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| << | < | > | >> |IndiceRingraziamenti dell'edizione inglese 13 Prefazione a cura del dottor Marino Albinesi, pubblico ministero a Roma e direttore del Circolo enogastronomico d'Italia 15 Leonardo in cucina Ritratto "gastronomico" 19 |
| << | < | > | >> |Pagina 15A cura del dottor Marino Albinesi, pubblico ministero a Roma e presidente del Circolo enogastronomico d'Italia È sempre sembrato molto strano che una persona tanto curiosa e interessata a tutto, come Leonardo da Vinci, abbia un ricordo così vago della sua passione per il cibo e per la cucina. Lui, l'uomo il cui più grande e famoso dipinto, al quale dedicò tre anni di vita, è chiamato l' Ultima Cena, doveva essersi occupato molto più di cibo che di valori spirituali. Lui, l'uomo che nelle sue ultime volontà lasciò una parte considerevole dei propri beni — fra tutti — alla sua cuoca, Battista de Villanis. Lui, l'uomo che si dedicò per tutta la vita tanto appassionatamente al cibo e all'arte culinaria quanto alle pitture o ai progetti delle fortificazioni o a tutto ciò che stimolava la sua curiosità. In realtà egli si dedicò più attivamente alla cucina che a ogni altra arte. Doveva essere poco più che un ragazzo quando, nel tempo libero che gli rimaneva all'uscita dalla bottega del Verrocchio, lavorava per una manciata di monete in una taverna fiorentina; poco tempo dopo provò ad aprire una sua taverna insieme a Sandro Botticelli; ma soprattutto divenne Gran Maestro di feste e banchetti alla corte degli Sforza — una carica che ricoprì per più di trent'anni, e che lo portò ad avere un'esperienza culinaria approfondita e diretta. Tuttavia i riferimenti al cibo e alle bevande presenti negli appunti giunti fino a noi sono scarsi: qualche annotazione e pochi aforismi, non una sola ricetta relativa a tutto il tempo in cui lavorò presso gli Sforza. E ora, nel tentativo di riempire questo vuoto, siamo alle prese con quello che un numero crescente di persone, compreso l'attuale editore inglese, chiamano il Codex Romanoff. Ma anche la mia vecchia amica Shelagh Marvin Routh, che con suo marito Jonathan ha dedicato tanti anni all'interpretazione di queste indicazioni culinarie di Leonardo, ammette che non c'è alcun modo per autenticare come originale di Leonardo da Vinci la copia di un manoscritto redatto in italiano, che tratta quasi esclusivamente di cibo, e che apparentemente sembra saltato fuori dal nulla. Cosa dobbiamo poi pensare della breve nota introduttiva: "Questa è l'opera che io, Pasquale Pisapia, ho copiato a mano dal manoscritto originale di Leonardo da Vinci, custodito all'Hermitage (Museo dell'Hermitage) di Leningrado"? Chi era, o chi è, Pasquale Pisapia? Come mai costui è, o era, il solo a sapere dell'esistenza del manoscritto? Inoltre, con i responsabili dell'Hermitage che negano l'esistenza di una simile opera di Leonardo nel loro museo, diventa davvero difficile dimostrare l'autenticità del manoscritto. (Anche se devo ammettere che in tempi recenti i russi hanno "rinnegato" anche altre cose.)
Ma lasciatemi spiegare perché la possibilità di avere a che fare con un
manoscritto di Leonardo sia quanto mai reale.
