Copertina
Autore Anna Rossi-Doria
Titolo La libertà delle donne
SottotitoloVoci della tradizione politica suffragista
EdizioneRosenberg & Sellier, Torino, 2004 [1990] , pag. n, ill., cop.ril./fle.sov., dim. larxaltxspe mm , Isbn 978-88-7011-406-5
CuratoreAnna Rossi-Doria
TraduttoreAnna Nadotti, Anna Rossi-Doria
LettoreAngela Razzini, 2006
Classe politica , storia contemporanea , storia sociale , femminismo , paesi: Gran Bretagna , paesi: USA , biografie
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Indice

 11 Premessa

    cronologia

 21 Inghilterra
 31 Stati Uniti

    parte prima
    le antenate: la fondazione dell'autonomia individuale

 43 1. «Sophia», Se un uomo potesse spogliarsi della
       parzialità, 1739.
 47 2. Abigail Adams, Ricordatevi delle signore, 1776.
 50 3. Mary Wollstonecraft,
       Il potere non sugli uomini ma su se stesse, 1792.
 54 4. Frances Wright,
       Le nostre figlie non sono nulla, 1829.
 57 5. Sarah Grimké,
       Versioni della Bibbia un po' diverse, 1837.
 60 6. Margaret Fuller,
       Che la donna si riveli a se stessa, 1845.
 64 7. Catharine Beecher,
       Un compito né umile né insignificante, 1847.
 67 biografie

    parte seconda
    le suffragiste: l'uguaglianza per entrare nella politica

 91 1. Convenzione di Seneca Falls
    a. Dichiarazione dei Sentimenti e Deliberazioni, 1848
    b. Intervento di Elizabeth Cady Stanton, 1848.
100 2. Harriet Taylor, Una completa libertà di scelta, 1851.
105 3. Mrs. Henry Davis Pochin,
       Un grave insulto dell'intera nazione alle donne, 1855.
109 4. Lydia Becker, Una sofferenza sottile e profonda, 1890.
113 5. Elizabeth Cady Stanton, La solitudine dell'io, 1892.
118 6. Anna Howard Shaw,
       Il punto in cui noi donne abbiamo sempre perso, 1914.
122 biografie

    parte terza
    le suffragiste: la differenza per ridefinire la politica

141 1. Josephine Butler,
       L'influenza della casa al di là delle nostre case, 1869.
145 2. Millicent Garrett Fawcett,
       La politica ha un enorme bisogno di queste cose, 1894.
149 3. Mary Putnam Jacobi,
       Un campo minato lungo il confine, 1894.
152 4. Charlotte Perkins Gilman,
       Una maternità democratica, 1904.
156 5. Helena Swanwick,
       Formulare da sole i giusti principi di governo, 1913.
160 6. Jane Addams,
       Il valore della donna per gli stati moderni, 1914.
164 7. Eleanor Rathbone,
       Abbiamo portato a termine il compito noioso, 1925.
167 biografie

    parte quarta
    le antisuffragiste: la differenza per rifiutare la politica

191 1. Margaret Oliphant,
       Tutto meno che invidiose degli uomini, 1866.
195 2. Mrs. Humphry Ward, Una mera uguaglianza esteriore, 1889.
199 3. Helen Kendrick Johnson,
       Una guerra civile tra le pareti domestiche, 1897.
202 4. Caroline F. Corbin,
       La grande maggioranza delle donne riflessive, 1902.
205 5. Manifesto della Lega nazionale delle donne contro il
       suffragio, 1908.
208 6. Violet Markham, Differenza, non uniformità, 1912.
212 7. Mrs. Herbert Lymàn,
       Due tipi di donne si combattono, 1916.
215 biografie

    parte quinta
    le suffragette: la scoperta della forza collettiva

229 1. Katherine Roberts, Tutte noi penseremo a te, 1911.
233 2. Emily Wilding Davison (da Gertrud Colmore, La vita
       di...), In sella ad un cavallo o sotto i suoi zoccoli,
       1913.
236 3. Lady Constance Lytton, Le perle di una collana, 1914.
240 4. Elizabeth Robins, E avvenne il miracolo, 1914.
243 5. Annie Kenney, Tutte le donne erano una sola donna, 1924.
246 6. Emmeline Pethick-Lawrence,
       Ridevano davanti al pericolo, 1938.
249 7. Christabel Pankhurst,
       Meglio la violenza delle beffe, 1959.
253 biografie

265 Le idee del suffragismo di Anna Rossi-Doria


317 Indice dei nomi


 

 

