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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 9 PROLOGO. «Dio avrebbe potuto creare il mondo in modo diverso?» 11 |
| << | < | > | >> |Pagina 36Anche se nel nostro sistema solare vi fosse una vita extraterrestre, nessuno si illude che possa essere qualcosa di non primitivo. Ma la nostra galassia contiene milioni, forse miliardi di pianeti, in orbita intorno ad altre stelle: quanto è probabile che su qualcuno di questi astri esistano forme di vita progredite? Nel 1584 il monaco domenicano Giordano Bruno pubblicò De l'infinito, universo e mondi. Bruno era fuggito dal suo convento napoletano una decina di anni prima, dandosi a una vita di vagabondaggi per tutta Europa, ma nel 1592 tornò incautamente in Italia (attratto, a quanto pare, dalla speranza di una cattedra a Padova, che invece andò al giovane Galilei), e cadde nelle mani dell'Inquisizione. Fu incarcerato a Roma per le sue «eresie ostinate e pertinaci» e nel febbraio del 1600 finì sul rogo a Campo de' Fiori, una piazza di Roma dove oggi c'è una bella statua di bronzo a commemorarlo. Bruno fece, tra le altre, la seguente congettura: Vi sono innumerevoli costellazioni, soli e pianeti; noi vediamo soltanto i soli perché danno luce, mentre i pianeti, essendo piccoli e oscuri, ci restano invisibili. Ed esistono anche innumerevoli terre che girano intorno ai loro soli, e non sono né peggiori né minori di questo nostro globo. Negli ultimi anni del Novecento questa sua convinzione, così presciente, è stata rivalutata: esistono, sicuramente, sistemi planetari intorno a molte altre stelle. Ma Bruno era convinto anche di un'altra cosa: Nessun'anima ragionevole può supporre che corpi celesti che possono essere assai più splendidi del nostro non nutrano creature simili o anche superiori a quelle che vivono sulla Terra di noi umani. All'epoca, naturalmente, era un'idea fantasiosa, ma da allora il concetto di una «pluralità di mondi abitati» è stato difeso con una continuità sorprendente. Nel Settecento, il grande astronomo Wilhelm Herschel, scopritore di Urano, era convinto che fosse abitato persino il Sole, e cent'anni fa erano in molti a credere nell'esistenza dei marziani. Anche se la nostra concezione dell'universo fisico è notevolmente cambiata dai tempi di Bruno, nemmeno noi siamo in grado di valutare quanto sia probabile un'intelligenza extraterrestre. Nonostante la nostra persistente ignoranza, o forse proprio per questo, il dibattito sulla questione è polarizzato: c'è chi sta con Bruno e chi sostiene dogmaticamente che siamo soli. Dal mio punto di vista, l'unica posizione razionale è quella agnostica: non ne sappiamo abbastanza sull'origine della vita - e meno ancora sappiamo su ciò che la selezione naturale può fare o non può fare -, per dire se l'esistenza di extraterrestri intelligenti sia probabile o meno. Per poter azzardare un pronostico, dovremmo avere una più chiara comprensione di quanto speciale doveva essere l'ambiente fisico della Terra per consentire quel prolungato processo selettivo che è sfociato nell'uomo. Secondo alcuni astronomi la Terra è un caso del tutto eccezionale, e tra i pianeti extrasolari - anche quelli che le assomigliano per dimensioni e temperatura - ben pochi sarebbero in grado di assicurare quella stabilità a lungo periodo necessaria per l'evoluzione di una forma di vita avanzata. | << | < | > | >> |Pagina 96L'universo non può essere stato perfettamente regolare e uniforme fin dai suoi primi istanti, altrimenti conterrebbe un gas di idrogeno ed elio talmente rarefatto che in ogni sua parte vi sarebbe meno di un atomo al metro cubo. Sarebbe freddo e monotono, e non avrebbe galassie (e quindi stelle) né sistema periodico né complessità né - sicuramente — esseri umani. Ma per via della progressiva «accentuazione del contrasto», causata dalla forza di gravità durante l'espansione, bastarono piccole disomogeneità iniziali a cambiare l'intero corso degli eventi. L'ampiezza di queste disomogeneità è determinata da un semplice