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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione di Franco Venturi 11 Bibliografia 59 Postilla del traduttore 67 Dedica 75 La partenza 77 Sofija 79 Tosna 83 Ljubani 85 Cudovo 89 Spasskaja Polest' 99 Podberez'e 119 Novgorod 125 Bronnicy 133 Zajcovo 136 Krest'cy 153 Jazelbicy 172 Valdaj 177 Edrovo 180 Chotilov 193 Vysnij Volocok 207 Vydropusk 211 Torzok 216 Mednoe 239 Tver' 243 Gorodnja 257 Zavidovo 269 Klin 272 Peski 277 Cernaja Grjaz' 280 Elogio di Lomonosov 281 Note 297 |
| << | < | > | >> |Pagina 85Ritengo che per voi sia lo stesso se il viaggio è avvenuto d'inverno o d'estate. Forse era d'inverno e d'estate. Ai viaggiatori capita non di rado: partono in slitta e tornano su un carro. Era estate. L'assito della pavimentazione stradale aveva torturato i miei fianchi. Scesi dalla kibitka e proseguii a piedi. Sdraiato, i miei pensieri erano andati all'incommensurabilità dell'universo. Allontanandomi con l'anima dalla terra, i colpi mi parevano più lievi... Non sempre però gli esercizi spirituali ci sottraggono alla corporeità: per la salute dei miei fianchi mi misi a camminare. A pochi passi dalla strada scorsi un contadino intento ad arare un campo. Faceva caldo. Guardai l'orologio. L'una meno venti. Sono partito di sabato. Oggi è, dunque, un giorno festivo. Senza dubbio il contadino che ara appartiene a un proprietario terriero che non prende da lui l' obrok. Ara con grande zelo. Il campo non è certo del padrone. Muove l'aratro di legno con sorprendente destrezza. "Dio ti aiuti" dissi, avvicinandomi all'aratore che, senza fermarsi, terminava il solco iniziato. "Dio ti aiuti" ripetei. "Grazie, signore" rispose lui e, scosso il vomere, spostò l'aratro per un nuovo solco. "Devi essere un raskol'nik, visto che lavori di domenica." "No, signore, io mi segno come si deve" mi rispose, mostrando le tre dita unite. "Ma Dio è misericordioso e non vuole che muoia di fame, dal momento che ho braccia robuste e una famiglia." "Ma davvero non ti basta la settimana al punto che non puoi riposare neppure di domenica e ti tocca lavorare, per giunta nelle ore più torride?" "La settimana, signore, ne ha sei di giorni, e noi sei volte la settimana lavoriamo i campi del padrone. La sera poi, se fa bel tempo, gli portiamo nel cortile il fieno rimasto nel bosco. Nei giorni di festa le donne e le ragazze si fanno la loro passeggiata andando nel bosco per funghi o per bacche. Volesse Dio" e si segnò "che stasera viene giù un po' di pioggia. Signore, se hai dei contadini, staranno pregando come me." "Io, amico mio, contadini non ne ho, e per questo nessuno mi maledice. La famiglia ce l'hai numerosa?" "Tre figli e tre figlie. Il più grandicello va per i dieci." "Ma come fai a procurarti cibo a sufficienza, se sei libero solo nei giorni festivi?" "Non abbiamo mica solo i giorni festivi, anche la notte ci appartiene. Chi si dà da fare di fame non muore. Guarda i cavalli... uno riposa, e quando questo è stanco, lo sostituisco, e il lavoro va avanti bene e niente lo intralcia." "E lavori così anche per il padrone?" "No, signore, ché lavorare così per lui sarebbe peccato. Il padrone ha cento braccia nel campo per una bocca sola, io invece ho due braccia per sette bocche, il calcolo lo fai da te. E poi puoi pure distruggerti di lavoro per il padrone, ma tanto chi ti dice grazie... Il signore non ti pagherà il testatico, non ti concederà né un montone, né un po' di tela, né una gallina, né del burro. Da noialtri si vive meglio dove il signore si prende dal contadino l' obrok, e ancora meglio senza il fattore. È vero che a volte anche i padroni buoni prendono più di tre rubli per anima, ma tutto è meglio della barscina. Ora poi si sta introducendo l'uso di affittare i villaggi, come si dice. Noi però questo lo chiamiamo affittare non