla di caos a proposito dei fenomeni più disparati. Per esempio si associa il caos alla turbolenza con cui scorrono i fluidi: precisiamo subito che non sono questi gli aspetti di cui ci occuperemo in questa sede. Prima di tutto siamo interessati al caos così come risulta dalle equazioni dinamiche classiche o quantistiche che, nella sfera delle nostre conoscenze, corrispondono alla descrizione microscopica fondamentale. Indubbiamente da questo caos microscopico può risultare il caos macroscopico, ma ritorneremo su questo concetto più avanti. La nostra attenzione si concentra soprattutto sulla descrizione detta «fondamentale» del comportamento della materia. Il caos è sempre la conseguenza di fattori di instabilità. Il pendolo in assenza di attrito è un sistema stabile, ma curiosamente la maggior parte dei sistemi di interesse fisico, che siano di meccanica classica o di meccanica quantistica, sono sistemi instabili. In essi una piccola perturbazione si amplifica e traiettorie inizialmente vicine divergono. L'instabilità introduce nuovi aspetti essenziali. Dunque noi esamineremo principalmente l'incidenza di tale instabilità sui concetti fondamentali: il determinismo, l'irreversibilità e persino i fondamenti della meccanica quantistica: come dimostreremo, tutti questi problemi s'illuminano di luce nuova. Ecco perché quando si prende in considerazione il caos, si può parlare di una riformulazione delle leggi della natura. La posta in gioco è di importanza primaria. Attualmente la scienza ha un ruolo fondamentale nella nostra civiltà, eppure , usando una nota espressione introdotta da Snow, viviamo ancora in una società scissa tra due culture, la comunicazione tra i cui membri rimane difficile. Qual è la ragione di tale dicotomia? Spesso è stato suggerito che si tratta di un problema di conoscenze. Le scienze di base si esprimono in termini matematici. Gli «scienziati» non leggono Shakespeare e gli «umanisti» sono insensibili alla bellezza della matematica. Credo che questa dicotomia viva di una motivazione più profonda e che risieda nel modo in cui la nozione di tempo è incorporata in ognuna di queste due culture. Nelle scienze naturali l'ideale tradizionale era raggiungere la certezza associata a una descrizione deterministica, tanto che persino la meccanica quantistica persegue questo ideale. Al contrario le nozioni di incertezza, di scelta, di rischio dominano le scienze umane, che si tratti di economia o di sociologia. É il modo di descrivere lo scorrere del tempo che distingue le due culture. Si potrebbe anche pensare di distinguerle attraverso la complessità del loro oggetto: la fisica si occuperebbe allora dei fenomeni detti semplici e le scienze umane dei fenomeni complessi. Ma al giorno d'oggi il divario tra fenomeni semplici e complessi va riducendosi. Sappiamo che le particelle cosiddette elementari e i problemi della cosmologia corrispondono a fenomeni estremamente complessi, che oggi trovano ben poco riscontro con le idee che si avevano a riguardo ancora poche decine di anni fa. Invece è stato possibile stabilire modelli semplici che descrivessero, in modo sì schematico, ma altrettanto interessante, problemi considerati tradizionalmente complessi, come il funzionamento del cervello o il comportamento delle società degli insetti. Quindi, attualmente, la distinzione basata sull'idea di complessità pare meno chiara di quanto non lo fosse in precedenza. Mi ritengo completamente d'accordo con sir Karl R. Popper quando afferma che il problema centrale alla base della dicotomia tra le due culture è il problema del tempo. Il tempo è la nostra dimensione esistenziale e fondamentale; è la base della creatività degli artisti, dei filosofi e degli scienziati. L'introduzione del tempo nello schema concettuale della scienza classica ha significato un progresso immenso. Eppure esso ha impoverito la nozione di tempo, poiché non vi era fatta alcuna distinzione tra il passato e il futuro. Al contrario in tutti i fenomeni che percepiamo attorno a noi, che appartengano alla fisica macroscopica, alla chimica, alla biologia oppure alle scienze umane, il futuro e il passato svolgono ruoli differenti. Ovunque troviamo una «freccia del tempo». Pertanto si pone la domanda di come questa freccia possa emergere dal non-tempo. Il tempo che percepiamo