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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 11 Introduzione 13 La preistoria 13 Rezi e Celti 14 La storia 15 I percorsi 16 La Bassa Atesina e l'Oltradige 17 La Bassa Atesina 17 Il Saltner (Saltaro) 18 Da Cortina a Termeno 23 Il Rinascimento culturale di Termeno e i Foradori 25 Castel Ringberg e Kastelaz 27 Da Termeno a Bolzano (L'Oltradige) 28 Le acque interne e i pesci 28 Il legame fra castello, maso, cantina e cucina in Alto Adige 32 La grappa 33 Il Burgraviato 37 Dall'Oltradige al Burgraviato 37 I Vescovi di Bressanone e di Trento 42 Cornaiano e dintorni 43 Verso il Burgraviato 44 Sulla strada per Merano 46 La cantina di Terlano: grandi vini e grandi asparagi 48 Margherita Maultasch, ultima Contessa del Tirolo 51 Lana e le mele 55 I Buschenschänken 62 La birra 63 la terapia dell'uva 65 Figura e opere di Karl Schmid 66 Lo Speck dell'Alto Adige IGP 68 La Val Passiria e la Valle Isarco 77 Dalla Val Passiria a Vipiteno 77 Andreas Hofer 79 Latte e latticini dell'Alto Adige 81 L'Abbazia di Novacella 85 La storia di Sabiona e di Bressanone 86 Velturno (Feldthurns) e l'"Unterwirt" 91 Menù di nozze 93 La Cantina Produttori Valle Isarco 93 Oswald von Wolkestein 97 La ceramica di Thun 99 Santa Maddalena: il fulcro della tradizione alle porte di Bolzano 99 Il Santa Maddalena 102 Andare a Törggelen 104 Il maso (Hof) 111 I Plattner di Waldgries 112 Moscato rosa: una rarità dell'Alto Adige 114 La saga di Re laurino e del suo Giardino delle Rose 115 Il pane 117 Bolzano e dintorni 123 Il cavallo avelignese (Haflinger) 123 A passeggio per Bolzano 125 I kirchtag e i pranzi legati alle cerimonie 126 Alois Lageder, ovvero "Del rinnovamento in Armonia con la Natura" 133 I knodel e la polenta 135 Un curioso menu 144 Le zuppe 145 Le carni 148 La selvaggina 151 I crauti 153 Le verdure e i piccoli frutti 157 Il miele 159 I dolci 160 Krapfen 163 La viticoltura in Alto Adige 165 La sua comparsa 165 La produzione, dal Medio Evo al nostro tempo 167 I vitigni raccomandati per l'Alto Adige 168 La produzione attuale 169 Il Lagrein 170 Il Gewuerztraminer o Traminer aromatico 173 L'economia vinicola dell'Alto Adige 176 Cantine sociali, cantine produttori, liberi vinicoli e cantine spumanti 178 Glossario 189 Bibliografia 195 Indice delle ricette 199 |
| << | < | > | >> |Pagina 68Lo speck dell'Alto Adige IGPLo speck dell'Alto Adige è la più tipica espressione della fusione delle due culture - quella nordica e quella mediterranea - che si incontrano e si integrano in questa caratteristica "terra fra i monti". La severità dei prosciutti affumicati di produzione germanica, slava o magiara, non disgiunta da un certo disequilibrio fra parti grasse e parti magre, si stempera qui in vivaci fragranze di delicata raffinatezza senza giungere alla morbida dolcezza dei prosciutti del sud. Lo speck dell'Alto Adige, che segue un ciclo produttivo canonizzato da secoli, ha avuto anche nel 1996 il riconoscimento ufficiale dall'U.E. all'interno del Regolamento 2081/92, con il conferimento della tutela geografica (IGP - Indicazione Geografica Protetta). Questo ciclo produttivo prevede l'utilizzo esclusivo della coscia suina, ricavata dalla macellazione di animale adulto, solitamente nel periodo tardo-autunnale o all'inizio dell'inverno: questo perché il pezzo lavorato, tradizionalmente, deve essere pronto per l'inizio della fienagione, tra fine maggio e primi di giugno, dopo una stagionatura convenzionale di 22 settimane. Le cosce vengono salmistrate a secco per tre settimane in ambiente fresco e asciutto: le metodologie di questo trattamento sono gelosamente tramandate di padre in figlio dai tempi più remoti e nella diversità fra produttore e produttore sta proprio la caratteristica saliente di questo prodotto unico. Anche per grandi produzioni, non sono consentite operazioni di carattere industriale come la zangolatura e la siringatura, mentre l'affumicatura e l'asciugatura devono avvenire solo con legna scelta (si cerca di evitare legna resinosa in quanto troppo aromatica), e la temperatura dei fumi deve rimanere al di sotto dei 20 gradi. La trasformazione di alcuni prodotti chimici naturali contenuti sulla superficie e all'interno delle carni - e la conseguente modifica del profumo e del gusto dello speck - durante il lungo periodo di stagionatura viene perpetrata grazie all'azione di alcune muffe territoriali che vengono rimosse solo a operazion terminata. Il giusto equilibrio fra parte grassa e parte magra, il tempo di stagionatura, la consistenza, il sapore e la quantità residua di sale (non superiore al 5%) sono i parametri finali di controllo che determinano il placet del prodotto e la conseguente autorizzazione alla vendita. Attualmente le aziende autorizzate a produrre e a commercializzare "Speck dell'Alto Adige IGP" sono 27 distribuite su tutto il territorio provinciale, con una leggera prevalenza nei dintorni di Merano e della Val Venosta, ma non vanno dimenticate le ottime produzioni