numero, Q, la differenza di energia tra i massimi e i minimi di densità della materia, espressa come frazione della sua energia totale (la mc^2 di Einstein). La scala delle strutture più grandi presenti nell'universo dipende da Q; valori più elevati di Q corrispondono a un universo a grossi «grumi». I modelli al calcolatore indicano che Q dev'essere circa 0,00001 per rendere conto delle galassie e degli ammassi oggi esistenti; un valore così piccolo implica che (in termini gravitazionali) il nostro universo è «pianeggiante» quanto un'ipotetica terra in cui le montagne o le onde più alte non superassero una cinquantina di metri. Queste increspature o irregolarità si manifestano anche in un altro modo, rendendo il fondo cosmico un po' più caldo in certe parti del ciclo e un po' più freddo in altre. Il satellite COBE ha tracciato una mappa del ciclo all'infrarosso, scoprendo differenze di temperatura dell'ordine di una parte su centomila - un risultato tecnico assolutamente sensazionale. La radiazione di fondo è meno di 3 gradi sopra lo zero assoluto, una temperatura cento volte più bassa di quella della Terra e della sua atmosfera, ma le variazioni termiche tra zone del ciclo calde e fredde sono centomila volte più piccole. Le osservazioni del COBE hanno inoltre avvalorato l'ipotesi che le strutture cosmiche si siano formate in conseguenza di una instabilità gravitazionale. Esse mostrano che l'universo caldissimo delle origini presentava increspature che avevano, in base ai calcoli, esattamente l'ampiezza necessaria per spiegare il suo aspetto attuale. Tali fluttuazioni dovettero imprimersi molto presto, insieme alla composizione iniziale di ingredienti dell'universo. Qualunque sia la causa del big bang, essa sembra aver lasciato risonanze, vibrazioni, ma ancora non sappiamo che cosa abbia determinato l'ampiezza di queste vibrazioni - in altre parole, non conosciamo il valore di Q. È interessante osservare, comunque, che un universo molto più omogeneo, molto più irregolare, avrebbe prodotto un habitat assai meno favorevole. | << | < | > | >> |Pagina 157Forse il nostro universo non ruota, ma indubbiamente si espande, ed espandendosi cambia. Qualcuno ha osservato che sarebbe davvero singolare se, in un cosmo che muta, le leggi fisiche fossero immutabili. Già nel 1937 il grande fisico Paul Dirac addusse un argomento di questo tipo, suggerendo che la costante gravitazionale G di Newton potesse diminuire (di circa un decimiliardesimo all'anno) via via che l'universo invecchia. La motivazione di Dirac era interessante. Egli aveva notato che la forza gravitazionale e la forza elettrica variano entrambe come l'inverso del quadrato della distanza. Il rapporto tra le intensità dell'interazione elettrica e dell'interazione gravitazionale tra, poniamo, un elettrone e un protone era quindi costante: un numero fondamentale e straordinariamente grande, dell'ordine di 1O^39. Con stupore, Dirac scoprì che 1O^39 era più o meno il rapporto tra la dimensione dell'universo osservabile (il raggio di Hubble) e quella di un protone. Un calcolo approssimativo rivelò inoltre che il numero di atomi dell'universo visibile era 10^78, il quadrato di 10^39. Trovando difficile credere a una semplice coincidenza, egli pensò che tra questi due grandi numeri doveva esserci un legame; più specificamente, ipotizzò che la costante G potesse variare nel tempo, permettendo ai due numeri di crescere in parallelo. Oggi possiamo escludere un effetto così vistoso come quello supposto da Dirac. Bastano i dati che ci vengono dal sistema solare: se Dirac avesse ragione, tutti i pianeti descriverebbero spirali di raggio progressivamente crescente - a un ritmo che può venir calcolato - man mano che la presa del Sole si allenta. In origine la Terra sarebbe stata più vicina al Sole di oggi, e il Sole stesso sarebbe stato più luminoso, perché una forza gravitazionale più intensa avrebbe portato i suoi strati esterni a comprimere di più il suo nucleo rovente, esaltando la potenza della fornace nucleare. Questi due