Copertina
Autore Charlotte Randall
Titolo La partita
EdizioneVoland, Roma, 2006, Amazzoni 36 , pag. 304, cop.fle., dim. 14,5x20,5x2 cm , Isbn 978-88-88700-69-4
OriginaleWithin the Kiss [2002]
TraduttoreMonica Pesetti
LettoreAngela Razzini, 2007
Classe narrativa neozelandese
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Pagina 7

UNO



    MEFISTOFELE:

    Viaggio per abitudine in incognito,
    ma nei giorni di gala si sfoggiano i cordoni.
    Se non ho l'Ordine della Giarrettiera,
    qui il piede equino è un titolo d'onore.



Quando Faust incontrò per la prima volta Mefistofele, quello dei due munito di corna stava dando lezioni di tennis. Faust però non poté vedere le corna perché erano nascoste dal cappellino. Aveva portato la prole a giocare a tennis da lui perché, come sa benissimo chiunque abbia un minimo d'immaginazione, il Diavolo è il miglior maestro in fatto di divertimenti. A quell'epoca Faust non era più giovane, ma nemmeno troppo in là con gli anni; Mefistofele invece era vecchissimo, com'era sempre stato, e ne aveva anche tutto l'aspetto, specialmente in una di quelle giornate storte, quando usciva di casa senza essersi pettinato o fatto la barba, e riusciva a malapena a tenere la coda dentro la tuta da ginnastica.

Ricominciamo. La verità è che in un primo momento Faust non riconobbe affatto Mefistofele, e non pensava assolutamente di condurre le figlie dal Diavolo: era convinta di portarle verso il successo. Ebbene sì, in questa versione Faust è una donna, ma non preoccuparti: la vicenda di Faust si sviluppa in varie forme e indossa molte maschere. Del resto, si tratta di una storia tanto antica che alcuni pensano sia del tutto inappropriata, ma è una convinzione sciocca, dato che intorno a loro il patto di sofferenza tra Faust e Mefistofele viene continuamente rimaneggiato – è vero che alla fine vince sempre il Diavolo, ma è giusto così, perché sotto sotto è proprio quello che vogliamo.

Comunque sia, Faust sta guidando le due figlie sul vialetto che porta al circolo del tennis, ma noi non possiamo scorgere la sua espressione perché è un pomeriggio inoltrato dell'ultimo mese di autunno e il volto è completamente in ombra. Purtroppo sappiamo con certezza che Faust non sta pensando a niente di quello che ci aspetteremmo, infatti questo specifico Faust è una donna alquanto complicata. Sarebbe più semplice se fosse una bionda con un bel corpo fatta apposta per essere ammirata, potremmo dilungarci a descriverne la pettinatura, le forme e i vestiti che le avvolgono, e metterle in bocca un paio di sciocchezze dimostrando così che sa parlare e che ha desideri e necessità innocuamente femminili, per poi dimenticarci di lei e passare al tennis. Ma, ahimè, questo non è ciò che faremo, e dico ahimè in tutta sincerità perché è molto più semplice costruire un personaggio come quello appena descritto, piuttosto che combattere con la miriade di complessità di una persona reale.

Anche se allora non lo sapevo, l'atteggiamento di Faust nei confronti del mondo si era lentamente orientato verso la disperazione. Mi fa male doverlo ammettere. Tutti noi speriamo di riuscire a stornare la disperazione da chi amiamo, altrimenti, come minimo, ne risente la nostra vanità e, nella peggiore delle ipotesi, ci si spezza il cuore nel constatare che il nostro amore non è sufficiente a impedire loro di scivolare nelle tenebre. Se lo avessi saputo, avrei avuto l'intuizione di riportare indietro lei e le nostre bambine e tenerle lontane da quegli oscuri campi da tennis? Credo di no. Chi, del resto, ha il potere di interferire tra Faust e Mefistofele? Sono la coppia primordiale, alla perenne ricerca l'uno dell'altro quando sono divisi, e stretti in una simbiosi che non ha uguali quando sono insieme. No, l'unica cosa da fare, ora me ne rendo conto, era evitare che lei diventasse Faust, ma non saprei dire con certezza quando è iniziata la metamorfosi. Forse quando era ancora nel grembo materno – il che equivale a una piacevole assoluzione nei miei confronti.

