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| << | < | > | >> |IndiceTuffare lo sguardo nell'abisso 11 PARTE PRIMA I 19 1. L'assurda idea del giovanissimo Werner Heisenberg: gli osservabili 21 2. La fuorviante ψ di Erwin Schrödinger: la probabilità 34 3. La granularità del mondo: i quanti 42 PARTE SECONDA II 53 1. Sovrapposizioni 55 2. Prendere ψ sul serio: mondi multipli, variabili nascoste e collassi fisici 65 3. Accettare l'indeterminatezza 74 III 79 1. C'è stato un tempo in cui il mondo sembrava semplice 81 2. Relazioni 83 3. Il rarefatto e lieve mondo dei quanti 90 IV 97 1. Entanglement 99 2. La danza a tre che tesse le relazioni del mondo 106 3. Informazione 109 PARTE TERZA V 123 1. Aleksandr Bogdanov e Vladimir Lenin 125 2. Naturalismo senza sostanza 138 3. Senza fondamento? Nāgārjuna 144 VI 157 1. Semplice materia? 159 2. Cosa significa «significato»? 164 3. Il mondo visto dall'interno 175 VII 187 Ma è davvero possibile? 189 Note 201 Indice analitico 221 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Časlav e io siamo seduti sulla sabbia a pochi passi dal mare. Abbiamo parlato fitto per ore. Siamo venuti sull'isola di Lamma, davanti a Hong Kong, nel pomeriggio di pausa della conferenza. Časlav è fra i più rinomati esperti di meccanica quantistica. Alla conferenza ha presentato un'analisi di un complesso esperimento ideale. L'abbiamo discusso e ridiscusso sul sentiero che costeggia la giungla fino alla spiaggia, poi qui, in riva al mare. Arriviamo a essere praticamente d'accordo. Sulla spiaggia c'è un lungo momento di silenzio fra noi. Guardiamo il mare. È davvero incredibile, sussurra Časlav, come si può crederci? È come se non esistesse... la realtà... Siamo a questo punto con i quanti. Dopo un secolo di strepitosi risultati, dopo averci regalato la tecnologia contemporanea e la base per tutta la fisica del Novecento, a guardarla bene la teoria di maggior successo della scienza ci riempie di stupore, confusione, incredulità. C'è stato un momento in cui la grammatica del mondo sembrava chiarita: alla radice di tutte le variegate forme della realtà sembravano esserci solo particelle di materia guidate da poche forze. L'umanità poteva pensare di aver sollevato il velo di Maya: aver visto il fondo della realtà. Ma non è durato a lungo: molti fatti non tornavano. Fino a che nell'estate del 1925 un ragazzo tedesco di 23 anni è andato a trascorrere giorni di agitata solitudine in una ventosa isola del Mare del Nord: Helgoland, l'Isola Sacra. Lì, sull'isola, ha trovato un'idea che ha permesso di rendere conto di tutti i fatti recalcitranti e di costruire la struttura matematica della meccanica quantistica, la «teoria dei quanti». Forse la più grande rivoluzione scientifica di tutti i tempi. Il nome del ragazzo era Werner Heisenberg. Il racconto di questo libro si apre con lui. La teoria dei quanti ha chiarito le basi della chimica, il funzionamento degli atomi, dei solidi, dei plasmi, il colore del cielo, i neuroni del nostro cervello, la dinamica delle stelle, l'origine delle galassie... mille aspetti del mondo. È alla base delle tecnologie più recenti: dai computer alle centrali nucleari. Ingegneri, astrofisici, cosmologi, chimici e biologi la usano quotidianamente. Rudimenti della teoria sono nei programmi delle scuole superiori. Non ha mai sbagliato. È il cuore pulsante della scienza odierna. Eppure resta profondamente misteriosa. Sottilmente inquietante. Ha distrutto l'immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite, senza chiarire come dobbiamo invece pensare il mondo. La sua matematica non