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| << | < | > | >> |Pagina 7L'equipaggio di terra aveva quasi finito la sua litania. Gli uomini erano in fila, a testa bassa, stagliati contro l'ultimo pallido bagliore del tramonto; sotto di me il veicolo di lancio fremeva sommessamente, dell'acqua sfrigolava attorno a un rivetto arrugginito della caldaia. Una folata calda soffiò verso l'incastellatura, portando gli odori del vapore e dell'olio, mescolati con quello onnipresente della vernice impermeabilizzante. Al mio fianco il capitano sbuffò, apparentemente con impazienza; mosse i piedi, affondò la testa da toro ancor più fra le spalle. Guardai l'hangar immerso nella penombra, osservando la scena già vista tante volte: i rotoli di cavo, alti quanto un uomo sui loro carrelli, le lame brillanti delle attrezzature di ancoraggio, la mole del complicato meccanismo di sollevamento. Al centro dell'hangar, sopra il cesto di vimini dell'osservatore, la luce soffusa delle lampade a olio cresceva furtivamente, mostrando l'intreccio delle travature, i quadranti degli indicatori della velocità del vento, ciascuno appeso al suo complesso di montanti. Gli aghi neri vibravano, spostandosi su e giù lungo la scala; più in là, appena visibile nella penombra, c'era la massa complessa dell'aquilone principale, le scure ali distese ai lati. Il giovane prete voltò una pagina del suo libro, gettando una rapida occhiata verso l'incastellatura. Indossava la porpora di Cappellano, ma la sua faccia preoccupata ne tradiva la giovinezza. Non doveva essere terminato da molto il noviziato; la presenza di un maestro era un pesante fardello per lui. La sua voce mi raggiunse dal basso, un suono fievole che si mescolava con il rumoreggiare del vento all'esterno. — Ti imploriamo dunque Signore di aggiungere la tua vigilanza alla nostra, all'arrivo della notte, cosicché la terra possa essere preservata, secondo il Tuo patto... — La risposta finale fu mormorata; il prete compì un passo indietro, chiudendo il breviario con evidente sollievo. Scesi i gradini di grata metallica fino al pavimento dell'hangar, e mi diressi senza fretta verso il cesto di vimini. Non c'era ancora segno di Canwen, l'osservatore; ma questo era prevedibile. Un aviatore della sua anzianità conosce, come anche la Chiesa medesima sa, il valore delle forme appropriate. Si sarebbe presentato al momento giusto, non prima. Spruzzai olio e terra, come vuole il rituale, mormorai la mia benedizione, affissi il Grande Sigillo della Chiesa Variante al bordo del cesto e feci un passo indietro. Dissi: — Che la Guardia abbia inizio. Immediatamente l'hangar si trasformò in una scena di ordinata confusione. Archi al tungsteno si accesero sibilando, gettando la loro luce dura e meno tollerante; vennero urlati ordini, e i Cadetti corsero verso le porte all'estremità dell'hangar, cominciando ad arrotolarle. Il vento entrò immediatamente ruggendo, gonfiando e facendo scricchiolare i fianchi in tela della struttura. I globi ad arco oscillarono, facendo balzare le ombre sui fianchi ricurvi. La valvola del veicolo di lancio emise il suo sibilo; io risalii sull'incastellatura mentre il pesante veicolo usciva all'aria aperta. Rimisi i sacri vasi nella loro valigia, chiusi la serratura e mi raddrizzai. Il capitano mi osservò con la coda dell'occhio, poi guardò i quadranti. — La velocità del vento è troppo elevata, di otto o dieci nodi — grugnì. — E ci sono folate improvvise. Non è una sera adatta per volare. Inclinai la testa. — L'osservatore deciderà — dissi. Lui sbuffò. — Canwen volerà — disse. — Canwen vola sempre... — Girò sui tacchi. — Vieni in ufficio — disse. — Vedrai altrettanto bene da lì. Comunque, non c'è molto da vedere per il momento. — Io diedi un'ultima occhiata alla fila di finestre spruzzate di pioggia, poi lo seguii. La stanza in cui entrammo era piccola, spartana quanto il resto della base. Una lampada a olio bruciava in una nicchia; su uno scaffale c'erano manuali e libri di testo consunti; un altro era occupato da schedari massicci. Un radiatore da parete forniva almeno un'apparenza di calore; c'era una cassaforte quadrata, e accanto una vecchia scrivania metallica. Su di essa c'era una fotografia incorniciata in argento; una fila di giovani, davanti a un antiquato veicolo di lancio. Il capitano vi gettò un'occhiata e rise, senza molta allegria. — Il giorno del brevetto — disse. — Non so perché la tengo. Tutti gli altri sono morti e sepolti da anni. Io sono l'ultimo; ma ero quello fortunato, naturalmente. — Andò zoppicando verso un armadietto