è forse un'illusione? E questo interrogativo che porta al «paradosso» del tempo, che è il fulcro di questo mio lavoro. La storia del paradosso del tempo può essere suddivisa in tre tappe. La presa di coscienza alla fine dell'Ottocento, il suo improvviso riemergere negli ultimi decenni e la sua recentissima soluzione, l'argomento principale di cui mi occuperò qui, come già detto. È a questo proposito che le nozioni di instabilità e di caos hanno un ruolo essenziale. [...] La fisica classica si basava sullo studio della gravitazione e dell'elettromagnetismo; la fisica moderna vi ha aggiunto altri tipi di interazioni. Uno dei problemi all'interno del programma della fisica moderna è il problema dell'unificazione delle interazioni. Spesso è stato manifestato il desiderio di scoprire un'unica legge a partire dalla quale fosse possibile derivare tutte le altre. Tale speranza era alla base dello studio di Einstein sulla teoria del campo unificato e costituisce ancora il tema centrale del recente libro di Stephen W. Hawking Dal big bang ai buchi neri, già citato nell'Introduzione. Eppure l'unificazione delle interazioni è ben lungi dall'essere il solo problema oggi ancora da risolvere: fin dall'Ottocento il sorgere di scienze basate su paradigmi diversi aveva aperto altre prospettive. La biologia darwiniana e la termodinamica sono scienze dell'evoluzione. La termodinamica è la scienza dell'era industriale, ma le conseguenti rapide trasformazioni dei nostri rapporti con la natura cominciavano a diventare motivo di profonda ansia. Infatti il pericolo che minacciava l'umanità era l'esaurimento delle risorse naturali: sembrava quasi che l'universo fosse condannato a evolversi in direzione della morte termica. Dopo Darwin la biologia è l'espressione di un paradigma evoluzionistico, ma il darwinismo insisteva sulla comparsa di novità, nuove specie, nuovi modi d'adattamento e nuove nicchie ecologiche, mentre la visione termodinamica parlava solo di livellamento e di morte termica. L'universo avrebbe iniziato a formarsi a un livello d'entropia molto basso, corrispondente a un «ordine» iniziale, per arrivare, dopo un periodo sufficientemente lungo, alla morte termica. Ma in che cosa consisteva l'ordine iniziale? È vero che l'unico fattore prevedibile dell'universo è la sua morte? Torneremo ancora su tali quesiti, che rappresentano il nucleo della cosmologia attuale. Comunque sia, l'emergere dei paradigmi evolutivi ha contribuito a riportare il paradosso del tempo nel dominio della scienza, poiché da una parte nella scienza newtoniana non esisteva una freccia del tempo e dall'altra il concetto di irreversibilità è essenziale sia per la termodinamica sia per la biologia. | << | < | > | >> |Pagina 27Ora rivolgeremo la nostra attenzione al mondo microscopico, ossia a quello della dinamica. Ho già descritto la battaglia che Boltzmann ha condotto per introdurre il secondo principio della termodinamica nella fisica classica. Egli era stato costretto a concludere che l'irreversibilità postulata dalla termodinamica era incompatibile con le leggi reversibili della dinamica. Le sue conclusioni sembravano confermate dal fatto che in relatività e in meccanica quantistica il punto di vista è rimasto lo stesso. Le leggi quantistiche o relativistiche di base restano reversibili rispetto al tempo, proprio come nella dinamica classica. Ma negli ultimi anni si è verificato un drammatico cambiamento. Un esempio di questo nuovo punto di vista emergente è la dichiarazione solenne che sir James Lighthill fece nel 1986 in veste di presidente dell'Union internationale de mécanique pure et appliquée. Lighthill si espresse con le seguenti parole:
A questo punto mi devo fermare e parlare in nome della
grande fratellanza che unisce gli esperti della meccanica.
Oggi siamo pienamente coscienti di quanto l'entusiasmo che i
nostri predecessori nutrivano per il meraviglioso successo
della meccanica newtoniana li abbia portati ad operare
generalizzazioni, nel campo della predicibilità [...], che
ormai sappiamo essere false. Noi tutti desideriamo, perciò,
presentare le nostre scuse per aver indotto in errore il
nostro colto pubblico, diffondendo, a proposito del
determinismo dei sistemi che aderiscono alle leggi
newtoniane del moto, idee che dopo il 1960 si sono rivelate
inesatte.
