Copertina
Autore Atiq Rahimi
Titolo Le mille case del sogno e del terrore
EdizioneEinaudi, Torino, 2003, L'Arcipelago 34 , pag. 146, cop.fle., dim. 123x182x11 mm , Isbn 978-88-06-16634-2
OriginaleHezar Khane-e Khab Va Ekhtenagh [2002]
TraduttoreBabak Karimi
LettoreAngela Razzini, 2003
Classe narrativa afgana
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Pagina 3

- Papà?





- Maledetto sia tuo padre!






È la stanza a essere buia oppure i miei occhi sono chiusi? Probabilmente entrambe le cose. È notte e io sto dormendo. Ma se è cosí, come faccio a pensare?

No, sono sveglio e ho ancora gli occhi chiusi. Stavo dormendo. E nel sonno un bambino mi ha chiamato: «Papà!»

Chi era quel bambino? Non l'ho capito. Era soltanto una voce. Forse ero io stesso, bambino, in cerca di mio padre.


- Papà!

Di nuovo la stessa voce! Questa volta non è un sogno. Proviene da sopra la mia testa. Devo assolutamente aprire gli occhi.

- Chi sei?

La mia domanda si sbriciola nel petto. Un dolore mi trafigge le tempie. La tenda nera rabbuia i miei occhi e porta il silenzio nella mia mente muta.

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Pagina 49

Devo andare via di qui. Mia madre non sa cosa mi è successo! In questo momento mi starà aspettando dietro la porta socchiusa di casa, nella speranza di sentire i miei passi, e non li sentirà. Ogni tanto, piena di paura, si affaccerà credendo di vedermi nel buio della notte. Non mi vedrà. Unirà le mani in preghiera. Tra le labbra reciterà dei versetti del Corano. Chiuderà gli occhi. Si morderà le labbra secche e farà voto di portare un'offerta al «Re dalle due spade». È meglio tornare a casa al piú presto, sano e salvo. Devo andare.

Mi alzo e nel buio raggiungo la porta della stanza. Ritrovo le scarpe riconoscendole dal loro odore. Le prendo in mano e in silenzio mi avvio nel corridoio.

- Dove volete andare?

Le scarpe cadono a terra. La donna è in piedi di fronte alla finestra del corridoio.

- Devo andare.

- Dove?

- A casa.

- Proprio ora? Le strade sono piene di soldati.

La donna mi passa davanti. Si avvia verso una stanza con la porta semiaperta che lascia filtrare nel corridoio la debole luce giallognola della lampada. Prima di entrare si gira verso di me con lo sguardo nascosto sotto i lunghi capelli e, con una calma che vorrei vedere sul volto di mia madre, mi dice:

- Mettetevi le scarpe.

Lei stessa entra nella stanza. Il tempo di mettermi le scarpe e compare di nuovo. Tiene la lampada con una mano e stringe forte nell'altra la mano dello stesso uomo fantasma che avevo visto poco prima. Le braccia dell'uomo fantasma sono come due tenaglie intorno al suo corpo. Ora riesco a vederne meglio il volto. Capelli bianchi. Barba bianca. Ma non è vecchio. È giovane. Forse piú giovane di me.

- Venite, seguitemi.

La voce della donna distoglie il mio sguardo dai capelli del giovane vecchio, e mi guida fino alla fine del corridoio, poi apre un piccolo passaggio che conduce dietro la casa. Scendiamo i gradini di una scala. Sotto, la donna toglie con le mani la polvere di detriti che coprono una botola. La apre e mi dice di scendere giú per primo.

Scendo senza esitare. Non chiedo il perché né a me stesso né alla donna.

Prendo posto in una fossa rettangolare. Anche il fantasma scende giú e si siede accanto a me. La donna richiude la botola. Sentiamo il rumore dei detriti che ricoprono la botola. Forse lo sento soltanto io.


Chi è quest'uomo? Suo marito? Oppure un altro passante come me, che la donna ha nascosto e trattenuto? Anch'io rimarrò qui come lui? I miei capelli diventeranno bianchi? Questa donna, cosa vuole da noi?

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Pagina 57

Il mio sguardo è prigioniero del disegno del tappeto. Devo dire qualcosa.

- Sorella, non so come ringraziarvi per tutta la vostra gentilezza e generosità. Non riesco a capire cosa mi sia capitato?! Questa notte...

- Io e mio figlio Yahyà eravamo seduti nel cortile, quando improvvisamente abbiamo sentito il rumore della frenata della jeep e subito dopo le voci concitate dei soldati, gli insulti e le botte. Quando se ne sono andati, abbiamo aperto la porta e vi abbiamo trovato svenuto nella pozza di fango.

Il mio sguardo pieno di tentazioni lascia frettolosamente il tappeto e si posa sul materasso a fiorellini dove è seduta la donna. Non ha la forza di salire sul suo corpo.

- Si, si era fatto tardi. Erano passati alcuni minuti dal coprifuoco. Io dovevo tornare a casa al piú presto. Vi ho recato disturbo... Ora devo andare.

La mano della donna nasconde uno dei fiori del materasso.

- Restate qui questa notte, domani troveremo una soluzione. Qui sarete al sicuro. Sono già passati una volta, non passeranno di nuovo. Credo che cercassero voi. Dicevano che c'è un ladro nella zona che si nasconde di casa in casa. Hanno messo sottosopra tutto il quartiere.

Il mio sguardo lascia la mano della donna che copre il fiorellino del materasso e con incredulità e paura va verso l'alto.

- Hanno detto un ladro?

Il colletto della sua camicia è chiuso.

- Per terrorizzarci e giustificare quello che stavano facendo, dovevano pur dire qualcosa!

Metà del suo viso è nascosto dalla mia ombra, e l'altra metà dai suoi capelli.

- Non so proprio perché mi hanno preso e pestato. Avevo dimenticato soltanto la parola d'ordine della notte.

La sua mano ha lasciato il fiore stropicciato del materasso. Ha scostato i capelli che coprivano metà del suo viso e li ha spostati dietro la nuca. Anch'io ho spostato la testa dal raggio della candela sopra il davanzale, per togliere la mia ombra dall' altra metà del suo viso.

- Non sapere la parola d'ordine della notte e non avere la tessera del partito è già un reato.

- I miei documenti! La mia tessera universitaria!

Improvvisamente scatto in piedi e corro in fretta verso il bagno, frugando nelle tasche dei pantaloni e della camicia. Non c'è niente. Sconfortato, torno nella stanza. La donna, impassibile, è ancora seduta sul materasso. Io resto fermo sulla porta, angosciato.

- Devo andare.

- Senza documenti?

- I documenti li avranno gettati nel fango. Non credo che li abbiano portati con loro!

- Proprio ora volete andare a cercarli? Magari ci sono le ronde notturne.

Faccio qualche passo verso il materasso vicino al davanzale e in preda alla confusione urlo a me stesso:

- Mia madre!

La donna sembra non abbia sentito nulla.

- Vi porto qualcosa da mangiare.

Si alza. Prende la lampada e spezza il silenzio e il buio del corridoio.


Il mio corpo si scioglie come la candela sul davanzale e cade sul materasso.

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