in un angolo, l'aprì e ne prese due bicchieri e una bottiglia. Versò, si voltò a guardarmi. Disse: — È passato tanto tempo, Helman. Non risposi subito. I capitani sono, per tradizione, tipi bizzarri. Passando la maggior parte della loro vita sulla Frontiera tendono a dare scarso peso alle convenzioni sociali che la maggior parte di noi rispetta; e tuttavia la sicurezza del Regno dipende dalla loro vigilanza, e questo lo sanno molto bene. La cosa conferisce loro una superiorità se non reale, almeno morale. E lui sembrava deciso a usare, se non ad abusare, della sua posizione fino in fondo. E comunque, se voleva ignorare il nostro rispettivo rango c'era poco che potessi fare. In pubblico potevo rimproverarlo. In privato avrei soltanto rischiato di perdere ulteriormente la faccia. Di conseguenza rimasi impassibile e presi il bicchiere che mi offriva. — Sì — dissi con calma — è passato tanto tempo. Lui mi stava scrutando. — Be', almeno uno di noi se l'è cavata bene. Io non ho gran che da mostrare per vent'anni di servizio; a parte una gamba di due pollici più corta dell'altra. — Indicò con un cenno del capo il mio abito. — Dicono che un giorno o l'altro sarai in lizza per il titolo di Gran Maestro. Oh sì, sentiamo anche noi le chiacchiere, anche in questo buco schifoso. — Tutto — dissi — è nelle mani di Dio. — Sorseggiai cautamente. I liquori dell'entroterra non sono rinomati per il loro aroma, e questo non faceva eccezione; spirito grezzo, a quanto potevo giudicare, probabilmente distillato in uno dei miseri villaggi attraverso i quali ero passato ultimamente. Lui ebbe un'altra delle sue risate sincopate. — Più un piccolo aiuto politico della Chiesa Variante. Ma tu hai sempre avuto la lingua pronta, quando era il caso. E sapevi come farti gli amici giusti. — Non tutti siamo Chiamati — dissi bruscamente. Ci sono dei limiti a tutto; e lui stava spingendomi pericolosamente vicino al mio. Mi venne il sospetto che fosse già abbondantemente ubriaco. Andai alla finestra e guardai fuori, ma non si vedeva nulla. Il vetro mi restituì il riflesso di un colorato Berretto di Manutenzione, la grande fibbia alla gola, una faccia cupa e preoccupata. Intuii che si stringeva nelle spalle. — Non tutti siamo toccati in testa — disse amaramente. — Non mi crederai, e anch'io trovo difficile crederci; ma una volta ho avuto anch'io l'occasione dello scarlatto. E l'ho rifiutata. Lo sai che c'era un tempo in cui ci credevo davvero, a tutto quanto? — Fece una pausa. — Cosa non darei per riavere indietro la mia vita. Non rifarei gli stessi errori. Un palazzo a Middlemarch, ecco quello che avrei; un sacco di servitori, e buon vino da bere. Non questa schifezza... Aggrottai la fronte. Per quanto rozzi fossero i suoi modi, aveva qualcosa che richiamava i ricordi; risate e odori di altri anni, tocchi di mani. Noi tutti abbiamo i nostri sacrifici da fare; è il modo del Signore di chiederli. C'era un palazzo estivo, senza dubbio, con alberi in fiore in primavera; ma era un palazzo vuoto. Mi voltai. — Cosa vuoi dire con "credevo a tutto quanto"? Lui agitò una mano. — Il Corpo. Le balle che insegni tu. Pensavo che il Regno avesse davvero bisogno di noi. Sembra assurdo adesso. Anche a me stesso. — Vuotò il bicchiere con un sorso e tornò a riempirlo. — Non bevi? Posai il mio bicchiere. — Credo sia meglio che vada a guardare da fuori. — Non c'è bisogno — disse lui. — Non c'è bisogno, schermo la lampada. — Abbassò sulla lampada una specie di paralume di tela grezza. Poi sul campo sottostante si accesero alcune lampade ad arco, e tutto tornò chiaro come alla luce del giorno. Le ancore, osservai, erano state estratte dal retro del Veicolo di Lancio. — Non ne abbiamo mai avuto bisogno, finora — disse il capitano, al mio fianco. — Ma in una notte come questa, non si sa mai. Una sfera di fuoco luminosissimo salì nel cielo e si inarcò veloce verso est. Al segnale i cadetti cominciarono a muoversi, portando il primo degli aquiloni sulle spalle. Lo lanciarono in alto, e il cavo si tese con rumore sordo. La cosa rimase sospesa, vibrando, a pochi centimetri dalle loro teste, poi impercettibilmente cominciò a salire. Alcune lampade mobili la seguirono; entro pochi secondi si perse fra le nuvole che correvano veloci. I fasci di luce non mostrarono altro che gocce di pioggia rilucente. — Il pilota — disse brevemente il capitano; poi mi lanciò un'altra occhiata. — Ma non ho bisogno di ricordare questo a un maestro. Intrecciai le mani dietro le spalle e dissi: — Rinfrescami la memoria. Lui ci pensò un po'; poi sembrò arrivare a una