1. Le vicende biografiche di Leonardo – il suo lavoro alla taverna quand'era appena un ragazzo, la carica di Gran Maestro di feste e banchetti sotto gli Sforza, lo avrebbero senz'altro reso abbastanza esperto da scrivere questi appunti con una certa autorità e competenza. 2. Dobbiamo ricordare che probabilmente solo poco più di un terzo di tutto ciò che Leonardo scrisse e disegnò è arrivato fino a noi, il resto (come i suoi famosi trattati sui cavalli e sull'architettura) è andato perduto, distrutto dal fuoco o dalle guerre, o semplicemente scomparso (come i fogli del Codice Madrid che riapparvero negli anni '50 nella Biblioteca Nazionale di Madrid dove erano rimasti, sotto una catalogazione sbagliata, per quasi trecento anni). 3. Dobbiamo poi ricordare che la maggior parte degli scritti di Leonardo ha una natura frammentaria. Sulla stessa pagina di un suo taccuino possono trovarsi anche quattro pensieri totalmente scollegati fra loro e magari incompleti, alcuni dei quali scritti molti anni dopo i primi perché Leonardo potrebbe aver riutilizzato gli spazi bianchi nella pagina, alcuni perfino scritti al contrario rispetto a tutto il resto. L'allievo di Leonardo, Francesco Melzi, al quale egli lasciò tutti gli appunti (tranne nel caso in cui Francesco I re di Francia non ne abbia preso qualcuno), ci si avventò sopra armato di forbici e colla nel tentativo di metterli in ordine, e dopo di lui fece lo stesso lo scultore e collezionista Pompeo Leoni. (Viene da pensare a quanti frammenti di quei fogli siano rimasti sul pavimento.) Ma il nocciolo della questione è che, considerate le vicissitudini degli appunti dopo la morte di Leonardo, è molto probabile che intere sezioni siano state smarrite e poi dimenticate nelle soffitte (tanto per cominciare ci fu un'indifferenza quasi totale nei confronti dei suoi scritti), che qualcuno se ne sia appropriato, che qualcun altro se ne sia disfatto, o che siano stati venduti (da ricordare l'ammonimento di re Carlo d'Inghilterra a Lord Arundel di "portargli ad ogni costo qualche scritto di Leonardo da Vinci"): non dimentichiamo che nel 1868 l'ombroso conte Guglielmo Libri, dopo aver "preso in prestito" un certo numero di fogli alla Biblioteca Nazionale di Parigi, li vendette al conte Manzoni i cui eredi nel 1892 li cedettero – e qui comincia la pista russa – a un russo chiamato Sabachnikoff (il quale in seguito restituì soltanto una parte dei fogli alla Biblioteca Reale di Torino). La questione fu discussa anche alla Biennale Enogastronomica di Toscana tenuta a Firenze nel 1982, poco tempo dopo che si era parlato per la prima volta del Codex Romanoff. La maggior parte dei miei colleghi era d'accordo sul fatto che l'opera "avrebbe potuto" essere di Leonardo. E la teoria che più mi convince — credo che sia stata formulata dal conte di Raham — è che il Codex sia finito in Russia insieme a uno dei due dipinti custoditi oggi al Museo dell'Hermitage (dei quali i russi non negano la proprietà). La problematica Madonna Litta è stata tolta alla gran famiglia Visconti di Milano, acquistata dallo zar Alessandro II e messa lì nel 1865. La più credibile Madonna del Fiore fu data al Museo dallo zar Nicola II nel 1914. L'aveva acquistata dalla famiglia Benois che a sua volta l'aveva comprata dal Principe Kurakin — noto amico di Sabachnikoff. E se effettivamente c'era tale richiesta di opere di Leonardo da parte dei Romanoff, costoro non avrebbero potuto acquistare anche i suoi scritti? Sabachnikoff ne aveva alcuni. E senza dubbio altri saranno passati per le mani dei Visconti. Ahimè, possiamo solo speculare senza sapere la verità. Ma di una cosa sono certo, e cioè che questi scritti mostrano lo stile di Leonardo; ribadisco che egli avrebbe avuto l'esperienza, la capacità e la possibilità di scriverli, quindi il fatto di non poter prender visione degli originali non deve impedirci di considerarli autentici — se vogliamo. Dopo tutto lo stesso vale per Shakespeare. | << | < | > | >> |Pagina 19Risale agli anni dell'infanzia l'origine della passione di Leonardo per la cucina, la passione di una vita. Nasce il 15 aprile del 1452 a Vinci, vicino Firenze, dalla relazione fra il notaio fiorentino ser Pietro e una donna di