Faust arriva alla veranda del circolo, allaccia di nuovo le scarpe alle figlie, toglie loro i giacconi pesanti e le manda a fare una corsa di riscaldamento lungo il perimetro dei campi da tennis. Mefistofele si avvicina per fumare una sigaretta prima dell'inizio della lezione. Suppongo che abbiano parlato, scambiato qualche battuta banale, Faust mi ha raccontato che è cominciata così – be', un inizio vale l'altro. Quando ho provato a interrogarla in proposito, non è mai riuscita a riportare per intero nessuna delle loro prime conversazioni, quindi tocca a me immaginare cosa si siano raccontati il Diavolo e il suo discepolo. Ovviamente non credo che Faust abbia esclamato, voglio il talento; e che Mefistofele abbia prontamente ribattuto, benissimo, allora dammi la tua anima. Non lo credo, primo perché Faust era portata per quello che le piaceva, e secondo perché non ha mai mostrato il minimo interesse per il tennis. Questo, tuttavia, significa sminuire le capacità del Diavolo, che ha una quantità enorme di tentazioni e certezze da offrire, e non è detto che solo perché insegna tennis oggi non possa insegnare poesia domani – o magari contemporaneamente.

Dato che Faust è Faust, scruta con attenzione il cielo per capire se inizierà a piovere prima che si sia svolta la costosa lezione. Fa freddo quel particolare pomeriggio, troppo freddo per una partita di tennis all'aperto, ma Mefistofele lavora tutto l'anno, implacabile nell'istruire i suoi piccoli campioni. Obietterai che stiamo attribuendo a Faust l'identità sbagliata, perché di sicuro tra qualche anno uno di questi bambini sarà pronto a barattare la propria anima in cambio di una formidabile carriera sportiva, sponsor prestigiosi e un gigantesco conto in banca. In effetti, potrebbe anche essere così, il mondo è pieno di potenziali Faust, però in questo caso non c'è stato alcun errore: Faust è quella in piedi sulla veranda del circolo, che si stringe addosso il cappotto nella pungente e desolata aria della sera osservando la piccola pallina verde lime che rimbalza da una parte all'altra della rete. Faust è lei, ma non avendo ancora identificato Mefistofele, non sa di esserlo. Sarà proprio questa sera, la sera successiva alla terza lezione delle bambine, che le dramatis personae capiranno ognuna il proprio ruolo e si riconosceranno a vicenda.

L'allenamento si svolge secondo lo schema abituale: riscaldamento, diritto, rovescio, volée, lavoro di gambe, servizio. Poi, mentre le figlie di Faust raccolgono per l'ultima volta le centinaia di palline, Mefistofele raggiunge la veranda per una delle sue frequenti sigarette.

– Sono brave le sue figlie. Specialmente Helena.

– È lei che è bravo con loro – si complimenta Faust.

– Mi piacciono i bambini – replica Mefistofele. – Non quando sono in gruppo, e schiamazzano e corrono da tutte le parti. Ma così, uno o due per volta. Posso parlare alle loro anime.

In un primo momento Faust non è sicura di aver capito bene: al giorno d'oggi nessuno fa ancora riferimento all'anima e probabilmente nessuno ce l'ha nemmeno più. Rimane sbalordita nel sentire quanto le esce dalla bocca in risposta: – La mia anima è infranta.

Mefistofele ne prende atto come se non ci fosse niente di strano e, quando solleva lo sguardo su di lei, i suoi occhi sembrano ardere come due pezzi di carbone. Prima che possa aggiungere qualcosa, le bambine arrivano di corsa dal campo da tennis, gridando e urtandosi con le loro racchette ridicolmente costose, e l'incanto è spezzato. Il maestro si alza e lentamente va a prendere un caffè prima della lezione successiva. Faust - come si chiamerà da questa sera – aiuta le figlie a rimettersi i giacconi e a rinfoderare le armi al titanio, e fruga nella borsa per prendere i soldi. Il Diavolo non fa credito, almeno non per le lezioni di tennis. Il maestro esce di nuovo tenendo in mano una tazzina fumante e accetta il compenso con un cenno formale della testa, Faust e le bambine ridiscendono il vialetto verso la macchina e si dirigono a casa in tempo per mettersi a tavola.