decisione. — Volare con un Cody non è facile — disse secco. — Quei fottuti imbecilli a casa credono che sia come una gita a Middle Park. — Si fregò la faccia e la barba grigio ferro, ispida. — Il pilota porta su centocinquanta metri di cavo. Meno, se troviamo dell'aria stabile. Poi vengono i sostentatori. Tre in una bella giornata, quattro, ma in caso di necessità possiamo mandarne su di più. Compito del pilota è di portare il cavo principale, compito del cavo è di stabilizzare i sostentatori. È tutta questione di equilibrio. — Ancora un'occhiata di sbieco; ma se si aspettava un mio commento alla sua ovvietà, rimase deluso. Un getto di vapore uscì dal veicolo di lancio, e venne immediatamente disperso dal vento. Il Maestro di lancio era accovacciato sulla grossa macchina, una mano appoggiata al cavo in tensione, l'altra che faceva gesti rapidi al manovratore del verricello, perché mollasse o tendesse man mano che il pilota prendeva il vento, salendo. Altri membri della squadra si tenevano pronti ad agganciare i coni di bronzo alla traccia. Il diametro dei coni cresceva progressivamente, permettendo ai sostentatori di collocarsi ciascuno nella sua posizione; ed è qui il difficile. Tutto deve essere calcolato in anticipo; non c'è spazio per errori, né per ripensamenti. Una folata più violenta delle altre scosse i fianchi dell'hangar e fece aggrottare nuovamente la fronte al capitano. Mescolato con il rombo del vento mi parve di udire il rumoreggiare del tuono. La traccia, nonostante tutto, si dipanava regolarmente, tenuta a freno grazie all'aggiunta del primo dei vitali coni. Ne seguì un secondo, poi un terzo; e il capitano, inconsapevolmente, mi afferrò il braccio. — Stanno portando i sostentatori — disse, indicando col dito. Era un mistero per me come riuscissero a controllare quelle mostruose strutture a forma di scatola, che da un momento all'altro parevano sul punto di scaraventare in aria gli uomini; ma le controllavano. L'anello di coda del primo venne agganciato al cavo, degli ordini echeggiarono sul campo, e l'aquilone si innalzò leggero nel buio. Gli altri lo seguirono senza intoppi; e il capitano si rilassò visibilmente. — Bene — disse. — Ben fatto. Non potresti trovare una squadra migliore, da questa parte del Saliente. — Si versò un'altra dose di liquore dalla bottiglia e bevve. — Ho visto rompersi braccia e gambe a questo gioco. Sì, e anche colli; con venti meno forti. Trattenni un sorriso. Malgrado il suo cinismo, la qualità dell'uomo appariva chiara da quel commento; l'orgoglio che ancora sentiva, e a ragione, per un lavoro ben fatto. Gli equipaggi fanno una gran figura in piena estate, quando le loro file pigre si perdono nel cielo azzurro; oppure nelle Fiere dell'Aria, nelle Terre di Mezzo, adorni di nastri per il diletto del maestro e dei suoi aiutanti. Ma era qui, nel buio tempestoso, che la tempra dei capitani e dei loro equipaggi veniva messa alla prova. Adesso tutto dipendeva dal Maestro di lancio, in cima al veicolo. Lo vidi girarsi, aguzzando gli occhi verso il cielo notturno, e posare una mano guantata sulla traccia. Centocinquanta metri più in alto il pilota volava invisibile; sotto, distanziati regolarmente lungo il cavo, i sostentatori tendevano le loro briglie di corda d'acciaio. L'equipaggio era in aria; ma il più piccolo errore, il cedimento di un anello, lo scivolamento di una staffa mal fissata, potevano provocare un disastro. Ma tutto andava bene, il Maestro di lancio tirò la traccia, calcolando l'angolo e la tensione del cavo, e fu impartito l'ultimo segnale. Mi sporsi in avanti, coinvolto mio malgrado, e pulii con un guanto il vetro appannato. D'improvviso, o così mi sembrò, l'osservatore apparve sul campo. Un accolito vestito di bianco, i capelli biondi agitati dal vento, gli tolse dalle spalle il mantello chiaro. Sotto, era vestito da capo a piedi in robusta pelle nera; stivali alti fino al ginocchio, casacca e calzoni corti, casco aderente. Si voltò a guardare verso l'hangar. Distinsi la macchia pallida della sua faccia, gli zigomi alti e aguzzi; gli occhi erano invisibili, protetti da grosse lenti. Salutò formalmente, ma, parve, con un'indefinibile aria di scherno, girò sui tacchi e si avviò verso il veicolo di lancio. Dubito tuttavia che avesse potuto distinguere il capitano o me. L'equipaggio di terra si rimise in azione. Muovendosi con precisione militare, dovuta alla lunga pratica, trascinarono fuori il cesto; l'osservatore si arrampicò a bordo, e il resto fu una questione di calcolo dei tempi al millesimo. L'aquilone dell'osservatore, protetto