solo il corpo, ma pure l'anima! Il nudo fittavolo spella vivi i contadini; e pure il tempo migliore ci porta via. D'inverno non ci permette di arrotondare come vetturini, o lavorando in città: lavori sempre e solo per lui, perché paga il testatico. Invenzione più diabolica non c'è: far lavorare i propri contadini per un altro. Di un fattore cattivo sai bene o male con chi lagnarti, ma per un fittavolo a chi ti rivolgi?" "Amico mio, ti sbagli, è vietato dalla legge tormentare il prossimo." "Tormentare? È vero, signore, ma certo non vorresti trovarti nei miei panni." Così dicendo l'aratore attaccò l'altro cavallo e, iniziando un nuovo solco, mi salutò. Il discorso di quel coltivatore risvegliò in me una moltitudine di pensieri. Prima di tutto considerai la disuguaglianza fra i contadini stessi, confrontando la condizione di quelli di stato e di quelli vincolati ai proprietari privati. Gli uni e gli altri vivono nelle campagne; ma mentre i primi pagano una somma stabilita, gli altri devono essere pronti a pagare quanto il padrone richiede. Gli uni sono giudicati dai propri simili, gli altri dinanzi alla legge sono morti, a meno che non siano riconosciuti colpevoli di qualche reato. Un membro della società viene riconosciuto tale dallo stato solo quando, per qualche ragione, infrange il contratto sociale, quando diventa un malfattore! Questo pensiero mi fece avvampare. Trema, proprietario terriero crudele, sulla fronte di ognuno dei tuoi contadini è scritta la tua condanna. Immerso in queste meditazioni, inavvertitamente rivolsi lo sguardo al mio servo che, seduto sulla kibitka davanti a me, veniva sballottato a destra e a sinistra. All'improvviso il sangue mi ghiacciò nelle vene, per poi montarmi alla testa e infiammarmi il viso. Provai una vergogna così profonda che fui sul punto di piangere. Proprio tu, mi dicevo, che ti scagli adirato contro il padrone tracotante che sfinisce il contadino sul campo, non sei il primo a comportarti anche peggio? Che delitto ha commesso il povero Petruska da impedirgli il conforto delle nostre sciagure, il dono più generoso che la natura abbia concesso all'infelice: il sonno? È pagato, nutrito, vestito, non lo ripasso mai né col bastone né con la frusta (oh, che uomo moderato!), e tu credi che un tozzo di pane e uno straccio di vestito ti diano il diritto di comportarti con un tuo simile come se si trattasse di una trottola, vantandoti persino in cuor tuo perché di rado interrompi il suo girare? Lo sai cosa è scritto nella legge fondamentale dell'uomo, nel cuore di ognuno di noi? Se colpisci un tuo simile, un giorno potresti anche tu essere colpito. Ricorda quel giorno, quando Petruska ubriaco non riuscì a vestirti. Ricorda quello schiaffo. Oh, se allora, nonostante l'ubriachezza, avesse avuto la lucidità di rispondere a dovere al tuo gesto! Chi ti ha dato il potere su di lui? La legge. La legge? Come osi profanare questo sacro nome? Oh, infelice... Dai miei occhi iniziarono a scorrere lacrime e in questo stato le brenne dei postali mi portarono alla stazione successiva. | << | < | > | >> |Pagina 122Come un martinista, o un allievo di Swedenborg... No, amico mio! Io bevo e mangio non solo per vivere, ma anche perché ne traggo un appagamento dei sensi non irrilevante. E mi confesserò con te come se fossi il mio padre spirituale: preferisco trascorrere la notte con un'avvenente fanciulla e addormentarmi tra le sue braccia ebbro di piacere, piuttosto che sprofondare nello studio delle lettere ebraiche o arabe, nell'aritmetica o nei geroglifici egizi, tentando così di separare lo spirito dal corpo e di vagare nelle ampie distese di insensate speculazioni, simile ai paladini dello spirito dei tempi antichi e moderni. Da morto avrò tempo a sufficienza per le astrazioni, e la mia animuccia potrà girovagare a sazietà.Voltati, guarda indietro, i