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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 9 La tv in mutande 1. Il Peep Show del varietà 13 L'esercito di colf in lingerie 13 La vecchia talpa del «Financial Times» 13 Le veline della notizia 15 Il mercatone di Miss Italia 16 Vallettopoli, il postribolo di Alleanza nazionale 17 Bruno Vespa, il sarto delle veline 19 La pletora di Unomattina 20 Elisabetta Gregoraci, lo scandalo d'oro 21 La scuderia del vecchio satrapo 22 Corona's band 24 Come nasce il porno-soft 25 Le quote rosa 26 Sedotte e abbandonate 27 Le miracolate 28 Le pallonare 30 Giarrettiere e mezzecalze 31 Conduttori di peluche 32 Gli art director del Peep Show 34 Il sabato del villaggio 36 Evviva la mossa dell'ereditiera 37 La via scosciata alla televisione 38 2. Un reality al giorno toglie la realtà di torno 39 La vita è un palinsesto 40 Insieme al Cavaliere scende in campo il dottor Stranamore 41 La metamorfosi del cuore televisivo 43 Le lacrime argentine di Raffaella 44 I promessi sposi 47 La vita per un provino 49 Forum, re dei falsi 51 La fata ignorante e imbrogliona 52 Maria De Filippi, regina del buco della serratura 54 Daria Bignardi, la new age dei soft hard 57 Sulla scia di Beautiful 57 La nuova generazione dei vanity-reality 58 La linea americana 59 Il Bisturi della Pivetti 60 L'overdose del format globale 61 La pupa e il secchione, le virgolette al populismo televisivo 63 SuperSimo non brilla più 64 Il Grande Fratello europeo 66 I prototipi 66 Il Dio della visibilità 68 Il Grande Fratello italiano 70 La sinistra affratellata 71 Petruccioli, un, due, tre: stalla! 73 Dalla famiglia Benvenuti alla famiglia Berlusconi 74 Zapping 3. TeleVaticano 79 Una cruenta valle di lacrime 79 Raidue in ginocchio da padre Pio 80 L'anticorpo della satira 81 La carovana cubana 83 Mediaset rompe il monopolio della fede 85 Ettore Bernabei, l'industriale di Dio 87 Siamo preti con furore 88 Vaticanisti con il rosario incorporato 89 Fatima più importante del genoma 91 La crociata contro il canone 92 La fede in diretta 93 L'attrice e la nobildonna con l'aureola 94 Lo spettacolo dell'agonia del papa 95 Ratzinger urbi et orbi 96 4. Cogne 99 Risate amare al teatrino dei mostri 99 L'assedio di Cogne 100 La compagnia di giro 101 Nessuna notizia, monta lo show 103 Tutto in famiglia 104 Mediaset si schiera con Annamaria 105 Ornar ed Erika 106 In coma dal Cavaliere 108 Il cucciolo malformato 108 Raiuno balla sulla tragedia di Foggia 110 Gli amanti di Montecastrilli 110 Accendi la tv c'è il pedofilo 111 5. Guerra 114 11 settembre, la morte invisibile 114 L'orrore è già un video-clip 115 Il Big Brother è cieco 116 La troupe di Bin Laden 117 Al Jazeera, la tv dell'emiro 118 Foxnews, l'esercito di Murdoch 119 Una guerra mai vista: l'informazione embedded 120 La guerra è uno sport da uomini 121 Gino Strada, un medico del Costanzo Show 122 Le frontiere della paura 123 Metti un Adel nel cannone 123 God bless America 124 Casa Ferrara 125 I patrioti di Domenica in 126 Si gioca al Risiko 127 Giornaliste in trincea 128 Cade Baghdad, finisce il