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Pagina 11

PREMESSA


1. Il suffragismo, termine che appare inconsueto perché è stato dimenticato, mentre per oltre mezzo secolo indicò il movimento per i diritti politici delle donne, costituisce una apparente eccezione alla regola per cui nelle società industriali, scomparse le precedenti sfere di attività e saperi femminili, le tradizioni di donne non riescono a costruirsi e soprattutto a trasmettersi da una generazione all'altra. La linea di pensiero che prese il nome di «diritti delle donne», viva fin dalla fine del '700, nei paesi anglosassoni di cui ci occupiamo si sviluppa con continuità dalla metà dell'800, quando nascono i primi gruppi suffragisti, al periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, in cui in quei paesi il voto alle donne viene ottenuto. È quindi possibile, ed è stato egregiamente fatto, ricostruirne una storia graduale e lineare, attraverso fasi successive, crisi e conquiste, alleanze e rotture, fino alla vittoria finale, in qualche modo inevitabile. Ma quel tipo di storia non spiega la forte permanenza fino ad oggi né del difficile rapporto tra donne e politica — a partire dalla smentita della convinzione allora comune a suffragiste e antisuffragisti che il voto alle donne avrebbe significato la metà o più dei parlamenti formata da donne —, né delle categorie prevalenti di analisi della partecipazione delle donne alla vita pubblica. Se allora erano gli avversari del voto a dichiarare che all'uomo spettava la sfera pubblica e alla donna la sfera privata, o al massimo un compito morale in campo sociale, oggi l'alternativa è, malgrado le apparenze, molto simile: o la politica «nega alle donne la possibilità di entrare in gioco definendo le loro proteste e i loro bisogni come esclusivamente privati e quindi estranei alla sfera pubblica», o, quando questo non è possibile per una innegabile presenza di donne nella sfera pubblica, si riproduce la definizione maschile della politica per cui «qualunque campo in cui siano egemoni le donne è stato considerato a priori non politico». Basti pensare a come oggi lo stesso femminismo sia in genere considerato un fenomeno esclusivamente culturale o sociale.

In questo senso l'eccezione di cui si diceva è solo apparente: la tradizione del suffragismo, che consisteva proprio nel tentativo di definire la politica partendo da un punto di vista di donne nel momento stesso in cui si chiedeva di entrarvi, è stata in effetti cancellata. A differenza di quel che di solito avviene con la storia delle donne, la forma della cancellazione non è stata il silenzio, ma la deformazione, in una duplice forma: vedere il voto alle donne come una naturale e graduale estensione dei principi democratici; ridurre l'obiettivo delle donne che per esso lottarono a una pura e semplice estensione dei diritti di uguaglianza maschili. Una visione di questo tipo, che è quella corrente data l'ignoranza delle fonti, non consente di cogliere né l'alto grado di conflittualità innescato dalla richiesta dei diritti politici da parte delle donne, senza cui non si spiegherebbe la loro lunga e aspra negazione, né le gravi contraddizioni interne al liberalismo e alla democrazia che quella richiesta rivelava.

La più grave di tali contraddizioni, che fu quella su cui il pensiero politico suffragista più fecondamente condusse la sua elaborazione, era quella tra l'universalità del concetto di cittadino e la parzialità della sua incarnazione in soggetti di sesso maschile. Tale contraddizione, clamorosamente manifestata dalla sostituzione della parola «man» con la parola «male person» nei testi delle leggi elettorali, aveva fin dall'inizio dell'esclusione moderna delle donne dalla cittadinanza, nel corso della rivoluzione francese, «complicato enormemente il progetto di rivendicare uguali diritti, in quanto significava che o i diritti stessi o almeno i modi e le sedi in cui venivano esercitati dipendevano dalle caratteristiche fisiche dei corpi umani».


2. Questo volume si propone in primo luogo di ascoltare le voci delle suffragiste (oltre che delle donne che le ispirarono e di quelle che le avversarono), per mostrarne la ricchezza al di là delle semplificazioni: poi di dare notizia della loro vita, inseparabile dal loro pensiero; infine di esaminare alcuni dei nodi di quest'ultimo. Ai tre scopi corrispondono i testi, le biografie e il saggio Le idee del suffragismo. Questo, posto a conclusione del volume, intende essere un'analisi dei problemi e delle contraddizioni di lungo periodo affrontati dal pensiero suffragista.

I testi qui raccolti documentano un movimento politico in cui il risultato conta non di più, e forse di meno, della crescita individuale e collettiva che si realizza nel corso della lotta per raggiungerlo. Di tale crescita si individua una crescente consapevolezza via via che dagli scritti di singole si passa a interventi interni a reti di amicizia e poi di solidarietà e di organizzazione: forse la loro principale continuità è l'insistenza sulla necessità che le donne imparino il rispetto di sé e la fiducia nel proprio valore e sulla convinzione che i diritti civili e politici rappresentino uno strumento in questo senso. E poiché la lotta per i diritti produce quel rispetto e quella fiducia, malgrado la sua apparente inefficacia e il disprezzo da cui è circondata per decenni, le suffragiste non sono e non si sentono mai sconfitte (semmai, in vari momenti, deluse e indignate per le promesse degli alleati uomini non mantenute). Così, dopo la conquista del voto, Millicent Garrett Fawcett, che per cinquant'anni aveva guidato la battaglia per essa, così la ricordava: «Molti ci manifestavano simpatia per il lungo tempo in cui avevamo dovuto batterci per la nostra causa. Ma non c'era alcun motivo di commiserazione. Avevamo avuto un tempo gioioso e felice, segnato dalla vittoria, nell'una o nell'altra fase del nostro movimento, per tutto il tempo». Sarà semmai il periodo successivo alla vittoria, in cui tante attese sulle conseguenze del voto alle donne furono deluse, a far nascere i primi dubbi sulla conquista di una cittadella vuota.

