Autore Ivanna Rossi
Titolo come si cucinano gli animali fantastici
Sottotitoloinvenzioni gastronomiche di Giulia Cerati
EdizioneSilvana, Milano, 2010 [1995] , pag. 96, ill., cop.fle., dim. 12x18x0,8 cm , Isbn 978-88-36617-81-4
LettoreGiangiacomo Pisa, 2017
Classe alimentazione









 

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Indice


  6 Poesia e invenzioni in cucina
    Luca Sommi

  8 Il cibo che ti guarda
    Ivanna Rossi

 14 Cerati: il ritorno del figurativo in cucina
    Ivanna Rossi

 19 Intorno a Giulio Cerati

 30 Corrado Costa, un plagiatore

 33 Note di grammatica, lessico
    e sintassi gastronomica


 47 Arrosto in flagrante: oca tacchino gallo
 53 Anatra con pagelli e canocchie
 57 Coniglio & anguilla
 63 Aguglie annodate
 69 Gran salmone fresco
 73 Calamaro dal ciuffo nero
 77 Faraona incoronata
 83 Granseola con gli astachi
 87 Pollo allo specchio


 92 Indice dei menu
    e degli animali fantastici


 

 

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Pagina 14

CERATI: IL RITORNO DEL FIGURATIVO IN CUCINA


È sconsigliabile appendere al muro le grandi tavole a colori di Giulio Cerati.

Il lilla della salsa di ciliegie o di cappuccio può mischiarsi al verde bandiera della crema di radicchio...

L'arrosto araldico può perdere la posa, il salmone cadere nella zucca...

Come sanno già tutti molto bene, le opere di Giulio si gustano orizzontali.

Il sapore dei colori è variabile. Spesso dipende dalla simpatia dei commensali.

Il gioco di mangiare le pesche con le ali e il fegato coi fichi riesce solo tra affini.

Cucina antiautoritaria e destrutturata, quella di Giulio obbedisce a una sequenza narrativa provocatoria.

È dura, in tempi di anime belle, trovarsi a fare i conti con una bestia buonissima, che ti guarda dritto negli occhi dal fondo del suo intingolo!

A volte è insopportabile.

Giulio non propinerebbe mai ai suoi ospiti cotolette di unicorno, facendo finta di niente.

Né andrebbe a copiare — pour épater — le sublimi invenzioni di Aldrovandi, presentandoci uno stufato sub specie draconis: sa bene che un eccesso di simboli o un subisso di allegorie finisce per coprire la verità del sapore.

Sulla sua tavola però sono accaduti tutti i casi degli animali fantastici, scomparsi — volatilizzati — in questi anni di generale riduzione del cibo a truccioli, bastoncini e chicchi, creme e medaglioni, polveri e cubetti, rose e geometrie.


Ha ripiegato sul pollo.

Sull'anatra.

Sui pesci.

Sui conigli ruspanti.

Li ha costretti a inediti rapporti carnali.

Ho il piacere di aver assaggiato — nella stagione migliore, nel loro contesto naturale, cioè in compagnia di Corrado Costa — la storia di questi animali.

Ho dovuto insistere per catalogarne qualcuno: Giulio odia i ricettari.

Secondo lui questo è un modo sicuro per imbalsamare le cose.

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INTORNO A GIULIO CERATI


Alto, grosso, con la barba, geometra: si capisce subito che invece sta in cucina, non solo perché è aromatico, ma anche perché manca di spigoli, è soffice e si lecca i baffi.

"Geom. era un titolo che stava bene sulle targhe, da piccolo l'ho visto scritto in oro su una lastra di travertino, vicino a una porta, mi è piaciuto", spiega, e meno male che non se la prende a chiamarlo geometra, ci ride sopra e basta.

Sul 'cuoco' invece non transige, lo rifiuta, per sé non lo sopporta neanche con l'aggiunta di correttivi e aggettivi à la page come 'creativo' ed 'estroso', capaci di aprirgli la porta delle riviste specializzate.

