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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione Il diritto al territorio Étienne Balibar 25 Introduzione 33 Capitolo primo - Cittadini migranti 33 1. Il "posto" delle migrazioni nel dibattito sulla cittadinanza 40 2. Asimmetrie liberali 46 3. Cittadini e ospiti 51 4. Cittadini globali 59 5. La proprietà dei cittadini 64 6. Il lavoro degli immigrati 70 7. Cittadini illegali 77 Capitolo secondo - Cittadini d'Europa 77 1. Europa di confine 82 2. Ethnos e territorio della nazione europea 89 3. Riposizionare il confine orientale 95 4. L'identità dello spazio europeo 104 5. Il governo della circolazione nello spazio di "libertà, sicurezza e giustizia" 111 6. Gli spazi della cittadinanza 117 Capitolo terzo - Cittadini del confine 117 1. Cittadinanze postcoloniali 123 2. I confini dell'ordine europeo 130 3. L'estensione dei confini europei (e la loro funzione di appropriazione) 139 4. I confini interni dell'Europa (e la loro funzione di differenziazione) 150 5. I confini diacronici dell'Europa 159 Capitolo quarto - Confini d'Europa 159 1. Confini virtuali di spazi concreti 168 2. Confini e frontiere nelle scienze sociali e nel diritto 175 3. Diritto al territorio e diritti sul territorio 181 4. Confini d'Europa 187 5. Confini d'ordine 191 6. Confini di produzione 198 7. Disporre dello spazio 204 8. Confinare la mobilità 210 9. Il tempo dei confini e il tempo della cittadinanza 223 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 25Introduzione
To outline the experience of the migrant worker and to relate this to what
surrounds him — both physically and historically — is to grasp more surely the
political reality of the world at this moment. The subject is European, its
meaning is global. Its theme is unfreedom. This unfreedom can only be fully
recognized if an objective economic system is related to the subjective
experience of those trapped within it. Indeed, finally, the unfreedom is that
relationship.
John Berger,
Gli spalti dello Stadion Dziesieciolecia, collocato in una zona semi centrale di Varsavia sulla riva destra della Vistola, circondano un campo di alte erbacce che non è mai stato utilizzato per alcuna attività sportiva. Dal 1989 quegli stessi spalti si sono però trasformati nel più grande mercato all'aperto della capitale polacca e nel maggior centro di scambi commerciali per i cittadini provenienti, in particolare, dall'Ucraina e dalle altre Repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Oltre a quella polacca e ucraina, che rappresentano la componente più numerosa, vi svolgono attività commerciali persone di nazionalità rumena e vietnamita, migranti provenienti dall'Africa e da altre regioni dell'Asia e del Caucaso. Durante gli anni Novanta, la principale attività economica degli ucraini presenti in Polonia è stata il commercio di beni tra i due paesi, facilitato da una sostanziale apertura delle frontiere dell'Europa centrale e orientale, primo effetto del cosiddetto "collasso" dei regimi comunisti. A partire dal 1997 le restrizioni legislative e amministrative imposte dalla Polonia alla libertà di circolazione transnazionale hanno fatto decrescere l'ammontare degli scambi, andando a incidere soprattutto sulla mobilità di coloro che attraversavano il confine per brevi viaggi commerciali della durata di uno o due giorni (Grzymala-Kazlowska, Okolski 2003). Ciò nonostante, la presenza ucraina nel mercato di Stadion Dziesieciolecia è ancora molto numerosa ma, a differenza che negli anni Novanta, molti dei lavoratori migranti si trovano ora in posizione di "irregolarità" rispetto alle norme sull'ingresso e il soggiorno. Ad alcune migliaia di chilometri di distanza, nell'area antistante la stazione centrale di Napoli (piazza Garibaldi) e nelle strade limitrofe, vi sono mercati che, già dagli anni Novanta, sono frequentati da acquirenti e da venditori la cui composizione nazionale è analoga, pur se diversa nelle proporzioni, a quella presente nello stadio di Varsavia. Le lavoratrici ucraine e polacche vi si incontrano il giovedì e la domenica (giornate di riposo dall'attività di lavoro domestico) e vi effettuano acquisti, specialmente di capi di abbigliamento, che solitamente vengono spediti nei paesi di origine (Dines 2001; 2002). Anche le merci vendute dai commercianti provenienti dall'Africa sub-sahariana, come occhiali, scarpe e abbigliamento sportivo, sono simili a quelle che i migranti che provengono dalle stesse aree geografiche vendono nel mercato di Stadion Dziesieciolecia. Mancano a Napoli chioschi alimentari gestiti da vietnamiti, mentre aumenta il numero di ristoranti e altri negozi della zona gestiti da cinesi. D'altro canto, vi è un elemento ulteriore che accomuna Napoli a Varsavia. Alla domanda sul perché a Napoli la presenza delle lavoratrici provenienti dalle ex Repubbliche sovietiche, diversamente da quella polacca, abbia subito un notevole incremento negli ultimi anni rispetto agli anni Novanta, una sindacalista di origine polacca mi ha risposto in questo modo: Prima venivano in Polonia perché le frontiere erano aperte. Non venivano per fare le lavoratrici domestiche, ma il piccolo commercio. Poi qualcuna ha iniziato a fare il visto per l'Italia e la voce si è diffusa: funziona così.
