Copertina
Autore Nuto Revelli
Titolo Le due guerre
SottotitoloGuerra fascista e guerra partigiana
EdizioneEinaudi, Torino, 2003, Gli struzzi 557 , pag. 200, dim. 115x195x13 mm , Isbn 978-88-06-16452-2
CuratoreMichele Calandri
PrefazioneGiorgio Rochat
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe storia contemporanea d'Italia , guerra-pace
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Indice

p. VII Presentazione di Giorgio Rochat
    XI Introduzione

    Le due guerre

  3 I.    Il fascismo: 1922-1939
 27 Il.   La guerra sul Fronte occidentale
 45 III.  Il Fronte greco-albanese 1940-41 e
          l'Accademia militare di Modena
 61 IV.   Il Corpo di Spedizione Italiano sul Fronte russo
          (CSIR).
          La preparazione del Corpo d'Armata Alpino
 77 V.    L'8a Armata (ARMIR): luglio 1942 - 16 gennaio 1943
          Il Corpo d'Armata Alpino sul Fronte russo
105 VI.   La ritirata di Russia e la prigionia
123 VII.  Dal 25 luglio all'8 settembre 1943.
          Le prime bande partigiane
143 VIII. La guerra partigiana nel Cuneese.
          La IV banda e il rastrellamento dell'aprile 1944.
          La Brigata «Carlo Rosselli» e il rastrellamento
          dell'agosto 1944.
          La Brigata «Carlo Rosselli» in Francia
173 IX.   La liberazione di Cuneo e il dopo-Liberazione

193       Cartine

 

 

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Pagina XI

Introduzione


Sono un testimone del secondo conflitto mondiale. O meglio, sono un testimone delle «due guerre» del secondo conflitto mondiale: della guerra fascista e della guerra partigiana.

La mia paura nel raccontare quegli anni è sempre stata questa: che la mia verità potesse prevalere fino al punto di tradire, di stravolgere l'altra verità, quella storica, quella che conta.

Ho una mia verità, maturata negli anni di guerra. Questa mia verità l'ho poi messa a confronto, fin dal dopo Liberazione, con altre cento, affiorate in questi anni.

Non poche delle certezze di allora, sono rimaste però ben salde nella memoria. Spetterà al lettore giudicare la mia verità, che non è la verità in assoluto.

[...]

Per questo, ancora una volta, cercherò di «rileggere» i 25 anni che vanno dall'avvento del fascismo al dopo Liberazione attraverso il punto di vista di chi quegli anni li ha vissuti, avvalendomi delle testimonianze che ho raccolto. E vi inserirò anche i miei ricordi, non per soffocare le altre voci, ma per esaltarle nel confronto.

Non so se riuscirò ad assolvere il mio compito.

Noi eravamo giovani allora, avevamo vent'anni. Solo se riuscirò a restituire il clima di allora, solo se chi mi legge si rispecchierà nella mia generazione, avrò assolto quel compito.

N.R.

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Pagina 49

Nel gennaio 1941 cade Klisura. Nel febbraio altra offensiva greca contro Tepeleni. Il 6 aprile, finalmente, i tedeschi invadono la Jugoslavia e rotolano verso la Grecia. Adesso, ma soltanto adesso, Mussolini può urlare: «Spezzeremo le reni alla Grecia». Rapidamente la guerra è vinta. La Cuneense, combattendo, occupa Dibra, in Jugoslavia. L'armistizio è firmato il 24 aprile. Le nostre perdite: 13755 caduti, 25067 dispersi (tanti, troppi), 50874 feriti, 12368 congelati.

Una breve testimonianza di Antonio Barale di Borgo San Dalmazzo, classe 1916, contadino, che nella sua sconvolgente semplicità offre non pochi spunti di ri£lessione: «Ho fatto la guerra contro la Francia sul Grammond, in Valle Roja. Mio fratello era soldato nell'esercito francese, era a Saint-Martin Vésubie. Lui tirava su noi, e noi su lui, fratelli contro fratelli». Di queste vicende del Fronte occidentale si è già parlato. Continua Barale: «Poi l'Albania, con la divisione Modena. L'hanno disfatta e rifatta sette volte la mia batteria. Da Valona siamo andati a Jannina, a piedi, nel fango: dormivamo nel fango. Poi la ritirata da Jannina a Valona: stracciati, senza scarpe, i pezzi delle scarpe tenuti insieme col filo di ferro e i cordini». Era proprio cosi. «Poi siamo andati sul Golico: quattro giorni isolati perché i greci avevano buttato giu il ponte. "In Italia non torniamo piu", pensavamo. Dopo abbiamo conquistato tutta la Grecia». Qui il discorso cambia, è la conquista: «Eravamo vicini ad Atene, a Ikonos, di guardia al mare con la batteria someggiata. La popolazione era un po' ostile. Con una fetta di pane si poteva avere una donna, ma io non ero tirato per quello: c'era il pericolo delle malattie. Noi prendevamo tutto ai pastori, le pecore, tutto. C'erano i partigiani nella zona, ma non li ho mai visti». Barale attacca poi un discorso «femminista»: «L'Albania era ancora piú povera della Grecia. In Albania l'uomo non lavorava, l'uomo andava a cavallo dell'asino e dietro la donna, carica, a piedi. Quante volte abbiamo fatto salire la donna sull'asino, cristianamentu, se no sparavamo. Faceva impressione vedere l'uomo a cavallo cun la füma ai dent [con la pipa tra i denti] e la donna a piedi». Secondo il testimone «gli ufficiali stavano bravi perché tra i soldati c'erano le teste matte. In guerra i soldati hanno ucciso tanti ufficiali». Non è vero, è il solito discorso velleitario. Ma erano le voci che giravano.