Le biografie, sebbene necessariamente brevi, dicono anch'esse alcune cose. Anzitutto, le poche mancanti, soprattutto — ed è significativo — nella parte sulle antisuffragiste, segnano quel vuoto che sempre, ma nella storia delle donne in particolare, fa meglio cogliere il pieno, ed è altrettanto rilevante. Va tuttavia osservato che in questo caso, a differenza di quanto avviene di solito, si tratta di un vuoto di tracce lasciate su se stesse e sulle altre, non di un silenzio, perché questa è comunque una storia di donne che presero la parola, uscendo dai confini delle parole assegnate alle donne. Le vicende biografiche sono accomunate, pur nelle loro grandi differenze, dal fatto che quasi tutte mostrano una scelta di vita dedicata a una causa politica, il che di per sé fa di queste donne delle «donne eccezionali». Questa eccezionalità appare spesso usata per cercare di costruire, nella vita oltre che nell'opera, modelli femminili diversi da quelli vigenti, o, più raramente e all'inizio, in forme di rottura che suscitano scandalo o, più spesso, nella costruzione di matrimoni paritari o di reti femminili che dal piano dell'amicizia arrivano a quello della comunità. Soprattutto, la eccezionalità si manifesta nella presenza, in genere molto lunga, sulla scena pubblica, con tutto quello che essa comporta, in primo luogo la rottura di divieti fortissimi per le donne, quali quello di parlare in pubblico e quello di viaggiare da sole. E tuttavia, molti tratti uniscono queste donne eccezionali alle donne del loro tempo: l'infanzia e l'adolescenza trascorse in famiglie numerose, dove è raro che tutti i figli sopravvivano ai primi anni di vita; la assenza di studi regolari, sostituiti da letture solitarie, da lezioni in casa e, via via che si avanza nel secolo, da due o tre anni trascorsi nelle boarding schools per ragazze o, più raramente, nei primi colleges femminili; la ricorrente figura di un padre ammirato e amato con cui proprio attraverso l'impegno femminista sembra si cerchi un rapporto privilegiato, o nel senso di sentirsi sue eredi o in quello, opposto ma omologo, di cercare una rivalsa o un compenso per il mancato riconoscimento di valore da parte di lui.

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Pagina 19

cronologia

INGHILTERRA


1790 La storica Catherine Macaulay pubblica le Letters on Education, in cui, oltre che rivendicare una migliore istruzione per le donne, critica le limitazioni poste alla loro attività.

1792 Esce la Vindication of the Rights of Woman di Mary Wollstonecraft, che sarà il manifesto del femminismo ottocentesco.

1825 Lowenita William Thompson, ispirato dalla compagna Anna Wheeler, pubblica il volume, rimasto poi a lungo dimenticato, Appeal of One Half the Human Race. Women, against the Pretension of the Other Half, Men, to retain Them in Political, and Thence in Civil and Domestic Slavery.

1832 Il primo Reform Bill (legge di riforma elettorale), laddove indica le persone che hanno diritto di voto, sostituisce la parola «man» con la parola «male person», escludendo così per la prima volta esplicitamente le donne.

1838-48 Ampia partecipazione femminile, anche se via via decrescente, al movimento cartista, che mantiene una posizione ambigua sulla inclusione o meno delle donne nella richiesta di suffragio universale.

1839 L'Infant Custody Bill, dopo forti resistenze in nome della difesa della famiglia, dà alla moglie separata parziali diritti di custodia dei bambini. La sua approvazione è dovuta alla campagna condotta attraverso due pamphlets dalla romanziera Caroline Norton, nipote di Richard Sheridan, sul proprio caso: accusata di adulterio, era stata privata dei figli dal marito.

[...]

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Pagina 50

3. MARY WOLLSTONECRAFT
IL POTERE NON SUGLI UOMINI MA SU SE STESSE, 1792



[...] Credo di aver avuto occasione di osservare l'infanzia delle ragazze meglio di Jean Jacques Rousseau: sono in grado di rievocare i miei stessi sentimenti, e poi mi sono sempre guardata intorno. Tuttavia, lungi dall'essere d'accordo con lui per quanto riguarda il primo manifestarsi del carattere femminile, oserò affermare che una ragazza il cui carattere non sia stato spento dall'inerzia, e la cui innocenza non sia stata compromessa da un falso senso del pudore, sarà sempre una monella, e la bambola non attrarrà mai la sua attenzione, salvo che l'isolamento non le lasci altre alternative. Voglio dire che ragazze e ragazzi giocherebbero insieme senza alcun rischio, se la distinzione dei sessi non venisse inculcata in loro molto prima che la natura produca alcuna differenza. Mi spingerò oltre sostenendo — ed è un fatto indiscutibile — che, nell'ambito della mia esperienza, la maggior parte delle donne che si sono comportate come esseri razionali o hanno dato prova di possedere qualche forza intellettuale, raramente si sono permesse di perdere il controllo di sé, come invece insinuano certi fini educatori del bel sesso.