Risiko 129 Il dopoguerra negato 130 Il fuoco amico di Nassiriya 131 I terroristi della Rai 131 Ostaggio della cinica tv 132 Ostaggi della politica 133 Giuliana Sgrena, il giorno più lungo 134 Muore Nicola Calipari, il Tg1 arriva ultimo 135 Sul fronte della fiction 136 Primum auditel, deinde informare 6. Dai divani di Montecitorio al divano di casa 141 Bruno Vespa e l'editore di riferimento 142 Il Psi scompare ma il Tg2 non ci crede 144 Muore Giovanni Falcone e il Tg1 non se ne accorge 145 Immagini dal Parlamento: si elegge il presidente Oscar Luigi Scalfaro 146 Il Paese sussulta, ma il Tg1 difende le pellicce 147 TeleCraxi è sotto schiaffo 149 Il narcisismo del Tg3 150 Nascono le notizie del Biscione: il Tg4 e il Tg5 150 Gianfranco Funari e la politica del tortellino 152 Epilogo 1992 154 7. Qualcosa è cambiato 156 Giuliano Ferrara e il Nientologo di Balzac 157 Va in onda la Sondaggiomania 159 L'iperdemocrazia del sondaggio 160 La vera gogna di Tangentopoli 161 Dalla padella di Bruno Vespa alla brace di Albino Longhi 163 Il trash del maggioritario 164 Sulla tavola apparecchiata del Nuovo 167 Se ne va anche la Dc, tra le bombe di Roma e Milano 168 La Rai dei «professori», onesti incompetenti 169 I consiglieri danno i numeri 171 Il cartello Rainvest, una proposta indecente 172 Demetrio Volcic alla guerra di Russia 173 Gli ultimi fuochi di TeleKabul 174 I sindaci e il Grillo parlante 175 Il Biscione si prepara alla discesa in campo. Fede è pronto 176 Enrico Mentana e Paolo Liguori seguono 177 Epilogo 1993 179 8. Il partito è un medium secondario 180 All'auditel ci pensa lady Moratti 181 Il grande show elettorale 182 L'appello al popolo via vhs 184 Il Milan, supposta del regime 185 Enrico Mentana e la diceria del partito-azienda 186 Rossella e Mimun, il canone dei berlusconiani 188 Sgarbi, manganello del Cavaliere, beniamino della Rai 189 La sbornia dura pochi mesi 190 Epilogo 1994 191 9. La par condicio sullo stomaco 193 Enzo Biagi muove il panorama televisivo 193 Il ribaltone di Bossi muove il panorama politico 195 Berlusconi spegne i megafoni, il Pds vince le elezioni 195 Come faccio lo shampoo al referendum 197 Il gran varietà della politica 201 La sinistra va a Canossa 201 Il telegiornale delle tette 203 Tutti dentro la tv, il patto Bertinotti-D'Alema 204 Epilogo 1995 206 10. Il Clark Gable con le tette 207 Vigorelli-Rossella-Fede-Liguori. I caporali di giornata 208 Lo Stranamore di Massimo D'Alema 209 Vince Prodi e la Rai si ammala di Ulivite 211 Epilogo 1996 211 11. L'Ulivite 213 Walter e Fausto, star della telepolitica 214 Cda, dilettanti allo sbaraglio 215 L'onorevole abbuffata 215 Il benaltrismo della sinistra 217 Anche la fiction vota a sinistra 218 Epilogo 1997 219 12. I centrosinistri al governo della Rai 221 Il cancro a Domenica in 221 Altro Cda, altro giro di Ulivite 222 La dalemite, sottospecie dell'Ulivite 223 La Rai di Pier Luigi Celli vende telespettatori 225 Diessini in picchiata 226 Non è la Bbc, è la Raitivvì 227 Con Zaccaria la cultura vola via 228 La breve stagione di Gad Lerner 229 Nonno Libero toglie il sonno al Cavaliere 230 Paolo Franchi chiede scusa 231 Katia e Livia 231 Walter e Gavino 233 Celli se ne va, attacco a Santoro 233 La satira alza il morale 235 Carlo Freccero ne paga il prezzo 236 Epilogo 237 13. I centrodestri bulgari 240 Una ministra di cuore 240 Tra Bobo e Fausto vince il Polo 241 Panariello, comico del nuovo ciclo 241 Il Previti show 242 Il Tg5 sorpassa il Tgl 243 Cofferati, chi era costui? 