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| << | < | > | >> |IndiceCome usare questo libro 5 Parte prima: I vini liquorosi 8 Porto 12 Madeira 24 Jerez 34 Malaga 47 Montilla-Moriles 49 Condado de Huelva 54 Altri vini liquorosi spagnoli 56 Marsala 64 Altri vini liquorosi italiani 68 Francia 71 Grecia 74 Cipro 76 Stati Uniti d'America 79 Australia 81 Nuova Zelanda 86 Sudafrica 86 Carte geografiche 89 Parte seconda: I vini dolci 98 Sauternes 100 Altri vini dolci del Bordeaux 114 Alsazia 122 La valle della Loira 128 Monbazillac 139 Altri vini dolci francesi 144 Germania 152 Austria 167 Ungheria: il Tokaji 175 Italia 180 Altri vini dolci in Europa 195 Stati Uniti d'America 197 Canada 201 Australia 203 Nuova Zelanda 206 Sudafrica 209 Indice dei nomi 214 |
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I vini liquorosi
Perché fortificare? «Una cinquereme di Ninive dal remoto Ofir, viaggia per mare verso il sole della Palestina, con un carico di avorio e scimmie e pavoni, legno di sandalo e cedro, e dolci vini bianchi...» Immaginate la scena descritta dallo scrittore inglese John Masefield: le scimmie e i pavoni, indubbiamente, se la cavano da soli, e il legno aromatico probabilmente non trae che beneficio dai caldi venti del mare, ma cosa accade al vino? Ai tempi dei Greci e dei Romani, il vino era conservato in anfore di argilla generalmente mal sigillate; per l'esportazione le stive delle navi venivano equipaggiate con scanalature di legno nelle quali le anfore erano saldamente fissate per evitare che cadessero, che il vino si rovesciasse o che urtassero una con l'altra con conseguenze potenzialmente disastrose. Il mondo conosciuto era il Mediterraneo, e nemmeno i potenti eserciti di Roma erano particolarmente famosi per le loro capacità nell'arte della navigazione: per questo possiamo pensare che la maggior parte del commercio venisse condotto durante i mesi estivi, quando il mare è più clemente. Il caldo in quei mesi sarà stato quasi sempre intenso e, sotto coperta, i vini dovevano raggiungere irrimediabilmente temperature torride. Consideriamo, allora, cosa poteva succedere al vino dopo diverse settimane di viaggio dai porti fluviali dell'Assiria fino, diciamo, alle colonne d'Ercole. Solo i vini più dolci e più forti sarebbero sopravvissuti a quel viaggio, e persino quelli correvano il rischio di una certa ossidazione, pastorizzazione (anche se Pasteur sarebbe nato solo 2000 anni dopo) e maderizzazione prima di essere assaggiati dal potenziale cliente: oggi, un direttore del controllo qualità si metterebbe le mani nei capelli. La fortificazione consiste nell'aggiungere alcol al vino - solitamente alcol di uva ma a volte anche un neutro alcol etilico - per renderlo più resistente all'ossidazione e alle migliaia di sollecitazioni naturali che accompagnano il trasporto... Ma dove cercare quell'alcol? Esistono testimonianze che in Cina si sia scoperta la distillazione del vino di riso fermentato nell'ottavo secolo a.C., e ci sono prove aneddotiche sulla distillazione di zucchero di canna, datteri e altre sostanze dolci tra quella data e la caduta dell'Impero Romano nel quinto secolo d.C. La prima testimonianza scritta in merito alla distillazione, però, si ha da Plinio il Vecchio nel primo secolo d.C. È interessante come lo stesso Plinio riporti il primo sostanziale utilizzo della botte. Sappiamo per certo che i Mori, che hanno dominato alcune zone della Spagna tra il 711 d.C. e il 1492, introdussero il processo di distillazione nella penisola iberica; il vino che conosciamo oggi come Jerez veniva forse fortificato già nel decimo secolo e sicuramente entro il quindicesimo.
