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| << | < | > | >> |Indice9 Prologo 11 Introduzione 19 2015, un anno indimenticabile Così crolla un sistema 45 Non sentitevi soli — Il Monte dei debiti di Siena, 52 — Banca Popolare di Milano. Auto lussuose e fuori controllo, 56 — Banca Carige. Gli affari del presidente, 59 — La politica non paga, 66 73 Il salvataggio — Meglio tardi che mai, 73 — Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. Quando l'oro non luccica più, 77 — Banca delle Marche. Peggio di Sindona, 84 — Cassa di Risparmio di Ferrara. Mattoni da esportazione, 92 — Cassa di Risparmio di Chieti. Non chiamatelo autista, 101 109 Eclisse a Nordest — Veneto Banca. La fabbrica dei schei, 113 — Il ventennio della Popolare di Vicenza, 125 145 Conclusioni |
| << | < | > | >> |Pagina 9«Deme indrìo i me schei!». È lunedì 21 dicembre 2015, poco dopo le nove del mattino e c'è un uomo che urla, all'interno della filiale di Borgo Treviso di Veneto Banca, a Castelfranco Veneto. «Deme indrìo i me schei!», restituitemi i miei soldi. Non vuole sentire ragioni. Gli impiegati dell'agenzia lo conoscono, ha il conto corrente lì, è anche azionista della banca. Ma lui non si calma. «Deme indrìo i me schei!», sbraita, vuole la restituzione di quanto ha investito nelle azioni della banca, soldi che — nei fatti — non esistono più, bruciati, volatilizzati. «Deme indrìo i me schei!». Così, quando non ottiene ragione, scavalca il bancone, spinge via le impiegate che cercano di calmarlo, apre la cassa, arraffa 7.300 euro ed esce, aprendosi la strada con un appendiabiti, usato come leva. I carabinieri lo fermano pochi minuti dopo, ha ancora i soldi in tasca. Finisce ai domiciliari, pentito di quanto ha fatto prima ancora di patteggiare con il giudice un anno, otto mesi e dieci giorni di carcere, con la sospensione condizionale della pena e 500 euro di spese legali a suo carico. È un meccanico di trentacinque anni, racconta che stava rischiando di perdere il lavoro, aveva investito circa 10 mila euro in azioni Veneto Banca che, a questo punto, tornavano comodi. Due giorni prima era stato a Venegazzù, all'assemblea della «sua» banca. Si era sentito preso in giro. Il suo gesto di disperazione è la fotografia di un malessere diffuso. Quel meccanico non è solo, c'è tutta una parte d'Italia che urla «deme indrìo i me schei». Nel Nordest un tempo ricco e felice, la crisi di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza ha smesso di essere un problema economico, è diventato un problema sociale. A quattro giorni dal Natale, non sono le uniche crisi in un anno sensazionale. | << | < | > | >> |Pagina 11Il 2015 è stato un anno indimenticabile per le banche e i risparmiatori italiani. Un anno iniziato con il decreto legge di riordino del sistema delle banche popolari e terminato con il salvataggio sistemico di quattro piccoli e medi istituti locali: la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca delle Marche, la Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife) e la Cassa di Risparmio di Chieti (CariChieti). Un'operazione che ha cancellato quattro banche con una storia secolare e gettato nella disperazione decine di migliaia di risparmiatori, nel frattempo trasformatisi da semplici correntisti a soci delle banche o addirittura in prestatori di denaro alle stesse, attraverso strumenti finanziari elaborati e poco trasparenti, quali sono le obbligazioni subordinate. Un falò delle vanità finanziarie che ha evidenziato, ancora una volta, come sia facile abbindolare gli italiani. Che sono un popolo capace di elevare a virtù sociale il risparmio – uno dei maggiori patrimoni nazionali, una vera e propria ricchezza dell'Italia al pari dell'Arte e come l'Arte relegato in un ruolo di secondo o terzo piano nelle pubbliche priorità, con scarsi investimenti in tutela, conoscenza e promozione – ma che non sanno che cosa farsene una volta accumulato, come proteggerlo e utilizzarlo. Nel 2014, McGraw-Hill Financial, con la George Washington University e la Banca Mondiale, ha condotto una ricerca sulla cultura finanziaria in 148 Paesi; l'indagine ha portato a stilare una classifica nella quale l'Italia è finita dietro a Botswana, Madagascar, Togo e Kenya. Gli italiani sanno risparmiare, ma sono in difficoltà quando devono decidere come investire i propri soldi, una volta messi da parte anche a costo di significativi sacrifici. Non distinguono un'azione da un'obbligazione, un conto corrente da un libretto di risparmio. E se poi chiediamo loro la differenza esistente tra un assegno bancario e un assegno circolare, la maggior parte risponde a monosillabi. Perché? Le