Pur se con i dovuti distinguo, analogie simili a quelle evidenziate tra lo
Stadion Dziesieciolecia
e l'arca antistante la stazione di Napoli si possono rintracciare in altre
metropoli europee. Allo
Stadion Dziesieciolecia,
così come nei mercati di Napoli, ci si trova di fronte ad altrettante
riproduzioni di quei "confini globali" che
Étienne Balibar
ha descritto come istituzioni che tendono a rimpiazzare modelli più
convenzionali di confine con "varie forme di flessibile equilibrio tra forze
'esterne' e 'interne' confliggenti, e sono sostenute da più rafforzati e estesi
'confini globali' che appaiono come proiezioni territoriali dell'ordine (o
disordine) politico mondiale" (Balibar 2004, p. 5; corsivo nell'originale). Si
badi, però, che l'idea di confine non è utilizzata qui solo nel suo significato
metaforico, come sempre più spesso accade in scritti e articoli che, da
discipline diverse, si richiamano al filone dei
border studies.
Il visitatore attento non solo alla merce in esposizione noterà
che una delle scene più frequenti alle quali si può assistere nello stadio di
Varsavia è quella dei venditori migranti che, dopo
aver riposto la merce in fretta e furia, si allontanano dal proprio stand
all'avvicinarsi della polizia di frontiera. E proprio
questa infatti, lontana alcune centinaia di chilometri dai confini convenzionali
della Polonia, una delle aree pattugliate più
assiduamente dalla polizia di frontiera che ha il suo quartier
generale nel centro di Varsavia. Lo
Stadion Dziesieciolecia,
più che rappresentare una metafora del confine, è quindi una tangibile
proiezione dei suoi molteplici significati, a partire da quello letterale di
uno spazio con-diviso, fino a quello che vede il riprodursi in esso di misure di
pattugliamento e controllo tipiche delle linee di partizione geopolitica fra gli
Stati.
L'ipotesi di ricerca di questo libro parte da una domanda semplice, che interroga il nesso costitutivo che da sempre la nozione di cittadinanza intrattiene con quella di confine. Eppure, già l'immagine dello stadio di Varsavia, così come gli elementi che lo accomunano ai mercati di Napoli, restituisce il tema alla sua complessità. Non ci parla infatti di confini che demarcano sfere di appartenenza esclusive, limitate e omogenee, bensì di istituzioni che riproducono e diffondono il proprio ordine gerarchico su tutto lo spazio europeo. In altre parole, istituzioni la cui meccanica revoca in dubbio la nozione stessa di cittadinanza quale status omogeneo che trova applicazione all'interno di precisi confini territoriali e giuridico-politici. Dopo quasi due decenni in cui la cittadinanza si è imposta come uno dei temi centrali del dibattito filosofico, politico e giuridico, non sembra dunque possibile eludere ancora la domanda sul significato che assume continuare a investigare questa categoria, invece di escogitarne una più adatta a rappresentare le sollecitazioni alle quali sono sottoposte le società contemporanee. La sterminata letteratura critica sulla cittadinanza – di cui il primo capitolo offre una parziale rassegna – ne ha messo in luce limiti e tensioni, determinati sia dalle trasformazioni dell'orizzonte politico e istituzionale in cui la moderna nozione di cittadinanza si è sviluppata, sia dalle richieste di nuovi soggetti individuali o collettivi che hanno fatto della cittadinanza il terreno di rivendicazione delle loro domande di riconoscimento. Anche l'argomento trattato in questo libro, stringendo il fuoco sulle trasformazioni della cittadinanza in relazione al governo delle migrazioni transnazionali, se da un lato si inserisce nel quadro teorico tratteggiato, dall'altro, allude ai suoi limiti. Eppure, proprio il fatto che la grammatica della cittadinanza continui a essere utilizzata anche da coloro che ne sono parzialmente o totalmente esclusi lascia intravedere l'opportunità di approfondire la ricerca in questo campo, a condizione, però, che si assuma questa categoria come un campo aperto alla contestazione e una nozione che richiede di essere contestualizzata. Il contesto nel quale si è scelto di parlare di migrazioni e cittadinanza è quello delle trasformazioni dei confini europei, in particolare, nell'ambito dell'allargamento a Est dell'Unione. Il dibattito sulle riforme costituzionali nei paesi dell'Europa centro-orientale ha teso, da un lato, ad attribuire gli aspetti escludenti della cittadinanza a processi di costruzione nazionale di livello intra-statuale, dall'altro, a