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| << | < | > | >> |Indice5 Nota dell'Editore 7 TRENTO 7 Note sulle lotte studentesche di MAURO ROSTAGNO 26 La lotta a Trento a cura di MARCO BOATO 83 TORINO 85 Contro l'Università di GUIDO VIALE 139 NAPOLI 141 Movimento studentesco e processo rivoluzionario di MASSIMO MENEGOZZO 149 Valore politico del movimento studentesco 163 PISA 165 Le tesi della Sapienza 187 MILANO 180 La lotta alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano a cura di STEFANO LEVI 205 La lotta all'Università Cattolica a cura di MARIO CAPANNA 243 ROMA 245 Documenti delle lotte |
| << | < | > | >> |Pagina 7MAURO ROSTAGNO
NOTE SULLE LOTTE STUDENTESCHE
1) Questo intervento presuppone, dà per acquisite almeno due cose : l'analisi della scuola fatta dai compagni di Torino (Palazzo Campana) e l'analisi delle lotte fatta dai compagni di Trento (Facoltà di Sociologia). O meglio, quanto di esse non è rimasto solo scrittura ed è diventato anzi pratica sociale di massa. 2) Il primo dato persistente del movimento di massa che in questi ultimi mesi anche in Italia ha investito le strutture del sistema, è quello di aver saputo tener fermo il contrasto nella scuola, allargandolo successivamente ad altri settori della società civile o politica. La lotta ha travalicato così anche visivamente i suoi limiti di categoria, diventando lotta sociale. 3) Il movimento «delle occupazioni» ha sviluppato una logica di «allargamento» del conflitto che non è solo stata geografica (da una sede locale a quasi tutte le sedi su scala nazionale) ma politica (entro l'università, si è passati dagli iscritti - frequentanti agli iscritti studenti - lavoratori; entro la scuola più in generale, si è passati dagli universitari agli studenti medi superiori, scientifici - classici - tecnici - professionali, agli studenti serali, etc...) (esternamente alla scuola, si è cominciato ad investire gli strati socialmente oppressi, operai di fabbrica, soprattutto). 4) La logica «politica» dell'allargamento dello scontro non è esterna al movimento, anzi ne procede necessariamente come sviluppo irrenunciabile delle premesse poste in atto nei mesi scorsi. Premesse riassumibili nello slogan «potere studentesco», che al di là delle fumisterie, significava lotta generalizzata contro la scuola delle masse studentesche, al di là delle loro interne ed artificiose suddivisioni (es. universitari - medi superiori, oppure, umanistiche - scientifiche, etc...). La generalità politica dello studente veniva colta nel suo essere oggetto passivo di manipolazione, figura sociale subordinata e priva come tale di ogni potere decisionale, di ogni capacità reale di controllo sulla propria formazione, qualificazione, destino professionale. 5) Lotta contro la scuola. Contro ogni tipo di scuola. Quella attuale, ma anche quella riformata. Quella arretrata, ma anche quella avanzata. Non più distinzioni tra scuola buona e scuola cattiva, tra professore buono e professore cattivo, tra autorità «tecnica» (cioè "giusta") ed autoritarismo (eccessivo, da correggersi). Si vedeva finalmente con chiarezza che non c'è, non ci può essere una scuola «diversa», una scuola «migliore», se non nel sogno, che si rivela poi «incubo», di un «ghetto d'oro» nella società «di merda». In sintesi, lotta di massa contro la scuola sta a significare che l'emancipazione della scuola come quella dello studente passa attraverso l'emancipazione della società e dunque della classe operaia e proletaria. Che la soluzione del problema non sta nelle riforme tecnocratiche nè in compromessi politici, ma nello sviluppo della lotta, nel suo allargamento e nella sua radicalizzazione. 6) Il nuovo tipo di lotte di massa svela il tipo nuovo di sistema sociale entro cui esse vengono a muoversi. Sistema sociale che ha vanificato, tendenzialmente, ogni autonomia parziale di sfere, riconducendole ad un accentrato e rigido controllo unificato e pianificato. Non più "distinzione" di strutture da sovrastrutture, di economia dalla politica, di vita pubblica da vita privata... . Studio, lavoro, consumo, tempo libero, relazioni interpersonali... tutto rientra in uno schema di inputs-outputs, che consente conflitti, non tollera antagonismi. 