inizialmente dall'hangar, oscillò follemente sotto l'incalzare del vento, dando violenti strattoni alle corde che lo trattenevano. Gli uomini corsero sull'erba, verso l'hangar, il verricello a vapore sferragliò e l'apparecchio si sollevò nella notte, con l'osservatore che già azionava il paranco che facendo abbassare la coda gli avrebbe dato più spinta ascensionale. Il rumore del verricello si fece più regolare e sommesso, e il capitano si asciugò la faccia. Mi voltai verso di lui. — Congratulazioni — dissi. — Un lancio splendido. In lontananza una campana suonò. — Sono tutti in volo — disse lui. — Anche nelle basi più a nord, e a sud, in tutto l'Easthold. L'intero settore vola; per quello che serve. — Mi guardò cupo. — Naturalmente ti sono noti i principi basilari? — disse sarcastico. — Certamente — dissi. — L'aria scorre sopra le superfici dell'aquilone più veloce che sotto, rarefacendosi. Il buon Dio ha orrore del vuoto; perciò ogni ala può essere indotta a salire. Lui pareva deciso a non farsi ammansire. — Eccellente — disse. — Vedo che hai digerito qualche libro di testo. Ma c'è qualcos'altro. Se tu avessi volato qualche volta non saresti così disinvolto. Abbassai gli occhi. Conoscevo più che bene i sobbalzi di un cesto Cody; ma non era nelle mie intenzioni impegnarmi con lui in un gioco di scuse. Dissi invece: — Parlami di Canwen. Lui mi fissò, poi indicò la valigia con un cenno del capo. Disse: — Hai il suo fascicolo. — I fascicoli non dicono tutto. Ho chiesto a te, capitano. Lui si voltò, le mani appoggiate alla vita, e guardò il Veicolo di Lancio. — È un Aviatore — disse alla fine. — Il migliore che ci resti. Cos'altro c'è da dire? Insistetti: — Lo conosci da molto tempo? — Da quando sono entrato nel corpo — rispose. — Siamo stati cadetti insieme. — Si voltò di scatto. — Dove vuoi arrivare, Helman? — Chi sa? — dissi io. — Forse a capire. Lui colpì con il palmo il piano della scrivania. — Capire? — gridò. — Chi ha bisogno di capire, per tutti gli Inferni? Sono le spiegazioni... quelle che ci mancano... — Anche a me — lo interruppi. — E per questo che sono qui. Lui alzò un braccio. — Su a G7 un osservatore si è sganciato dalla sua traccia, una bella sera, ed è volato via nelle Terre Morte. Conoscevo anche lui; e non ce ne sono di meglio. Un altro si è tagliato i polsi, lassù da solo; e volava da trent'anni. La settimana scorsa ne abbiamo persi altri tre; mentre tu e tutti gli altri ve ne state seduti cercando di capire... Qualcuno bussò alla porta. Il capitano sbraitò e la porta si aprì; un cadetto dall'aria nervosa si fermò sulla soglia, gli occhi a terra. — Il quartiermastro manda i suoi saluti — balbettò — e desidera sapere se il maestro... cioè, il Signore, desidera qualcosa per ristorarsi. Scossi la testa; ma il capitano prese la bottiglia, la lanciò al cadetto. — Sì, portami ancora un po' di questa porcheria. Prendila dalla dispensa, se è necessario; firmerò dopo la ricevuta. — Il ragazzo corse via; l'altro rimase silenzioso e immerso nei suoi pensieri finché il cadetto non tornò. Sotto, sul campo, si sentì il rumore metallico del meccanismo di arresto del verricello; una pausa, poi il movimento regolare riprese. Il capitano guardò fuori cupamente, tolse il tappo della bottiglia e bevve. — La prossima cosa che mi dirai, sarà che si sono scontrati con i Demoni. Mi voltai di scatto. Per un momento pensai che fosse uscito di senno; ma sembrava perfettamente in possesso di sé. — Sì — disse — mi hai sentito bene. — Riempì di nuovo il bicchiere. — Quanto tempo è passato da quando è stato creato il corpo? Da quando è volato il primo aquilone? — Il corpo è sempre esistito — dissi — e sempre esisterà. È la Via... Lui agitò una mano. — Raccontalo a qualcun altro — disse brutalmente. — Risparmiami i tuoi sermoni. — Si appoggiò alla scrivania. — Dimmi, qual era l'idea originale? Chi ha inventato tutto quanto? Immagino che avrei potuto rimanere in silenzio, o andarmene; ma mi sembrava che sotto quella sfuriata si nascondesse qualcos'altro. Una richiesta, quasi un appello. Era come se qualcosa in lui avesse ancora bisogno di una conferma della sua eresia; la conferma, forse, del ragionamento. Certo comprendevo il suo dilemma, almeno in parte; era una situazione che in verità non mi era nuova. — Il Corpo — dissi — è stato creato per sorvegliare il Regno e difendere i suoi confini. — Dai Demoni — disse lui amaramente. — Dai Demoni e dalle creature che camminano nella notte, e da tutti gli spiriti che portano il male... — Citò, con violenza, dalla Litania: — "Taluni scendono