La storia dei vini liquorosi è fatta appunto di distillazione, botti
e viaggi per mare. Forse gli antichi Assiri avevano imparato come rendere più
forti i dolci vini Moscato delle isole greche e dell'interno del Medio Oriente
per poterli conservare nelle loro anfore d'argilla, ma l'era dei vini
fortificati come li conosciamo oggi comincia con la botte stagna, costruita a
regola d'arte e presumibilmente inventata nelle regioni alpine di quello che
oggi è il confine italo-svizzero. Le botti di forte vino dolce viaggiavano per
il Mediterraneo e, più tardi, verso le Indie orientali e le Americhe. Quando
alcuni di questi vini tornavano per caso indietro, risultavano migliori di come
erano partiti. Non esisteva una scienza enologica e poco si sapeva del processo
ossidante, ma per diversi secoli si mantenne l'uso di far compiere un viaggio di
andata e ritorno fino all'equatore a botti di vino fortificato, per migliorarne
il carattere. Il vino di stile moderno, con un aperto carattere fruttato, di
acidità frizzante ed elegante equilibrio, sarebbe diventato aceto nel giro di
due settimane.
Come fortificare i vini I principali metodi per la fortificazione del vino sono tre. Il più semplice è quello di versare il succo d'uva appena pressato in un tino con dell'alcol e poi lasciarlo a se stesso per un certo periodo (di solito significativo) di tempo. In questo caso non avviene alcuna fermentazione. Il vino più famoso prodotto con questo metodo è probabilmente il Pineau des Charentes, dalla regione francese del Cognac. In questo modo il vino mantiene tutta la naturale dolcezza delle uve ma necessita di una conservazione piuttosto lunga se si vuole che sia qualcosa di più di un vino comune, forte e zuccherino. In Francia i vini di questo genere si chiamano mistelle e in Spagna mistela. Il secondo metodo consiste nel fortificare il vino durante la fermentazione, come nel caso di Porto, Madeira, Malaga e Marsala. L'enologo decide a quale punto arrestare la fermentazione per mantenere i livelli di zucchero residuo desiderati. Il vino sarà pronto da bersi prima di una mistelle. Anche in questo caso, il vino necessita di un lungo e scrupoloso invecchiamento per poter dare il meglio di sé.
Il terzo metodo consiste nel fortificare il vino dopo la fermentazione, come
avviene per Jerez e Montilla. In questo caso il vino fermenta fino a diventare
completamente secco (subendo una fermentazione malolattica) e viene fortificato
una o più volte nell'anno successivo all'anno della vendemmia. Questo è l'unico
modo in cui si può ottenere un vino fortificato veramente secco.
Il ruolo delle botti Tutti i vini liquorosi di buona qualità avranno riposato per almeno un po' di tempo in una botte, le cui dimensioni potranno variare da 225 a oltre 1.000 litri. Il vino può rimanere nella stessa botte (invecchiamento statico) o passare in diverse botti (invecchiamento dinamico). [...] | << | < | > | >> |Pagina 98Parte seconda:
I vini dolci
I vini dolci comportano un particolare paradosso: molti ferventi appassionati di vini li ritengono in qualche modo grossolani e mediocri, ma allo stesso tempo i vini più costosi del mondo sono proprio dolci, anzi dolcissimi. Ed è sempre stato così. Le corti reali in tutta Europa preferivano bere, tra tutti, i vini dolci: l'Yquem, il Tokaji e il Cristal Champagne in versione dolcissima occupavano il primo posto, ad esempio, alla corte di San Pietroburgo.
Naturalmente, si deve fare una distinzione tra i vini che sono semplicemente
dolci e i «grandi» vini dolci. Produrre un vino dolce non è difficile: basta
portare le uve a sovramaturazione, e nelle regioni calde, come l'Italia
meridionale, è abituale che le uve raggiungano naturalmente tali livelli di
maturazione. Ma non basta lo zucchero per produrre un vino dolce di buona
qualità. La dolcezza in sé e per sé può dare vini nauseanti e fiacchi: deve
infatti essere bilanciata da un buon livello di acidità, che conferisca energia
e freschezza. Anche la gradazione alcolica e l'estratto minerale possono
contribuire alla complessità di un grande vino dolce. Ciò che lo rende tale è
l'equilibrio di diversi fattori, dei quali lo zucchero, sebbene fondamentale,
non è che uno.
Come si producono i vini dolci
I principali metodi di produzione sono quattro. Il primo consiste nella
semplice sovramaturazione delle uve, il secondo nell'attendere che la
botrytis
(o marciume nobile) concentri nelle uve zuccheri e acidità, il terzo è quello di
raccogliere i grappoli sani e di farli appassire, l'ultimo consiste invece nel
congelarli.
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