effetti - la minor distanza Terra-Sole e il calore più intenso dell'astro - avrebbero portato a ebollizione gli oceani nella fase giovanile del pianeta, mentre la geologia ci dice il contrario. Oggi sappiamo che G non sta diminuendo nemmeno a un centesimo della velocità auspicata da Dirac; e la prova migliore è fornita dall'accurata perlustrazione delle sonde spaziali nonché da una coppia di stelle di neutroni, in orbita l'una intorno all'altra, di cui riusciamo a osservare il moto con grande precisione. Fra tutte le forze presenti nel cosmo, la gravità è quella che ha il rapporto più ovvio con le caratteristiche a grande scala dell'universo. Ma è possibile che l'espansione cosmica induca, in qualche modo, mutamenti negli atomi - nelle forze elettriche e nucleari interne, nella carica e massa di ogni singolo elettrone e via dicendo? | << | < | > | >> |Pagina 183Svariati scenari potrebbero condurre a universi multipli. Andrej Linde, Alex Vilenkin e altri hanno simulato al calcolatore un'inflazione «eterna», nella quale più universi emergono da big bang distinti in regioni disgiunte dello spaziotempo. Alan Guth e Lee Smolin hanno immaginato, partendo da ipotesi diverse, che all'interno di un buco nero possa germogliare un nuovo universo che espandendosi formerà un dominio spazio temperale a sé stante, a noi inaccessibile. Lisa Randall e Raman Sundrum suppongono invece che possano esistere altri universi separati dal nostro grazie a una dimensione spaziale in più. Questi universi disgiunti potrebbero tanto interagire gravitazionalmente quanto non avere nessun effetto l'uno sull'altro. Riprendendo l'abusata analogia tra la superficie di un palloncino e un mondo bidimensionale immerso nell'abituale spazio a tre dimensioni, possiamo rappresentarceli come le superfici di altri palloncini; un vermiciattolo confinato su uno qualsiasi di essi e privo del concetto di terza dimensione non saprebbe niente di altri vermiciattoli che magari strisciano su altri palloncini. Gli altri universi sarebbero domini spaziotemporali separati; non potremmo nemmeno dire sensatamente se sono esistiti prima del nostro o esistono insieme o esisteranno dopo, perché questi concetti hanno senso solo finché possiamo usare una misura del tempo unica, comune a tutti gli universi. Alan Guth e Edward Harrison hanno addirittura ipotizzato che si possano fabbricare universi in laboratorio facendo implodere una certa quantità di materia fino a trasformarla in un buco nero. Per caso il nostro universo è il risultato di qualche esperimento eseguito in un altro? Secondo Smolin, l'universo-figlio potrebbe essere governato da leggi che recano l'impronta di quelle che prevalgono nell'universo-genitore; ma in tal caso potremmo resuscitare, sotto nuova veste, l'argomento teologico del progetto rendendo ancora più incerto il confine tra fenomeni naturali e soprannaturali. Di universi paralleli parla pure la teoria dei «molti mondi», lanciata da Hugh Everett e John Wheeler negli anni Cinquanta per risolvere alcuni paradossi della meccanica quantistica. Questa idea era stata anticipata da Olaf Stapledon, il quale ne aveva fatto una delle creazioni più raffinate del suo Costruttore di stelle: «... ogniqualvolta una creatura si trovava di fronte a diverse possibili linee dì sviluppo, le realizzava tutte, creando così molte distinte dimensioni temporali e molte diverse storie cosmiche. Poiché in ogni sequenza evolutiva c'erano moltissime creature, e ognuna si trovava continuamente di fronte a molti possibili sviluppi, le cui combinazioni erano innumerevoli, in ogni momento della sequenza temporale di quel cosmo germogliava un'infinità di universi distinti».
Nessuno di questi scenari è semplicemente campato per aria, nessuno è
arbitrario, ma tutti hanno una motivazione teorica seria, anche se solo
ipotetica. Tuttavia, quello giusto può essere al massimo uno. È anzi possibile
che siano tutti sbagliati: vi sono infatti altre teorie per le quali l'universo
è uno solo.
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