Le conseguenze perniciose che derivano dalla mancanza di attenzione alla salute negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza sono più gravi di quanto comunemente si pensi: la dipendenza fisica produce naturalmente dipendenza mentale; e come può essere una buona moglie o una buona madre una donna che passa la maggior parte del suo tempo a evitare o a sopportare delle malattie? [...]

Se la paura delle ragazze invece di essere assecondata o forse costruita, venisse trattata come la codardia nei maschi, vedremmo presto donne con un atteggiamento più dignitoso. È vero che allora non sarebbe più appropriato definirle dolci fiori che sorridono sul cammino dell'uomo; ma sarebbero più rispettabili membri della società e adempirebbero agli obblighi importanti della vita alla luce dellla propria ragione. «Educate le donne come gli uomini» — dice Rousseau — «e quanto più rassomiglieranno al nostro sesso, tanto minore sarà il potere che avranno su di noi». Proprio questo è il punto che mi sta a cuore. Io non desidero che le donne abbiano potere sugli uomini, ma su se stesse.

[...] Le donne devono essere considerate solo un frivolo conforto degli uomini quando diventano così deboli di corpo e di mente da non potersi dedicare ad altro se non al perseguimento di qualche piacere leggero o all'invenzione di qualche frivola moda. Quale spettacolo è per una mente riflessiva più malinconico di quello delle numerose carrozze che di mattina vanno su e giù senza meta in questa metropoli piena di creature pallide in volto che stanno fuggendo da se stesse! [...] Anche se penso che di solito la religione e la ragione chiamino le donne a svolgere il ruolo di mogli e di madri, non posso trattenermi dal lamentare il fatto che donne di tempra superiore non abbiano strade aperte per realizzare più ampi progetti di utilità e di indipendenza. Forse susciterò il riso accennando qui a un argomento, che prima o poi intendo sviluppare, giacché realmente credo che le donne dovrebbero avere una rappresentanza invece di essere governate arbitrariamente, senza che sia loro concesso di partecipare in alcun modo alle decisioni del governo.

Ma dal momento che l'intero sistema della rappresentanza è oggi in questo paese soltanto un comodo titolo per esercitare il dispotismo, le donne non si devono lamentare, perché sono rappresentate nella stessa misura in cui lo è una classe numerosa di laboriosi operai che pagano il mantenimento della famiglia reale mentre riescono a stento a sfamare i propri figli. [...]

Un altro esempio della debolezza del carattere femminile, spesso prodotta dalll'isolamento che ne contraddistingue l'educazione, è un'inclinazione romantica della mente, che è stata molto appropriatamente definita sentimentale.

Le donne, che dall'ignoranza vengono lasciate in balìa delle proprie sensazioni, a cui si insegna soltanto a ricercare la felicità nell'amore, raffinano i sentimenti legati ai sensi e concepiscono un'idea metafisica di quella passione, che le conduce a trascurare vergognosamente i doveri della vita, e spesso, nel bel mezzo di queste sublimi raffinatezze, sprofondano nel vizio vero e proprio.

Sono queste le donne che si divertono a leggere le fantasticherie degli sciocchi romanzieri i quali, sapendo poco della natura umana, imbastiscono storie già sfruttate e descrivono in gergo sentimentale scene di infima qualità, che tendono allo stesso tempo a corromperre il gusto e a distogliere il cuore dai suoi doveri quotidiani. E non parlo dell'intelletto poiché, non essendo mai stato esercitato, le sue sonnolente energie restano passive, come le particelle latenti di fuoco che universalmente si suppone pervadano la materia.

Le donne, infatti, prive di tutte le prerogative politiche, e a cui non è concessa, se sono sposate, salvo in caso di crimine, un'esistenza civile, distolgono naturalmente la loro attenzione dagli interessi generali della comunità, rivolgendola alle sue componenti particolari, anche se il dovere individuale di ogni membro della società è destinato ad essere compiuto in modo molto imperfetto ove non sia collegato al bene comune. L'interesse dominante della vita delle donne è quello di piacere, e dal momento che l'oppressione politica e civile impedisce loro di occuparsi di questioni più importanti, i sentimenti si trasformano in fatti, e la riflessione approfondisce proprio ciò che avrebbe dovuto e potuto cancellare, se all'intelletto fosse stato riconosciuto un più vasto campo d'azione. [...]

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Pagina 160

6. JANE ADDAMS
IL VALORE DELLA DONNA PER GLI STATI MODERNI, 1914



[...] Sotto certi aspetti l'accesso delle donne al governo è diverso dalle precedenti battaglie per l'allargamento del diritto di voto. Ricordiamo che l'accesso definitivo della borghesia al governo fu contraddistinto da due drammatiche rivoluzioni, una in America e una in Francia, e che nessuna delle due fu incruenta. L'accesso delle donne al governo, che si sta realizzando in tutto il mondo, avviene per fortuna senza spargimento di sangue e non è stato funestato neppure da un'ombra di violenza, salvo che in Inghilterra, dove le manifestazioni violente non sono dissimili da quelle degli inizi del movimento operaio inglese. I tentativi di cambiare le istituzioni politiche in modo che siano effettivamente in grado di esprimere la crescita di nuove esperienze hanno messo costantemente in evidenza quanto la macchina politica dipenda, per la propria forza motrice, dalle molte varietà del combustibile sociale. Dopo tutto era un uomo di Stato piuttosto abile colui che affermò che «la libertà e la prosperità sono fondate sull'anima degli uomini». Quel che è certo è che lo straordinario accesso delle donne alle responsabilità di governo all'alba del ventesimo secolo coincide con il fatto nuovo che gli organi governativi si fanno carico degli interessi umani fondamentali di cui per tradizione si occupano le donne, esattamente come le classi borghesi e le classi lavoratrici, prima le une poi le altre, si sono battute per i propri interessi e sono entrate a far parte del governo rappresentativo.