invisibili dalle più alte regioni dell'aria; taluni hanno la forma di pesci, e volano; taluni, e questi sono i più difficili da scorgere, si annidano sulle colline e sulle cime degli alberi..." — Alzai una mano, ma lui proseguì senza badarmi. — "Questi ultimi sono i più mortali di tutti" — ringhiò. — "Poiché a questi il maligno ha dato le sembianze di folletti, per meglio cercare e distruggere la loro preda..." Balle! — Batté un pugno sulla scrivania. — Tutte balle. Fino all'ultima sillaba. E noi del corpo ci siamo cascati, fino all'ultimo uomo. Muovete un dito e noi corriamo; andiamo lassù come marionette, con una pistola in una mano e il libro delle preghiere nell'altra, pronti a sparare ai fantasmi, mentre voi ve la spassate... Mi voltai dalla finestra e mi sedetti. — Basta — dissi stancamente. — Basta, ti prego... — Non siamo i soli, naturalmente — disse. Si mise in posa. — "Taluni escono dall'oceano salato" — disse facendo la parodia — "rivestiti interamente di vive fiamme..." E così la Guardia Marina incrocia giorno e notte con pozioni magiche per placare le tempeste... — Quasi soffocò. Si riprese. — Ti confiderò una cosa, Helman — disse respirando a fatica. — E tu mi ascolterai. Non ci sono Demoni; né in cielo né in terra né in mare... Distolsi lo sguardo. — Invidio — dissi adagio — la certezza della tua conoscenza. Lui si avvicinò a me. — È tutto qui quello che hai da dire? — gridò. — Ipocrita, bastardo... — Si sporse in avanti. — Sono morti uomini in abbondanza per tenere la gente nel terrore e voi nell'abbondanza. Ho volato per vent'anni, per arrivare a questa conclusione, e te lo ripeto chiaro e tondo. Non esistono i Demoni... — Si voltò. — Ecco quello che puoi scrivere nel tuo rapporto. Difficilmente mi faccio prendere dall'ira. Quando siamo arrabbiati perdiamo di consapevolezza, e la consapevolezza è l'unico dono che abbiamo ricevuto da Dio. Ma la sua ultima frase mi irritò oltre ogni misura. Aveva già detto più che abbastanza per essere sollevato dal comando; abbastanza, anzi, per essere portato davanti a una corte marziale a Middlemarch. Ed essere condannato, se avessi fornito le informazioni di cui disponevo alle autorità competenti. Quel suo tono sprezzante mi ridusse al livello di una spia Variante, che sbircia dai buchi delle serrature e nei libri mastri. — Sciocco — dissi. — Pazzo arrogante. Lui mi fissò i pugni serrati. — Arrogante? Tu mi chiami arrogante? Tu che... Mi alzai e tornai alla finestra. — Sì, arrogante. Al di là di ogni misura e di ogni buonsenso — mi voltai. — Vuoi essere punito come un cappellano di un anno, che sbaglia a dire la Litania? Se questo è il massimo dei tuoi desideri, posso accontentarti facilmente. Lui si sedette alla scrivania, allargò le mani sul piano verniciato di scuro. — Cosa vuoi da me? — disse. — La stessa cortesia che ti viene dimostrata — dissi. — Per amor del Cielo, cerca di comportarti come un uomo. Lui vuotò adagio il bicchiere e lo posò. Allungò la mano verso la bottiglia, poi cambiò idea. Alla fine alzò gli occhi, sotto le sopracciglia abbassate. — Rischi grosso, Helman — disse. — Se qualcun altro mi parlasse così, lo ucciderei. — Un'altra frase fatta — dissi brusco. — Ne hai tante quante le pulci sul cane di un mendicante. — Scossi la testa. — Tu solo, in tutta la creazione del Signore, tu solo chiedi il permesso di dubitare della tua fede. E lo proclami un sentimento nuovo... Lui aggrottò la fronte. — Se tu avessi mai volato... — Ho volato — dissi. Lui alzò gli occhi. — Hai visto le Terre Morte? — chiese bruscamente. Annuii. — Sì, le ho viste. Prese la bottiglia e si versò da bere. — Questo ti cambia — disse. — Per sempre. — Sollevò il bicchiere e ci giocherellò. — La gente crede che non ci viva niente — disse cupamente. — Solo i Demoni. Magari fosse vero. — Fece una pausa. — Qualche volta, in una giornata limpida, se voli basso, vedi... più di quanto un uomo dovrebbe vedere. Ma non sono Demoni. Penso che una volta fossero uomini anche loro, come noi. Incrociai le braccia. Anch'io vedevo le Terre Morte, nella mia mente; il paesaggio scintillante che si stendeva a vista d'occhio, nella notte. Le colline e le valli che baluginavano come braci, ma di un colore blu spettrale. Lui parve leggermi nel pensiero. — Sì — disse — è qualcosa che non si dimentica... — Bevve, di scatto, come per scacciare il ricordo. — È strano, ma col passare degli anni ho cominciato a chiedermi se un aviatore non veda più che con i suoi occhi normali. — Si fregò la faccia. — Qualche volta le vedo stendersi sempre più lontano, tutto intorno