7) La lotta contro la scuola è già a questo livello lotta contro il sistema, proprio nella misura in cui quella « parte » non è attaccata per essere riformata, funzionalizzata, ma al contrario è messa in discussione in quanto tale. Lotta senza possibilità di vittoria fino a che rimane tale, e cioè lotta di una «parte» contro il «tutto». Perché, e lo si è visto bene, tutte le altre «parti», a questo punto, ti si rivoltano contro. Repressioni e riformismo ti chiudono, e non hai più scampo. Magistratura, polizia, Esecutivo, Partiti, Mass-Media, Corpo Docente, Chiesa, Famiglia, etc... sono messe in movimento, in difesa, appunto, non tanto della scuola, ma del sistema stesso, che attraverso la scuola è stato messo in discussione. Colla critica delle armi e non solo coll'arme (sopportabile) della critica. L'allargamento della lotta ad altre forze sociali eversive, la radicalizzazione dei termini della lotta stessa sono 2 momenti necessari alla logica politica di massa che si è messa in movimento. Diversamente i manovratori della «macchina mondiale» (le classi dominanti dei paesi dominanti) (lo stato oligopolistico) avranno partita vinta, e tutte le mediazioni usate (dalla famiglia alla polizia) finiranno per contenere la carica antagonistica globale sviluppata entro i corretti argini di un duro conflitto parziale, di categoria. [...] 12) Il problema della violenza. La durata dello scontro (ormai molti mesi), la sua estensione (da una sede a tutte le altre; dall'università alle superiori; dai frequentanti ai non frequentanti, come fuori-sede e studenti lavoratori;...) il suo volume (crescendo ogniqualvolta diventava più aspro) la sua qualità (ove non si chiedono contropartite ma si mette in discussione tutto) la sua difficoltà materiale (repressione familiare, scolastica, poliziesca, legislativa; salto dei presalari, delle borse di studio, dei finanziamenti familiari...) etc... stanno a dimostrare quanta rabbia si fosse accumulata sotto la pelle della gente, quanto ne avessero piene le scatole, insomma quanta carica eversiva potenziale attendesse l'occasione corretta per esplodere. Ovunque è stato scelto lo strumento espressivo più duro, la occupazione. Che d'altra parte non è bastata allo sfogo, il quale ha successivamente investito e dissacrato tutto quanto veniva a tiro (dalla mamma alla chiesa al partito al giornale al poliziotto al professore al passante occasionale...). Molti che credevamo fottuti, hanno trovato lo scatto politico necessario ad iniziare il rovesciamento del processo di manipolazione - controllo - istituzionalizzazione che fino allora avevano subito. Hanno scoperto il carattere violento di quel processo, e colla violenza hanno risposto, con naturalezza eversiva. Alla violenza atmosferica del sistema hanno risposto con la violenza della lotta illegale organizzata. E dalla scuola hanno voluto risalire a tutto il resto. Non solo con mediazioni concettuali, ma con mediazioni pratiche. Unendo cultura e politica. Scoprendo che l'unico modo di conoscere è la pratica sociale, la lotta che modifica la realtà. 13) Dall'avarizia alla politica («Barbiana»). Avaro è chi risolve un problema suo da solo. Ma l'avarizia non è solo immorale, è inefficace. Anche per questo l'abbandoni. Perché in fondo scopri che poi il problema non lo hai risolto. Perché il problema tuo era il problema collettivo e dunque la soluzione non poteva essere che collettiva. Salta fuori la politica. Risolvere il problema che è tuo come degli altri, insieme a quegli altri. Scoprendo poi che altri, alcuni, a te lo avevano posto. Come un gioco da giocare da solo, accettando le regole del gioco. Dunque non giochiamo, non accettiamo le regole, il gioco lo rovesciamo. Carmichal dice «Non vogliamo mangiare alla Vostra tavola, vogliamo rovesciarla». La violenza era atomizzante. Non puoi rispondere con la violenza tua, ma collettiva. Θ l'unico modo per liberarti. Scoprirti come un eguale verso alcuni, diseguale verso altri. [...] 23) Una prospettiva. («distruggere fuori - costruire dentro»). Ancora una volta si tratta di scartare l'omogeneizzazione del movimento su un «obiettivo» attorno al quale far quadrato ed andare fino in fondo. Sia che tale obiettivo sia integrabile-ottenibile, sia che no (né integrabile né ottenibile). Sia che tale obiettivo sia «interno» alla scuola, sia che no. Si tratta invece di mantenersi legati alla logica finora sviluppata, logica che appunto saltava gli obbiettivi, passando immediatamente dalla mobilitazione della rabbia individuale all'organizzazione direttamente politica dello scontro. E dunque riscoprendo, dentro quella logica, che quanto interessa al movimento non è la gestione (parziale o totale) della scuola, ma al contrario la gestione dell' autonomia politica (eversiva) del movimento stesso. Autonomia appunto sia dalle strutture oppressive della scuola, sia dalle strutture inefficaci e burocratizzate del movimento studentesco tradizionale. Autonomia, quindi, ad un livello più generale ma altrettanto diretto sia dallo stato di classe, sia dal sistema dei partiti politici attuali. Il movimento deve allora puntare alla gestione