La nuova richiesta di emancipazione politica da parte delle donne viene avanzata in un periodo in cui si attribuisce alla situazione di grave disagio sociale la responsabilità di un così gran numero di miserie morali, e in cui il destino di tutti gli infelici, i sofferenti e i criminali è imposto quotidianamente all'attenzione delle donne in modi dolorosi e intimi. Contemporaneamente, i governi di tutto il mondo insistono nel dire che spetta a loro, e soltanto a loro, regolamentare le condizioni sociali e industriali in modo tale da garantire ad ogni cittadino un'esistenza dignitosa.

Sotto certi aspetti la tenace richiesta delle donne di ottenere una espressione politica che caratterizza gli albori del secolo ventesimo è analoga alle esperienze di lavoro industriale delle donne nei primi anni del diciannovesimo secolo, quando la produzione tessile fu allontanata dalle case e concentrata nelle fabbriche. Se le donne non avessero seguito quelle loro antiche industrie nelle fabbriche, a migliaia sarebbero rimaste con le mani in mano nelle case vuote, perdendo non soltanto il denaro che prima guadagnavano, ma anche la loro antica occupazione. Spesso si è giudicato «poco femminile» l'atteggiamento di queste filatrici, che lasciavano la propria casa per andare a lavorare con una spoletta azionata da una macchina a vapore, forse perché le regine di tutte le storie edificanti, fin dai tempi di Penelope, al sopraggiungere dei loro innamorati, erano sempre languidamente intente a tessere e a filare. Oggi è difficile immaginare come avrebbe potuto svilupparsi l'industria di base dell'Inghilterra senza quelle migliaia di donne e ragazze che, incuranti di esporsi al pubblico ludibrio, decisero di seguire la loro antica occupazione.

Non è dunque altrettanto naturale che, come i cambiamenti dell'organizzazione industriale costrinsero le filatrici ad allontanarsi dal loro domicilio, così i cambiamenti politici portino le attività filantropiche, per non parlare dell'istruzione dei bambini, fuori dalle case? Gli anziani poveri di una comunità, di cui in passato si prendevano cura lontani parenti o vecchi vicini di casa e i malati, che venivano curati notte e giorno da amici e conoscenti affettuosi, che si davano il turno al loro capezzale, oggi sono accolti in grandi ospizi e ospedali, costruiti e finanziati con il denaro dei contribuenti. La donna che desidera diventare insegnante o infermiera compie il proprio tirocinio nelle istituzioni pubbliche, così come un tempo andava nelle fabbriche a filare, non perché desideri lasciare la sua casa, ma perché il suo lavoro ha cambiato sede. [...]

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Pagina 212

7. MRS. HERBERT LYMAN
DUE TIPI DI DONNE SI COMBATTONO, 1916



Oggi le donne vedono il loro sesso travagliato da una profonda inquietudine. Il nostro sesso sta cercando di adattarsi a nuove condizioni. Il suffragismo, il femminismo, la tattica «militant» sono stati i sintomi della prima fase del tentativo della donna moderna di adattarsi alle condizioni del ventesimo secolo. Quella fase è stata il risultato di ragionamenti affrettati e sta rapidamente cedendo il posto a una seconda fase, in cui la ponderata riflessione della donna normale sta rifiutando i falsi valori predicati dalle donne che erano saltate impulsivamente alla conclusione che la sfera dell'uomo ha più potere di quella della donna, ed è quindi più desiderabile.

La lotta intorno al suffragio femminile presenta lo spettacolo di due eserciti di donne schierati l'uno contro l'altro con ideali opposti. Che nessuno sia tanto ingenuo da credere che la contesa si svolga fra gli uomini e le donne. Non si tratta della questione dei «diritti della donna», bensì della questione di quali diritti. Due tipi di donne si combattono; infatti, sebbene entrambi perseguano il medesimo fine, e cioè un mondo migliore in cui vivere, hanno divergenze profonde rispetto al metodo con cui raggiungerlo.

La differenza essenziale è questa: le suffragiste (come i socialisti) persistono a considerare l'individuo la cellula costitutiva della società, mentre le antisuffragiste continuano a pensare che tale cellula sia la famiglia. Per le suffragiste la cosa più importante in assoluto è l'individualismo, per le anti-suffragiste è la solidità dei rapporti familiari. Il suffragismo si basa su un individualismo cosciente del sesso e su un antagonismo sessuale che lo inducono ad affermare che la donna può essere rappresentata soltanto da se stessa e che oggi le donne sono una grande classe priva di rappresentanza. Nella realtà, le donne non sono una classe, bensì un sesso, uniformemente distribuito attraverso tutte le diverse classi sociali.