"I cuochi adesso sono al centro solo di un discorso di soldi", brontola (gli piace brontolare, l'ha fatto fin da piccolo ma sta un po' migliorando), e taglia via, senza stare a spiegare il suo disprezzo per quelli che creano mode e impongono gusti, sottraendosi alla valutazione del comune palato.

A vederlo in cucina a prima vista sembra lì intento banalmente a far qualcosa da mangiare.

Invece no, lui sta esercitando modalità commestibili di pensiero divergente, escogita lezioni su come si sta al mondo, medita con le papille, non dà per scontato niente di quel che c'è già.

Su di lui circolano leggende, utilissime a insaporire il convivio.

Tra queste, un suo – inesistente – passato di cambusa, su qualche rotta tra i sargassi dei mari del sud; il ritrovamento di un forziere incredibilmente pieno di ricette; e anche il suo antico soprannome di Thailandese sa di leggenda esotica e un po' zen.

Thailandese Cerati?!

In realtà ha piuttosto l'aria di un Longobardo sedentarizzato.

Quando porta in tavola la sbrisolona, se è dell'umore, canta "Donna Lombarda col serpentino...".

Il credo del nostro amico è spaesante.

Secondo lui dovremmo rivendicare il diritto ai nostri propri individualissimi sapori, abitudini, accostamenti di gusto, senza mangiare – è il caso di dirlo – la pappa pronta che ci vogliono dare.

Così la cena da lui viene servita sulla tavola tutta in una volta, ch'è un gran bel vedere; e poi ognuno è libero di decidere le sequenze, di farsi passare dal vicino la salsa rosa, quella gialla, quella brusca, quella salata; le ali piccanti; due tortellini con l'anatra e due fegatelli coi fichi per onorare l'etimologia (iecur ficatum: Cerati visita per curiosità anche Trimalcione, e sa tutto sul pestifero garum dei Romani).

Insomma, alla sua tavola non si può stare in ozio, coi gomiti stretti. I commensali sono obbligati a socializzare, si passano i piatti, le salse, la frutta di contorno, si suggeriscono a vicenda accostamenti inediti e scoperte chimiche.

La chimica, si capisce, è una cosa magica.

Pericolosissima nei rapporti umani.

Qualcuno se ne può anche andar via da questa tavola disperato: gli è andata in frantumi la visione-del-mondo, il senso dell'ordine, della gerarchia e dell'ovvio.

Questo momento dialettico può essere l'avvio di una democrazia gastronomica radicale, la fuga verso la libertà, l'anticamera di un divorzio per incompatibilità.

Il miglior Cerati però si comporta come un despota, non accetta ordinazioni, combina azioni spaesanti con le forme e i colori per provocare l'intelligenza del palato; proibisce naturalmente di fumare, gli dispiace mettere il pane in tavola (secondo lui il pane è un vizio mentale), e anche sui vini c'è poco da disquisire. Semplicemente non hanno stonature. Magari se ha voglia, ci spiega – dopo – perché e percome ci ha fatto bere.


Se le ricette sono imbalsamate perché passa il tempo, Cerati non sta fermo neppure nello spazio, obbliga i suoi seguaci a rintracciarlo sempre in qualche posto assurdo, impervio e possibilmente difficile da raggiungere. Dev'essere una sua astuzia per mettere alla prova e selezionare gli amici.

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NOTE DI GRAMMATICA, LESSICO E SINTASSI GASTRONOMICA


Animali fantastici. Sono quelli del tempo che fu, i soggetti del verbo ruspare.

Piccoli, maneggevoli, pronti al sapore.

Cervi e unicorni lasciamoli stare: abitano sempre altrove.

Gli animali da cortile stanno per raggiungerli nel cielo delle idee.

Se si riesce a metter le mani oggi su un vero animale — uno di quelli che hanno sentito il sapore della libertà — bisogna trattarlo molto bene, cioè praticamente disossarlo con dolcezza e savoir-faire, per renderlo protagonista di una festa di sapori e colori e gesti, come segue, in ordine alfabetico.


Attrezzatura da cucina. L'elenco è breve: spazio fuoco e frullatore; forbice coltello forchettone.

Piacerebbero piatti e posate di legno per contatti solo dolci.