ragioni sono diverse. Ce ne sono alcune addirittura storico-sociologiche. | << | < | > | >> |Pagina 17Su equivoci come quello tra prezzo e valore si è creato un buco miliardario, di cui oggi sono chiamati a rispondere in molti. Anzitutto i risparmiatori, che non hanno saputo discernere e orientarsi e si sono fatti imbrogliare, ma in alcuni casi hanno anche ricavato, nel corso degli anni, cospicui dividendi e importanti guadagni in conto capitale. Poi, gli amministratori di queste banche, che hanno agito contro la legge e i regolamenti, convinti di farla franca. Nel corso degli anni non solo hanno avuto comportamenti censurabili, ma si sono anche attribuiti compensi milionari, sontuose liquidazioni, privilegi da nababbi. Si sono costruiti un sistema senza controlli, totalmente autoreferenziale, instaurando delle piccole monarchie sul territorio della Repubblica.Non mancano responsabilità istituzionali, di chi ha lasciato che tutto questo malcostume imperasse e si diffondesse nel corso, almeno, degli ultimi vent'anni: i controlli sono stati talvolta labili, talvolta insufficienti, spesso sono stati caratterizzati da una lentezza inadeguata ai tempi e alla velocità d'azione dei soggetti controllati. E quando i risultati delle ispezioni e delle indagini hanno prodotto i risultati, i verbali, le sanzioni e i richiami, l'applicazione delle misure correttive e delle norme si è dimostrata frequentemente inadatta alla sfrontatezza e alla sofisticatezza delle azioni da censurare. Un intero sistema è imploso. La macchina dei controlli ha mostrato la corda, è apparsa burocratica, inefficace, incapace di prevenire quanto stava accadendo. Ci sono le leggi, gli obblighi, i vincoli, una sovrastruttura normativa a cui non corrisponde rapidità d'azione, intelligenza preventiva. Questo volume racconta la storia di un anno indimenticabile e drammatico, che ha segnato la fine dei re repubblicani del credito e del loro dominio quasi assoluto. L'anno dell'ennesimo grande imbroglio ai danni dei risparmiatori sprovveduti e dell'Europa, che ha riformato le regole del sistema delle banche. Un anno che vogliamo resti memorabile, perché solo avendo chiaro quanto è accaduto in questi dodici mesi possiamo sperare non accada più. Milano, 15 gennaio 2016 | << | < | > | >> |Pagina 156Ricordate il film The wolf of Wall Street? C'è una scena indimenticabile, quella della vendita delle azioni al telefono. Da una parte lo sprovveduto risparmiatore, dall'altra un determinatissimo venditore, un broker. Bene, questo tipo di vendita in Italia non è possibile, ma la tendenza è quella, cambia il luogo, i modi, ma voi siete una delle due parti di quella transazione. E davanti all'aggressività e alla spudoratezza dei mercati dovete avere gli strumenti per riconoscere, rispondere, reagire.Il bail-in, per esempio, è il grande spavento di questo inizio d'anno. Ma che cos'è, nei fatti, e come può condizionare il futuro dei vostri risparmi custoditi in banca? È una regola europea, che l'Italia ha dovuto fare propria e che si basa su un principio chiaro: in caso di crisi di una banca, chi si è esposto investendo in strumenti finanziari più rischiosi sarà chiamato a intervenire in misura maggiore all'eventuale risanamento. Così se siete azionisti della banca, il valore delle vostre azioni potrebbe diventare zero. Correte dei rischi anche se avete sottoscritto delle obbligazioni subordinate della banca. Quella parola, subordinate, è molto pericolosa. Significa che quelle obbligazioni potrebbero essere considerate al pari delle azioni, quando queste non dovessero bastare a colmare il «buco» creatosi in banca. In pochi hanno poi chiarito una cosa: se voi avete il conto nella banca Uno, e nel vostro deposito titoli ci sono azioni sia della banca Uno sia della banca Due; se la banca Uno va male, nessuno toccherà i vostri titoli della banca Due. Un principio da tenere a mente, come deve essere chiaro lo schema delle priorità di intervento da parte delle autorità bancarie: azioni e titoli assimilati (azioni di risparmio e titoli convertibili) pagheranno per prime; poi, titoli subordinati e senza garanzia; quindi, obbligazioni bancarie non garantite; e infine si potranno andare a toccare anche i depositi superiori ai 100 mila curo, ma solo per la parte eccedente i 100 mila euro. Quindi, in buona sostanza, state attenti a che cosa comprate e ancor di più a che cosa vi vogliono vendere. Non c'è nessuna autorità pubblica che potrà tutelare i vostri risparmi meglio di voi. Ma per far questo dovete essere in grado di capire, almeno, la natura dei prodotti finanziari in cui investite i vostri denari.