Vinci, Caterina. Pochi mesi più tardi, suo padre sposa una ragazza fiorentina di sedici anni e sua madre un pasticciere di Vinci in pensione, Accatabriga di Piero del Vacca. Leonardo cresce frequentando entrambe le famiglie, ma è grazie al "volgare, sciatto e goloso" Accatabriga (così lo descrive ser Pietro), colui che gli fa conoscere i dolciumi, che gli inculca i segreti del cuore dell'arte culinaria, che gli lascia creare modellini di marzapane da far asciugare al sole della Toscana, che Leonardo affina il dolce e inebriante gusto per il cibo che lo accompagnerà per tutta la vita minacciando il successo di molte altre sue attività. Compiuti i dieci anni, Leonardo può vedere ben poco di ciò che fa il patrigno, perché il vero padre lo vuole a Firenze accanto ai fratellastri per ricevere i rudimenti di un'educazione formale (che però non prevede l'apprendimento del latino; Leonardo utilizzò sempre il fiorentino volgare per scrivere e parlare). Nel 1469 ser Pietro manda quel suo primo figlio ormai piuttosto grasso a bottega da Verrocchio, lo scultore — pittore — ingegnere — orafo — matematico presso il cui studio di Firenze è apprendista anche Botticelli. Quell'anno Leonardo ha molti problemi. Assimila diligentemente, ponendo anche molte domande, tutto ciò che Verrocchio insegna, ma passa il tempo rimpinzandosi dei dolci che il patrigno gli spedisce. Verrocchio decide di punirlo per il suo crapulando — gozzovigliare. E la punizione è che Leonardo deve dipingere un angelo nel pannello di destra del Battesimo di Cristo commissionato al Verrocchio per la chiesa di San Salvi (e che ora è appeso agli Uffizi di Firenze, completamente dominato dall'angelo leonardesco). Ma da quel momento Leonardo cessa di essere il "ciccione" schernito dai suoi compagni d'apprendistato. Dopo tre anni a bottega, Leonardo deve camminare con le sue gambe — anche se può continuare a lavorare presso lo studio del Verrocchio. Per supplire agli scarsi introiti ricevuti dalle rare commissioni che Verrocchio gli concede, la sera va a lavorare come cameriere alla Taverna delle Tre Lumache sul Ponte Vecchio a Firenze. Poi, nella primavera del 1473, a seguito della misteriosa morte per avvelenamento di tutti i cuochi delle Tre Lumache, Leonardo viene promosso in cucina. Verrocchio, che ha appena chiesto al suo pupillo di collaborare al Battesimo di Cristo, è alquanto contrariato da questo improvviso allontanamento. Ma Leonardo è troppo eccitato dal suo nuovo incarico alle Tre Lumache per rimanere. Da mesi ormai pensa con nausea e disgusto alla polenta che, servita insieme a pezzi di carne di difficile identificazione, è il piatto forte del posto; e subito giunge alla conclusione che nulla di tanto anonimo e insipido può essere considerato uno dei grandi piatti di quel Rinascimento che sente ormai diffondersi attorno a sé. In qualità di capo cuoco, si mette a lavoro per "civilizzare" le pietanze servite alle Tre Lumache. Tuttavia, i clienti della taverna fanno un gran baccano quando Leonardo inventa e serve loro ciò che noi oggi chiameremmo nouvelle cuisine (minute porzioni di piccole squisite delicatezze accompagnate da minuscole deliziose formine intagliate nella polenta indurita, il tutto sistemato ad arte) tanto che Leonardo è costretto a fuggire per salvarsi la pelle; fortunatamente torna alla bottega del Verrocchio dove può rifugiarsi nel Battesimo di Cristo. L'esperienza alle Tre Lumache ha notevoli conseguenze sulla mente indagatrice di Leonardo. Gli fa capire quanto sia dispendioso in termini di tempo e di lavoro preparare pietanze. E da questo momento in poi penserà sempre più a quelli che potremmo definire "gadgets risparmia-fatica" per la cucina. Comincia allora a scrivere le sue note, ed è abbastanza sorprendente rilevare come per molti dei disegni allegati, che per i successivi quattrocento anni sono stati interpretati come macchine da guerra, Leonardo intenda proprio l'esatto contrario: macchine di pace, tritacarne, lavatrici, schiaccianoci meccanici e cose del genere. Ma dovrà aspettare qualche tempo prima di poter trasformare i disegni in realtà. Ci sono prima commissioni per ritratti, commissioni per pale d'altare, e una reputazione di pittore ancora da costruire. Poi