di Bolzano, Bressanone, Brunico, Dobbiaco, San Candido, Chiusa, Nova Levante e Renon, per giungere fino a quelle dell'Oltradige e della Bassa Atesina: Termeno e Appiano. La produzione di "baffe" (le cosce intere dei suini) contrassegnate con il marchio "Suedtirol" si aggira intorno al milione e settecento mila annue, con un totale vendibile di circa 7.500 tonnellate, di cui circa il 30% va all'esportazione. Proprio per la vivace fragranza di cui abbiamo già detto, lo speck trova grande collocazione nella cucina sudtirolese con risultati spesso veramente eccezionali. Vediamo qualche ricetta. | << | < | > | >> |Pagina 153I crautiIl vocabolo tedesco "kcraut" almeno in origine significava semplicemente verdura, ovvero il contorno che si portava in tavola insieme ai salumi, mentre oggi fa riferimento preciso al salcrauto e cioè al crauto acido, di colore giallognolo, ottenuto per taglio a strisce sottili dei due cavoli, quello cappuccio e quello rapa, fatti fermentare in presenza di sale. Già da tempo, in tutta l'Europa settentrionale, si conoscono le caratteristiche di economicità e le proprietà salutari di questo prodotto e c'è chi dice che gli Olandesi riuscirono a raggiungere la lontanissima Indonesia e a stabilirvi solide basi commerciali, solo perché le loro navi e i loro marinai avevano la possibilità di rifornirsi lungo il tragitto (al Capo di Buona Speranza) di barili nuovi di crauti preparati in loco. È noto infatti che il cavolo, così conservato, mantiene per lungo tempo il suo contenuto di acido ascorbico (la famosa vitamina C) indispensabile per la conservazione dei tessuti connettivi umani: senza di esso l'organismo viene aggredito da una grave affezione, denominata scorbuto, che può ingenerare danni di vario tipo e condurre anche alla morte. Evidentemente anche le popolazioni di montagna, spesso prive, specialmente nella lunga stagione invernale, di verdura e frutta fresca (alimenti assai ricchi di vitamina C), sentivano la stessa esigenza e di qui l'elevato uso si crauti che comunque, torniamo a dirlo, sono di origine nordica e non alpina. Ecco come si preparano, si conservano e si stagionano. I cavoli cappuccio vengono raccolti a fine settembre, primi di ottobre. Dopo la raccolta si distendono in un luogo arioso per circa otto giorni ad asciugare, quindi si staccano le foglie esterne con un coltello, si leva il torsolo e si tagliano con un'apposita affettatrice. Vengono disposti a strati in contenitori alimentari (una volta erano barili di legno), sul fondo dei quali sono state precedentemente poste delle foglie di cavolo cappuccio. I vari strati sono alternati a una manciata di sale, al quale possono essere aggiunti semi di cumino, finocchio selvatico e bacche di ginepro. Qualora si vogliano aggiungere anche i cavoli rapa, questi vengono affettati finemente e disposti nel contenitore assieme al cavolo cappuccio. L'aggiunta dei cavoli rapa conferisce ai crauti maggiore leggerezza, digeribilità e un gusto tipico. A riempimento raggiunto dei contenitori, i crauti devono essere ben pressati, quindi coperti con qualche foglia di cavolo al di sopra delle quali va posto un coperchio con un peso, per mantenere una pressione costante all'interno del contenitore. Così coperti e pressati, i crauti vengono lasciati fermentare, prima a temperatura ambiente, per una settimana, poi al fresco di una cantina per almeno 3-4 settimane. Dopo cinque settimane i crauti sono pronti per il consumo. A questo punto si leva il coperchio, le foglie di cavolo, il liquido in esubero, si lava il coperchio e si versa dell'acqua fresca in modo da coprire il tutto per 10 cm. Volendo prelevare dei crauti, si allontana l'acqua con una pignatta e si toglie la parte di prodotto che necessita, uniformemente per tutta la superficie, si ricopre con il coperchio, si aggiunge nuovamente acqua fresca e si rimette il peso. Ogni otto giorni si deve rinnovare l'acqua e lavare il coperchio. Conservazione: i crauti si conservano in locali freschi a 8-12°. Stagionatura: cinque settimane. | << | < | > | >> |Pagina 170Il LagreinÈ fuor di dubbio che se alla periferia di Bolzano, lungo le sponde del torrente Talvera che attraversa la città da nord a sud prima di confluire nell'Isarco, non vi fossero stati - da tempi immemorabili - coltivi di Lagrein, la città stessa avrebbe avuto un altro sviluppo urbanistico e oggi non potremmo goderla così, stupenda nella sua fruibile alternanza di cemento e giardini, di asfalto e colture. In pochi minuti, a piedi, dalla centralissima piazza Walther, ci si trova immersi nei vigneti di Castel Mareccio (dove ogni anno si svolge l'annuale Mostra dei Vini dell'Alto Adige) e tutto il traffico del centro viene dimenticato come d'incanto. E a poca distanza, a Gries, l'antico borgo appare ormai conglobato nel contesto cittadino del capoluogo, ma non così per l'Abbazia Benedettina che, cintata com'è da un alto muro periferico, ci rimanda a momenti di riposo e riflessione e al rispetto di regole oggi quasi dimenticate.