tempi governati dalla superstizione sono ancora vicini, proprio alle tue spalle, con il loro peso di ignoranza, schiavitù, inquisizione e altro ancora. Non è trascorso molto tempo da quando Voltaire inveiva sino a sfiatarsi contro la superstizione; non è trascorso molto tempo dall'età di Federico, di essa nemico irriducibile non solo a parole e con le azioni, ma anche, cosa ancora più terribile, con l'esempio offerto regnando. A questo mondo però tutto torna allo stadio iniziale, ogni cosa ha origine nella distruzione. Gli animali e i vegetali nascono, crescono per generare propri simili, e quindi per morire e cedere a essi il proprio posto. I popoli nomadi si raccolgono in centri abitati, fondano regni, si espandono, diventano celebri, poi si indeboliscono, esauriscono le proprie forze, rovinano. Scompaiono alla vista i posti in cui hanno vissuto, periscono perfino i loro nomi. La comunità cristiana inizialmente era umile, mite, si nascondeva nei deserti e nelle grotte, poi si fortificò, si insuperbì, deviò dal suo cammino e sprofondò nella superstizione. Nella foga seguì la via percorsa da tutti, innalzò un capo, ne ampliò il potere, e fu così che il papa divenne il più potente dei sovrani. Lutero iniziò la riforma, provocò lo scisma, si sottrasse alla sua autorità, portandosi dietro un numeroso seguito. L'edificio dei pregiudizi del potere papale prese a rovinare, e con esso cominciò a scomparire anche la superstizione. La verità trovò chi la amasse e demolì l'enorme muro di preconcetti. Tuttavia questa strada fu battuta per poco. La libertà di pensiero precipitò nella sregolatezza. Non c'era più nulla di sacro, si osava tutto. Arrivato ai confini del possibile, il libero pensiero farà marcia indietro. Questa svolta nel campo delle idee avverrà nella nostra epoca. Non siamo ancora giunti al limite estremo di un libero pensiero del tutto privo di freni, ma molti già iniziano a rimettersi sulla via della superstizione. Apri le più recenti opere mistiche, sembra di trovarsi ai tempi della scolastica e delle logomachie, quando l'intelletto umano si preoccupava più delle parole che di appurare se in esse vi fossero dei pensieri e quando il compito della filosofia, e dunque dei ricercatori della verità, era rispondere a quesiti del tipo quante anime possano stare sulla punta di un ago. Se i posteri cadranno in errore, se abbandonando la natura voleranno dietro a chimere, quanto sarà utile il lavoro di uno scrittore che mostri, partendo dai fatti più antichi, il cammino della ragione umana, dal momento in cui, squarciate le tenebre dei pregiudizi, iniziò a perseguire la verità sino alle sue più alte vette, sino a che estenuata, per così dire, dal suo vegliare, iniziò a logorarsi, a perdere energia, a consumarsi per inabissarsi nelle nebbie dei preconcetti e della superstizione. Il lavoro di questo scrittore non sarà vano perché, rivelando il procedere dei nostri pensieri verso la verità e l'errore, allontanerà almeno qualcuno da questa via funesta e arresterà il volo dell'ignoranza. Beato quello scrittore che attraverso le sue opere avrà potuto illuminare il cammino anche di uno solo; beato, se anche nel cuore di uno solo avrà seminato la virtù. Possiamo considerarci beati perché non saremo testimoni del sommo disonore dell'essere pensante, e ancor più beati di noi potranno dirsi i nostri diretti discendenti. Ma i vapori esalati dalla putrefazione della decadenza continuano a salire e sono destinati ad abbracciare tutto l'orizzonte. Beati se non vedremo un nuovo Maometto; l'ora dell'inganno verrà differita. Bada al momento in cui nelle riflessioni e nei giudizi sulla moralità o sulla spiritualità si accende un fermento, e in nome della verità o della menzogna si fa avanti un uomo forte e ardimentoso: allora cambieranno anche i regni e le fedi. Sulla scala che