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Pagina 50

Sono piuttosto stanco dopo la lunga camminata, magari mi sdraio un attimo, anche se sono arrivato a credere che mettersi a letto a metà pomeriggio danneggi l'equilibrio emotivo. Non è facile dominare la mente attiva nel torpore del corpo, si mette a rincorrere i pensieri erranti come un cane i gabbiani, e prima che te ne renda conto ti ritrovi sovraeccitato per la loro abbondanza o depresso perché non riesci ad afferrarne nemmeno uno per affondarci i denti. E, di conseguenza, il controllo è assunto da un assurdo ottimismo o da un pessimismo esagerato, se invece sei messo davvero male, la tua mente può anche iniziare ad andare avanti e indietro tra i due estremi, e allora è giunto il momento di prendere un libro e farsi distrarre dal caos interiore di qualcun altro.

Guarda cosa abbiamo qui, Recollections of the Last Days of Shelley & Byron di Edward Trelawny, prima edizione pubblicata nel 1858 e ancora fresco come una rosa. Tuttavia qui si tratta più di pregiudizio dilagante che di caos. Trelawny adorava Shelley e detestava Byron, sfruttò ogni singola occasione per ritrarre quest'ultimo come un fannullone deforme e un gretto procrastinatore. Senti che dice a pagina 18, quando incontra Byron di persona: Mi ero preparato a vedere un'opera solenne e da quanto ho potuto giudicare dal primo atto ho ricavato l'impressione che fosse piuttosto una solenne farsa. E qui, a pagina 108, troviamo l'arringa finale di Trelawny su Byron, l'uomo che alcuni acclamavano come l'erede di Milton e Shakespeare e molti volevano come sovrano di una Grecia indipendente: Si estenuava a pianificare, progettare, intraprendere, augurarsi, ripromettersi, rimandare, rimpiangere e a non concludere un bel niente; gli indecisi sono fecondi di pretesti, e i suoi erano inesauribili.

Ah, il buon vecchio Edward, con biografi del genere a che servono i nemici? Ma cos'è questo rumore, la chiave nella toppa e la ragazza e l'inizio della lunga distrazione.

Comoda? Bene, allora smettila di dimenarti, non riesco a pensare come si deve. Dunque, Faust e Mefistofele sono seduti sulla veranda, parlano e fumano. Faust non ha fumato per anni, da quando il ministero della sanità ha preso il posto di Dio, da quando si è convinta che se avesse fumato sarebbe morta, ma adesso è grande abbastanza per sapere che morirà in ogni caso e che a uccidere Dio e venerare il ministro della sanità si commette un grave peccato. Faust aspira, espira e si sente fuori di sé per lo stordimento. Mefistofele osserva attentamente le espressioni del suo viso e ride, ha intuito che ha la testa vuota ed è intontita, le sembra di fluttuare sospesa su una nuvola di lana. Una piccola chiazza di sole splende su di loro ed è come se il tempo si fosse fermato, non per molto, quanto basta perché Faust possa discutere della propria anima, o della relativa mancanza, con qualcuno molto interessato all'argomento, anzi interessato al tal punto che potrebbe benissimo aver dato un colpetto a un paio di interruttori per spegnere ogni genere di distrazione.

Faust fuma e dice: – Quando ti ho incontrato ricordo di averti detto che la mia anima era infranta. Per la verità, non ho un'anima. Nessuno ha un'anima. E non l'ha mai avuta.

– Questa è bella, – replica Mefistofele – perché io ricordo distintamente di aver fatto come minimo centomila patti con altrettanti disperati nel corso dei secoli. Ho scortato più anime dannate al fuoco dell'inferno di quanti pasti caldi tu abbia mai avuto.

— Non dire sciocchezze. Se qualcuno è tanto disperato da vendere la cosiddetta anima per ottenere qualcosa, qualsiasi cosa abbia in cambio non potrà soddisfarlo. L'inferno se lo crea con la sua stessa insaziabilità.