Ecco una dichiarazione che indubbiamente si può qualificare eccezionale. Gli storici della scienza sono abituati a rivoluzioni in cui una teoria viene smentita e l'altra è indotta a trionfare. E anche vero che ognuno di noi può commettere degli errori e poi deve scusarsi di averli commessi, ma è del tutto eccezionale sentire degli esperti riconoscere che per tre secoli si sono sbagliati su un punto essenziale del loro campo di ricerca. Il rinnovamento della dinamica, la scienza occidentale più antica, è un fenomeno unico nella storia delle scienze. Per molto tempo il determiniamo è stato il simbolo stesso dell'intelligibilità scientifica, mentre oggi non è altro che una proprietà valida solo in casi limite, cioè precisamente nei sistemi dinamici stabili. Pertanto la nozione di probabilità che Boltzmann aveva introdotto per poter esprimere la freccia del tempo non corrisponde più alla nostra ignoranza e acquista un significato obiettivo. Il motivo della dichiarazione di sir James Lighthill consiste di preciso nella scoperta dei sistemi dinamici caotici. Il fatto che taluni sistemi possano divenire caotici non è una novità: l'esempio classico è rappresentato dalla transizione tra moto laminare e turbolento. Ma un liquido è un sistema complesso che corrisponde a un'enorme popolazione di particelle in interazione. Si tratta di un sistema talmente complesso che non possiamo sperare di descrivere in termini di traiettorie individuali. Quindi i fisici potevano pensare di dover procedere per approssimazioni e ancora una volta il caos e l'irreversibilità potevano risultare da queste. Ma la novità è che attualmente disponiamo di sistemi caotici molto semplici e di conseguenza non possiamo più nasconderci dietro lo schermo della complessità. L'instabilità e l'irreversibilità diventano parte integrante della descrizione già a livello fondamentale. | << | < | > | >> |Pagina 51Come abbiamo appena scritto, finora abbiamo considerato sistemi caotici semplicissimi, quali lo spostamento di Bernoulli o la trasformazione del fornaio. In essi il tempo è implicito in modo discontinuo. Affrontiamo adesso il caso dei sistemi instabili, in cui il tempo è implicito in modo «continuo»: è la situazione della dinamica classica o quantistica. Come definire il caos per questi sistemi? In particolare la definizione del caos per i sistemi quantistici ha suscitato numerose controversie. Abbiamo visto che nel caso delle «mappe» la definizione usuale del caos ci porta a rappresentazioni statistiche «irriducibili» (ossia non possiamo più ritornare alla descrizione in traiettorie). È proprio questa proprietà che prenderemo come definizione stessa del caos, traendo vantaggio dalla sua possibilità di estendersi ai sistemi quantistici. Sono 'caotici' i sistemi quantistici la cui evoluzione non può esprimersi in termini di funzioni d'onda che obbediscono all'equazione di Schrödinger, ma che richiedono una nuova formulazione in termini di probabilità. Vedremo più avanti alcuni esempi. | << | < | > | >> |Pagina 57Come indicato in precedenza, le divergenze di Poincaré sono state discusse nell'ambito della meccanica classica. Al contrario concentreremo le nostre osservazioni in riferimento all'ambito quantistico: infatti è in meccanica quantistica che l'eliminazione delle divergenze di Poincaré assume un'importanza maggiore, perché, come vedremo, porta a risolvere le difficoltà fondamentali sempre presenti nei suoi fondamenti.
La meccanica quantistica è infatti una scienza curiosa:
da un lato ha avuto il successo più eclatante in relazione
alle sue previsioni sperimentali e, dall'altro, da circa 60
anni le discussioni a proposito dei suoi principi base non
si sono ancora placate. Nel suo libro
La legge fisica
R. Feynman sostiene che «nessuno capisce la meccanica
quantistica»! Citiamo anche un recente testo di Paul
Davies che pone bene il problema.
"Alla base di tutto c'è il fatto che la meccanica
quantistica fornisce un procedimento molto efficiente per
predire i risultati delle osservazioni su sistemi
microscopici, ma quando ci domandiamo che cosa succede
veramente quando un'osservazione ha luogo, quello che si
ottiene è privo di senso. I tentativi di uscire da questo
paradosso vanno dal bizzarro, come l'interpretazione dei
molti universi di Hugh Everett, alle idee mistiche di John
von Neumann e Eugene Wigner, i quali chiamano in causa la
coscienza dell'osservatore. Dopo mezzo secolo di
discussione, il dibattito sull'osservazione quantistica
rimane vivo più che mai. I problemi della fisica del
molto piccolo e del molto grande sono formidabili, ma può
darsi che proprio questa frontiera della relazione tra mente
e materia risulti essere la maggiore sfida posta dalla Nuova
Fisica."