L'antisuffragismo si basa sulla concezione della cooperazione fra i sessi. Gli uomini e le donne devono essere visti come dei soci, non come dei concorrenti, e la famiglia, per essere salvaguardata come unità costitutiva, deve essere rappresentata da una sola guida politica. Deve essere l'uomo della famiglia a detenere la rappresentanza, perché il governo è anzitutto il garante della protezione della vita e della proprietà, e si fonda sulla forza politica della maggioranza, che dovrebbe essere in grado, in caso di necessità, di costringere le minoranze a obbedire. Solo su questa base una democrazia può sopravvivere. Il suffragismo dice che, per combattere i mali esistenti, le donne devono organizzarsi per partecipare alla elaborazione delle leggi. Ciò conferma la sua fiducia in un governo più forte (una seconda somiglianza con il socialismo), nel controllo della legge. Le antisuffragiste vedono i mali della società essenzialmente come prodotto del male degli individui, e si appellano alle donne per fermarlo alla radice. Sottolineano il potere delle singole famiglie nell'educazione di uomini e donne che, abituati all'autocontrollo, non abbiano bisogno del controllo della legge. Ben sapendo quale grande scuola di moralità privata sia la vita familiare, le antisuffragiste si adoperano per la conservazione di condizioni che consentano una vita familiare sana, dal momento che il risultato della somma delle moralità private è la moralità pubblica, la coscienza del popolo.

Il ventesimo secolo, inoltre, ci ha dato la sua parola d'ordine, che è differenziazione, divisione del lavoro. Le antisuffragiste, accettandola e applicando al proprio sesso le nuove richieste di specializzazione, si mettono al passo coi tempi; le suffragiste invece restano indietro, continuando a ribadire le screditate teorie dell'uguaglianza e della identicità. Il messaggio straordinariamente progressivo che il nuovo secolo ci consegna è questo: dare uguali opportunità agli uomini e alle donne di esprimersi seguendo le loro differenti linee. [...]

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Pagina 263

LE IDEE DEL SUFFRAGISMO
di Anna Rossi-Doria



1. Il «dilemma di Wollstonecraft».

La conquista dei diritti politici non fu per le donne, come spesso è stato detto, il frutto di una progressiva estensione dei princìpi liberali e democratici, ma fu invece l'esito di una lunga e aspra battaglia nella quale quei princìpi erano stati allo stesso tempo assunti e criticati. La rivendicazione del diritto di accesso alla sfera pubblica e in particolare a quel regno della politica che, fin dai tempi di Aristotele, era stato definito sulla base della loro esclusione, provocò una così tenace resistenza per un motivo fondamentale: l'esclusione delle donne dalla sfera pubblica era legata intrinsecamente alla loro soggezione nella sfera privata. Fin dalla divisione antica fra pólis e óikos, e con una rinnovata chiarezza nei teorici moderni del giusnaturalismo e della democrazia, i due aspetti erano infatti sempre stati strettamente intrecciati. Per questo il diritto di voto fu negato alle donne per oltre un secolo e mezzo. Per questo la loro elaborazione teorica in difesa di quel diritto andò necessariamente ben al di là di esso.

Il nesso tra esclusione delle donne dalla sfera pubblica e loro oppressione nella sfera privata è formulato con grande chiarezza nel corso della storia del suffragismo. Già nel primo discorso alla Camera dei Comuni a favore del voto alle donne, nel 1867, John Stua rt Mill dichiara: «Io so che esiste una sensazione oscura — una sensazione che ci si vergogna di esprimere apertamente —, come se le donne non avessero diritto di occuparsi di nient'altro se non del modo in cui possono essere le più utili e devote serve di qualche uomo». Dagli Stati Uniti Elizabeth Cady Stanton lo riprende nel 1875: «John Stuart Mill dice che in generale il sesso maschile non può ancora sopportare l'idea di vivere con un essere uguale accanto nella casa; e qui sta il segreto dell'opposizione all'uguaglianza delle donne nello Stato e nella Chiesa: gli uomini non sono pronti a riconoscerla nella casa. Questo è il vero pericolo che si sente nel dare il voto alla donna, perché fino a che l'uomo fa, interpreta e applica le leggi da solo, detiene il potere in ogni ambito. Perciò, quando egli esprime il timore che la libertà della donna sovvertirebbe le relazioni familiari, riconosce che il suo attuale stato di soggezione non è stato scelto da lei, e che se avesse il potere, l'intera relazione sarebbe sostanzialmente modificata». L'inglese Lydia Becker nel 1874 aveva scritto: «La subordinazione delle donne rispetto agli uomini è essenzialmente diversa da quella dei bambini rispetto ai genitori perché viene chiaramente mantenuta allo scopo di assicurare agli uomini i servizi delle donne come mogli, giocattoli, custodi della casa, serve.