Mefistofele rimane in silenzio.

— Ebbene?

— Tutti sanno dove si trova l'anima — dice Mefistofele. — Tutti quelli che contano — aggiunge con magnificenza.

— Ma davvero? Allora forse potrai illuminarmi.

— L'anima risiede nella sfera del giudizio, situata nel punto in cui confluiscono i sensi, quello che viene definito sensus communis. L'anima non è diffusa in tutto il corpo, come credevano in tanti. Lo ha detto, più o meno alla lettera, lui in persona.

— Goethe?

— Leonardo.

— Leonardo chi?

— Da Vinci, naturalmente. Nel 1480 circa.

— A volte mi fai proprio incazzare.

— Sfera del giudizio — ripete Mefistofele come in un sogno. — Nel punto in cui confluiscono i sensi. Che uomo! E sai cosa? Aveva ragione. La settimana scorsa lo abbiamo messo ai voti. Noi del Comitato intendo.

— Non essere ridicolo.

— Leonardo effettuò studi anatomici su un gran numero di corpi umani. Si dedicò al sensus communis, ma fece numerose altre scoperte interessanti a proposito dell'occhio e dei muscoli. Stranamente la sua curiosità per il corpo umano non si estese all'essere umano. Secondo lui la razza umana non meritava di avere un corpo così meraviglioso. Riteneva che molte persone erano puri e semplici tubi per il cibo, produttori di escrementi, senza altri scopi nell'essere al mondo, non praticavano alcun genere di virtù e quanto restava di loro era solo una latrina piena.

— Doveva essere un tipo simpatico.

— La sede dell'anima non la individuò mai, voglio dire in senso fisico. Nell'essere umano la sfera del giudizio è trasparente ed estremamente piccola, basta la minima macchia di grasso cerebrale per oscurarla. Lui però sapeva di avere ragione. Aveva trovato quello che cercava. Nel posto esatto. I membri del Comitato sono rimasti terribilmente impressionati.

— Sul serio? Come mai allora ci è voluto tanto per votare?

— Oh, il tempo non ha più importanza quando discuti della sede dell'anima. Questa è una delle verità eterne. Avremmo potuto aspettare anche altri cento anni.

— Davvero? E cos'è che vi ha messo fretta? Piani per il secondo avvento?

— Ah, la metti sullo scherzo. Ma non mi offendo. All'inizio, nemmeno Goethe credeva nell'anima.

— Uomo sveglio.

— Agli esordi della sua carriera, prima di scrivere il Werther, Goethe compose un poema su Prometeo. Nel caso tu non lo sappia, Prometeo modellò gli uomini con la terra e per loro rubò il fuoco agli dèi. Il Prometeo di Goethe grida che il cuore umano è l'unica cosa a contenere in sé il fuoco divino, ciò che l'uomo costruisce in questo mondo è la sola città durevole, e lo splendore del cielo è un riflesso dell'attività dell'uomo prodotto dall'autoinganno.

Faust è oltremodo colpita.

Mefistofele butta la sigaretta e si alza. Helena lo sta aspettando sul campo. Non sembra affatto annoiata, come se il tempo tra la fine del riscaldamento e l'inizio della lezione fosse passato in un batter d'occhio. Mefistofele lascia Faust alla sua chiara intossicazione da splendore del cielo, città durevole e fuoco divino — pazienza se Goethe ne postula la scomparsa.

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Pagina 130

Finisce l'inverno. Il mio inverno, cioè. Dappertutto gli alberi di kowhai si sono infiammati, i rami spogli sono ricoperti di fuoco, il terreno circostante è cosparso di baccelli riarsi, all'interno del boschetto cova uno splendido giallo, si alza una caligine color topazio. Spegnete gli alberi! Ma può farlo solo la nascita delle fresche foglie verdi, per ora dobbiamo aspettare e bruciare.