Anche apertura mentale, fantasia, cultura gastronomica senza miti e devozioni speciali.

Curiosità.


Commensali. Andare a tavola da Cerati è sottoporsi a un test. Piacevolissimo, festoso, un approccio diretto tra persone che si passano assaggi ed esperienze.

Un disastro per chi sta abbottonato, vive composto nei suoi sessanta centimetri di tovaglia ed è disposto ad accettar come legge solo quello che la mamma prima, e subito dopo la storia della gastronomia e della cultura internazional-dolce-insipida, gli hanno dato come consegna.

Scoppiano litigi e coppie, si rifondano gli equilibri e si reinventa il modo di comunicare: perché sapore è sapere, dire, dirsi delle cose fondamentali.


Consistenza. Al bando i cibi mollicci, ma viva il frullatore. Bisogna sempre dar lavoro ai denti, e occasioni di facili vittorie sulla consistenza dei cibi. Non troppo da rodere, qualcosa da crocchiare, e fibre crespe, lisce, granulose, arabescate dentro, con diversi tempi per sciogliersi e diventare dolcezza. Paesaggi da esplorare con la lingua, non solo col palato.


Cuocere. Il rapporto col fuoco muta il sapore della materia prima.

Il fuoco di Cerati è lento e guardingo, fa in modo che ogni cibo 'si cuocia addosso', rifletta i suoi umori dentro sé stesso. Sono esclusi gli interventi traumatici. La carni cuociono negli umori della propria condensa, recuperando al sapore tutto il vapore salito al coperchio.

Chiudere ermeticamente la carne in una pentola con coperchio e stagnola. Poco fuoco, cibo tenero, nessuna aggiunta: il sapore vien da dentro.


Cucina ricca. E pane nero. Riflettere en passant sul fatto che adesso ci piacciono cibi poveri, essenziali, d'antico sapore preindustriale. Praticamente è la roba dei poveri di ieri, che oggi solo i ricchi possono permettersi, ma chiedono garanzie, anche la crusca dev'essere DOC.


Dieta. Al ristorante non si va per dimagrire, e al limite neanche ci si dovrebbe sedere a tavola per uno scopo così. Però chi cucina e chi mangia deve sapere che oggi il grasso non serve più (l'energia sia mentale, o elettro-meccanico-medianica).

E il sapore del grasso, abitudine e piacere sedimentato nel nostro inconscio? (Sì, abbiamo un inconscio grasso e unto, qui in Emilia!).

Dobbiamo dimenticarlo, sostituirlo. Scavare dietro al grasso – lardo o burro che sia – per ritrovare il sapore diretto delle cose.

E se le 'cose', come può accadere, non hanno un gran sapore?

Allora bisogna cercare la via delle erbe aromatiche, degli accostamenti, delle combinazioni con piccoli shock rivelatori, fuori dalla palude degli intingoli.

[...]


Peperone. Secondo Cerati è il massimo frutto sotto il cielo.

Usare però anche pomodoro, radicchi, crescione, tutto.

Di stagione.

Poco le patate: non sono verdura, ma pane.

Usare tutto, dunque, ma adoperarsi in special modo a capire l'essenza del peperone, le sue recondite infinite possibilità di sapore e di accostamenti non codificati.

Indispensabile sentirsi un po' peperone, per interpretarne i messaggi. Paradigma della frutta e della verdura e di come usarla: amandola, scoprendone la psicologia (!) mai banale, e godersela bella fresca un momento tra le mani.

Dopo, frullarla o meno.


Pesci. Coi pesci e col sale si portano in tavola storie di mare e stelle del Sud e l'idea di come abbiamo sognato l'Avventura.

Rispettarne dunque la forma e la sostanza, non sovrapporre sapori, intingoli e storie che non c'entrano.

Che il pesce abbia sempre i sargassi tra le pinne e conservi un alone fantastico, capace di portarci via un momento dalle fatiche e dagli obblighi morali di un campo di grano.


Qualità. Che gli ingredienti siano perfetti. Se sono ali di pollo, che volino meglio che si può nel pepe. E quando qualcosa ruspa ancora, gli sia fatta immediatamente la festa adeguata.