nell'estate del 1478, in seguito a una lite fra bande fiorentine rivali, la famosa Taverna delle Tre Lumache prende fuoco. Leonardo abbandona la commissione più importante finora ricevuta, una pala d'altare per la cappella di San Bernardo a Palazzo Vecchio, e comincia ad avviare, assieme al suo amico Botticelli, in sostituzione una locanda improvvisata – riciclando per lo più vecchi scenari dello studio del Verrocchio – chiamata Le Tre Rane di Sandro e Leonardo. Leonardo dipinge una delle insegne appese fuori ai lati della locanda, Botticelli l'altra. Il locale non ottiene successo. Ancora una volta il bel mondo fiorentino non apprezza le quattro fettine di carota e un'acciuga – benché sistemate ad arte – sul piatto (e d'altra parte, si lamenta Botticelli, chi mai capirebbe un menu scritto da destra a sinistra?); gli scenari di Verrocchio vengono smontati dalle impalcature e riportati di nascosto nello studio del maestro. I successivi tre anni non sono favorevoli a Leonardo. Nessuna taverna lo assume come cuoco né gli offre un lavoro qualsiasi nelle cucine, a causa degli effetti nefasti che le sue eccentriche ricette sembrano avere su ogni tipo di clientela. È chiaro che non ha affatto voglia di ritornare alla sua pala d'altare, né di continuare altre commissioni di tipo pittorico. Se ne va in giro per Firenze, scarabocchiando, suonando il liuto e inventando nuovi nodi. | << | < | > | >> |Pagina 26Nel 1482 Leonardo va a Milano col suo amico musicista Atalante Migliorotti, e con un'ulteriore lettera di presentazione per il Moro scritta di suo pugno:Io non ho rivali nel costruire ponti, fortificazioni e catapulte; e anche altri segreti arnesi che non ardisco descrivere su questa pagina. La mia pittura e la mia scultura reggono il confronto con quelle di qualunque altro artista. Eccello nel formulare indovinelli e nell'inventare nodi. E faccio delle torte che non hanno uguali. Ludovico si incuriosisce nel leggere le modeste auto-referenze di Leonardo. Gli concede udienza e ne rimane così colpito che Leonardo lascia la Sala delle Udienze in qualità di consigliere del Moro alle fortificazioni e Gran Maestro di feste e banchetti alla corte degli Sforza. Finalmente sente di essere "qualcuno", non un semplice artista o scribacchino. Gli vengono dati dei servi, un laboratorio tutto suo, e attorno ha la gran corte di Milano — cortigiani, consiglieri, soldati di ventura, rappresentanti di potenze straniere, grandi studiosi. Con una sola lettera è cambiata tutta la sua vita. Intanto sul suo taccuino comincia a scrivere gli appunti che costituiscono il Codex Romanoff. Tuttavia, inizialmente, Ludovico sfrutta Leonardo soltanto come intrattenimento del dopocena — per suonare il liuto, cantare, porre indovinelli, creare rompicapi e giochi scientifici, mostrare nodi particolari a tutta la corte. Sembra totalmente disinteressato ai disegni per le fortificazioni ideate da Leonardo che, non appena si rende conto che il suo patrono predilige il lato sensuale della vita, decide di realizzare modellini di fortificazioni in zucchero e gelatina tremolante, ma lo stesso destino del marzapane scolpito per Lorenzo de' Medici si accanisce su di essi. | << | < | > | >> |Pagina 50Due anni dopo tenta di superare la sontuosità di questo spettacolo preparando le scenografie per il matrimonio fra Ludovico e Beatrice d'Este. Pensa che l'intera festa si debba svolgere dentro una torta: una copia di palazzo Sforza grande duecento piedi, realizzata con torte accatastate nel cortile, per lo più pezzi di polenta con nocciole e uva passa, ricoperti da marzapane multicolore. Gli ospiti avrebbero varcato porte dolci, si sarebbero seduti su sgabelli dolci presso tavoli dolci e inevitabilmente – avrebbero mangiato dei dolci.L'unico fattore che Leonardo non considera è l'attrattiva rappresentata da una tale struttura per uccelli e topi milanesi. La notte precedente il banchetto nuziale arrivano a centinaia di migliaia da tutto il circondario. Gli uomini di Ludovico passano tutta la notte facendo il tiro al bersaglio, ma all'alba il panorama è desolante: il cortile è una carneficina di torte crollate, uomini che arrancano nella poltiglia, immersi fino alla cintola, per togliere i topi