descrive la realtà, non ci dice «cosa c'è». Oggetti lontani sembrano connessi fra loro magicamente. La materia è rimpiazzata da fantasmatiche onde di probabilità. Chiunque si fermi a chiedersi cosa ci dica la teoria dei quanti sul mondo reale resta perplesso. Einstein , che pure ne aveva anticipato le idee mettendo Heisenberg sulla strada, non l'ha mai digerita; Richard Feynman , il grande fisico teorico della seconda metà del XX secolo, ha scritto che nessuno capisce i quanti. Ma questo è la scienza: un'esplorazione di nuovi modi per pensare il mondo. È la capacità che abbiamo di rimettere costantemente in discussione i nostri concetti. È la forza visionaria di un pensiero ribelle e critico capace di modificare le sue stesse basi concettuali, capace di ridisegnare il mondo da zero. Se la stranezza della teoria ci confonde, ci apre anche prospettive nuove per capire la realtà. Una realtà più sottile di quella del materialismo semplicistico delle particelle nello spazio. Una realtà fatta di relazioni, prima che di oggetti. La teoria suggerisce strade nuove per ripensare grandi questioni, dalla struttura della realtà fino alla natura dell'esperienza, dalla metafisica fino, forse, alla natura della coscienza. Tutto questo è oggi materia di dibattito vivacissimo fra scienziati e fra filosofi, e di tutto questo parlo nelle pagine che seguono. Sull'isola di Helgoland, spoglia, estrema, battuta dal vento del Nord, Werner Heisenberg ha sollevato un velo fra noi e la verità; oltre quel velo è apparso un abisso. Il racconto di questo libro parte dall'isola dove Heisenberg ha concepito il germe della sua idea, e si allarga progressivamente alle questioni via via più ampie aperte dalla scoperta della struttura quantistica della realtà. | << | < | > | >> |Pagina 25Il salto di Heisenberg è spericolato quanto semplice. Nessuno riusciva a trovare la forza capace di guidare gli elettroni nel loro bizzarro comportamento? Bene, allora lasciamo perdere una nuova forza. Usiamo piuttosto quella che già conosciamo: la forza elettrica che attira l'elettrone al nucleo. Non troviamo nuove leggi del moto che giustifichino le orbite e i salti di Bohr ? Bene, teniamo le leggi del moto che già conosciamo, senza cambiarle.Cambiamo invece il modo di pensare l'elettrone. Rinunciamo all'idea che un elettrone sia un oggetto che si muove lungo una traiettoria. Rinunciamo a descrivere il moto dell'elettrone. Descriviamo solo ciò che osserviamo dall'esterno: intensità e frequenza della luce emessa dall'elettrone. Basiamo tutto solo su quantità che siano osservabili. Questa è l'idea. Heisenberg prova a ricalcolare il comportamento dell'elettrone usando unicamente le quantità che osserviamo: la frequenza e l'ampiezza della luce emessa. Cerca di ricalcolare l'energia dell'elettrone partendo da lì. Noi osserviamo gli effetti di salti dell'elettrone da un'orbita di Bohr all'altra. Heisenberg rimpiazza le variabili fisiche con tabelle che hanno l'orbita di partenza sulle righe e l'orbita di arrivo sulle colonne. Ogni casella della tabella, che sta su una riga e su una colonna, descrive il salto da una particolare orbita a un'altra. Passa il tempo sull'isola cercando di usare queste tabelle per calcolare qualcosa che giustifichi le regole di Bohr. Dorme pochissimo. Non riesce a fare i conti per l'elettrone nell'atomo, sono troppo difficili. Prova a farli per un sistema più semplice: un pendolo. Cerca le regole di Bohr in questo caso semplificato. Il 7 giugno qualcosa comincia a tornare: «Quando il primo termine sembrò tornare giusto [ritrovare le regole di Bohr], cominciai