È questo problema dell'interazione dell'uomo con la natura, «l'interfaccia tra mente e materia» secondo l'espressione letterale di Paul Davies, a essere strettamente legato al problema delle risonanze di Poincaré. Pertanto prima di discutere e di presentare la sua teoria nel quadro quantistico di eliminazione delle divergenze di Poincaré, per individuare tali difficoltà cominceremo con una breve esposizione delle basi della meccanica quantistica. | << | < | > | >> |Pagina 79Terminiamo questa esposizione con qualche conclusione generale. Abbiamo già insistito a più riprese sulla successione instabilità -> (caos) -> probabilità -> irreversibilità, e sul fatto che per certi aspetti il nostro approccio segue le intuizioni geniali di Boltzmann. Oggi sappiamo che tale approccio si applica alla categoria dei sistemi dinamici instabili ed è questa precisazione che consente di evitare le critiche che a suo tempo furono rivolte a Boltzmann. Invece di pensare traiettorie o funzioni d'onda, pensiamo probabilità e proprietà degli operatori di evoluzione: è infatti proprio attraverso queste ultime che siamo in grado di unificare la dinamica e la termodinamica. Cominciamo ad afferrare meglio la lezione del secondo principio della termodinamica. Perché esiste l'entropia? Prima spesso si ammetteva che l'entropia non era altro che l'espressione di una fenomenologia, di approssimazioni supplementari che introduciamo nelle leggi della dinamica. Oggi sappiamo che la legge di sviluppo dell'entropia e la fisica del non-equilibrio ci insegnano qualcosa di fondamentale circa la struttura dell'universo: l'irreversibilità diventa un elemento essenziale per la nostra descrizione dell'universo, quindi deve trovare la sua espressione nelle leggi fondamentali della dinamica. La condizione essenziale è che la descrizione microscopica dell'universo si faccia tramite sistemi dinamici instabili. Ecco un radicale cambiamento del punto di vista: per la visione classica i sistemi stabili erano la regola e i sistemi instabili delle eccezioni, mentre oggi capovolgiamo tale prospettiva. Una volta ottenuta l'irreversibilità e la freccia del tempo, possiamo studiare tale freccia su altre rotture di simmetria e sul contemporaneo emergere dell'ordine e del disordine a livello macroscopico. Comunque in entrambi i casi è dal caos che emergono allo stesso tempo ordine e disordine. Se la descrizione fondamentale si facesse con leggi dinamiche stabili, non avremmo entropia, ma quindi neppure coerenza dovuta al non-equilibrio, né alcuna possibilità di parlare di strutture biologiche e pertanto un universo da cui l'uomo sarebbe escluso. L'instabilità, ovvero il caos, ha così due funzioni fondamentali: da un lato, l'unificazione delle descrizioni microscopiche e macroscopiche della natura, attuabile solo tramite una modificazione della descrizione microscopica; dall'altro, la formulazione di una teoria quantistica, direttamente basata sulla nozione di probabilità, che evita il dualismo della teoria quantistica ortodossa, ma che, a un livello ancor più generale, ci induce così a modificare quelle che tradizionalmente chiamavamo «leggi della natura». Una volta queste ultime erano associate al determinismo e all'irreversibilità nel tempo, mentre per i sistemi instabili esse diventano fondamentalmente probabilistiche ed esprimono ciò che è possibile e non quel che è «certo». Questo risulta particolarmente sorprendente se consideriamo che stiamo analizzando l'universo ai suoi primi istanti di vita: lo si può paragonare a un bambino appena nato, che potrebbe diventare architetto, musicista o impiegato di banca, ma che non può essere tutti questi personaggi allo stesso tempo. La legge probabilistica contiene evidentemente fluttuazioni e persino biforcazioni.