la ragione umana deve discendere per giungere alle tenebre degli errori, potremo dirci beati se mostreremo qualcosa di ridicolo e col sorriso faremo del bene. Di speculazione in speculazione, miei cari, guardatevi dall'intraprendere percorsi di studio come quelli che seguono. Disse Akiba: 'seguito il cammino del rabbino Giosué, entrai nel luogo segreto, e venni a conoscenza di tre cose. Compresi che I° non bisogna rivolgersi né a Oriente, né a Occidente, ma a Nord e a Sud; 2° si deve defecare non stando in piedi, ma seduti; 3° si deve pulire il didietro non con la mano destra, ma con la sinistra.' A ciò obiettò Ben Hazas: 'sei diventato così impudente da osservare il tuo maestro mentre va di corpo?' Egli rispose: 'Questi sono i misteri della legge; era necessario che facessi ciò che ho fatto per conoscerli'. | << | < | > | >> |Pagina 125Vantatevi, arroganti costruttori di città, vantatevi, voi che fondate gli stati; illudetevi pure che la fama del vostro nome viva in eterno; accumulate le pietre una sull'altra, sino a che tocchino le nuvole; scolpite nel tempo i vostri eroismi con immagini e iscrizioni che raccontino le vostre imprese. Ponete a fondamento del governo leggi immutabili. Il tempo ride della vostra vanità esibendo i suoi denti aguzzi. Dove sono le sapienti leggi di Solone e Licurgo che ratificavano la libertà di Atene e Sparta? Nei libri. E nei luoghi in cui esse vigevano oggi pascolano gli schiavi di un ferreo dispotismo. Dove sei tu, sfarzosa Troia, e dove tu, Cartagine? A malapena si distingue il posto in cui, fiere, si ergevano. Nei celebri templi dell'Antico Egitto viene forse consumato in segreto l'eterno sacrificio in onore dell'Essere Supremo? Quelle grandiose rovine servono solo a riparare dalla calura del mezzodì le greggi belanti, irrorate non dalle lacrime gioiose di gratitudine all'Altissimo, ma dalle puzzolenti evacuazioni degli animali. Oh, orgoglio! Umana arroganza! Guarda questo spettacolo e comprendi quanto sei meschina! Assorto in questi pensieri mi avvicinavo a Novgorod, e lungo la strada ammiravo la schiera di monasteri che la cinge. Si narra che tutti questi monasteri, anche quelli distanti quindici chilometri dalla città, ne facessero parte e che dalle sue mura potessero uscire più di centomila soldati. Le cronache attestano che Novgorod era retta da un governo popolare. Vi erano principi, ma il loro potere era limitato. Tutta la forza del governo era nelle mani di posadniki e tysjackie. Il vero sovrano era il popolo riunito nell'assemblea, il vece. La regione di Novgorod si estendeva a Nord persino oltre la Volga. Questo stato libero faceva parte della Lega Anseatica. La sua potenza riecheggia nell'antico detto: chi può opporsi a Dio e a Novgorod la Grande? La ragione della sua ascesa fu il commercio. I dissensi interni e un vicino vorace la causa della sua caduta. Arrivato sul ponte scesi dalla kibitka per bearmi della vista del fiume Volchov. Non poté non tornarmi in mente il contegno dello zar Ivan Vasil'evic dopo la presa di Novgorod. Offeso dalla resistenza opposta dalla repubblica, il fiero, crudele ma intelligente sovrano volle distruggerla dalle fondamenta. Me lo figuro in piedi, sul ponte, con il suo maglio, come raccontano alcuni, sacrificare alla sua ira gli anziani e i capi di Novgorod. Ma che diritto aveva di accanirsi contro di loro? Che diritto aveva di annettersi Novgorod? Forse perché i primi gran principi russi vissero in questa città? O perché si era proclamato zar di tutta la Russia? O perché i novgorodesi erano di stirpe slava? Ma cosa può il diritto, quando è la forza a farla da padrona? Può esistere un diritto quando le decisioni vengono suggellate col sangue dei popoli? Può esistere un diritto quando manca la forza di farlo rispettare? È stato versato molto inchiostro sul diritto delle genti, spesso