ad agitarmi, a fare un errore di aritmetica dopo l'altro. Erano più o meno le tre del mattino quando il risultato finale dei miei conti fu davanti a me. Era giusto a tutti i termini. «D'un tratto non ho più avuto dubbi sulla coerenza della nuova meccanica 'quantistica' che il mio calcolo indicava. «Ero profondamente allarmato. Avevo la sensazione che attraverso la superficie dei fenomeni stavo guardando verso un interno di strana bellezza; mi sentivo stordito al pensiero che ora dovevo investigare questa nuova ricchezza di struttura matematica che la Natura così generosamente dispiegava davanti a me». Parole che danno brividi. Attraverso la superficie dei fenomeni, «un interno di strana bellezza». Risuonano con le parole scritte da Galileo quando vede apparire una regolarità matematica nelle sue misure sulla caduta di oggetti lungo il piano inclinato, la prima legge matematica scoperta dall'umanità che descrive il moto di oggetti sulla Terra: «Non c'è emozione come intravedere la legge matematica dietro il disordine delle apparenze». | << | < | > | >> |Pagina 31Sedici anni dopo. L'Europa è sconvolta dalla guerra mondiale. Heisenberg è diventato scienziato famoso. Hitler gli ha assegnato il compito di usare il sapere sull'atomo per costruire una bomba che gli faccia vincere la guerra. Heisenberg prende il treno, raggiunge Copenaghen, nella Danimarca occupata dall'esercito tedesco, e visita il vecchio maestro. Il vecchio e il giovane si parlano. Si lasciano senza capirsi. Heisenberg dirà che era andato da Bohr per parlare del problema morale sollevato dalla prospettiva di una bomba spaventosa. Non tutti gli crederanno. Poco dopo un commando inglese rapisce Bohr con il suo consenso e lo porta fuori dalla Danimarca occupata. Bohr viene trasferito in Inghilterra, lo riceve personalmente Churchill, poi negli Stati Uniti, dove il suo sapere è messo all'opera, con la generazione dei giovani fisici che hanno imparato a usare la meccanica dei quanti per maneggiare gli atomi. Hiroshima e Nagasaki sono annientate e duecentomila esseri umani, uomini donne e bambini, uccisi in una frazione di secondo. Oggi viviamo con decine di migliaia di testate nucleari puntate sulle nostre città. Se qualcuno perde la testa, può distruggere la vita sulla Terra. La potenza micidiale della «fisica dei ragazzi» è sotto gli occhi di tutti.Non c'è solo la bomba, grazie al cielo. La teoria dei quanti è stata applicata a atomi, nuclei atomici, particelle elementari, alla fisica dei legami chimici, alla fisica dei materiali solidi, a quelli liquidi e ai gas, ai semiconduttori, ai laser, alla fisica delle stelle come il Sole, alla fisica delle stelle di neutroni, all'universo primordiale, alla fisica della formazione delle galassie... e via e via, potrei continuare per pagine. Ha portato a comprendere interi pezzi di Natura, per esempio la tavola periodica degli elementi, ad applicazioni mediche che hanno salvato milioni di vite umane, a nuove apparecchiature, nuove tecnologie, ai computer. La teoria ha predetto fenomeni nuovi mai osservati né sospettati prima: correlazioni quantistiche a chilometri di distanza, computer quantistici, teletrasporto... tutte predizioni che si sono rivelate corrette. La serie dei trionfi dura ininterrotta da un secolo, e continua.
Lo schema di calcolo di Heisenberg,
Born
, Jordan e
Dirac
, la strana idea di «limitarsi solo a quanto è osservabile», e sostituire
variabili fisiche con matrici, non ha mai sbagliato. È la sola teoria
fondamentale del mondo che finora non ha mai sbagliato e della quale non
conosciamo i limiti.