al mondo, e non c'è altro, eccetto il Regno. Un piccolo angolo di una piccola terra. Ma non sono stati i Demoni. Credo che siano stati gli uomini a farselo, a vicenda. — Rise. — Ma dimenticavo: finché stiamo di guardia, non potrà succedere qui... Mi toccai le labbra. Non intendevo farmi trascinare di nuovo nella terra dei luoghi comuni. — Qualche volta mi chiedo — dissi cautamente — se non sia solo una questione di parole. Che importa alla fin fine come descriviamo un agente del Demonio? Lo rende forse più reale? O meno? — Ah, lo sapevo! — esclamò, tornando in parte quello di prima. — Non c'è niente da fare contro una buona educazione ecclesiastica. Un pezzettino alla volta, per riguadagnare il terreno perduto. Non cambia mai nulla per voi, vero? Ma se dovete affrontare la realtà, allora cominciate ad agitarvi. — E perché no? — dissi calmo. — È tutto quello che possiamo fare. La realtà è la cosa più strana che si possa incontrare; l'unica cosa che certamente non comprenderemo mai. Per quanto ci diamo da fare. Lui agitò il bicchiere. — Allora ti propongo un piccolo esperimento. Tu dici che la Guardia ci salva dal male... Scossi la testa. — Io dico che il Regno è in buona salute, e che i suoi campi sono verdi. Lui strinse un momento gli occhi. — Benissimo. Per un mese teniamo a terra gli aquiloni. E teniamo nei porti la Guardia Marina. Così avremo la prova, no? In un modo o nell'altro. — Forse. Però potrebbe costarci cara. Mise giù violentemente il bicchiere. — E se i tuoi preziosi campi restassero verdi? Ammetteresti di aver torto? — Ammetterei — dissi tranquillamente — che l'Inferno per un po' è rimasto inattivo. Lui gettò la testa indietro, facendo una risata sguaiata e per niente piacevole. — Helman, sei impagabile. — Stappò la bottiglia, versò il liquore. — Voglio raccontarti una storia. Sono nato in una famiglia ricca. Una grande casa nel Westmarch; ci puoi credere. Solo che abbiamo perso tutto. Mio padre diventò pazzo. Non in maniera cattiva; non fece mai male a una mosca in tutta la sua vita. Ma allo scoccare di ogni ora, negli ultimi dieci anni della sua vita, agitava un fazzoletto dalla finestra della torre per scacciare degli omini verdi. E sai una cosa? Noi non ne vedemmo mai neanche uno, per tutto quel tempo. — Si sedette. — Cosa ne dici? Sorrisi. — Dico che aveva riscoperto l'innocenza. E vi aveva insegnato una lezione; anche se allora forse non ve ne siete accorti. Imprecò con una certa violenza. — Una lezione? — gridò. — E quale sarebbe mai? — Che la logica può essere circolare — dissi. — O avvicinarsi alle condizioni della sfera, la forma ultima e incomprensibile. Lui spinse via la bottiglia, gli occhi fissi, e io scoppiai a ridere vedendo l'espressione sulla sua faccia. — Non si può mettere la Fede in provetta, o dimostrarla con un pezzo di carta tornasole... Un lampo brillò attraverso la finestra, seguito da un brontolio lungo e vellutato. Una campana cominciò a suonare, più vicina di prima. Guardai il capitano, ma lui scosse la testa. — È il segnale dell'altezza — disse bruscamente. Io appoggiai la valigia sulla scrivania e l'aprii. Assemblai il ricevitore, montai il cono del ripetitore, con la sua delicata cannuccia centrale. Il capitano mi guardò, con occhi spalancati. — Cosa stai facendo? — gracchiò. — La mia funzione è quella di ascoltare — dissi. — E come ti ho detto, forse di capire. Ti ho sentito. Adesso sentiamo cosa ha da dire Canwen. — Avvicinai la sonda al cristallo; il cono immediatamente cominciò a vibrare, riempiendo la stanza con il fruscio del vento e l'acuta vibrazione musicale di un complesso Cody. Il capitano balzò indietro, la faccia contorta. — Magia nera — disse raucamente. — Non ne voglio vedere. Non nella mia Base... — Stai zitto — sbottai. — Non mi fai impressione; non sei così stupido. — Regolai un comando, e l'osservatore rise fragorosamente. "L'impennaggio di coda, naturalmente" disse. "Non c'era ai tuoi tempi..." Il capitano fissò il ricevitore, poi guardò il veicolo di lancio, visibile attraverso la finestra, e il cavo che si perdeva nel buio. — Con chi sta parlando? — mormorò. Alzai gli occhi. — Suo padre era un aviatore, vero? Il capitano si inumidì le labbra. — Suo padre morì sul Saliente. Vent'anni fa. Annuii. — Sì. Lo so. — La pioggia batté improvvisa sui vetri; regolai i comandi e il vento si fece sentire più acuto e forte di prima. Mescolato com'era al canto dei cavi, il suono aveva una nota inquietante, come se una voce chiamasse, esile e lontana all'inizio, ma man mano più vicina. La risposta di Canwen fu un grande grido