La Costituzione infatti non basta: sarebbe come
richiamarne l'articolo 1 («L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro»), nel
momento in cui venite licenziati.
Durata dei mandati, governance e richiami al territorio sono dunque nulla senza conoscenze basiche di economia e finanza. Conoscenze che, ripetiamo, talvolta mancano agli stessi operatori. La conferma, grottesca e surreale, è avvenuta alla fine del 2015 dalla Federazione Veneta delle Banche di credito cooperativo. Ancora il Veneto, dunque, dove non si è voluto farsi mancare nulla. La Federazione, quindi un organo di secondo livello, è arrivata a mettere a disposizione un plafond di complessivi 30 milioni di euro per emissioni obbligazionarie. Obbligazioni, quindi bond, anzi mini bond, quello strumento appositamente pensato per finanziare lo sviluppo di piccole e medie imprese, l'anima e il tessuto sociale dell'imprenditoria italiana. Soldi raccolti tra i risparmiatori o tra gli investitori istituzionali per favorire progetti di crescita e di sviluppo. Ma non in Veneto. Infatti, secondo la Federazione delle Bcc, i fondi erano destinati in parte «a nuovi investimenti materiali, immateriali e finanziari», e in parte «per il finanziamento del circolante, orientato in primis al pagamento di fornitori, stipendi e imposte». Avete capito bene. Obbligazioni, quindi strumenti di debito, utilizzate per pagare i debiti, per pagare i fornitori e i dipendenti, per pagare le tasse. Un circolo senza fine, una distorsione della natura dei minibond. Un tradimento ideologico, dei fini stessi per cui era stato pensato lo strumento finanziario. Con buona pace di chi ha sottoscritto. Resta il senso di smarrimento. Dopo un anno indimenticabile, il 2016 è iniziato con la ricerca della fiducia e della solidità, davanti alla minaccia incombente del bail-in. Un Paese moderno, la settima potenza economica al mondo, non può prescindere da un sistema bancario sano, solido e concorrenziale, in cui riporre non solo i risparmi ma soprattutto la fiducia dei cittadini. La sbornia è alle spalle, l'epoca in cui uno sportello bancario veniva pagato 12,4 milioni di euro (2008, dalla Popolare di Vicenza) è definitivamente tramontata. Resta un gran mal di testa, ma la rivoluzione copernicana in corso non finirà a breve. Anzi. I risparmiatori dovranno maggiormente tutelarsi, informarsi, affinare le loro conoscenze finanziarie. Ma le banche, tutte, dovranno attivarsi per riconquistare un rapporto fiduciario pesantemente compromesso. La partita è aperta. I giocatori in campo. Solo attrezzandosi sul fronte della solidità e dell'affidabilità e solo investendo in una rinnovata comunicazione con il cliente-risparmiatore, le banche riconquisteranno credibilità e fiducia.
I sei istituti a lungo citati in questo lavoro hanno
cambiato pelle. Altri, i più grandi e importanti del sistema creditizio
italiano, non hanno fortunatamente avuto bisogno di farlo.
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