All'inizio di quest'esposizione abbiamo menzionato il
problema delle due culture. La scienza classica era nata
sotto il segno del dualismo. In una delle sue
Risposte alle terze obbiezioni
(cioè quella alla obbiezione seconda, sulla seconda
meditazione intitolata
Della natura dello spirito umano)
Cartesio ribadisce contro Hobbes la distinzione tra due
sostanze, il corpo e lo spirito, che ci sono note dagli atti
o accidenti che sono loro propri:
Vi sono certi atti che chiamiamo
corporei,
come la grandezza, la figura, il movimento, e tutte le altre
cose che non possono essere concepite senza un'estensione
locale, e noi chiamiamo col nome di
corpo
la sostanza nella quale risiedono; [...] tutti questi atti
convengono fra di loro, in quanto presuppon-
gono l'estensione. In appresso, vi sono altri atti che noi
chiamiamo
intellettuali,
come intendere, volere, immaginare, sentire, ecc,., i quali
tutti convengono fra loro in questo, che non possono essere
senza pensiero o percezione, o coscienza e conoscenza; e la
sostanza nella quale essi risiedono, noi diciamo che è
una cosa che pensa,
o uno spirito [...]; il pensiero, che è la ragione comune
nella quale essi convengono, differisce totalmente
dall'estensione, che è la ragione comune degli altri.
In quest'opera Cartesio descrive l'evidente contrasto tra i primi oggetti della scienza fisica che allora sorgeva (come per esempio il pendolo e il sasso che cade) e gli atti intellettuali. La materia è associata all'estensione, insomma a una geometria. È noto che ciò costituì l'idea centrale dell'opera di Einstein, ovvero l'idea di accedere a una descrizione geometrica della fisica. Al contrario gli atti intellettuali sono associati al pensiero e il pensiero è indissociabile dalla distinzione tra «passato» e «futuro», quindi dalla freccia del tempo. Il paradosso del tempo esprime una forma di dualismo cartesiano. Recentemente è stato pubblicato un libro molto interessante di un eminente fisico matematico inglese, Roger Penrose, dal titolo La nuova mente dell'imperatore. In esso leggiamo l'affermazione secondo la quale sarebbe «la nostra attuale mancanza di comprensione delle leggi fondamentali della fisica a impedirci di comprendere il concetto di 'mente' in termini fisici o logici». Credo che Penrose abbia ragione: nell'immagine che la fisica classica dava dell'universo non c'era posto per il pensiero. L'universo vi appariva come un enorme automa, sottomesso a leggi deterministiche e reversibili, nelle quali era difficile riconoscere ciò che per noi caratterizza il pensiero: la coerenza o la creatività. Penrose crede che per inserire queste proprietà nel mondo fisico sia necessario concentrare la nostra attenzione sui buchi neri e sulla cosmologia; i buchi neri sono quegli strani oggetti che, grazie a un intenso campo gravitazionale, attirano irreversibilmente la materia (oggetti che già Laplace aveva immaginato). Gli studi riassunti in queste mie pagine mostrano che la soluzione del dualismo cartesiano non esige il ricorso diretto alla cosmologia. Nel mondo che ci circonda constatiamo l'esistenza di oggetti che obbediscono a leggi classiche deterministiche e reversibili, ma corrispondono a casi semplici, quasi a eccezioni, come il moto planetario a due corpi. D'altronde disponiamo degli oggetti a cui si applica il secondo principio della termodinamica, anzi essi sono la stragrande maggioranza. Bisogna quindi che oggi vi sia, anche indipendentemente dalla storia, una distinzione cosmologica tra questi due tipi di situazione, ovvero tra stabilità da una parte e instabilità e caos dall'altra. Non è che la cosmologia non abbia un ruolo essenziale: al contrario, il «big bang» ci indica che esiste un istante particolare in cui la materia, così come noi la conosciamo, è emersa dal vuoto quantistico. Abbiamo sempre pensato che questo fosse il fenomeno irreversibile per eccellenza e abbiamo cercato di analizzarlo in termini di instabilità: l'universo forma un tutt'uno e l'esistenza di un'unica freccia del tempo ha un'origine cosmologica. Tale freccia è tuttora presente e lo è ancor di più lo stretto legame tra irreversibilità e complessità. Maggiori sono i livelli di complessità (chimica, vita, cervello) e più evidente è la freccia del tempo. Ciò corrisponde perfettamente al ruolo costruttivo del tempo, così evidente nelle strutture dissipative che ho descritto all'inizio di questo lavoro. |
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