vi si appella, ma i giuristi non hanno pensato che possa esservi un giudice fra i popoli. Quando fra essi iniziano le ostilità, quando l'odio o l'avidità li arma l'uno contro l'altro, loro giudice è la spada. Chi cade morto o viene disarmato è il colpevole, e deve accettare supinamente la sentenza, senza poter ricorrere in appello. Ecco perché Novgorod apparteneva allo zar Ivan Vasil'evic. Ecco perché lui la distrusse e s'impadronì delle sue rovine fumanti. Il bisogno e il desiderio di sentirsi sicuri e protetti fanno sorgere i regni; la discordia, l'astuzia ingannatrice e la forza li distruggono. Che cos'è dunque il diritto delle genti? I popoli, dicono i maestri della legge, si rapportano l'uno all'altro come il singolo si rapporta al proprio simile nello stato di natura. Domanda: quali sono i diritti dell'uomo nello stato di natura? Risposta: guardalo. È nudo, affamato, assetato. Si appropria di tutto quello che possa servire a soddisfare i suoi bisogni. Se qualcosa lo intralcia, rimuove l'ostacolo, lo distrugge e si prende ciò che vuole. Domanda: se nel cammino per soddisfare i propri bisogni incontrerà un suo simile, se per esempio due persone che soffrono la fame volessero nutrirsi dello stesso tozzo di pane, chi dei due ha più diritto di appropriarsene? Risposta: chi prenderà il tozzo di pane. E chi lo prenderà? il più forte. È davvero questo il diritto naturale? È davvero questo il fondamento del diritto delle genti? In tutti i tempi ci sono testimonianze di come il diritto senza forza sia sempre stato, di fatto, parola priva di significato. Domanda: che cos'è il diritto civile? Risposta: chi viaggia con i postali non si mette a pensare a simili sciocchezze, ma a come procurarsi al più presto dei cavalli. | << | < | > | >> |Pagina 138Nel nostro governatorato viveva un nobile che già da diversi anni aveva lasciato il servizio. Ecco qual era stata la sua carriera: dopo aver lavorato a corte come fuochista venne promosso lacché, quindi cameriere, infine cantiniere. Non so quali virtù siano richieste per salire tanto di grado, so invece che amava il vino più della sua stessa vita. Lavorò come cantiniere per 15 anni, quindi venne inviato all'Araldica perché gli assegnassero un posto in base al grado raggiunto prestando servizio. Lui però, sapendo di non essere tagliato per gli affari, chiese di essere messo a riposo, e ottenne il titolo di assessore di collegio con cui tornò, circa sei anni fa, laddove era nato, vale a dire nel nostro governatorato. Il forte senso di appartenenza ai luoghi natii si spiega spesso con la vanità. Un uomo di umili origini che sia riuscito a ottenere un titolo, così come un povero diventato ricco, affrancato della timidezza frutto del pudore, l'ultima e più debole fonte di virtù, predilige dar prova di altezzosità e sfarzo nel posto in cui è nato. L'assessore riuscì presto a comprare un villaggio e vi si insediò con la non piccola famiglia. Se Hogarth fosse nato da queste parti, avrebbe trovato materiale in abbondanza per le sue caricature nella famiglia del signor assessore. Io purtroppo non valgo molto come pittore. Se fossi in grado di leggere attraverso i tratti del volto nell'anima dell'uomo con la stessa sagacia di Lavater, allora il quadro della famiglia dell'assessore risulterebbe degno di nota. Ma difettando io di simili qualità, lascerò parlare le loro azioni che sono sempre i veri tratti dell'evoluzione dello spirito.Il signor assessore, di origini umilissime, si ritrovava ora proprietario di alcune centinaia di suoi simili. La cosa gli fece girare la testa. Non è certo l'unico a cui acquisire potere faccia questo effetto. Pensava di occupare una posizione assai elevata e trattava i contadini alla stregua di bestiame concessogli perché lavorasse a suo arbitrio (arrivava quasi a credere che il potere su di loro gli derivasse