244 L'editto bulgaro 245 Baldassarre e Saccà non fanno prigionieri 246 La via crucis di Zanda e Donzelli 248 In un dossier riservato i contratti da favola 249 La stagione dei girotondi 250 Ciampi, un messaggio nel vuoto 252 Antonio Marano, l'affossatore 253 Epilogo 2002 254 La spada spuntata di Excalibur 254 Socci e la pantomima ulivista 255 Ballarò e il fantasma di Santoro 256 Zanda e Donzelli liberi, in Cda restano i giapponesi258 Ma la diretta no 259 Via i «giapponesi», arriva Paolo Mieli 259 Annunziata in coro 260 Il restyling delle annunciatrici 261 Flavio Cattaneo, l'uomo del nord 262 Un fallimento annunciato 262 Fassino e Rutelli al dibattito che non c'è 264 Tg1 e Tg2, veline di regime 265 Epilogo 2003 267 Manipolare, meglio che informare 267 Bonolis, antiberlusconiano per un giorno 269 I ravanelli di Tremonti 270 Cinquant'anni portati male 271 Da Biagi ai globetrotter del Cavaliere 271 Il virus italiano 272 Giovanni Masotti. Punto e a capo 273 Anna La Rosa, bi-conduttrice e bi-partisan 275 Epilogo 2004 277 14. Un presidente bi-partisan 278 Muore il papa: Berlusconi e Vespa non se ne accorgono 278 Dimissioni parola proibita 279 Referendum, la tv si astiene 279 Petruccioli for president 280 Matrix riaccende la sfida 282 Santoro da Celentano 283 Piero Fassino sul pouf di Maria De Filippi 285 Epilogo 2005 285 15. La notte del caimano 287 Un pomeriggio in mutande 287 Un uomo solo al comando 287 Un popolo di coglioni 288 La notte del caimano 289 La vittoria virtuale 290 Calciopoli, crolla il mito biscardiano 291 Gli amici degli amici 293 L'incompatibile Meocci 294 Epilogo 2006 295 16. Rai, si cambia? 296 Riotta al Tg1. Una camicia non fa primavera 296 Torna Michele, il biondo 297 Elenco delle trasmissioni citate 301 Ringraziamenti 307 |
| << | < | > | >> |Pagina 13L'esercito di colf in lingerie
Al mattino soffritti, soap, oroscopi e massaggi con fondoschiena
in primo piano. Nel pomeriggio cronaca, tanga e starlet. Di sera
la grande fiera del silicone. In questo sommario percorso nel
porno-soft della tv nazional-popolare, stordisce la quantità.
Non tanto le tette e le cosce serali che condiscono il varietà, ma
il totalitarismo dell'inquadratura ginecologica, autonoma e autosufficiente,
presente come «punteggiatura» di ogni discorso,
dalla riforma costituzionale alla pubblicità alle previsioni del
tempo. La non-stop delle pin-up che vede impegnati tanti uomini del palinsesto
(autori, direttori, produttori), ama rappresentare l'altra metà del cielo come
un esercito di colf in lingerie. A forza di vedersi disegnate così, molte donne
finiscono per credere che quelle macchiette televisive corrispondano davvero a
un modello culturale e sociale.