interpretare il rafforzamento di un'appartenenza sovranazionale come connesso a processi di destatualizzazione. Questa rappresentazione dicotomica ha generalmente soprasseduto sul governo della mobilità transnazionale come cifra caratteristica della cittadinanza europea. Una caratteristica che, nel secondo capitolo, è esemplificata proprio a partire dalle trasformazioni che i confini orientali dell'Europa hanno subito nel corso degli ultimi due decenni. La Polonia (paese che ha recentemente fatto ingresso nell'Unione europea), la Romania e la Bulgaria (paesi candidati di cui è previsto l'ingresso nel 2007) sono i paesi scelti, nel terzo capitolo, come casi di studio per analizzare il processo di recepimento dell' acquis Schengen nelle legislazioni su immigrazione e asilo, e per mettere in luce come la meccanica dei confini europei si rifletta all'interno degli ordinamenti nazionali. La ricerca che viene presentata in questo libro si presta, tuttavia, a livelli di lettura ulteriori rispetto a quello informativo. L'ipotesi analitica seguita nell'investigare le trasformazioni dello spazio giuridico e politico dell'Europa – ed esplicitata nell'ultimo capitolo – inverte il ruolo che, in riferimento alla cittadinanza statuale, hanno avuto, rispettivamente, l'istituzione dei confini e l'istituzione del territorio. La tendenza a una crescente "disaggregazione" del principio territoriale nelle trasfigurazioni contemporanee della sovranità ha portato la letteratura sull'Europa a disinteressarsi di uno dei temi classici della scienza giuridica. Ovvero, di come la legge e i suoi ambiti di governo si dispongono nello spazio. Riportare questo tema al centro del discorso risulta, invece, fondamentale per comprendere il processo di "costituzionalizzazione materiale" della cittadinanza europea. Un processo che va ben oltre la sua formalizzazione istituzionale, e le cui sfaccettature possono essere ricomposte all'analisi solo se viene accettata la sfida di non sottorappresentare l'esperienza soggettiva di coloro che attraversano i diversi spazi di cui l'Europa si compone. Non si tratta di una sfida semplice, soprattutto per discipline, come la filosofia e la scienza giuridica, dove la forma e le categorie assunte dal contesto istituzionale rischiano spesso di segnare i limiti entro i quali viene costretta la ricerca. Č probabilmente questa la ragione per cui il dibattito sulla cittadinanza si è mosso, prevalentemente, all'interno di un discorso normativo costruito sulla dicotomia tra cittadini e stranieri. Un orizzonte che, rappresentando le migrazioni come un fenomeno che preme dall'esterno sui confini della cittadinanza, impedisce di vedere come le donne e gli uomini che ne sono protagonisti non si pongano affatto al di fuori di tali confini, ma ne siano, piuttosto, la contestazione immanente. Parlare di migrazioni e cittadinanza descrivendo le trasformazioni dello spazio giuridico europeo, e ricollocando i migranti tra gli attori di queste trasformazioni, risponde, in questa prospettiva, a una scelta metodologica precisa. Quello che si propone non è un modello alternativo di cittadinanza, ma un criterio che consenta di rappresentare la particolare relazione che intercorre tra la mobilità agita dai migranti, le trasformazioni dei confini europei e quelle della cittadinanza: in altre parole, di rappresentare la stessa cittadinanza europea nella sua complessità. | << | < | > | >> |Pagina 77Capitolo secondo
Cittadini d'Europa
1. Europa di confine Parlare dí cittadinanza e di diritti dei migranti decontestualizzando dalle trasformazioni dello spazio che le migrazioni attraversano risulta fuorviante. Rischia di far apparire le migrazioni come un oggetto di ricerca astorico ed essenzializzato: quasi che se ne potesse parlare a prescindere dalla specifica forma di organizzazione giuridico-territoriale rispetto alla quale viene costruita la distinzione tra cittadini e stranieri. Assumere la cittadinanza nella sua dimensione contestuale significa certamente riconoscere come essa si sia presentata sotto forme diverse a seconda dei mutati contesti storici, sociali, politici e istituzionali; ma significa anche riconoscere come questi non siano le narrative di evoluzioni deterministiche, bensì il risultato di processi concreti e conflittuali. Il contesto a cui si farà riferimento nell'indagine analitica sulle trasformazioni della cittadinanza è quello dell'Europa e delle trasformazioni del suo spazio giuridico e politico. L'Europa