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| << | < | > | >> |Pagina 13ISono le 8:00 del mattino. Le grida della madre ricordano a Lounès che oggi è giorno di scuola. Un dolce brivido gli percorre il viso, reminiscenze di un bel sogno, probabilmente. Incomincia una lotta impari contro il sonno, in cui Lounès perde sempre. La carezza che lo aveva messo di buon umore si trasforma in un prurito fastidioso. A quest'ora grattarsi una guancia è fatica. Fa una smorfia, torcendo la bocca, il naso, aggrottando la fronte. La contorsione non lo allevia, solleva la mano controvoglia, si gratta, ma invece del suo mento glabro, trova una superficie ruvida. Sbatte le palpebre, impaurito. Un filamento cola dal soffitto e lo spinge a rotolare sulla destra, a due dita dal cadere dal piccolo letto. Responsabile di questa ginnastica mattutina è una pellicola di gesso che scende da una fessura. Si tranquillizza, anche se non ci si abituerà mai.
Lounès si alza e si trascina in cucina. Sei in anticipo sul tuo ritardo,
scherza suo fratello Tarik. Sua madre, che non lo ha visto, maledice la sua
pigrizia. Tutto è in ordine nella famiglia Amri.
Sono le 8:00 del mattino. Davanti al frigorifero, Catherine Lespinasse legge il messaggio di suo marito: «Porto fuori il cane, torno tra un quarto d'ora». Si aggiusta nervosamente la frangetta, Gérard non è degno della sua fiducia. Ieri lo ha sorpreso tra le braccia di un'altra, Isabelle Laforét, la professoressa di ginnastica del liceo Georges Brassens. Una barbie che indossa tute rosa confetto, Gérard avrebbe potuto trovare di meglio! Catherine rientrava dal circolo "Chi vuol esser milionario?" quando ha sorpreso gli amanti. Raggomitolata nel letto coniugale tra le braccia di suo marito, la Laforét indossava il suo accappatoio preferito, un regalo di compleanno di Gérard. Era rientrata in anticipo, per via dell'emicrania. Gérard non poteva immaginare, Catherine non ha mai rinunciato al suo sacrosanto programma. Adesso è arrabbiata e, soprattutto, si vergogna. Se le amiche del ginnasio Maurice Baquet lo sapessero! Se sua madre lo venisse a scoprire: gliel'aveva sempre detto che Gérard era inaffidabile!
In quel momento Gérard avanza sulla soglia della porta, sorpreso come un
bimbo colto sul fatto, la testa tra le spalle. Senza dire
una parola, Catherine spegne il televisore sui titoli di "Télématin":
Adesso può andare al lavoro. In lei è sempre l'abitudine che finisce
per averla vinta.
Sono le 8:00 del mattino. Jean-Marc Lemoine gira in tondo davanti al deposito degli autobus. Guance piene, ventre rotondo, aria da buontempone: da lontano ha l'aspetto di chi sta bene al mondo. Tuttavia, le unghie mangiate, le orbite scavate e la mascella serrata tradiscono il suo malessere. Ieri il Paris Saint Germain ha perso contro il Marsiglia. Dopo che sua moglie se n'è andata, quando non scommette alle corse, Jean-Marc guarda undici uomini litigarsi un pallone da calcio. Ogni sconfitta della sua squadra, ogni partita persa è un disastro personale. Il tracollo parigino riporta alla luce il vuoto di ogni giorno. Tira un calcio a una lattina di birra che rotola fino a un cestino. Ed è goal! Vittoria della squadra! È un eroe! Invece di alzare le braccia, inghiotte la saliva e si irrigidisce.
Jean-Marc conduce una vita per procura.
Con i suoi diciotto anni, Lounès è uno spilungone dal volto magro. Trasandato, spalle cadenti, capelli irsuti, il suo aspetto sembrerebbe sciatto senza gli occhi intelligenti che gli danno un'aria da dandy. La pupilla minuscola e il naso aquilino aggiungono una sfumatura inquietante all'aspetto generale. Dopo il caffè del mattino, Lounès è appostato davanti alla finestra della cucina, pensieroso. Fissa il suo riflesso perso nell'architettura urbana monumentale. Sua madre, esasperata dalle sue assenze ripetute, gli tamburella le guance. Lounès trasale. L'appartamento formicola di voci, la transizione è violenta. I suoi quattro fratelli, Tarik, Ahmed, Khaled, Kamel e le sue tre sorelle, Khadija, Habiba e Souhila, picchettano il percorso verso il bagno. Lounès fa lo slalom, si lava, si veste e se ne va. Scappa. Senza aspettare l'ascensore, Lounès divora i gradini, attraversa l'ingresso, prende la rue des Acacias in direzione della fermata dell'autobus. Presto la stanchezza frena il suo slancio. In anticipo, a cento metri dal traguardo, si concede un meritato riposo. Nello specchietto retrovisore dell'autobus scolastico, Jean-Marc Lemoine osserva un liceale che corre e poi si ferma. L'abbandono, il suo aspetto sbattuto, le mani sulle anche, gli ricordano la batosta del Paris Saint Germain. Ecco il dodicesimo giocatore della squadra e sul suo autobus non ci metterà piede. Mette in moto. Aspetti, c'è qualcuno! E poi è in anticipo! Nessuna protesta scalfisce la sua decisione, troppo tardi per fare marcia indietro, cedere a quelli che sbraitano sarebbe una dimostrazione di debolezza. Accelera con arroganza mentre i fischi aumentano.