morti, tanto che appare chiaro che questo banchetto nuziale dovrà svolgersi altrove – il che accade, nello spiazzo antistante il palazzo. Ancora una volta Ludovico è molto benevolo con Leonardo. Forse anche sotto l'influenza della nuova moglie, Leonardo l'ha ritratta molto bene e lei d'altra parte nutre una sorta d'attrazione nei suoi confronti, per tutti quegli indovinelli che la divertivano mentre posava per lui. Alla fine Ludovico gli suggerisce semplicemente che ancora una volta il suo gran talento sarà molto apprezzato per un po' al di fuori delle mura del palazzo, e gli raccomanda di fare una visita al priorato di Santa Maria delle Grazie lungo la strada, perché stanno cercando un artista che dipinga la parete di fondo del refettorio. L'opera che Leonardo si accinge a eseguire su questo muro è la sua Ultima Cena. Gli ruberà tre anni di vita – tre anni trascorsi non tanto a lavorare quanto a tergiversare. È notevole il fatto che il soggetto commissionato dal priore per quello che sarà il dipinto più grande di Leonardo coincida con l'interesse prediletto: il cibo. | << | < | > | >> |Pagina 63Decide di non dipingere e di non scrivere altri appunti, ma semplicemente di mettere in ordine quelli già esistenti per riunirli in una grande enciclopedia.Purtroppo non riesce a realizzare quest'opera. La ragione sta nel fatto che il re di Francia Francesco è un cuoco in incognito, e usa Leonardo come copertura per le sue scorribande segrete in cucina. Viene costruita una galleria tra il Gran Palazzo e la casa padronale di Leonardo per far risparmiare tempo al re, e giorno dopo giorno, lui e Leonardo passano le ore a fare esperimenti tra le mura di pietra di Cloux. Finalmente Leonardo vive come ha sempre desiderato. A stimolare i due nelle loro prove culinarie c'è una gran quantità di uccelli da cacciare nella zona, e un bel po' di pesci da pescare nella Loira o da comprare a Bordeaux, e Leonardo in persona si occupa dell'orto nel quale ancora oggi crescono le stesse qualità di ortaggi. Dopo qualche tempo Francesco chiede a Leonardo di mostrargli il contenuto della famosa scatola nera, in modo da poterlo copiare per fare degli spaghetti il piatto nazionale francese, ma per qualche misteriosa ragione Leonardo è riluttante. Forse si rende conto, proprio come era avvenuto per l' Ultima Cena, che questa è un'invenzione destinata al mondo intero, e non vuole che qualcun'altro se ne appropri o la usi nel modo sbagliato. Dona a Francesco la sua Monna Lisa, poi gli dona il suo San Giovanni, ma in ogni caso ha deciso che il contenuto della scatola nera morirà con lui. | << | < | > | >> |Pagina 80L'equipaggiamento della perfetta cucina"Prima di tutto (si ha bisogno) di un fuoco sempre acceso. Poi di una riserva continua d'acqua sempre bollente. Quindi di un pavimento sempre pulito. Di macchine per lavare, tritare, affettare, pelare e tagliare. Indi di una macchina per scacciare i cattivi odori dalla cucina e nobilitarla con un'aria gradevole e senza fumo. E poi di musica, perché la gente lavora meglio ed è più felice se c'è la musica. Infine di una macchina per eliminare le rane dai barili dell'acqua potabile. | << | < | > | >> |Pagina 81Polenta biancaQuesto piatto non è adatto a chi ha la peste, e neppure a chi ha problemi di cuore. È davvero pesante, sconsigliabile a chi soffre di dolori al fegato e di calcoli biliari, e decisamente fastidioso per la vista e pure per i nervi. Sguscia le mandorle e pestale nel mortaio. Batti una mezza dozzina di petti di cappone, unisci un po' di latte di capra e passa tutto al setaccio. Mischia la pasta di mandorle, aggiungi una ventina di albumi d'uovo, pangrattato bianco, del brodo grasso, e passa al setaccio per poi friggere. Dopo, cospargi il tutto con un po' d'acqua di rose, aggiungi alcuni chicchi di melagrana e servi, e ho già detto a Battista che se ha ancora intenzione di prepararla in questa casa, io non sarò disposto a servirla di nuovo. | << | < | > | >> |Pagina 107Sulle capre in cucina
Nella mia cucina non ho uno stanzino per le capre. Da vive, puzzano e
rosicchiano ogni cosa, compresi il mio tavolo e la mia seggiola. Da morte,
puzzano ancora di più. Per eliminare la puzza di capra è necessario eliminare le
capre.