da Dio!). Era avido, intento solo a raggruzzolare soldi, di indole crudele, irascibile, vile e per questo arrogante verso i deboli. Dal quadro appena disegnato si può evincere come si comportasse con i contadini. Con il precedente padrone pagavano l' obrok, lui invece li mise a corvée, li privò della terra, comprò il loro bestiame a un prezzo da lui stabilito, li obbligò a lavorare tutta la settimana per lui e, perché non morissero di fame, gli dava da mangiare nella casa padronale solo una volta al giorno; ad alcuni invece dava come carità la mesjacina. Se riteneva che qualcuno fosse pigro lo staffilava con verghe, fruste, bastone o gatto a nove code, a seconda del grado di pigrizia che riscontrava; non diceva una parola, però, sui reati reali (furti, ad esempio) commessi non ai suoi danni ma ai danni degli altri. Sembrava quasi volesse rinnovare nel villaggio i costumi dell'antica Sparta o della Sec' di Zaporog. Accadde così che dei suoi contadini, per procacciarsi cibo, assalirono un viaggiatore e ne uccisero un altro. Lui non li consegnò perché venissero giudicati, ma li nascose nelle sue proprietà e poi disse alle autorità che erano fuggiti; in quel caso, sosteneva, far frustare i contadini o mandarli ai lavori forzati non gli avrebbe procurato nessun beneficio. Ma se un contadino rubava qualcosa a lui, allora sì che lo frustava, proprio come quando si dimostrava pigro o insolente o arguto; e in aggiunta gli faceva mettere i ceppi ai piedi, all'altezza degli stivali, e il giogo al collo. Potrei elencarti ancora molte delle sue sagge disposizioni, ma penso che queste siano sufficienti per capire chi sia il mio eroe. La consorte aveva pieno potere sulle contadine. I figli e le figlie la aiutavano a far sì che gli ordini venissero eseguiti, come aiutavano il padre. Si erano prefissi la norma di non permettere ai contadini di distrarsi dal lavoro per nessun motivo. La servitù domestica consisteva in un ragazzino comprato a Mosca, un parrucchiere per le figlie e, per cuoca, una vecchietta. Non avevano né cocchiere né cavalli, il padrone girava con i cavalli da lavoro. Anche i figli usavano con i contadini le verghe e il gatto a nove code. Donne e ragazze venivano prese a schiaffi o tirate per i capelli dalle figlie. I figli nel tempo libero vagavano per il villaggio o per i campi a trastullarsi e a disonorare ragazze e donne: nessuna sfuggiva allo stupro. Le figlie, non essendo fidanzate, sfogavano la loro noia sulle filatrici, molte delle quali finivano storpiate. Giudica da te, amico mio, a quali conseguenze potessero portare simili comportamenti. Ho osservato in molti casi che il popolo russo è estremamente paziente e ha un grado di sopportazione altissimo; quando, però, la misura è colma, nulla può trattenerlo dalla ferocia. È proprio ciò che avvenne con l'assessore. Il destro lo offrì il comportamento violento e dissoluto, o per meglio dire bestiale, di uno dei figli. Nel villaggio c'era una giovane contadina, una ragazza attraente, promessa a un giovane del posto. Il figlio mediano dell'assessore se ne invaghì e tentò con ogni mezzo di conquistarne l'amore; la contadina però rispettava il giuramento prestato al fidanzato, cosa che, seppur di rado, può succedere tra contadini. Le nozze dovevano aver luogo la domenica. Il padre dello sposo, secondo l'uso corrente presso molti proprietari terrieri, si recò col figlio nella casa padronale a omaggiare il padrone con trenta chili di miele. Il nobiluccio decise di approfittare di quest'ultima occasione per soddisfare le sue brame. Prese con sé entrambi i fratelli e, dopo aver fatto chiamare nel cortile la promessa sposa da un ragazzetto, la trascinò nel magazzino, tappandole la bocca. Non potendo gridare, la ragazza si oppose con tutte le sue forze all'intento bestiale del giovane padrone. Alla fine, sopraffatta