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| << | < | > | >> |IndicePremessa 9 Il gigolo 11 Cenni di aviazione 37 Re Jensen 45 Il Club Alpino Danese del 1897 57 Una storia marittima 71 Una deviazione 81 Artur 113 Il verme 131 Una spudorata panzana 141 Postfazione 151 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Il luogotenente Hansen festeggiava i suoi quarant'anni. L'avvenimento attirò amici da vicino e da lontano, desiderando tutti quanti rendere omaggio all'ex militare che si apprestava a passare alla seconda, e probabilmente migliore, fase della sua giovinezza. Tutto sommato la sua avanzata sulla terra era stata facile, nonostante le abitudini militari gli avessero causato in passato qualche dolore ai piedi. Ma gli anni trascorsi in Artide avevano trasformato quelle abitudini in qualcosa di utile, di cui Hansen avrebbe potuto approfittare nei quarant'anni a venire. Si poteva sostenere che il luogotenente Hansen era uscito dal giardino d'infanzia della vita militare per trasformarsi, con l'aiuto di un magnifico paese e di numerosi amici, in un provetto cacciatore Hansen fatto e finito. L'ultimo ad arrivare fu Lodvig. E alle sue calcagna c'era una tempesta di neve così violenta che i cani furono sollevati in volo legati alle loro catene, e sarebbero rimasti strangolati se non si fosse riusciti a scioglierli in tempo. I resti della distilleria saltata in aria con la dinamite vennero scagliati talmente in alto sulle pendici del monte Fimbul, che mai più nessuno sarebbe riuscito a riportarli giù. Il vento alzava nuvole di neve, e il luogotenente Hansen dovette uscire a sparare qualche colpo con il suo 89 per indicare a Lodvig la meta. Ma dentro casa la tempesta non entrò. Certo si sentivano le sue urla selvagge e se ne avvertiva la potenza, quando si abbatteva sul rifugio di Fimbul cercando di strapparlo dalle fondamenta. Le travi del soffitto gemevano e scricchiolavano e il tavolo tremava sotto le raffiche più violente, facendo correre allegramente qua e là bicchieri e bottiglie. Sembrava che anche la natura volesse festeggiare il luogotenente in quel giorno memorabile. Com'è di rito nelle lunghe tempeste artiche, si ammazzava il tempo con le chiacchiere. Si cominciò col dar fondo al repertorio delle storie conosciute da tutti e, una volta esaurito, i cacciatori più anziani passarono alla riserva dei vecchi racconti, il cui ascolto era sicuramente profittevole quanto istruttivo per i giovani. Siverts esordi con "l'uomo di poche parole", che solo i veterani della costa potevano ricordare. Era stato uno dei primi cacciatori inviati lassù dalla compagnia appena fondata. Un uomo bizzarro, che non aveva detto bah per tutto l'inverno trascorso con Siverts a Blæsehytten, il Rifugio del Vento. "Ma a grugnire era bravissimo", spiegò Siverts, "e di notte emetteva minacciosi brontolii nel sonno. Un compagno scontroso e poco ameno, che teneva il becco saldamente chiuso in ogni circostanza, tanto che tutti lo prendevano per muto." Siverts scosse la testa al ricordo. "Fu un anno difficile", ammise. "Sono stato più che felice di poterlo imbarcare da Capo Thompson, l'estate dopo." Levò lo sguardo e lo lasciò riposare sul suo attuale compagno, il Piccolo Pedersen. "Fu solo quando fu portato dalla iole dei marinai di Olsen sottobordo alla Veslemari, che si alzò in piedi nella barca agitando minacciosamente il pugno verso di noi, che eravamo sulla spiaggia. Poi, a voce forte e chiara, in modo che tutti potessero sentire, gridò: 'Figli di puttana!' " Intorno al tavolo si fece silenzio. I vecchi pensavano all'uomo di poche parole, e i giovani avevano sulla punta della lingua mille domande che non osavano porre. Il Bjørk approfittò del silenzio per lanciarsi in una delle sue dissertazioni filosofiche. "L'uomo di poche parole era un caso psicologico molto interessante, che oggi, con un minimo d'analisi, sarei in grado di sviscerare con la stessa facilità con cui si apre una scatola di piselli in salsa. Ma all'epoca la mia conoscenza della natura umana era ben più povera di quella attualmente raggiunta, ed ero, per così dire, impotente. Eppure già allora intuivo che quell'uomo dovesse nascondere un segreto." Bjørk raddrizzò la schiena più che poté, piegò la nuca all'indietro e disse parlando al soffitto: "Il segreto di un segreto sta appunto in ciò che c'è di segreto, amici miei. E un segreto può essere svelato da uno sguardo, un gesto, un'azione o da una cosiddetta parola chiave." Tornò a rannicchiarsi nella sua posizione abituale, si sporse in avanti sul tavolo e fece passare lo sguardo da un volto all'altro con un sorriso da volpe agli angoli della bocca. "Caspita, Bjørk", esclamò