di gioia. "Presto, Pater, aiutami" gridò ansiosamente. "Non lasciarla andare di nuovo..." Dei rantoli; il cesto di vimini scricchiolò e ci fu un tonfo vicino, come se in effetti una persona o una cosa fossero state tirate a bordo. L'osservatore cominciò a ridere. "Melissa" disse. "Melissa, amore mio..." — Sua moglie — spiegai. — Una signora bellissima e piena di grazia. Morì di febbre puerperale, dieci anni fa a Middlemarch. — Cosa? — gridò Canwen. — Cosa? — Poi: "Sì, lo vedo...". Ci fu un rumore secco, quando strappò il Grande Sigillo dal cesto; rise di nuovo. "Ci onorano, amore mio" gridò. "La Chiesa impiega la taumaturgia contro di noi..." Il capitano emise un grido selvaggio. — No — urlò. — Non voglio sentire altro... — Lottai con lui, ma era troppo tardi. Afferrò il ricevitore, lo sollevò in alto e lo scaraventò a terra. I delicati componenti andarono in pezzi; e la stanza rimase silenziosa, a parte il rumore vicino del vento. La pausa fu di breve durata. Ci fu un altro lampo, e immediatamente il temporale fu tutto intorno a noi. Tuoni su tuoni scossero il pavimento stesso della stanza, i lampi violacei divennero una luce continua. Il capitano si mosse convulsamente; poi parve riprendere il controllo di sé. — Dobbiamo farlo scendere — gridò con voce roca. — Dobbiamo riportarlo a terra... — No — gridai. — No... — Gli bloccai la strada; per un momento il mio braccio levato, il bagliore improvviso del Bastone di maestro, lo arrestarono; poi mi scostò violentemente. Inciampai e caddi pesantemente. I suoi passi risuonarono sulla scaletta dell'incastellatura. Prima che fossi riuscito a rimettermi in piedi, la sua voce già risuonava nell'hangar. — Aquilone a terra... Aquilone a terra, presto, presto... Lo seguii confuso, corsi sul pavimento ingombro dell'hangar. Le grandi porte erano state chiuse; cercai a tentoni la porticina, e il vento me la strappò di mano. Il mantello mi svolazzava intorno. Appoggiai la schiena alla parete metallica e innalzai una breve ma fervida preghiera. Davanti a me il verricello principale del lanciatore già si era messo in moto, cigolando, e la grande ruota girava; sbuffi di fumo si sollevavano da dove il cavo scorreva a velocità folle. Uomini si precipitarono verso i punti minacciati con secchi d'acqua; medici vestiti di bianco stavano accorrendo; cadetti dai capelli scarmigliati si tenevano pronti con delle asce in mano, per tagliare il sartiame in caso di necessità. Alzai gli occhi, riparandomi la faccia dal bagliore delle lampade ad arco; e si alzò un grido: — Avvistato. — Anche se io non riuscivo a distinguerlo, occhi più acuti dei miei avevano individuato il cesto in discesa. Mi mossi; l'istante successivo il campo venne illuminato da un immenso lampo bianco. Per un momento fu come se il tempo stesso avesse rallentato. Vidi un uomo, le braccia spalancate, che veniva scaraventato a capofitto dal lanciatore; frammenti di sovrastruttura, scagliati dalla forza dell'impatto, volarono nell'aria; la cabina del veicolo, le sue ruote, i cavi tesi dell'ancora, ogni cosa sembrava illuminata da un fuoco individuale. Il lampo schizzò verso l'alto, circondando di un alone abbagliante la traccia principale; poi fu come se il respiro mi venisse risucchiato violentemente dai polmoni. Caddi a terra, mezzo intontito, e vidi attraverso macchie di colore un giovane cadetto, la faccia insanguinata, correre verso il verricello. Si gettò con tutto il peso contro la più alta delle leve, e il rumore stridente cessò. L'aquilone principale, arrestato negli ultimi metri di tragitto, si rovesciò di lato, lasciando cadere l'osservatore sull'erba. Un anello si spezzò da qualche parte, un rumore che sentii confusamente attraverso lo scampanellio nelle mie orecchie. Le scuri balenarono, un cavo sibilò minaccioso sopra la mia testa. L'intero convoglio di aquiloni venne sollevato nel buio, e sparì.
Mi rimisi in piedi e andai barcollando verso Canwen. Quando
arrivai i medici erano già al lavoro. Lo sollevarono su una barella; la sua
testa penzolava, ma appena mi vide si rianimò. Sollevò
un braccio, gli occhi lampeggianti, come per parlare; poi ricadde,
come morto, e venne portato rapidamente via.