da tutti e tre, fu costretta a cedere alla violenza; quel mostro sordido aveva già iniziato a fare ciò che si era prefisso, quando il fidanzato, di ritorno dalla casa, scorse dal cortile uno dei giovani padroni nel magazzino e intuì le loro malvagie intenzioni. Chiamò il padre in soccorso e, più veloce di una folgore, si precipitò nel magazzino. Che spettacolo si trovò davanti! Mentre si avvicinava, la porta era stata chiusa, ma nulla poté la forza congiunta di due fratelli contro la furia incontrollabile del giovane. Egli prese un paletto lì vicino e, balzando nel magazzino, lo batté sulla schiena del rapitore della fidanzata. Avrebbero voluto fermarlo, ma vedendo che il padre del fidanzato stava accorrendo in aiuto armato anche lui di un palo, abbandonarono la preda, saltarono fuori e scapparono via. Il fidanzato riuscì tuttavia a raggiungerne uno e gli spaccò la testa con un colpo di paletto. I tre malfattori decisero di vendicarsi; andarono dritti dal loro padre e gli raccontarono che, mentre passeggiavano per il villaggio, avevano incontrato la sposa promessa, e si erano messi a scherzare con lei. A quella vista il fidanzato aveva iniziato a malmenarli, con l'aiuto del padre. La riprova era la testa rotta di uno dei fratelli. Infuriato per il male subìto dal figlio, il padre si accese di un'ira feroce. Ordinò che i tre malfattori, così chiamava il fidanzato, la promessa sposa e il padre del fidanzato, venissero portati lì senza indugio. Giunti che furono al suo cospetto, prima di tutto domandò chi avesse rotto la testa del figlio. Il fidanzato non negò il fatto e raccontò l'accaduto. 'Come hai osato' disse il vecchio assessore 'alzare le mani su un tuo padrone? E se anche avesse passato la notte con la tua promessa sposa alla vigilia delle nozze? Avresti dovuto per questo essergli persino riconoscente. Tu non la sposerai. Lei resterà in casa mia e voi verrete puniti.' Emesso il giudizio, ordinò quindi che il fidanzato venisse frustato impietosamente e a volontà dai figli, con il gatto a nove code. | << | < | > | >> |Pagina 216Qui, alla stazione di posta incontrai un tale che si recava a Pietroburgo per inoltrare una petizione. Voleva ottenere il permesso di organizzare una libera tipografia in quella città. Gli dissi che non aveva bisogno di alcun permesso dal momento che questa libertà è concessa a tutti. Ma quella che lui voleva veramente era libertà dalla censura, ed ecco le sue considerazioni in merito. "Da noi è consentito a tutti di possedere delle tipografie ed è ormai passato il tempo in cui si temeva di concedere tale autorizzazione ai privati e altresì il tempo in cui, temendo che nelle tipografie libere potessero venire stampati falsi lasciapassare, veniva rifiutato un bene comune e un'utile istituzione. Oggi tutti sono liberi di possedere le attrezzature per stampare, ma quello che può essere stampato è posto ancora sotto controllo. La censura è diventata la balia dell'intelletto, dell'acume, dell'immaginazione, di tutto ciò che è importante e raffinato. Ma dove ci sono le balie, vi sono necessariamente bambini che camminano con le dande, le quali spesso fanno venire le gambe storte; dove ci sono tutori vi sono necessariamente minorenni, menti immature non in grado di governarsi da sé. Se ci saranno sempre balie e tutori, il bambino continuerà a camminare a lungo con le dande e, da adulto, sarà uno sciancato. Gli adolescenti saranno sempre dei Mitrofanuska: senza precettore non fa un passo, senza tutore non sa amministrare la propria eredità. Tali sono le conseguenze della censura in genere, e quanto più essa è severa, tanto più dannose sono le conseguenze. Ascoltiamo Herder: Il modo migliore per promuovere il bene è non ostacolare la libertà di pensiero, ma autorizzarla. L'inquisizione è dannosa nel regno del sapere: rende l'aria pesante, blocca