Aneddoto
Quando a Gregorio Pacioli, che scolpiva Madonne a Venezia, fu assicurato che
la soluzione alla stitichezza che da sempre lo affliggeva stava nel mangiare
regolarmente uva, egli non si fermò a chiedere in che modo l'uva dovesse essere
assunta, e scelse la forma liquida. Ogni giorno beveva sei bottiglie di succo
d'uva, vale a dire di vino, senza diluirlo con acqua o miele. In questo modo non
soffrì più di stitichezza fino alla morte, che sopravvenne dodici anni più
tardi. Né scolpì più Madonne, con enorme sconcerto del Senato di Venezia e di
altri, e con grande preoccupazione da parte dei senatori perché, proprio durante
quel periodo, avrebbe dovuto realizzare per loro ben 36 Madonne, che erano già
state pagate anticipatamente, e ora rimanevano tutti seduti a guardarlo mandar
giù i loro ducati. Poco prima di morire Pacioli confidò al fratello che se
avesse saputo prima dell'uva, certo in vita non si sarebbe affaticato tanto.
A proposito delle erbe
DILEMMA: se una mucca non mangia nient'altro che erba, e se una pecora non
mangia nient'altro che erba ed entrambe sopravvivono, e se io mangio la mucca e
la pecora senza alcun effetto nocivo, perché non potremmo noi tutti mangiare
soltanto erba? Salai mi aiuterà a risolvere la questione.
Coperchi per le pentole
Ogni volta che si mette una pentola sul fuoco, è necessario coprirla con
alcuni teli umidi di lino, che devono essere cambiati spesso per evitare che il
fumo sia assorbito dal contenuto della pentola (e ne alteri il sapore). È così
da centinaia di anni. Ora io mi chiedo, non si potrebbe inventare un coperchio
permanente, indistruttibile come la pentola stessa, sempre reperibile, che non
abbia bisogno di essere sostituito in continuazione? Farò un progetto.
Zuppa di cavallo
È il modo più sicuro di digerire un cavallo. Bisogna seguire lo stesso
procedimento della zuppa di mucca, sostituendo con tre cipolle le tre carote di
quella ricetta. (Un cavallo normalmente sfama circa 200 persone.)
Zuppa di rana
Spella tre rane (poiché la pelle della rana di certo non aiuta la
digestione), poi togli le interiora (poiché le interiora della rana secernono
vari tipi di veleno), a questo punto, dopo aver bagnato le rane nel miele,
immergile per un'ora in una pentola d'acqua bollente, con una carota e un po' di
cumino. Passa tutto al setaccio e otterrai una carota dal sapore eccezionale.
(Gregorio Summus preferisce la carota cotta assieme a circa sedici lumache della
Romagna, mentre Galeazzo Sanseverino non mangia mai rane toccate o morse da
lumache. Inoltre sostiene che la pelle delle zampe delle rane dovrebbe essere
rimossa almeno un giorno prima della cottura, e che bisognerebbe lasciare le
zampe a mollo in latte e acqua per una notte intera.)
Zuppa di cime di rapa Alcuni affermano che le cime di rapa e i cavoli, in forma solida, siano pietanze adatte solo a chi ha una fibra forte: macellai, portatori di pietre, contadini; e che intellettuali, invalidi, persone gracili, donne e tutti coloro dalla digestione delicata dovrebbero evitare di mangiarli.
Al contrario, io sostengo che il consumo di cime di rapa e di cavoli, grazie
al potere contenuto in questi ortaggi, può invece rendere buona una digestione
lenta, dacché ho visto una capra ammalata ridestarsi, e una mucca morente
tornare a vivere allegramente. Ma chi crede nella prima teoria può in ogni caso
provare la zuppa. Avvolgi in un telo le cime di rapa e le foglie di cavolo e
lega il fagotto con alcuni crini di cavallo. Mettili in acqua salata a bollire
per circa mezz'ora. Il brodo può diventare un buon piatto semplice per la
quaresima.
Ancora sui coperchi
Mi ha detto il buon Bernardo, al quale ho accennato i miei progetti per i
coperchi delle pentole, che in realtà tutte le casseruole del mio Sire sono già
dotate di questi coperchi, che per molti anni però sono stati usati male dagli
sguatteri delle cucine – a detrimento di tutti i cuochi – che li hanno deformati
a furia di sbatterli contro le mura del castello, dove si riuniscono ogni notte
per gridare e ballare al suono di quella che loro definiscono musica. Ne ho
abbastanza, ogni sguattero dovrà riportare il suo coperchio o non lavorerà più
in queste cucine.