La vecchia talpa del «Financial Times» «Fratellli d'Italia, la patria s'è desta, col macho italiano s'è cinta la testa.» Siamo cittadini di una Repubblica retriva e misogina. La vecchia talpa del femminismo ha scavato troppo poco. Lo scrisse l'inglese Tobia Jones («Financial Times» del 2003) in un articolo («L'inferno della tv italiana»), annotando che il femminismo era forgotten, dimenticato. Seguirono seminari, riti di contrizione e sgangherate difese della dittatura del trash. Le cose proseguirono come e peggio di prima. Confermando le tesi di Jones: «L'unico dovere della tv italiana è vendere: vendere spazi pubblicitari che poi vendono prodotti». E il corpo della donna, quando non è esso stesso merce, è la moneta con cui la pubblicità promuove i prodotti. Così, quest'anno, l'autorevole quotidiano è tornato sull'argomento con la copertina del suo patinato supplemento (Naked ambition, La nuda ambizione). Quattro pagine di analisi ricche di esempi sul modo in cui i nostri media rappresentano le donne. Nel patetico campionario ci sono i manifesti pubblicitari e le ragazze della televisione. Con un'ipotesi: che la quantità di vallettume sia direttamente proporzionale alla penuria di donne nelle istituzioni politiche, alla scarsità di servizi sociali. Lo stupore del «Financial Times» si capisce e si spiega anche guardando la Bbc. Una donna in mutande accanto a un uomo in giacca e cravatta, come succede da noi, è impensabile. Del resto basterebbe solo confrontare i prodotti seriali della tv anglosassone con i nostri. Sex and the City, Desperate Housewives, Ugly Betty: donne vincenti, sofisticate, disinibite, aperte a ogni esperienza, in cerca di un riscatto professionale, sempre forti di una relazione al femminile che traduce in linguaggio comune il pensiero di genere. Noi alla prese con commesse, poliziotte, avvocatesse che appena si dedicano al lavoro con impegno, magari trascurando la cura della famiglia, o hanno figli che scappano, o madri che muoiono o mariti che tradiscono. E nella fiction italiana le donne almeno lavorano, escono di casa. Nella realtà succede sempre meno. Siamo campioni d'Europa, ma all'incontrario. In fondo alla classifica europea dell'occupazione femminile, in coda per la rappresentanza nel governo e in Parlamento. E la televisione, che dei partiti è la dépendance, le donne le mette in vetrina. «L'attenzione al corpo femminile diviene quindi pressoché esclusivamente strumentale, tale da ridurre il corpo stesso a mero accessorio. Diversamente da quanto accade nella fiction, nei programmi di intrattenimento si viene così delineando un'immagine della donna centrata sul corpo che prevale su qualunque altro aspetto». Sono le ultime righe di una poderosa ricerca affidata dal Cnel (Comitato nazionale dell'economia e del lavoro) all'Osservatorio di Pavia su «La rappresentazione della condizione femminile nei programmi di intrattenimento», pubblicato nel 2002. Una diagnosi realistica del trattamento riservato alle donne dal piccolo schermo. La conferma del progressivo, e sempre attuale, degrado alimentato da un voyeurismo ossessivo, nutrito proprio dalla marginalità politica della figura femminile. Nella ricerca si parla di «corpo sponsor» (esempio le veline di Striscia la notizia), di «corpo misurabile», di «corpo domestico», di «corpo fagocitante». Per scavare quanto servirebbe alla società italiana, il femminismo dovrebbe arrivare alle fondamenta della casa, distruggerla e ricostruirla. Da solo non ce la può fare, non con questa classe dirigente, non finché dura il governo maschile della televisione, rinnovato con la categoria del monosesso anche dall'ultimo governo di centrosinistra. Le veline della notizia «La bellezza è il serpente che mostra la ferita dove un tempo era infitta la spina.» Lo scrivevano Theodor W. Adorno e Max Horkheimer («Appunti e schizzi», appendice di Dialettica dell'Illuminismo) e ogni tanto qualche isolata voce femminile protesta e denuncia che la ferita è aperta. Ma non succede nulla, solo silenzio e complicità. A cominciare dalle donne della televisione, giornaliste comprese, spettatrici del Peep Show, a volte complici di una progressiva sudditanza all'immagine della velina. Ne è convinta Chiara Saraceno, sociologa della famiglia tra le più stimate: «Da noi anche le parlamentari e le giornaliste cercano di assomigliare alla pin-up» («Corriere della Sera», luglio 2007).
Tutte sempre più bionde, le scollature che si abbassano, il
chirurgo estetico che tira e gonfia, i truccatori che abbondano
con il cerone, fino a scivolare dalle news ai reality. Un modo di
porsi che ha suscitato la protesta delle pornostar per sleale concorrenza: «La
carica con cui le giornaliste leggono le notizie diventa ogni giorno più
erotica, di questo passo occuperanno nell'immaginario il posto che un tempo
rivestivamo noi pornostar» lamenta Jessica Rizzo («Il Giornale», maggio 2000).