Durante le ore del giorno leggo sempre accanto al mio kowhai. Questa biografia di Goethe rivela che anche lui fu uno sfrenato donnaiolo, sebbene il suo biografo sia di gran lunga più circospetto di quanto lo siano quelli di Byron, ed esiste l'aggravante della lunga e apparentemente casta relazione con la già sposata Charlotte von Stein. Se un uomo è capace di portare avanti un simile rapporto, non può essere uno scostumato, o almeno non in maniera spudorata, benché sia risaputo che altre avventure hanno soddisfatto le sue esigenze erotiche. Ovviamente, tutti i biografi si sono fatti in quattro per cercare indizi di un rapporto carnale con Charlotte, ma i loro sforzi si sono rivelati superflui — l'indiscrezione dilagante nella vita a Weimar avrebbe rivelato ogni particolare, se solo ci fosse stato qualcosa da conoscere. Gli abitanti guardavano senza pudore attraverso le finestre gli uni degli altri, perfino quelle del duca di Weimar, tanto che quando andava a letto con la duchessa l'intera città ne era al corrente. Ogni insignificante intrigo amoroso o flirt veniva fatto oggetto di versi e rappresentazioni teatrali amatoriali, dei legami più seri le personalità di corte scrivevano e spettegolavano con una mancanza di riserbo scandalosa.

Charlotte von Stein sente parlare di Goethe per la prima volta nel gennaio del 1775, ma viene avvertita di starne lontana da una lettera di un'amica che contiene il seguente passaggio:

Una dama dell'alta società mi ha informato che Herr Goethe è l'uomo più sfolgorante, più passionale, più seducente e più attraente che si possa immaginare; la povera schiava della moda ha aggiunto che egli, dal punto di vista emotivo, è anche l'uomo più pericoloso che abbia mai incontrato in tutta la sua vita.

Quale raccomandazione migliore! Charlotte inizia una relazione con Goethe — platonica, ma carica di emozioni — in pratica seduta stante. Nelle proprie lettere, tuttavia, descrive una figura che si discosta notevolmente dal comune concetto di seduzione:

È formale e rigido, incapace di conversare di argomenti leggeri, e vive in un modo molto strano. Possiede un cottage fuori dalle mura della città, dove abita con un servitore quando non è a corte. Il servitore gode di molta libertà e confidenza, apre la sua posta privata, condivide la sua camera e si intrattiene con lui come un suo pari. Quando il tempo è bello, Goethe dorme sulla veranda con addosso il soprabito e fa il bagno nel ruscello in fondo al giardino. Quando passa qualcuno, salta fuori dall'acqua ridendo, i capelli bagnati arruffati sulla faccia. Non ha una buona opinione degli ospiti di corte, li chiama lucertole e rospi, e dice che quando oltrepassi la soglia delle loro case non calpesti altro che sterco.

Per dieci anni non passò giorno senza che Goethe facesse visita a Charlotte, le scrivesse o pensasse a lei. La sommergeva di doni: asparagi del suo giardino, cacciagione, pane del forno militare, un paesaggio incorniciato dipinto da lui; le fece avere i guanti ricevuti quando era diventato massone, un oggetto che doveva passare alla donna piu importante della sua vita, e in cambio ebbe un anello d'oro con incise le iniziali di Charlotte. La definì il giubbotto di salvataggio che lo teneva a galla, disse che lei era il suo unico rifugio, la descrisse come le dolci parole del profondo del suo animo. Ma la castità e la necessaria segretezza lo tennero effettivamente lontano dal contatto in società, e culminarono nell'accusa piena di rammarico: tu mi hai isolato dal mondo. Non ho più niente da dire a nessuno, parlo per non restare in silenzio, e questo è tutto.

Si liberò andando in Italia. Vi rimase dal 1786 al 1788, visitando Roma, Napoli e la Sicilia, e pochi anni più tardi si recò a Venezia. All'improvviso, dopo le feconde esperienze sensuali e sessuali, si stancò dell'ermetico consiglio di Charlotte di lasciare che il mondo seguisse il proprio corso, senza disprezzo, e di godere, non del mondo ma dei segreti di un'identità al chiaro di luna celata nel labirinto del cuore. Goethe, invece, desiderava godere del mondo, totalmente e violentemente, addirittura eccessivamente.