della crisi permanente della scuola, nel senso fino ad oggi sviluppato, per cui «crisi della scuola» la si ottiene e la si sviluppa creando quadri politici di movimento nei controcorsi e nelle commissioni di lavoro, il che vuol dire, estendendo l'agitazione ad una base sociale più vasta e diversa, investendo con un rapporto diretto le lotte operaie e contadine, passando dalla città alla provincia, etc... Ma dove allora, per creare tutto questo, occorre aprire dentro la scuola, degli spazi (fisici e politici), gli spazi strutturali, in cui poter lavorare politicamente, continuare controcorsi e commissioni (o altre cose sperimentali), interessare, coinvolgere, far crescere politicamente altri, fissando irreversibilmente, nel frattempo, i valori eversivi finora portati avanti. La scuola può allora riprendere e continuare. Diversa, riformata, etc... non questo importa. Ma tutta ancora sulle spalle dei burocrati, consegnata alla loro gestione. Né può essere diversamente, a meno di non rovesciare tutto quanto fatto finora. La gestione della scuola ai burocrati (professori, amministratori etc...). La gestione del movimento agli studenti. In mezzo non c'è spazio, per partecipazionismi riformistici né per cogestionalismi illuminati, ma solo per la crisi della scuola e lo sviluppo del movimento. Su sei giorni (ad es.) 4 alla scuola 2 al movimento. E non con illusioni coesistenziali, ma appunto senza quelle, coscienti che niente è irreversibilmente ottenuto, e che dunque tali "spazi" occorrerà saperli imporre e conquistare, per poi gestirli e superarli, svilupparne capacità di generalizzazione. | << | < | > | >> |Pagina 85GUIDO VIALE
CONTRO L'UNIVERSITΐ
(Articolo tratto dal n. 33 dei Quaderni Piacentini)
L'Università come strumento di integrazione Il primo compito del movimento studentesco è operare delle distinzioni di classe all'interno della popolazione scolastica. Se è vero che nel periodo della loro formazione tutti gli studenti sono assolutamente privi del potere e sottoposti alla manipolazione delle autorità accademiche, è altrettanto vero che per alcuni inserirsi nella struttura di potere dell'Università non è che un primo passo del loro inserimento nelle strutture di potere della società, mentre per la maggioranza degli studenti la subordinazione al potere accademico non è che l'anticipazione della loro condizione socialmente subordinata all'interno delle organizzazioni produttive in cui sono destinati a entrare. Mentre quindi per gli studenti provenienti da classi sociali privilegiate e inserite nella gestione sociale del potere capitalistico, l'Università funziona come meccanismo di cooptazione della classe dirigente, per la maggioranza degli studenti, ferma restando la loro condizione socialmente ed economicamente privilegiata rispetto alla classe operaia, l'Università funziona come strumento di manipolazione ideologica e politica teso ad instillare in essi uno spirito di subordinazione rispetto al potere (qualsiasi esso sia) ed a cancellare, nella struttura psichica e mentale di ciascuno di essi, la dimensione collettiva delle esigenze personali e la capacità di avere dei rapporti con il prossimo che non siano puramente di carattere competitivo. Fin dall'inizio dell'occupazione abbiamo individuato grosso modo tre strati della popolazione universitaria : quelli che l'Università la usano (come base di lancio verso il conseguimento di posizioni di potere nella struttura sociale); quelli che l'Università la subiscono (come fase necessaria attraverso cui bisogna passare per andare ad occupare una condizione sociale predeterminata nella fittizia gerarchia di una mistificatoria stratificazione sociale); e quelli che dall'Università vengono soltanto oppressi (in quanto essa funziona come strumento di legittimazione della loro posizione sociale subordinata). La struttura interclassista dell'Università, che nonostante il diverso trattamento che riserva ai diversi strati, si presenta a tutti gli studenti come un meccanismo di promozione sociale neutrale rispetto alla provenienza di classe, svolge un ruolo insostituibile come strumento di integrazione sociale e come mezzo per istituzionalizzare l'ideologia della stratificazione sociale continua (ad ogni titolo di studio consegue l'appartenenza ad un determinato strato sociale).
L'attuale agitazione nell'Università di Torino può venire interpretata come
una lotta condotta dal secondo strato della popolazione studentesca contro
il primo per cercare di smascherare il ruolo mistificatorio della preparazione
professionale come strumento di assegnazione ai vari gradi della stratificazione
sociale.
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