L'autobus 232 si eclissa all'angolo della rue du Muguet. Colpo
basso per Lounès che scruta l'orizzonte deserto. Violento, inconsueto, vano, lo
sforzo gli rinvia un'immagine dolorosa. Sputa per
terra, si strappa dalla pesantezza e arranca verso il liceo, ancora
in ritardo. Il corso naturale della Storia vince ancora una volta
sulla sua volontà.
Sono le 8:30. Lounès deambula lungo la rue des Églantines. Perché sbrigarsi? Che siano uno o venti minuti di ritardo, il risultato sarà lo stesso: una lunga siesta in fondo all'aula. Nessuno saprà che oggi si è adoperato per essere puntuale. L'autobus è partito in anticipo? La sua reputazione lo rende colpevole agli occhi dei professori. Ha sudato per niente. Giunto al numero 10, si allaccia una scarpa. Una voce sorda e gracchiante fuoriesce dalla radio della drogheria del vecchio Mohamed: «Un gruppo di terroristi armati è stato arrestato ieri a Grigny. Con ogni probabilità, i giovani islamisti sono stati sorpresi all'interno del loro stabile con un vero arsenale: pistole, revolver, fucili e mitragliette ... Il capo della banda, un algerino di ventisette anni, il più grande tra i sette uomini, è stato ferito nella sparatoria che ha preceduto la retata. Non è in pericolo di vita. La vicenda potrebbe essere in relazione con Al-Qaeda e l'ondata di arresti delle ultime settimane. Calcio. Con una superba azione, Zinedine Zidane, regista della nazionale francese, ha segnato un magnifico goal al ventottesimo minuto della partita Real Madrid-Barcellona ...». Cavolo che notizia, si dice Lounès. La Grande Borne è a pochi chilometri dalle Pyramides, il suo quartiere. Lì, la gente è nemica giurata di quelli di qui, vai a sapere perché. Le bande dì Évry reagiranno per apparire in TV. Visto che si avvicinano le elezioni presidenziali ci sarà una grande copertura mediatica. Tanto meglio, un po' di movimento! Ne ha abbastanza di vegetare in una città morta! Hocine, che abita nella Grande Borne, gli racconterà i dettagli.
A pochi nodi dal liceo Lounès si oscura in volto, un lungo respiro prima di
una dolorosa apnea.
«Per dire sì bisogna sudare e rimboccarsi le maniche, prendere la vita a piene mani, entrarci fino ai gomiti. È facile dire no, anche se si deve morire. Non c'è che da star fermi e aspettare. Aspettare per vivere, aspettare anche perché vi uccidano. É troppo vile. É un'invenzione degli uomini... » Il rumoroso ingresso in aula di Lounès interrompe la professoressa Lespinasse che sta leggendo l' Antigone di Anouilh. Si appre a servirle la solita scusa, la sveglia rotta, ma con la mandibola appena dischiusa, lei gli fa la paternale. Questa volta, non farà finta di bersi delle scuse fasulle, ne ha abbastanza del gioco delle parti. Lounès continua a camminare distratto verso il suo territorio privato, in ultima fila, credendo che si tratti di una paternale puramente formale. La sua disinvoltura non dà i risultati sperati, l'insegnante va su tutte le furie. Voce acuta, lacrime agli occhi. Per colpa dell' Antigone è riemerso il tradimento di Gérard. Mormorii di scherno accompagnano la sua rabbia. Questo è troppo, bisogna che qualcuno paghi. Per colpire nel vivo, si rifà su quel testone che aveva deciso di lasciar vegetare in cambio del suo silenzio. Lounès è la vittima designata necessaria a riprendere in mano la situazione. – Amri, fila dal preside! Lounès emerge dal torpore, gira la testa a destra e a manca, lanciando sguardi interrogativi. – Ho detto fuori! – Alzata di spalle dubbiosa. – Sì, è proprio con te che sto parlando! Con gli occhi al cielo e le braccia ciondolanti, Lounès esterna la sua incredulità. La prima parola della sua giornata non sarà rivolta alla professoressa di francese. Lounès avanza verso di lei, insolente, gonfia il petto e la fissa, forzando un sorriso beffardo. Quella sfida silenziosa termina con lui che gira i tacchi, si trascina fino alla porta e la sbatte dietro di sé.