impressionato Lasselille, "tu sì che sai parlar chiaro!" Non aveva capito un fico secco. | << | < | > | >> |Pagina 45Nei molti anni trascorsi insieme nel Nordest della Groenlandia, per Valfred e il luogotenente Hansen era diventato un piacevole diversivo per passare le lunghe e buie serate d'inverno raccontarsi a vicenda fatti ed esperienze di una loro precedente vita nel mondo civile. Così, il luogotenente aveva descritto con profusione di dettagli i suoi anni di carriera militare, e anche se Valfred, durante quelle conferenze, dormiva profondamente, il loro contenuto penetrava comunque nel suo subconscio, dove si mescolava con un groviglio di altre impressioni inconsapevoli accumulate nel corso di numerosi anni di dormite. La cosa più incredibile è che in quel groviglio Valfred riusciva perfettamente a ritrovarsi. Poteva ripescare dal profondo l'intera carriera militare di Hansen, completa di nomi, luoghi e date. E poteva servire agli ospiti la vita meravigliosa di Hansen in una versione talmente infiocchettata che, sentendosi rievocato da Valfred, il luogotenente arrossiva fino alle orecchie alla scoperta di essere così straordinariamente eccezionale. Il contributo di Valfred all'illuminazione delle notti polari consisteva in qualche casuale rigurgito dalla palude della memoria, che spesso giungeva del tutto inatteso, come capita del resto alla maggior parte dei rigurgiti. In generale si trattava di eventi che avevano un raggio d'azione compreso tra Roskilde e Slagelse. Tra quei due punti estremi si trovava Ringsted, che era la Mecca di Valfred. Il luogotenente Hansen apprezzava quelle storie senza pretese, ambientate in un mondo per lui sconosciuto ma affascinante. Il più delle volte riusciva a trovare una morale nei racconti di Valfred, morale di cui lo stesso Valfred era magari del tutto inconsapevole, ma che timidamente riconosceva, quando gli veniva mostrata. "Nientemeno, Hansen, tu dici? Sul serio?" Hansen annuì, perché in fondo quella era la sua opinione. "Hansen, Hansen", Valfred scosse la testa. "Hai davvero la mente più sottile degli altri. Vista così la storia diventa addirittura edificante. Mi fa venire in mente Re Jensen. Voglio dire, se tu non me ne avessi fatto notare l'aspetto edificante, parte sarebbe andata, per così dire, sprecata." Valfred guardò con aria d'attesa il luogotenente Hansen, che aveva inchiodato il suo sguardo acuto alla parete, appena sopra la testa di Valfred. Dopo un attimo di riflessione Hansen fece un cenno d'assenso breve e militaresco. "La parte migliore", concluse. Era una fredda sera di febbraio, in cui il vento e il nevischio avevano costretto i due amici in casa per tutto il giorno. Dopo un lungo sonnellino pomeridiano, a Valfred era venuto un po' d'appetito, e per riuscire a trattenersi finché Hansen non avesse preparato la cena, tirò fuori una scatola di sardine sott'olio dalla dispensa. Le scatole erano avvolte in fogli di giornale, che Valfred lisciò con cura e si mise a leggere, prima che finissero bruciati nella stufa. "Guarda un po' qui, piccolo Hansen. Porca miseria, fortuna che non siamo nel Mar della Cina." Stupito, il luogotenente alzò lo sguardo dal solitario che stava preparando. "Cosa leggi?" "Il Roskilde Tidende del 25 febbraio dell'anno scorso. Solo due giorni fa, più ovviamente un anno, notizie fresche, Hansen." "Ma cosa saremmo dovuti andare a fare nel Mar della Cina?" "È proprio quello che dico io. Siamo fortunati a starcene quassù in santa pace." Valfred si raddrizzò gli occhiali sul naso e lesse ad alta voce: "Scrivono che va di male in peggio laggiù, con la pirateria. Ti rendi conto: vera, genuina pirateria, ai nostri giorni. Il governo ha promesso millecinquecento dollari a chi cattura una nave pirata." Lasciò vagare uno sguardo sognante al di sopra degli occhiali. "È uno spavento di soldi, Hansen, ma io non credo che andrei a rischiare la buccia laggiù, nemmeno se me ne dessero il doppio. Mi trovo meglio qui con le le pelli di volpe, è più sicuro. Il Re Jensen però l'avrebbe preso in considerazione." | << | < | > | >> |Pagina 131Doc era senza dubbio l'uomo più indaffarato della costa. Oltre a essere il generatore di corrente per la radio del telegrafista Mortensen, consegnava anche i telegrammi ed era l'unico, nel Nordest della Groenlandia, a esercitare la professione medica. Quest'ultima attività gli dava grandi soddisfazioni. Faceva diagnosi infallibili, aveva una mano sicura per gli interventi chirurgici e le sue competenze mediche erano ampie e diversificate, dato che si serviva volentieri tanto delle medicine che offriva la natura, quanto di quelle dell'industria moderna.