Il cielo orientale si stava schiarendo mentre per l'ultima volta preparavo la valigia. Mentre chiudevo i fermagli, bussarono alla porta. Un cadetto dai capelli biondi entrò, portando tazze fumanti su un vassoio. Gli sorrisi. Una benda bianca gli circondava la fronte, ed era un po' pallido; ma aveva un'aria molto orgogliosa. Mi voltai verso il medico della base, un uomo tozzo, dalla faccia rubiconda. Dissi: — Dunque pensa che Canwen vivrà? — Buon Dio, sì — disse lui allegramente. — Sarà in piedi fra un giorno o due al massimo. È già sopravvissuto a una mezza dozzina di incidenti del genere. Penso che sia un record. — La porta si chiuse alle spalle del cadetto. Sorseggiai. La bevanda era scura e amara, ma almeno era calda. — Bene — dissi — devo mettermi in viaggio. Grazie per la sua ospitalità, capitano; e i miei complimenti a tutti per come vi siete comportati durante l'emergenza di ieri sera. — Lui si fregò la faccia, incerto. — Non vuole rimanere, e fare colazione con noi? Scossi la testa. — È impossibile, purtroppo. Devo arrivare a G15 per le nove. Ma la ringrazio lo stesso. — Sollevai la valigia e sorrisi nuovamente. — Il suo capitano, senza dubbio, avrà bevuto troppo. Probabilmente sentirò delle eresie molto interessanti. Il capitano mi precedette attraverso l'hangar, adesso silenzioso. Da una parte un gruppo di uomini erano occupati a distendere lunghe tratte di cavo, a parte questo, c'erano pochi segni di attività. Fuori l'aria era fredda e dolce dopo il temporale; il mio mezzo mi aspettava accanto al cancello principale, con a fianco un autista-accolito in un'elegante uniforme. Mi avviai verso di esso; il capitano camminò accanto a me, il mento affondato nel petto, apparentemente immerso nei suoi pensieri. — Qual è la sua conclusione? — chiese d'improvviso. — Circa le recenti perdite? — Scossi la testa. — Un generale rilassamento della morale, che ha portato a una certa trascuratezza; tranne qui, naturalmente — aggiunsi, mentre la sua bocca si stava aprendo. — È una vita solitaria e ingrata quella di tutte le squadre Cody; nessuno ne è più consapevole di me. Si voltò e mi guardò. — Cosa si può fare, allora? — Fare? — Alzai le spalle. — Mandi Canwen a parlare con loro. Dirà che ha visto la faccia di Dio. Se non lo fa, ci vada lei stesso... Lui aggrottò la fronte. — Circa la taumaturgia... Le cose che abbiamo sentito... Ripresi a camminare. — Le ho sentite tante volte — dissi. — Non vi attribuisco troppa importanza. È un mondo strano, quello del cielo; ciascuno deve venire a patti con esso meglio che può. — Il che è abbastanza vero; qualche volta, per conservare la propria ragione, è meglio diventare solo un poco pazzi. Lui aggrottò la fronte nuovamente. — Allora il rapporto... — È già stato steso — dissi. — Ci ha pensato lei stesso, ieri sera. Non credo di avere molto da aggiungere. — Gli gettai un'occhiata. — Avrebbe fatto meglio a lasciarlo volare, a non portarlo giù nell'occhio del ciclone. Ma se ne sarebbe accorto da solo, se non fosse stato affaticato, in quel momento. — Vuole dire, se non fossi stato ubriaco — disse lui brutalmente. — E io che pensavo... — Raddrizzò le spalle. — Non accadrà più, maestro; glielo garantisco. — No — dissi a bassa voce. — Credo che non succederà più. Lui scosse la testa. — Per un momento ho pensato che fosse una punizione del cielo. Certo me l'ero cercata... Questa volta nascosi un sorriso dietro la mano. Questo è il guaio dei teologi dilettanti. Si aspettano sempre che Dio li guardi dall'alto, il dito alzato, a esclusivo loro beneficio. Avevamo raggiunto il veicolo. L'accolito salutò prontamente, aprì la portiera posteriore con il suo stemma lucido. Entrai, poi abbassai il finestrino. — Addio, capitano — dissi. Lui allungò la mano. — Dio sia con lei — disse rudemente. Esitò. — Un giorno o l'altro verrò a trovarla. In quel maledetto palazzo estivo... — Venga. Verrà ricevuto con tutti gli onori che le sono dovuti. E, capitano... Si chinò. — Nel frattempo mi faccia un favore. Faccia volare quei Cody; finché non troviamo qualcosa di meglio... Lui fece un passo indietro, salutando rigidamente; poi appoggiò le mani alla vita, guardando il veicolo che si allontanava. Stava ancora guardando quando una curva della strada sterrata lo nascose alla vista. Io mi appoggiai allo schienale, stringendomi la radice del naso e chiudendo gli occhi. Mi sentivo stranamente allegro. Entro la mattina, il mio giro di servizio sarebbe finito. Avrebbero incoronato una nuova Regina di Maggio a Middlemarch; i bambini mi sarebbero corsi incontro, i capelli inghirlandati di fiori, e io avrei toccato le loro mani. Mi raddrizzai, aprii la pratica sulla Base G15. Ma dopo un paio di chilometri battei sul vetro davanti a me, e l'autista si fermò. Guardai dietro di noi, dove, al di sopra del crinale di una collina, una fila di Aquiloni si stava lentamente alzando, stagliandosi contro l'alba gialla e fiammeggiante. | << | < | > | >> |Pagina 21| << | < | |