I Padri Benedettini giunsero a Gries nel 1815 provenendo da Muri,
un tranquillo centro non lontano da Zurigo, trovando nei dintorni di Bolzano le
condizioni climatiche ideali per la coltivazione della vite e, quel che più
conta, un vitigno indigeno robusto e produttivo che dava un vino di colore rosso
intenso. I bravi frati misero a frutto quella che per loro era un'esperienza
millenaria, perpetuando in senso migliorativo la produzione di quel vino (anche
per fini liturgici e rituali), riprendendo le colture, selezionando i cloni e
perfezionando le tecniche di cantina.
Lagrein Kretzer e Lagrein Dunkel Basta vedere la zona di Gries e dintorni per capire che il Lagrein predilige i terreni alluvionali profondi e caldi di fondovalle. Infatti è proprio poco prima della confluenza del Talvera con l'Isarco, cioè dove il torrente si distende in un fluire più morbido allargando l'alveo e depositando nelle campagne i detriti tenuti in sospensione dal tumulto delle acque, che il Lagrein ha eletto il suo habitat ideale: siamo nella zona classica di Gries, S. Maurizio e Bozen Dorf-Lindenburg. L'Abbazia (Abtei, in tedesco), che dal nome delle due località di partenza e di arrivo dei monaci prende il nome di Muri-Gries, e pochi masi preesistenti al loro arrivo, hanno contrastato efficacemente, in questi ultimi centocinquant'anni, il dilagare della città di Bolzano e il suo travolgente sviluppo edilizio; in questo aiutati, per la verità, da un'oculata amministrazione cittadina. Fortunatamente per noi, anche altre zone al di fuori della conca di Bolzano che godono di terreni "sciolti" (costituiti in prevalenza da particelle grossolane di sabbia o ghiaia derivanti da depositi fluviali e morenici) hanno intrapreso la coltivazione del Lagrein riportando i quantitativi di produzione delle uve a livelli accettabili quando ormai si era persa la speranza di poter interrompere un ciclo irreversibile che portava alla sua definitiva scomparsa. Questi territori, per essere vocati, sono ovviamente disposti nel fondovalle atesino: uno, Andriano, è poco a nord di Bolzano sulla riva destra dell'Adige, l'altro, nella Bassa Atesina, si estende fra le località di Cortina e Cortaccia. Oggi vengono coltivati in Alto Adige circa 250 ettari di Lagrein e di questi ben 150 si trovano nel Comune di Bolzano. Più del 60% delle uve vengono vinificate "in bianco" e danno luogo al Lagrein Kretzer o Rosato, il rimanente viene vinificato "in rosso" e se ne ricava il Lagrein Dunkel. Il Kretzer prende il nome dal "Krätze", un cesto di vimini usato un tempo per separare rapidamente il mosto dalle bucce e impedire così ai coloranti specifici vegetali (gli antociani), contenuti appunto in queste ultime, di passare dalle uve alla massa liquida prima che questa inizi la fermentazione. Il prodotto che ne deriva è ovviamente di un rosato più o meno carico, a seconda che il contatto sia avvenuto per diverse o poche ore, ed è largamente consumato sul territorio: poca o nulla la sua diffusione nel resto d'Italia.
Diverso il colore per il Dunkel (scuro, in tedesco) per il quale si è
provveduto a lasciare macerare le bucce - anche per diversi giorni - nel
complesso della massa ammostata. In molti casi, inoltre, poiché il parco tannico
di questo vitigno è piuttosto scarso - il che ne comprometterebbe la durata nel
tempo - è invalso il costume di far trascorrere al vino alcuni mesi nelle
piccole botti francesi (le barrique), tralasciando l'uso tradizionale di quelle
grandi botti di rovere di slavonia che fanno bella mostra di sé in tutte le
cantine altoatesine.
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