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Pagina 62

Poco prima dell'inizio dell'«Operazione Barbarossa», il 15 giugno, in un incontro fra Mussolini, Cavallero e il generale von Rintelen, addetto militare a Roma, si era parlato dell'approntamento di un corpo d'armata italiano da inviare tempestivamente sul Fronte russo. Mussolini, dunque, conosce le intenzioni di Hitler e insiste per avere una sua presenza su quel fronte, una presenza di prestigio.

Si ripete la stessa storia della guerra contro la Grecia: una storia di fretta, di improvvisazione, di incoscienza. Il giorno 21 (la vigilia dell'attacco all'Urss), Mussolini aveva approvato la costituzione organica del Corpo d'Armata. In altre parole, aveva chiesto allo Stato Maggiore di mettere insieme un po' di reggimenti, di divisioni per partecipare fin dall'inizio alle operazioni con un'unità qualsiasi. Quel che gli premeva era di non essere assente. Dirà poi, non immaginando le tragiche conseguenze di quella partecipazione: «Se non ci fosse stata la "marcia su Roma", oggi non ci sarebbe la "marcia su Mosca"».

Hitler, peraltro, segnala che il teatro principale di guerra per l'Italia era e doveva essere l'Africa Settentrionale e il Mediterraneo, rafforzandone la guerra aerea e marittima. E, il 30 giugno, comunica a Mussolini un primo bilancio delle operazioni sul Fronte russo, di grandi avanzate e di strepitose vittorie, ma anche del fatto che l'Unione Sovietica ha messo in campo un gigantesco carro armato da 52 tonnellate, con una corazza da 75 millimetri, una vera e propria fortezza mobile di acciaio. «Duce rifletti, - sembra dire Hitler, - i tuoi carri armati da 3 tonnellate qui sarebbero dei giocattoli inutili».

Tutto questo a Mussolini non importa. Il 9 luglio 1941 si forma il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), comandato dal generale Zingales, [...]

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Pagina 112

Finisce il 31 gennaio 1943 la ritirata del Corpo d'Armata Alpino, anche se bisogna continuare a correre verso ovest altri 500 chilometri, a marce forzate, con qualche tratto in camion, qualche altro in ferrovia. Arriviamo a Slobin, oltre Gomel, da dove verremo rimpatriati. Al Corpo d'Armata Alpino mancano 30000 uomini. Secondo il tenente colonnello Odasso, metà dei mancanti sono da considerarsi prigionieri, metà caduti durante la ritirata. Le operazioni di rimpatrio si concludono il 24 marzo. Per trasportare il Corpo d'Armata Alpino in Russia erano stati necessari 21O treni; per il rimpatrio bastano 17 tradotte.

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Pagina 184

La strumentalizzazione dei dispersi di Russia diventa sfacciata, crudele, penosa. Ben presto inizia una campagna di diffamazione nei confronti della Resistenza, in parallelo con una furiosa «crociata anticomunista».

Dopo i grandi entusiasmi dell'immediato dopo Liberazione i partigiani non sono piu «di moda».

I fascisti, piu o meno camuffati, fiutano l'aria, sentono la situazione, e ricominciano ad alzare la testa. Ho sempre in mente quel Bartolomeo Garro, uno dei miei testimoni de Il mondo dei vinti. Questo povero cristo era stato «fucilato» il 2 febbraio 1945 a San Benigno di Cuneo, assieme ad altri 13. Fucilato, colpito al torace e caduto giú con gli altri morti. Poi è passato Frezza, il comandante di questo plotone della polizia che aveva compiuto la rappresaglia, e gli ha tirato il colpo di grazia passandogli da parte a parte la bocca e il cranio. Comunque si è salvato. Questo povero diavolo, un anno dopo, incontra in Cuneo vecchia, davanti al Bar Nigra - che era un po' il bar del mercato - uno di quelli del plotone di esecuzione. Gli urla: «Vagabondo, disgraziato...» E questo qua gli dice: «Attento! Perché io ti rifilo una querela che te ne accorgi finché vivi. Quel che è stato è stato. Io sono stato prosciolto. Cosa vuoi da me?» Ricordo sempre la storia di Garro, che era ancora vivo pochi anni fa.

Lo Stato democratico è rinato su fondazioni fasciste. La burocrazia è rimasta quella di prima. La cosiddetta «epurazione» si risolve in una beffa. Epurano gli straccetti, quelli che non contano nulla.

Incominciano i processi ai criminali fascisti. Si processano i vari Brachetti, Pocar, Ferrari, Salvi, i piu feroci torturatori, i peggiori assassini. Noi, i partigiani, assistiamo ad alcuni di questi processi della Corte di Assise Straordinaria. E ci rendiamo conto che le molte condanne all'ergastolo non verranno mai scontate. E già nell'aria l'amnistia Togliatti. Solo Ettore Salvi, ex comandante della polizia della Littorio a Borgo San Dalmazzo, pagherà con la vita le sue colpe orrende. Ma ne aveva combinate di cotte e di crude. Verrà fucilato il 12 febbraio 1946, al poligono di Cuneo. L'unico. Gli altri staranno in galera 2-3 anni, poi usciranno liberi. Brachetti era un ufficiale della Forestale, e mi hanno detto che gli hanno ricostruito la carriera ed è andato in pensione da generale. Questo è uno dei responsabili dell'uccisione di Duccio Galimberti.

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