Dei benefici di una dieta morigerata Devo aver già scritto (almeno credo) che se vuoi mantenerti in salute non dovresti mangiare senza averne voglia, e dovresti anche bere a piccoli sorsi; masticare bene e fare attenzione che ti servano sempre cibi ben cotti. Ora pensa a Fazio Cardano, è l'uomo più forte della corte e tuttavia mangia ogni giorno le pietanze più elaborate. Pensa al mio Sire, il suo grande appetito non scema mai, e ingoia tutto in un sol boccone. Accade anche questo, ogni regola ha la sua eccezione. Oppure forse mi sbaglio. | << | < | > | >> |Pagina 123Delle diverse e curiose proprietà del cetrioloIl cetriolo può essere mangiato crudo (ma senza buccia né semi), e anche stufato, eppure ci sono ancora persone che lo impiegano solamente come decorazione, creando varie figure scolpite, e altre che ne fanno un uso ancora più strano, come Elena Bastibari che è stata bruciata al rogo per essersi trastullata con un cetriolo. Per il mio Signore è un lassativo d'eccezione, mentre la mia Signora Beatrice ne ordina sei a notte per strofinarsi sulla pelle la gelatina che sta attorno ai semi, che si spalma soprattutto in faccia attribuendogli il merito della propria beltà. Per quanto mi riguarda, tutto quello che chiedo è un cetriolo in salamoia. | << | < | > | >> |Pagina 125Comportamento sconveniente al tavolo del mio SignoreQueste sono le abitudini sconvenienti che un ospite alla mensa del mio Signore certo non deve avere; ho stilato l'elenco osservando tutti i commensali che si sono seduti a tavola col mio Signore l'anno passato: — Nessun ospite dovrebbe sedersi sul tavolo, e neppure con la schiena appoggiata al tavolo, tanto meno in braccio a qualche altro ospite — Né dovrebbe mettere i piedi sul tavolo — Nessuno dovrebbe rimanere a tavola troppo a lungo — Nessun ospite dovrebbe posare la testa sul piatto — Nessun ospite dovrebbe prendere il cibo dal piatto del vicino senza prima chiedergli il permesso — Nessun ospite dovrebbe mettere spiacevoli bocconi mezzo masticati nel piatto del vicino senza prima chiedergli il permesso — Nessun ospite dovrebbe pulirsi il coltello sulla tovaglia del vicino — Né usare il coltello per incidere il tavolo — Nessun ospite dovrebbe pulirsi l'armatura a tavola — Nessun ospite dovrebbe prendere il cibo dal tavolo per nasconderselo in borsa o negli stivali, e mangiarselo poi — Nessun ospite dovrebbe dare morsi alla frutta e poi rimetterla mangiucchiata nella fruttiera — Nessun ospite dovrebbe sputare davanti a sé — E nemmeno accanto a sé — Nessun ospite dovrebbe pizzicare o leccare il vicino — Nessun ospite dovrebbe tirare su col naso né dare gomitate — Nessun ospite dovrebbe far roteare gli occhi né fare smorfie paurose — Nessun ospite dovrebbe mettersi le dita nel naso durante la conversazione — Nessun ospite dovrebbe fare modellini, né accendere fuochi, né stringere nodi a tavola (sempre che non lo chieda il mio Signore) — Nessun ospite dovrebbe lasciar liberi i suoi uccelli a tavola — E nemmeno serpenti o scarafaggi — Nessun ospite dovrebbe suonare il liuto, o qualsiasi altro strumento che possa infastidire il suo vicino (sempre che non lo chieda il mio Signore) — Nessun ospite dovrebbe cantare, né parlare, né gridare, né fare indovinelli come un ribaldo se c'è una signora accanto a lui — Nessun ospite dovrebbe tramare a tavola (sempre che non sia d'accordo col mio Signore) — Nessun ospite dovrebbe fare allusioni lascive ai paggi del mio Signore, e nemmeno trastullarsi con loro — Nessun ospite dovrebbe colpire gli inservienti (sempre che non sia per legittima difesa) — E se deve vomitare, che lasci la tavola
— Parimenti se deve orinare.
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