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| << | < | > | >> |Pagina 11Questa è una storia improbabile.Fosse stata altrimenti, o quantomeno più desiderata, avrebbe avuto inizio una domenica mattina. Presto, perché per lui era il momento migliore della giornata, e in aprile, quel tempo strano fra un esile inverno e un'estate prosperosa. Lui avrebbe chiuso dietro di sé la porta di casa e si sarebbe fermato sul gradino a guardare il cielo antelucano. Avrebbe cacciato via il gatto randagio del quartiere dalla sua postazione sul davanzale della finestra. Lo sporco animale gli avrebbe soffiato, poi avrebbe attraversato di corsa la strada per rifugiarsi nel parco. Lui gli avrebbe soffiato di rimando, orgoglioso di avere finalmente sconfitto quella bestiaccia rognosa, e si sarebbe incamminato. Come ogni domenica mattina da quando riusciva a ricordare. Risalendo la strada avrebbe visto la donna del numero diciotto ritirare il giornale dalla soglia di casa. Il freddo mattutino le avrebbe ricordato di buttarsi addosso una vestaglia. Si sarebbero scambiati un gaio, imbarazzato buongiorno. Lui sapeva di lei che era la madre di due vivaci ragazzini i cui nomi non riusciva mai a ricordare. Lei sapeva di lui che lavorava in un qualche settore creativo. Dopo una breve ricerca di terreni comuni lui le avrebbe domandato come andavano i compiti di disegno dei suoi figli. Lui e sua moglie non ne avevano avuti, di bambini. Più avanti avrebbe visto il vecchio del numero dodici e il suo cagnolino avviarsi per la passeggiata mattutina attorno al parco. Uomo e cane lo avrebbero aspettato per salutarlo. Il vecchio si sarebbe portato la mano al cappello e subito avrebbe cominciato a esprimere la sua eccentrica opinione su un argomento qualsiasi. Il cagnolino avrebbe abbaiato al gatto randagio. Lui si sarebbe preoccupato di non contraddire il vecchio per timore di offenderlo, o di dover conversare su un argomento del quale non sapeva niente, o della precaria solidità delle sue stesse opinioni. Si sarebbe strappato una risata di consenso, poi avrebbe augurato il buongiorno all'anziano vicino lanciando al cane un'occhiata diffidente. Avrebbe proseguito fino a Kensington High Street, mugugnando sull'inverno ormai passato. Sarebbe stato bello se fosse riuscito a portare sua moglie in Italia. Ma la cosa sarebbe risultata troppo costosa o difficile o foriera di grazie in ufficio. Avrebbe sospirato fra sé, poi avrebbe cominciato a sorridere man mano che il cielo di Londra passava gradualmente dal nero al grigio al giallo all'azzurro. Avrebbe svoltato nel parco ai Kensington Gardens, oltrepassato il palazzo e proseguito per Broad Walk. Qui si sarebbe sentito molto felice. Si sarebbe fermato per un po' vicino al Round Pond a osservare l'oriente e i cigni, avrebbe strizzato gli occhi in quel suo modo particolare e guardato una ragazzina di nove, dieci anni, con i capelli scuri e sottili bisognosi di un buon taglio o di un nastro, intenta a leggere un libro poco adatto alla sua età. Avrebbe chiuso gli occhi al tepore di un sole che cominciava appena a superare le cime degli alberi carichi di gemme. Avrebbe dato un'occhiata all'orologio, riepilogando i minuti e il programma completo della giornata, poi sarebbe tornato verso casa. Avrebbe ripercorso i suoi passi lungo il Walk, davanti al palazzo, giù per High Street e nella sua via, davanti al dodici e al diciotto e al gatto che nel frattempo sarebbe tornato sul davanzale della finestra, e poi dentro la porta di casa. Sua moglie avrebbe cominciato ad agitarsi nel sonno. Ancora cinque minuti, avrebbe borbottato, a voce abbastanza alta perché lui