Gli uomini che si oppongono al diritto di voto delle donne non hanno timore o vergogna di ammettere che se le donne fossero libere non accetterebbero di mantenere con gli uomini quel tipo di relazioni e che è quindi necessario tenerle in uno stato di subordinazione giuridica allo scopo di garantire la permanenza delle attuali relazioni domestiche». Ancora nel 1914 l'americana Charlotte Perkins Gilman osserverà: «È l'ineliminabile mascolinità della nostra idea di governo che suscita tanta rivolta all'idea delle donne elettrici. [...] Gli uomini non possono sopportare di pensare alle donne come esseri che hanno il controllo sulla propria vita: controllare, essi presumono, è maschile».

È a causa di questo strettissimo rapporto, a volte tanto più importante quanto più taciuto, tra sfera pubblica e sfera privata che il pensiero suffragista deve porsi fin dall'inizio di fronte ad una contraddizione, che peraltro non è sua, ma è insita nel liberalismo e nella democrazia di cui quel pensiero rappresenta insieme uno sviluppo e una denuncia: occorre fare appello ai diritti universali, ma contemporaneamente svelare l'inganno per cui essi sono applicati solamente ai cittadini di sesso maschile. Questa contraddizione fa sì che il pensiero suffragista si sforzi fin dall'inizio di rifiutare una sorta di scelta obbligata fra le due strade presentate dagli uomini come alternative quando negano il voto alle donne, e che invece appaiono a queste ultime inefficaci l'una senza l'altra: l'inserimento nei diritti universali; la difesa della specifica differenza femminile. Da un certo punto di vista, si tratta di un caso particolare di quella generale scelta, in tutti i casi insieme obbligata e inaccettabile, tra discriminazione e omologazione che la cultura occidentale ha posto, a partire dall'illuminismo, a tutti i «diversi» (basti pensare alle ambiguità contenute fin da allora nel concetto di emancipazione degli ebrei). E tuttavia, poiché le donne non sono né una minoranza, né un «diverso» riducibile ai termini della persecuzione, la questione si pone in modo assolutamente peculiare.

La necessità e insieme la difficoltà di rivendicare sia l'uguaglianza dei diritti universali, sia una differenza non gerarchica, determinano quello che Carol Pateman ha definito il «dilemma di Wollstonecraft» (i cui due poli sono in effetti già presenti nella Vindication come pure nella coeva Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges): le donne «da un lato hanno chiesto che l'ideale della cittadinanza fosse esteso anche a loro, [...] dall'altro lato hanno anche insistito, spesso contemporaneamente, come fece Mary Wollstonecraft, sul fatto che in quanto donne, hanno particolari capacità, talenti, bisogni e interessi, motivo per cui l'espressione della loro cittadinanza dovrà essere diversa da quella degli uomini. Il loro lavoro non pagato che sostiene il welfare state potrebbe essere considerato, così come Wollstonecraft considerava i compiti delle donne in quanto madri, il lavoro delle donne in quanto cittadine, esattamente allo stesso modo in cui il lavoro pagato dei loro mariti è centrale per la cittadinanza degli uomini. L'accezione patriarcale della cittadinanza significa che le due richieste sono incompatibili perché consente solo due alternative: o le donne diventano (come) uomini e quindi cittadini in senso pieno; oppure continuano nel loro lavoro di donne che non ha valore per la cittadinanza. Per di più, all'interno del welfare state patriarcale, nessuna delle due richieste può essere soddisfatta».

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5. La scienza contro il femminismo.

Alla fine dell'800 il pensiero suffragista appare prevalentemente improntato all'idea della modificazione della società in base a valori femminili, lungo la linea teorica che si chiamò allora della maternità sociale. L'altro polo che era stato sempre presente, la ricerca della affermazione della donna come libero individuo, quasi scompare o diventa del tutto minoritario. Il cambiamento può essere interpretato come il segno di una più accentuata autonomia dal pensiero politico maschile: le suffragiste dichiaravano ora che le donne lottavano in nome di una «specifica missione sociale derivante dalla loro innata natura diversa [...] per creare una democrazia riformata e "femminilizzata"; respingevano la caratterizzazione della vita politica nei termini delle qualità maschili e cercavano di ridefinire lo Stato nei termini di un sistema di valori creato autonomamente, derivato dalla particolare esperienza delle donne». Ma la nuova difficoltà a tenere insieme i due obiettivi del suffragismo è spia di una situazione più difficile che per esso si è creata e che sta tutta nelle parole «innata natura diversa».

Si era verificato in effetti un enorme cambiamento culturale: la scienza positivista, ridefinendo e irrigidendo la differenza femminile e soprattutto dandone una spiegazione esclusivamente naturale anziché storica, «determinò un forte ed efficace rafforzamento della tradizionale visione dogmatica dei caratteri dei sessi, che non solo rafforzò l'opposizione al femminismo, ma disancorò gli ideali delle stesse femministe dalle loro radici filosofiche». Per cogliere la gravità di questo cambiamento, vanno brevemente ricordati alcuni tratti delle teorie evoluzioniste, nell'ipotesi che queste si contrappongano direttamente ai nuovi livelli di emancipazione femminile che si stavano in quel momento raggiungendo: «L'evoluzione presupponeva il cambiamento, e tuttavia fu usata soprattutto per trarne argomenti contro il cambiamento nella condizione e nella collocazione delle donne nella società». Si tratta di un caso particolare di quel moto generale per cui negli ultimi decenni del secolo, via via che i mutamenti sociali e culturali che eliminano antiche discriminazioni e fanno scomparire antichi confini tendono a farsi più veloci, il nuovo pensiero scientifico va a rintracciare nella natura la base delle differenze che fino ad allora erano state fondate sulla consuetudine. Basti pensare al diffondersi in questo periodo per la prima volta di teorie «scientifiche» razziste che ridefiniscono l'inferiorità ebraica proprio nel momento in cui gli ebrei si stanno assimilando.