Che coglie il punto sottolineato anche dal «Riformista» (agosto 2005):
«Attenzione, l'occhio prevale sull'orecchio, quindi sarebbe meglio non dare
nell'occhio quando si leggono i notiziari». La controprova è che non esiste da
molti anni, dai tempi di Angela Buttiglione, una conduttrice di telegiornale che
abbia superato i cinquant'anni, non parliamo di una sessantenne. Non siamo le
sole. Le giornaliste dei grandi network americani Courtney Friel
(Fox), Diane Sawyer (Abc), Paula Zabn (Cnn), Katie Couric
(Cbs) si sono fatte bionde perché così «comunicano al maschio
una sensazione di vantaggio evolutivo», secondo Joanna Pitman, autrice di un
saggio dal titolo
Tutto sulle bionde
(Longanesi 2004). Le americane cominciarono a tingersi i capelli nel '96 quando
í consulenti iniziano a predicare la necessità di omologare il look dei
programmi di intrattenimento con le news.
In Italia il telegiornale risponde all'auditel, diventa un programma di
intrattenimento, gonfio di cronaca e gossip.
Il mercatone di Miss Italia Le belle di giorno vengono messe all'incanto 24 ore su 24, tutti i giorni dell'anno. L'appuntamento simbolico che dà inizio all'anno accademico della coscialunga è Miss Italia. Dal 1988 la saga della più bella si ripete ogni anno sulle reti Rai. Insieme al convegno di Cernobbio, alla festa dell'Unità e all'esordio della Nazionale, c'è la proclamazione di miss Italia, inesorabile come i temporali di fine estate. Per alzare il morale del teleutente depresso dalla fine delle vacanze, gli uomini del palinsesto rallegrano la cena degli italiani con un bel carico di fanciulle in costume da bagno. Il concorso di bellezza, appaltato a Ramno, segna il rientro alla normalità della platea televisiva. Di fronte ai volti omologati da truccatori e parrucchieri (le ragazze firmano un contratto con una clausola in base alla quale l'organizzazione decide colore e lunghezza dei capelli), le gambe sono le più titolate e meritevoli. Un diluvio di volti, corpi e pubblicità per quattro prime serate e dodici-sedici ore di diretta. Un mercato all'ingrosso che apre ufficialmente il reclutamento delle future belle statuine della tv. Le ragazze sfilano per vendere un corpo, i calciatori sono in prima fila, lo sponsor paga, i testi fanno accapponare le orecchie, il mummificato Enzo Mirigliani offre la materia prima, la Rai incassa al botteghino dell'auditel e la solita compagnia di giro degli ospiti (da Michele Cucuzza a Barbara Palombelli) applaude. Nell'edizione di qualche anno fa tre deputate, di destra e di sinistra, parteciparono alla kermesse, avallando uno dei momenti di più acuta misoginia della tv. Chi diventa miss vedrà in pochi mesi decuplicare i suoi guadagni: solo contratti pubblicitari di biancheria intima, acqua minerale, scarpe e carta igienica, e si diventa milionarie. Senza contare la carriera di velina. Se le aspiranti miss siano l'immagine del Paese reale o se sia il piccolo schermo a dipingere così le nuove generazioni, è una falsa domanda perché riflette un dubbio assai debole di chi ancora si attarda a considerare l'esistenza di una realtà extra-televisiva, quanto mai difficile da dimostrare: è vero solo ciò che passa attraverso la telecamera. Specialmente per chi è nato e cresciuto negli ultimi vent'anni.
Una signora dello spettacolo italiano, Franca Valeri, interrogata («Sette»,
2002) sul fenomeno delle veline, rispondeva così: «Non so se il vippismo occupa
l'immaginario di queste ragazze, ma certamente il lavoro facile sì. Star lì un
paio d'anni ben pagata a ballonzolare mezza nuda è molto più semplice che
impiegarsi in banca. A me fanno pena, mi si stringe il cuore,
ma non mi stupisce che alcune concedano le loro grazie per
soldi, almeno lo fanno per qualcosa. Sicuramente hanno bisogno di sopravvivere:
è il principio della puttana, nevvero. È sempre il mestiere più vecchio. E il
più ambito che c'è».