la sentisse mentre le preparava il tè. Il suo solito tè: tiepido, con troppo latte. Ambrose Zephyr sarebbe stato contento che fosse domenica e che la primavera fosse tornata ancora una volta in quella parte di Londra e che non ci fosse da andare in ufficio. Avrebbe letto le bozze dell'ultimo articolo di sua moglie e (come ogni gentile lettore è tenuto a fare) avrebbe espresso un paio di entusiastici commenti. Si sarebbe interrogato sui giorni a venire e, com'era sua abitudine, avrebbe sognato di fare qualcosa di diverso. E tutto sarebbe finito lì. Ma non è questa la nostra storia. | << | < | > | >> |Pagina 15Verso il suo cinquantesimo compleanno, Ambrose Zephyr fu bocciato al suo annuale esame medico. Gli fu diagnosticata una malattia dalle origini inspiegabili, senza cura nota o prevedibile. Che l'avrebbe ucciso nel giro di un mese. Giorno più, giorno meno.Gli fu suggerita l'opportunità di prendere provvedimenti per il tempo che gli restava da vivere. | << | < | > | >> |Pagina 85Il tardo pomeriggio si allungava su piazza della Signoria. Un David di marmo – muscoloso, affetto da glaucoma, un po' troppo alto per la sua età – ignorava ostentatamente i turisti che si affollavano ai suoi piedi. Alcuni, con le macchine fotografiche in mano, arretravano un po' rispetto all'orda e misuravano cautamente i passi per far entrare nell'inquadratura sia il giovane re che le smorfie dei loro amici. In un angolino tranquillo di un caffè dall'altra parte della piazza, Ambrose ordinò del vino. Due bicchieri. Subito, disse bruscamente. Zipper fu sorpresa da quel modo di parlare. Lanciò a suo marito un'occhiata che lui preferì ignorare.
Si accasciarono sulle sedie. La giornata non era
andata come Ambrose aveva previsto. Tutto era stato troppo, troppi.
Qualche tempo dopo, quelli che lo conoscevano
bene avrebbero detto che non c'era di che stupirsi
della lettera F. Dopotutto sua madre non l'aveva
introdotto –
e in età tanto precoce –
alla grande arte di Firenze? Non era sempre stato orgoglioso –
fastidiosamente orgoglioso –
delle vacanze di fine quadrimestre che aveva trascorso a flirtare con la città?
Non conosceva già tutti i suoi architetti, i Medici, i
grandi maestri? Sapeva i nomi
e
le date.
Un signore anziano stava passando accanto al loro tavolino. Era il ritratto del disinvolto gentiluomo italiano: scarpe lucidate, gemelli, foulard al collo, pratici occhiali da sole. In mano un bastone da passeggio, che picchiettava leggermente sui ciottoli del selciato mentre camminava. Quel bastone inciampò nel tavolo di Ambrose e Zipper. Ci fu una piccola collisione: qualche goccia di vino versato, un passo falso. Il signore italiano si scusò cercando con la mano il bordo del tavolo. Ambrose imprecò sottovoce. Zipper lanciò a suo marito una seconda occhiata, mettendoci un po' più disapprovazione e un po' meno sorpresa. Ambrose sprofondò ulteriormente nella sedia e guardò imbronciato la folla sull'altrolato della piazza. Non è nulla, disse Zipper al signore italiano. Che si girò con tutto il corpo verso la sua voce e sorrise. Zipper andò a prendere un'altra sedia. Il vecchio signore chiese il permesso di fermarsi un attimino in loro compagnia. Solo un momento... le articolazioni, voi capite. Lei ha lo stesso profumo di mia moglie, disse. Zipper fu imbarazzata dall'improvviso rossore delle sue guance. Quando uscivamo a passeggio. Nelle nostre serate lungo il fiume, lei portava sempre questa fragranza. Una donna saggia e intelligente, mia moglie. Questo lo so, avrebbe voluto dire lei: un uomo può vedere un centinaio di donne, desiderarne mille, ma sarà sempre un unico profumo ad aprirgli gli