non è certo soltanto, e neppure principalmente, un'espressione geografica. Ciò nonostante, i processi di trasformazione che la investono non fanno venire meno la necessità di considerare come i dispositivi della sovranità, pur se trasfigurati, continuino a distendersi nella dimensione dello spazio. Una dimensione che per essere compresa non può prescindere dai confini che la delimitano, siano essi confini geografici, simbolici o politico-giuridici. Sono i confini in quanto "soluzioni di continuità" nell'estensione dello spazio (Cella 2006) a renderne conoscibili le partizioni e, allo stesso tempo, è la possibilità di superarli a far sì che la continuità dello spazio venga percepita come una condizione possibile. Anche lo spazio giuridico segue regole che vengono dettate dai suoi propri confini: ovvero, da quelle norme e disposizioni che governano la condotta umana attraverso lo spazio. L'ambito topografico e cronologico rispetto al quale le norme producono i loro effetti è determinato dalle norme stesse, secondo quel rovesciamento di prospettiva per cui, nella modernità, sono la politica e il diritto a dare forma allo spazio geografico, rendendolo politico (Galli 2001). Questo, tuttavia, non deve far perdere di vista che, come ha evidenziato Georg Simmel, le forme specifiche di organizzazione della politica "ottengono soltanto in virtù di altri contenuti la particolarità dei loro destini" (1908, p. 523; corsivo mio). I confini dell'Europa attengono a questo secondo genere di contenuti. Non potendo essere circoscritti a quella linea di demarcazione territoriale che, come già sottolineava Friedrich Ratzel (1897), ne costituisce solo l'astrazione figurativa, essi rappresentano piuttosto la zona di tensione dove, venendo esercitata in relazione a un limite, l'interazione umana si manifesta come "un'azione reciproca del tutto caratteristica" (Simmel 1908, p. 531): Non già i paesi, i fondi, il circondario cittadino e quello regionale si delimitano l'un l'altro; ma sono gli abitanti e i proprietari che esercitano l'azione reciproca alla quale si è testé accennato (ib.).
Parlare delle trasformazioni dello spazio giuridico e politico europeo
richiede di esplicitare, se non una sua aprioristica definizione, per lo meno le
principali coordinate entro le quali viene orientato il discorso. Lo spazio
giuridico europeo viene indagato qui secondo una prospettiva che lo vede
coincidere con l'estensione dello stesso ordinamento europeo, inteso, a sua
volta, come un ordinamento composito nel cui ambito le legislazioni e le prassi
nazionali non giocano un ruolo indipendente rispetto alle regole riconducibili
direttamente alla produzione normativa delle istituzioni europee. Allo stesso
tempo, l'ordinamento europeo riconosce e comprende gli ordinamenti degli Stati
membri, senza, tuttavia, essere finalizzato al loro superamento. Investigare
entrambi i livelli nella loro complessità è una scelta obbligata
quando si voglia fare riferimento al processo di "costituzionalizzazione
materiale" dell'Europa, il quale rimanda a una
letteratura critica che considera l'ordinamento europeo come un processo in
dinamica trasformazione (cfr., per esempio, Weiler 1999; in Italia, Cassese
2002; Torchia 2006) e del quale fanno parte sia gli Stati che – con rilevanza
ancora maggiore – i loro cittadini (Cassese 2003, pp. 29 sgg.). Che
l'Europa si trovi al cospetto di un rilevante "momento" costituzionale (Walker
2005; Weiler 1999) non dipende certo dalla sua formalizzazione in un trattato,
ma appare evidente adottando una prospettiva più ampia che tenga conto delle
dimensioni
materiali
dei processi in corso. Utilizzando il termine di "costítuzionalizzàzione
materiale" non si propone pertanto di indicare un diritto superiore o un insieme
di principi che regolano di fatto la convivenza sociale, ma di cogliere il
diritto ovunque esso si ponga come costitutivo, o quantomeno come
trasformativo
dell'esistente anche in riferimento ai rapporti
sociali e alle loro gerarchie (Weiler 1999).
Vi è, poi, un'accezione ulteriore che emerge quando si guardi all'Europa come a
un'entità politica non riconducibile alla sommatoria di sovranità, pur limitate,
degli Stati che la compongono, ma neppure contrapposta a esse: ovvero, la
necessità di cogliere il carattere processuale della sue dinamiche di
costituzionalizzazione, piuttosto che provare a rappresentarne gli esiti
possibili come definitivi.
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