Ma fammi mettere da parte il libro e lasciami godere il kowhai. Perché mai il genere umano legge quando può sdraiarsi sotto un albero sfavillante e non pensare a nulla, forse perché il nulla dura solo una frazione di secondo, prima che quei demoni di pensieri si ripresentino in massa, sgomitando, reclamando, inquinando la vacuità primigenia.

— John?

Apro gli occhi e Candy è curva su di me.

— Che ci fai qui? — chiedo, sollevando di qualche centimetro la testa dal suolo e guardando l'orologio.

— Sono uscita prima da lavoro — risponde lei, buttandosi giù accanto a me. — Non mi sentivo bene.

Mi fissa con grandi occhi seri. Non le ho mai visto questa espressione prima, è come se fosse appena giunta a una qualche conclusione a proposito della vita, che sfortunatamente è in procinto di divulgare. Ho voglia di alzare la mano, ho voglia di dire ferma lì, dalle bocche dei neonati e dei poppanti escono solo rigurgiti di latte. Propongo pizza fetida, imbevibile roba marrone gassata e patatine unte, pastella fritta passata nell'odore di pesce morto o avvolta in un budello di castrato, qualsiasi cosa capace di tappare quella bocca che parla a vanvera; ma no, è evidente che lei vuole discutere del significato della vita, della possibilità di trovare la felicità, del problema del male, dell'esistenza di Dio, dei crucci dell'amore. Non lo sai che i fast food sono stati progettati per mettere fine a tutto questo, mi verrebbe da domandarle; se non mi credi, chiediti dov'è il libero arbitrio quando fai rimbalzare i denti su un hamburger di gomma.

— Sono incinta, John — rivela guardandomi dritto negli occhi.

— Che significa che sei incinta? — strillo scattando a sedere. Non è affatto quello che mi aspettavo.

— Significa che avrò un bambino.

— Molto divertente! Come diavolo è potuto accadere, ti chiedo, e prima che tu risponda con un'altra spiritosaggine, non voglio sapere come nascono i bambini, voglio sapere cosa cazzo hai usato come contraccettivo, hai incrociato le dita dietro la schiena?

— Non ho usato niente. Tu cosa hai usato?

— Merda, non ci credo. Non mi starai dicendo che l'hai fatto di proposito?

— Volevo andarmene dal negozio.

— Hai mai sentito parlare della fottuta istruzione?

— Sì, me ne sono fottuta dell'istruzione.

A questo punto non so cosa ribattere.

- Qual è il problema? — domanda alzando la voce. — Non ti sto chiedendo di sposarmi né niente. Non ti sto chiedendo di occupartene.

— Qual è il problema? — ripeto passandomi le mani tra i capelli.

— Qual è lo stramaledetto problema? Con cosa ti manterrai?

— Con te.

— Con me?

— Be', che c'è di male? Hai l'aria di potertelo permettere. Ti comporti come se avessi a disposizione tutti i soldi del mondo e non lavori nemmeno.

— È perché faccio investimenti. Uno dei quali, se mi è permesso aggiungere, nell'istruzione universitaria.

— Buon per te.

— Oh, non cominciare col me misera, me tapina.

Candy guarda furiosa per terra e inizia a mozzare la testa alle margherite.

— Anch'io voglio una famiglia.

— Cosa? Un bambino e una madre non sono una cazzo di famiglia...

— Forse no — mi interrompe con veemenza. — Ma almeno un bambino è una cosa che posso avere. Come faccio ad avere fratelli e sorelle o più genitori?

— Non puoi semplicemente mettere al mondo un bambino per compensare altre carenze — urlo.

— Perché no? - urla di rimando lei.

Mi allontano da Candy e smetto di discutere, niente di quello che posso dire cambierà le cose, bisogna far sbollire la situazione, sdrammatizzare, sì, questa è la parola giusta — quando smetterò di trattarla come se avesse addosso una granata che sta per gettare nella mia vita, sarà più facile convincerla che la granata le esploderà in mano. Tuttavia, resto ancora una volta scioccato nel rendermi conto che le relazioni casuali non rimangono casuali, che le relazioni serie non durano, come se nell'universo esistesse davvero una forza profondamente maligna...

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