occhi e a volgerlo all'amore. E lui non ringrazierà mai abbastanza gli angeli del paradiso per avergli fatto soffiare bene il naso quel mattino. La ressa dei turisti sotto il giovane re stava diventando sempre più rumorosa. Quella gente, disse il signore italiano. Scattano sempre tante fotografie. Che cosa triste. Fare tanta strada solo per avere delle brutte foto dei soliti amici di sempre. Si strinse nelle spalle. Questa città è troppo per loro, disse. Troppi quadri, troppe chiese, troppi David. Troppe altre persone che scattano fotografie. Lo vedi, il Duomo? Domanda uno. No, vedo solo il retro della tua testa, risponde l'altro. Adesso però basta, disse bruscamente rivolgendosi ad Ambrose. La vita è troppo breve per lasciarsi andare alla malinconia. Ci sono tante altre cose da vedere. Ambrose corrugò la fronte. L'anziano signore cercò la mano di Zipper. Mi permetta un piccolo gioco, disse. Le prese la mano e la chiuse fra le sue. La camicetta della signora, disse dopo un istante, è bianca come il nostro marmo. Nuova, fatta su misura, da uomo. Con i polsini arrotolati, il colletto tirato su. Molto casual. I bottoncini sono slacciati fin qui e – se la signora mi perdona – ne spunta un angolo di pizzo nero o un angolo di qualcos'altro. Un piccolo sorriso si allargava poco a poco sulla faccia di Ambrose. Il gentiluomo continuò. Porta uno scialle di seta – ori e rossi, direi. Una gonna svasata, al polpaccio. Ancora rossa, il colore dei cardinali. È pomeriggio avanzato ormai; gli occhiali da sole li tiene sulla testa. Una ciocca di capelli le ricade su un lato del viso. Strizza un po' gli occhi quando guarda il sole basso all'orizzonte. Piccole zampe di gallina. Dimentico qualcosa? Le scarpe della signora, suggerì Ambrose. Aaah, disse l'altro, eccola qua. Ora anche lei vuol partecipare al mio piccolo gioco. Molto bene. Sono... nere. Sì. Basse. Per il troppo correre qua e là. Per la troppa gente. Per la troppa arte. Ma adesso sto tirando a indovinare. O forse per camminare in riva al fiume?
Ambrose guardò sua moglie. Zipper registrò che
i suoi occhi si erano accesi per la prima volta in
tutta la giornata.
Si fecero portare un terzo bicchiere e brindarono ai giovani re di marmo. Ambrose si scusò per il suo comportamento di poco prima. Non è stata una delle mie giornate migliori, disse. Il signore italiano gli assicurò che non c'era problema. Ambrose gli domandò di sua moglie. L'altro tirò fuori una piccola foto e gliela porse. Può tenerla, disse, ne ho molte altre. Sembra che non siano mai dove le ho lasciate. Ambrose sorrise e passò la foto a Zipper. Lei si aspettava il ritratto vecchio e sbiadito di una donna giovane e bella. La faccia che sorrideva imbarazzata dalla foto, invece, era sciupata, carnosa, un po' pallida. Gli occhi però erano limpidi, i capelli ben acconciati. Una sciarpa costosa avvolgeva morbidamente il collo. Il viso della foto era stampato in rilievo. Creste e scanalature seguivano i tratti principali: sciarpa, capelli, occhi. Il timido sorriso. Credo somigli un po' alla sua signora, disse il gentiluomo italiano. È qualcosa che val la pena di vedere? Lo era, disse Ambrose. Lo è. Il gentiluomo italiano finì il suo vino e si alzò come meglio poté. Baciò la mano a Zipper e si scusò di dover prendere congedo così bruscamente.
Ho promesso di incontrarmi con una presona
in riva al fiume, disse, e riprese a tamburellare con
il bastone sul selciato della piazza. Quando passò
davanti al giovane re di marmo, tirò fuori il fazzoletto dal taschino con uno
svolazzo della mano e si soffiò il naso senza far rumore.
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