Si mangia troppo, si mangi meglio.


Ricette. Leggere sempre, prima di dormire, due/tre pagine di ricettari, summa sapientiae di ogni cultura che si rispetti.

Lasciarsi permeare dalle suggestioni, tradurle al presente qui-ed-ora. Quando Cerati voleva marcare la sua distanza dalla categoria dei cuochi, amava dire che le ricette le scrivono solo medici e farmacisti. Adesso ammette che sia un'esperienza gradevole che si ha piacere di comunicare agli altri.

Resta un fatto personale, però: una cortesia.

Non una delibera, o una legge.

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Pagina 77

    7.  Faraona incoronata
        Tagliatelle verdi rosso bianche
        Cavolfiori in aceto e salsa d'uovo
        Pomodori vivi
        Maracujà



La funzionalità anatomica di un volatile riguarda strettamente la sua vita privata, ma non sempre coincide con la gastronomia e con le esigenze del bon ton a tavola.

Una faraona intera è un groviglio di sapori, di aromi, di consistenze e di vocazioni differenziate che vengono solitamente omogeneizzate sotto il capitolo dell'arrosto. Peccato.

Solo i frutti e i salami, in natura, hanno sapori quasi omogenei. E non abbiamo parlato della valenza simbolica e gerarchica dei vari tagli, che in genere incide notevolmente sulla commestibilità e sul sapore delle vivande. Quelle "che toccano al capo" sono in genere le più buone, o viceversa, e conservano un sapore leader anche sui deschi democratici.

Questa faraona, invece di raggrinzirsi attorno a una mela interna, invece di assumere l'aria feriale di un pollo arrosto, riesce a essere regalmente sé stessa fino all'ultimo e ad accontentare le voglie di tutti.

Le cosce orientaleggianti sono in bella evidenza.

Il collo dà importanza a una testa incoronata a tutto sesto da un diadema di petti dorati.


    Indispensabile

    una faraona di circa un kg e mezzo
    mezzo kg di salsiccia di tacchino
    mezza barbabietola
    tre etti di spinaci
    4 uova / 600 g di farina
    un piccolo cavolfiore
    dieci piccoli pomodori maturi
    olio e sale per condire, o salsa a piacere
    una dozzina di maracujà


Per capire e per provare


La faraona va messa in scena sul piatto di portata accostando tra loro la testa (comprendente tutto il collo), le cosce e il petto, che verrà disposto a corona intorno alla testa: bisogna tenere presente fin dall'inizio questa disposizione sul piatto per evitare errori nella fase di taglio.

Disossare dunque il collo e le cosce dopo aver staccato il petto; e riempire le cavità ottenute con la salsiccia di tacchino. Il volatile assumerà diversi sapori, perché il contenitore influirà sul ripieno, e viceversa: e non sarà la stessa cosa assaggiare l'affettato di collo o un trancio di coscia. Il petto avrà poi tutt'altro destino. Diviso a fettine e battuto, infarinato e fritto fino a doratura, fornirà gli smerli morbidi e consistenti della corona.

Colorare la pasta sfoglia (per ogni uovo 150 g di farina circa) con il succo della barbabietola lessata e frullata, e con quella degli spinaci sottoposti a un analogo trattamento; il bianco più bianco si ottiene invece impastando farina e albume e mettendo da parte i tuorli, che darebbero il solito giallo.

I cavolfiori si lessano in acqua e aceto ed è meglio se restano al dente.

Scegliere pomodori piccoli, maturi, col picciolo verde da lasciare sul frutto. Pelarli a crudo, delicatamente; condirli all'interno, tanto per cambiare e correggerne il sapore, ma segretamente.

Usare una siringa da cucina con olio e sale, oppure con un condimento a piacere.

È bello mangiare un pomodoro in un sol boccone e trovarlo saporito come un frutto dell'Eden.

I maracujà, tagliati semplicemente a metà e serviti con un cucchiaino, sono come ostriche vegetali: antipasti, dunque, ma anche contorno acidulo che piace alla faraona.

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