Vallettopoli, il postribolo di Alleanza nazionale Dalle vicissitudini boccaccesche di una miss Calabria esplode, nel 2006, lo scandalo di Vallettopoli. Uno squallido scambio tra veline, politici e dirigenti Rai. I retroscena del bordello in realtà sono ampiamente rappresentati, alla luce del sole, nelle trasmissioni che vanno in onda quotidianamente. Quel tanga, quel seno, quei labbroni che il regista ti sbatte in faccia ne sono la prova. Tutti vedono, sanno, ma tutti tacciono. Finché un giorno, il postribolo diventa di pubblico dominio. I giornali iniziano a divulgare stralci di intercettazioni telefoniche e di interrogatori del pubblico ministero di Potenza, John Woodcock. Il magistrato che sta indagando sui loschi affari di Vittorio Emanuele di Savoia si imbatte in un giro di ragazze che allietano le ore dei dirigenti della Rai del centrodestra e, di conseguenza, le giornate dei telespettatori. Un paffuto signore di mezza età, Salvo Sottile, portavoce dell'allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini, usa le auto blu della Farnesina per farsi recapitare in ufficio le ragazze che poi compaiono nei programmi come vallette. I divani del ministero come il vecchio bordello fascista, con il portavoce-gerarca che al telefono saluta il fornitore di ragazze con un virile «ciao frocio». Lorenzo Di Dieco, funzionario Rai, spiffera tutto ai giudici: «Sottile mi usava come procacciatore di donne». Il funzionario non sa precisamente quante: «Credo una decina, lui diceva porta e io portavo». («Dieci ragazze per me posson bastare» di Marco Travaglio, «l'Unità» 2006).
Nello scambio indecente viene coinvolto un alto dirigente
Rai, Giuseppe Sangiovanni, vicedirettore delle risorse artistiche: il topo nella
dispensa. «Ho parlato oggi con il direttore generale» dice Sangiovanni a
Sottile, alludendo a Elisabetta Gregoraci «che mi ha confermato che essendo una
grande gnocca per il tipo di trasmissione gli fa anche comodo.»
Gli uomini del centrodestra si divertono. Un consigliere di
amministrazione di An, Marcello Veneziani, conia il termine
«destraccia» e si sfoga: «A che servono le idee quando si pensa
agli appalti e alle squinzie?» Parla di «una squinzia connection» («Libero», 20
giugno 2006). Il malcostume è stato già clamorosamente denunciato dall'attore
Luca barbarescni durante una riunione di simpatizzanti di An, convocati in un
cinema romano nel novembre del 2005. In polemica con la gestione
del trio Cattaneo-La Russa-Gasparri (rispettivamente direttore
generale della Rai, parlamentare di An e ministro delle Comunicazioni),
Barbareschi aveva puntato il dito contro l'indecente
traffico di amichette. Come anche Guido Paglia, fascista duro
e puro, negli anni Settanta nelle fila di Avanguardia nazionale,
e capo delle relazioni esterne della Rai. È uno di quelli che non
sopporta il trio Cattaneo-La Russa-Gasparri («hanno fatto impiccetti e
cazzetti»). Un tutti contro tutti, al quale si aggrega il
leghista Antonio Marano, direttore di Raidue: «Anche Mara
Carfagna mi fu segnalata da un politico di Forza Italia» racconta in
un'intervista all'«Espresso». Oggi Carfagna, la più ammirata da Silvio
Berlusconi («se non fossi già sposato ti sposerei»), siede in Parlamento, dopo
una carriera come valletta a
I fatti vostri.
Bruno Vespa, il sarto delle veline
Nelle intercettazioni del giudice Woodcock spicca la figura di
Bruno Vespa. Anche nel suo caso nulla di inedito sulla qualità
di un giornalismo comprato e venduto. Vespa parla con Salvo
Sottile della partecipazione di Gianfranco Fini a
Porta a Porta.
È una conversazione-contrattazione. Il portavoce chiede rassicurazioni sul
trattamento che riceverà il politico e Vespa lo tranquillizza: gli «cuciamo
addosso» la trasmissione. Così si esprime
il giornalista più corteggiato della Raí. Per difendersi dalle critiche, Vespa
peggiora la situazione: «Ogni trasmissione viene
cucita addosso al protagonista, si chiami Fini, Prodi o Pippo
Baudo. E potrei citare infinite testimonianze sui legittimi dissensi che ci sono
stati, a destra e a sinistra, sul taglio dell'abito».
Così fan tutti, inutile meravigliarsi.
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