Sono in particolare le nuove scienze della biologia, della antropologia e in parte della sociologia a svolgere un ruolo determinante nella definizione delle differenze tra i sessi in una rigida struttura di complementarietà di caratteri innati e quindi immodificabili. È questa che impronta il grande dibattito sulla questione femminile che negli anni di fine secolo mostra tutta l'ansia suscitata dai cambiamenti del ruolo della donna: «Poiché i confini della sfera femminile sembravano ormai messi in dubbio, era il problema della natura femminile ad attrarre un crescente interesse». A ciò si lega il nuovo potere sulle donne dei medici, che tendono ad assumere il ruolo di guide morali della famiglia e della società: già nel 1878 Frances Power Cobbe osserva che essi assumono, in modo «stranamente simile, la posizione dei preti dei tempi antichi, si danno le stesse arie di autorità [...] ed entrano in ogni famiglia con una facile chiave di informazioni private».

Nel ruolo antifemminista svolto dalle teorie evoluzioniste, decisiva è l'opera di Herbert Spencer. A lui risalgono alcuni dei concetti più influenti che fissano il ruolo naturale della donna: il primo è che esista un tasso di energie richieste dalla funzione riproduttiva, per cui questa è danneggiata se le donne dedicano le loro energie ad eccessivi sforzi intellettuali (non si parla invece mai di fatica fisica nel lavoro) o se le lasciano inutilizzate (la scelta di studiare provoca anemia e sterilità, quella di non sposarsi clorosi e isteria); viene stabilita inoltre una stretta corrispondenza tra inferiorità intellettuale della donna e sua bassa collocazione nella scala della evoluzione; infine, viene condannata ogni forma di individualismo femminile, poiché «gli interessi della specie devono prevalere sugli interessi dell'individuo». Le idee di Spencer sono molto diffuse tra il largo pubblico, anche attraverso riviste appositamente fondate, quali la americana «Popular Science Monthly». Nel suo primo numero, del 1872, Spencer pubblica, ad esempio, un saggio in cui spiega che il cervello più piccolo delle donne non consente loro di raggiungere «gli stadi più recenti della evoluzione umana: la capacità di ragionamento astratto e la più astratta delle emozioni, il sentimento di giustizia». E in un saggio dell'anno successivo spiega le ragioni delle inferiori capacità mentali delle donne con un arresto precoce della loro evoluzione, affermando che le caratteristiche femminili — la capacità di intuizione, la fascinazione del potere, l'emozione religiosa — non sono «dovute, come molti pensano, alla educazione ricevuta dalle donne, ma hanno una causa più profonda nel loro carattere naturale».

È però all'opera di Charles Darwin The Descent of Man, del 1871, che risalgono le due analogie più riprese in età positivistica: quella tra le donne e i bambini, che rende più facile l'allevamento, e quella tra le donne e i popoli primitivi, per cui le qualità femminili della «intuizione, rapida percezione e forse imitazione» sono «tipiche delle razze inferiori». E il darwiniano Francis Galton, fondatore dell'eugenetica, nell'opera del 1869 Hereditary Genius aveva contestato che il genio potesse essere soffocato da condizioni ambientali sfavorevoli come prova del fatto che le donne ne erano per natura prive.

Pochi anni dopo la nuova scienza della sessuologia diffonderà capillarmente queste idee: il popolarissimo testo inglese di Patrick Geddes e J. Arthur Thomson, The Evolution of Sex, del 1889, insiste sull'idea che i due sessi sono «complementari e reciprocamente dipendenti», proprio come aveva sempre detto la normativa tradizionale sui compiti delle donne, ma ora l'idea è fondata su basi biologiche. Il libro è pieno di asserzioni indimostrate, basate su contrapposizioni immodificabili: «l'uomo pensa di più, la donna sente di più»; «quel che fu deciso tra i protozoi preistorici non può essere annullato da una legge del parlamento». I limiti delle possibilità della donna risultano ora ben più rigidi di quanto fossero in qualsiasi definizione di «woman's sphere» tradizionale: il ruolo biologico definisce il carattere morale. Poiché la donna «si tiene vicina alle grandi linee dell'evoluzione ed è meno influenzata dalle effimere correnti della attualità; poiché la sua vita è legata a quella del bambino; poiché in un certo senso è più vicina lei stessa al bambino e al selvaggio, è a lei che l'Uomo, dopo esplorazioni e vagabondaggi, mentali e fisici, continuamente tende a tornare come alla sua dimora originaria». Il grado di sviluppo della donna è interamente legato alla funzione riproduttiva: «Gli interessi delle donne si possono considerare più strettamente identificati con gli interessi della natura. La natura ha reso le donne più simili ai bambini per metterle in grado di capire e curare meglio i bambini».

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