Quando i passi di Lounès non risuonano più nel corridoio,
Catherine inventa una scusa per lasciare la stanza. Si muove a scatti, sull'orlo
di una crisi di nervi. In un quartiere difficile come quello, non c'è posto per
la debolezza: occorre nascondere le proprie ferite.
Francis Vermeulen è tutto tondo. Il naso, il volto, il corpo: tutta la sua fisionomia si compone di cerchi concentrici, che gli conferiscono un'aria affabile che quadra poco con la sua professione. Vermeulen è il preside del liceo Georges Brassens di Évry. Arrivato ai quarantadue anni è disincantato, stanco delle promesse campate in aria dei ministri, dell'apatia del corpo insegnante, dell'abbandono degli alunni demotivati. La targa inaugurale per metà staccata, firmata da Jack Lang, ministro dell'Istruzione quattordici anni prima, lascia trasparire il fiasco dell'ex «preside più giovane di Francia». Credeva di cambiare il mondo con principi rivoluzionari. Oggi, in mancanza di meglio, ha modificato il regolamento abolendo il consiglio disciplinare. Ogni due anni, un'ansia repressiva lo spinge a rafforzare i suoi metodi pedagogici. Lounès Amri, la cui lunga sagoma si staglia nel vano della porta, inaugurerà il nuovo periodo d'intransigenza. – Allora, Amri, vedo che non perdiamo le cattive abitudini. – Non ho fatto niente. – Ma certo. – È solo un ritardo! – È ancora un ritardo, – lo interrompe Vermeulen aggrottando le sopracciglia, – noi non tolleriamo più i recidivi. Sei sospeso per tre giorni. – Tre giorni! – E due ore di recupero in più per aver replicato. Ogni parola che dirai sarà sanzionata con un'ora supplementare. Fuori, sloggiare, rifletterai sui mille e uno modi di sprecare la tua vita fuori di qui!
Lounès si accarezza il mento senza protestare. In classe, a casa,
con la polizia, è sempre la stessa storia. La giustizia spiccia lascia
poco spazio al dialogo, quindi meglio tacere. Il diritto al silenzio gli
permetterà di meditare sulle conseguenze di un ritardo di venti minuti.
Portato a termine il servizio del mattino, Jean-Marc Lemoine è in pausa fino a mezzogiorno. Al café de la Gare il liquido nero è più amaro del solito. Non importa, ci sono solo due cose che gli interessano, qui: il Calvados e i cavalli. Il gruppo di amici, per la maggior parte colleghi, sta in compagnia scommettendo sulle corse del pomeriggio. Terreno pesante a Longchamp, Paris Turf non l'aveva previsto. Il giovane stallone Pois Chiche, favorito della seconda corsa, sarà svantaggiato. Con quella stupida regola che impone massimo otto colpi di frustino per i cavalli di due anni, la pigrizia è in agguato. Filibustier de l'Orangerie deve vincere, Jean-Marc segna il suo nome nella tris. Dédé, marsigliese verace, deride la sua scelta con un pastis in mano. Con la sua parlantina coinvolge gli altri, ma Jean-Marc rimane inflessibile. Un uomo resta in disparte, appoggiato al bancone, centellinando un Sancerre. Il taciturno Paul Masson di solito non si mescola con la massa. Si sa poco di questo giudice che lavora a Parigi. Pare che abbia un figlio a Évry, ecco tutto. "Paulo" sa alzare il gomito, è ciò che si chiede a un buon amico.
Sobrio dopo il quarto bicchiere, Jean-Marc crede di avere una visione. Il
dodicesimo giocatore del Paris Saint Germain, che ha lasciato a piedi quel
mattino, gioca all'agente segreto lungo la rue de
la Gare. Non c'è dubbio, è proprio lui che gira la testa come una
banderuola! Ma perché soffermarsi su questi dettagli senza importanza? Il
vecchio Louis racconta l'ultimo intrallazzo del sindaco del
comune vicino. I pettegolezzi riempiranno la conversazione fino al
prossimo servizio di scuolabus.