Sopra la sua cuccetta, su una piccola mensola d'angolo,
Doc conservava un grosso barattolo da marmellata. L'etichetta diceva 'varie', e
dentro c'erano un bel po' di cose singolari. Vi si trovava il molare di Herbert,
un pezzo di esemplare nocchiuto e un po' ingiallito, con un cratere nero nel
mezzo. C'erano le dita congelate e scure di Halvor, tagliate con un paio di
tenaglie, un chiodo di due pollici che si era conficcato nel
cloteus maximus
di Fjordur, e dodici pallini da volpe calibro tre estratti dal posteriore di
Mads Madsen dopo una scaramuccia con Fjordur. Inoltre c'era l'appendice di
Lasselille, asportata alla luce della Petrolmax, con il telegrafista Mortensen
in veste di anestesista, armato di Morte Nera e di uno straccio imbevuto di
etere. Tra i reperti più curiosi si segnalava una spirale grigiastra di
una quarantina di centimetri, un tempo appartenuta al Conte. Questa spirale
aveva causato a Doc non pochi grattacapi, essendo stata all'origine di parecchi
disturbi collaterali, dei quali Doc era però brillantemente venuto a capo. Di
tanto in tanto, tirava fuori la spirale e andava a sedersi tenendola tra le
dita. La girava e la rigirava rimembrando quei giorni ricchi di eventi a Grover
Bay.
Siverts e il Piccolo Pedersen erano stati a caccia di orsi, e si erano spinti tanto a nord che decisero di comune accordo di fare una visitina al Conte e all'avvocato Volmersen. Era la stagione in cui gli uomini provano più acuto il bisogno di compagnia e di chiacchiere, perché si sentono imprigionati dalla neve e il loro orizzonte è limitato dal buio. Trovarono il Conte a letto. Un po' di stanchezza generale, nausea, vomito e nessuna inclinazione al vino. Volle era preoccupato. "Si sta consumando, è evidente. E se non migliora finirà che rimarrò solo qui alla fattoria. Sembra che non gli sia rimasto alcun gusto per la vita." Siverts e il Piccolo Pedersen decisero di andare a cercare aiuto. Siverts andò a prendere Doc a Capo Rumpel, e il Piccolo Pedersen si allacciò gli sci e sali fino a Capo Thompson, per allettare Mads Madsen e William il Nero sulle sventure di Grover Bay. Nella Groenlandia orientale le notizie circolano in fretta. Prima ancora che Doc avesse il tempo d'arrivare, quelli di Guess Grave, Lodvig da Ross Bay, e gli abitanti di Bjørkenborg erano già seduti nel piccolo soggiorno del Conte. Una certa solennità scese sull'assemblea nel momento in cui Doc fece il suo ingresso. Perfino il Bjørk, che si era già lanciato in uno psicotest, ammutolì. Il Conte fu sollevato dalla cuccetta e disposto per la visita sul tavolo da pranzo, dove Doc gli tolse la camicia da notte e anche i mutandoni di lana. Così disteso, in puris naturalibus, aveva davvero un'aria conciata male. Era dimagrito da far paura, e lo stemma che un tempo s'era fatto tatuare sul petto si era affossato tanto che le due spighe di segale incrociate spenzolavano tristemente il capo all'altezza dell'ombelico. "Miseria, la vedo male per il Conte", mormorò sconvolto Mads Madsen, "sembra stia per tirare le cuoia." "Non può essere così grave", obiettò Fjordur, "visto che risponde ancora." Doc chiese un po' di silenzio, perché voleva auscultare i polmoni del Conte. Tutti trattennero il fiato, incluso il Conte che per l'appunto avrebbe dovuto tirarlo a fondo. Fu percossa la schiena, furono esaminati occhi, orecchie, naso e gola. Fu ascoltato il cuore e preso il polso e molte altre cose, senza che Doc si lasciasse sfuggire una sola parola di commento. Quando ebbe finito, ordinò di rimettere il Conte nella sua cuccetta e sedette al tavolo, tamburellando nervosamente con le dita sul piano. "E qualcosa di psichico, ovviamente", sentenziò il Bjørk. Doc non rispose. Continuò a tamburellare e a riflettere. Sfogliava mentalmente il manuale di medicina, pagina per pagina, ma non riusciva a trovare nessuna causa per la malattia del Conte.
"Potrebbe essere una sifilide ereditaria", suggerì Lasselille. "Ai nobili
viene sempre. Non dovremmo provare a fargli il test del cucchiaino?"
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