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Il venticinque settembre
milleduecentosessantaquattro, sul
far del giorno, il Duca d'Auge
salì in cima al torrione del suo
castello per considerare un
momentino la situazione storica.
La trovò poco chiara. Resti del
passato alla rinfusa si
trascinavano ancora qua e là.
Sulle rive del vicino rivo erano
accampati un Unno o due; poco
distante un Gallo, forse Edueno,
immergeva audacemente i piedi nella
fresca corrente. Si disegnavano
all'orizzonte le sagome sfatte di
qualche diritto Romano, gran
Saraceno, vecchio Franco, ignoto
Vandalo. I normanni bevevan
calvados.
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Fu allora che si mise a piovere.
Piovve per giorni e giorni. C'era
tanta nebbia che non si poteva
sapere se la chiatta andava avanti
o indietro o se restava ferma.
Fini per arenarsi in cima ad una
torre. I passeggeri sbarcarono,
Sten e Stef con qualche sforzo;
s'erano ridotti magri e fiacchi da
non poterne più, poverini.
All'indomani le acque s'erano
ritirate nei letti e ricettacoli
consueti e il sole era già alto
sull'orizzonte, quando il Duca si
svegliò. Si avvicinò ai merli
per considerare un momentino la
situazione storica. Uno strato di
fango ricopriva ancora la terra, ma
qua e là piccoli fiori blu stavano
già sbocciando.
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