Alle 9:30 a Évry non c'è anima viva, gli amici dormono o sono a scuola. Lounès lancia un'ultima occhiata al cancello del liceo, la prigione non gli mancherà. Gira in tondo, cercando qualcosa da fare durante la giornata. Tornare a casa, no. Sua madre lo ucciderebbe, suo padre lo massacrerebbe. Restare per strada neanche, visto che, con una famiglia numerosa, c'è il pericolo dell'ubiquità. Andare via, ma dove? La drogheria del vecchio Mohamed, la voce alla radio, l'operazione di polizia, Hocine... Grigny è il posto più trendy del momento, Lounès ha trovato il suo parco dei divertimenti! Ma il percorso che porta alla linea della suburbana è disseminato di insidie, i suoi fratelli sono dappertutto. Khaled, guardia giurata, fa il piantone davanti all'agenzia della Société Générale; Kamel, autista comunale, trasporta persone anziane e Tarik, disoccupato, può essere ovunque. Per fortuna il piccolo Ahmed è a scuola, Hafid in prigione e il primogenito, Mustapha, se n'è andato di casa! Lounès fila alla stazione. Visto che non può controllare l'ambiente circostante, sbrigarsi è il metodo migliore per evitare brutti incontri. Allunga la falcata più che può, ma lo sforzo per prendere l'autobus gli pesa sulle gambe. Riprende fiato davanti al café de la Gare. Qui le cose si complicano, la quantità di persone in partenza per il lavoro preoccupa Lounès. Prega, stringe i denti e oplà, supera l'ostacolo. Gli rimane solo da evitare i controllori, una pura formalità. In sei minuti e sedici secondi, orologio alla mano, Lounès passa dal grigio di Évry al grigio di Grigny. Aspetto massiccio, colori spenti, l'architettura dei quartieri di periferia è sempre la stessa. Come per prenderlo in giro, un cartellone pubblicitario dell' Express di tre metri per quattro annuncia «Banlieue, il nuovo Eldorado». Lounès si guarda attorno, si accarezza il mento e sorride. Yo, fratello! Ecco Hocine che lo chiama da una panchina. Occhiali scuri, Nike Squalo ai piedi, cappellino a rovescio, pantaloni larghi, l'archetipo della banlieue è fisso alla stazione di Grigny da sempre. A mezzogiorno, alle 20:00 o alle 2:00 di notte, a volte solo, a volte in compagnia, Hocine si confonde con l'ambiente. In quel momento, due colossi accompagnano la mezza cartuccia dalla voce nasale, mimando dei dribbling. Ti dico che Zidane è troppo forte! Più si avvicina, più le paure di Lounès si concretizzano: la vittoria del Real Madrid è nel menù della conversazione. Si gratta la testa, dà il cinque ai tre casinisti e osa proporre una variante. — Siete delle star qui alla Grande Borne, in TV parlano di voi. Allora, che novità? — Niente di niente, lo sai com'è... No, Lounès non sa com'è. — Voglio dire, la TV, la radio, esagerano sempre. Ero alla Grande Borne ieri, niente a che vedere con Al Qaeda. Hocine continua. Sarebbero tutte elucubrazioni di giornalisti in cerca di sensazionalismi, i poliziotti hanno beccato dei francesi doc. Come un giullare, mette le braccia e le labbra a forma di cerchio. — Non è una balla, giuro sulla mia vita che è vero! E Hocine prende in giro l'incredulità di Lounès, perplesso dai giri di parole dell'amico. — Il cappello ti ha fuso il cervello e quegli occhiali marci ti hanno accecato! Lounès dà fuoco alle polveri, il dialogo volge in polemica. Dopo aver esaurito le battute sulle madri, le sorelle, le cugine, le nipoti, le nonne, i parenti acquisiti, gli antenati, i discendenti, il certame oratorio gira a vuoto. Hocine riprende la conversazione là dove Lounès l'aveva interrotta: su un dribbling. | << | < | > | >> |Pagina 77IIICi sono due modi principali di fabbricare una corda: per intreccio e per torsione. Una treccia è un assemblaggio di filamenti di fibre, almeno tre, secondo uno schema ripetuto. I diversi filamenti passano in alternanza sopra e sotto gli altri. L'incrocio dei filamenti deve essere fatto ad angolo retto e formare uno schema a scacchiera obliqua. Man mano che i filamenti si consumano, saranno aggiunte nuove fibre. Si continuerà la treccia fino a ottenere la lunghezza desiderata. Il termine treccia si applica a tutti gli oggetti realizzati secondo questa definizione. Esistono trecce piatte, con trefoli in numero minimo di tre, ma anche trecce circolari, quadrate, cilindriche, tubolari... Il lavoro si svolge come segue: il trefolo sinistro viene passato sopra il trefolo vicino e sotto a quello seguente. Si procede così fino all'ultimo trefolo. Il trefolo trattato rimane in ultima posizione. Si fa poi lo stesso con il secondo trefolo, che ora è diventato il primo. Ripetendo questo lavoro si ottiene una corda. Quando si fabbrica una corda per torsione, le fibre sono raggruppate parallelamente e torte insieme in modo da formare dei trefoli che sono attorcigliati a loro volta formando così la corda. A differenza della treccia, in cui i filamenti di fibre s'incrociano, i trefoli sono posti in questo caso a forma di spirale il cui centro è quello della corda.
Ecco come Gilles Tourlier, artigiano, fabbrica le sue corde.
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