il respiro. Un libro che deve passare attraverso dieci censure prima di vedere luce, non è un libro, ma un prodotto della Santa Inquisizione; esso è spesso un prigioniero mutilato, battuto, col bavaglio alla bocca, che resta sempre uno schiavo. Nell'ambito della verità, nel regno del pensiero e dello spirito non c'è potere terreno che debba e che possa prendere decisioni; non può farlo il governo, tanto meno il suo censore, che porti l'abito monastico o la sciabola. Nel regno della verità egli non è un giudice, ma ne risponde, come l'autore... La correzione può essere realizzata solo dall'istruzione, senza testa e cervello non si muovono né mani, né piedi... Quanto più uno stato è saldo nei suoi principi, quanto più è organizzato, illuminato, forte di per sé, tanto meno può essere intaccato e scosso dal soffio di ogni idea, da ogni pasquinata di uno scrittore infuriato; tanto più favorirà la libertà di pensiero e la libertà di espressione, da cui alla fine la verità trarrà, certamente, vantaggio. Solo i tiranni sono sospettosi, solo quelli che in segreto operano il male sono pavidi. Un uomo dal cuore aperto, che compie il bene ed è saldo nei suoi principi, permette che venga detta su di lui qualsiasi cosa. Egli cammina alla luce del sole e volge a proprio vantaggio anche le peggiori calunnie degli avversari. Il monopolio del pensiero è dannoso... Chi governa lo stato deve essere imparziale nelle sue opinioni, sì da poter comprendere, tollerare, illuminare e volgere al bene comune le opinioni di tutti: è questo il motivo per cui i grandi sovrani sono così rari. Avendo compreso l'utilità della stampa, il governo ha concesso a tutti di disporne; capendo poi che vietare la libertà di pensiero inficerebbe il buon proposito di concedere la libertà di stampa, ha incaricato l' Uprava Blagocinija di censurare o ispezionare le opere prima che vengano pubblicate. Il suo compito in tal senso non può essere che quello di proibire la vendita di opere nocive. Anche questo tipo di censura è, però, superflua. Un solo stupido sottufficiale basta a danneggiare gravemente la cultura e a fermare per molti anni il cammino della ragione; vietando, per esempio, un'utile invenzione, un nuovo pensiero, priverà tutti di qualcosa di grande. Un esempio su piccola scala. Pervenne all' Uprava Blagocinija la traduzione di un romanzo per ricevere l' imprimatur. Il traduttore, fedele all'autore, parlando dell'amore lo aveva definito "un dio malizioso". Il censore in uniforme, pregno di zelo religioso, cassò l'espressione sostenendo che "è sconveniente definire una divinità maliziosa." Non si occupi di certe cose chi non è in grado di intenderle. Se vuoi respirare aria pura, allontana da te l'affumicatoio; se vuoi luce, allontana da te ciò che l'oscura; se non vuoi che tuo figlio sia un pavido, butta la verga fuori della scuola. Nelle case in cui vanno di moda fruste e bastoni, i servi sono ubriaconi, ladri e peggio ancora.
Lascia che ognuno pubblichi quanto gli salta in mente. Chi riterrà di essere
stato offeso dalla carta stampata abbia la possibilità di ricorrere in giudizio.
Non sto scherzando. Le parole non sempre sono azioni, né tanto meno i pensieri
sono delitti, ecco i principi dell'
Istruzione per il nuovo codice.
Ma un'offesa, a voce o stampata, resta sempre un'offesa. La legge vieta di
insultare il prossimo, e tutti possono liberamente protestare. Ma la legge nega
la possibilità di parlare di offesa, qualora qualcuno dica la verità sul conto
di un altro. Quale danno potrà mai derivare dal fatto che vengano stampati libri
senza bolla della polizia? Non solo non può esserci danno, ma al contrario ne
trarremo beneficio; beneficio per tutti, dal primo all'ultimo, dal più
piccolo al più grande, dallo zar all'ultimo dei cittadini.
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