Ma perché non possiamo descrivere dove sia e cosa faccia l'elettrone quando non lo guardiamo? Perché dobbiamo parlare solo dei suoi «osservabili»? Perché possiamo parlare solo del suo effetto quando salta da un'orbita all'altra, e non possiamo semplicemente dire dove sia in ogni momento? Cosa significa sostituire numeri con tabelle di numeri? Cosa significa: «È tutto ancora molto vago e non mi è chiaro, ma sembra che gli elettroni non si muoveranno più su orbite»? L'amico Pauli scriverà di Heisenberg: «Ragionava in modo terribile, era tutto intuizione, non prestava alcuna attenzione a elaborare chiaramente gli assunti fondamentali e la loro relazione con le teorie esistenti...». Il magico articolo di Werner Heisenberg che ha dato origine a tutto, concepito sull'Isola Sacra del Mare del Nord, si apriva con questa frase: «L'obiettivo di questo lavoro è gettare le basi per una teoria di meccanica quantistica basata esclusivamente su relazioni fra quantità che siano in linea di principio osservabili». Osservabili? Cosa ne sa la Natura se ci sia qualcuno a osservare? La teoria non dice come si muova l'elettrone durante un sal- to. Dice solo cosa vediamo quando salta. Perché? | << | < | > | >> |Pagina 34L'anno successivo, il 1926, tutto sembra chiarirsi. Il fisico austriaco Erwin Schrödinger riesce a ottenere lo stesso risultato di Pauli, calcola cioè le energie di Bohr dell'atomo, ma in modo completamente diverso. Anche questo risultato non nasce in un dipartimento universitario: Schrödinger lo trova durante una fuga con un'amante segreta in uno chalet nelle Alpi svizzere. Cresciuto nell'atmosfera libera e permissiva della Vienna di inizio secolo, brillante e affascinante, Erwin Schrödinger ha sempre avuto diverse compagne contemporaneamente, e non ha nascosto una fascinazione per le pre-adolescenti. Anni dopo, nonostante il Premio Nobel, la sua posizione a Oxford salta a causa di uno stile di vita troppo poco conformista anche per il preteso anticonformismo inglese: vive con la moglie Anny e l'amante Hilde, che aspetta un figlio da lui ed è moglie del suo assistente. Negli Stati Uniti non va meglio: a Princeton, Erwin, Anny e Hilde vogliono convivere prendendosi cura insieme della piccola Ruth, nata nel frattempo; Princeton non digerisce. Andranno a vivere a Dublino, più liberale. Ma anche lì Schrödinger finirà per suscitare scandalo, dopo aver avuto due figli da due diverse studentesse... Commento di sua moglie Anny: «È più facile vivere con un canarino che con un puledro, io preferisco un puledro». Il nome della compagna con cui Schrödinger si rifugia in montagna nei primi giorni del 1926 è rimasto misterioso. Sappiamo solo che è una vecchia amica viennese. La leggenda vuole che sia partito portandosi solo lei, due perle da mettersi nelle orecchie per potersi isolare quando vuole pensare alla fisica, e la tesi di un giovane scienziato francese, Louis de Broglie , che Einstein gli aveva consigliato di leggere. [...] Schrödinger è catturato dall'idea che le traiettorie delle particelle elementari siano anch'esse solo approssimazioni del comportamento di un'onda soggiacente. Aveva parlato di quest'idea in un seminario a Zurigo, e uno studente gli aveva domandato se queste onde obbedissero a un'equazione. In montagna, con le perle nelle orecchie e nelle pause fra i dolci momenti condivisi con l'amica viennese, Schrödinger fa abilmente a ritroso il percorso che porta dall'equazione di un'onda alla traiettoria di un raggio di luce, e in questo modo acrobatico indovina l'equazione che l'onda-elettrone deve soddisfare quando è in un atomo. Studia soluzioni di questa equazione, e... ne estrae esattamente le energie di Bohr. Wow!
Poi, venuto a conoscenza della teoria di Heisenberg, Born e Jordan, riesce a
mostrare che dal punto di vista matematico le due teorie sono sostanzialmente
equivalenti: predicono gli stessi valori.
L'idea delle onde è talmente semplice che spiazza il gruppetto di Göttingen e le sue esoteriche speculazioni sulle quantità osservabili. Sembra l'uovo di Colombo: Heisenberg, Born, Jordan e Dirac hanno costruito una teoria intricata e oscura solo perché hanno preso una strada contorta e fuorviante. Le cose sono molto più semplici: l'elettrone è un'onda, tutto qui. Le «osservazioni» non c'entrano niente. Anche Schrödinger è prodotto del vivace mondo filosofico e intellettuale viennese di inizio secolo: amico del filosofo Hans Reichenbach , è affascinato dal pensiero orientale, in particolare dal Vedānta induista, e appassionato della filosofia di Schopenhauer (come lo è Einstein), che interpreta il mondo come «rappresentazione». Di certo non frenato dal conformismo né preoccupato di «quello che penserà la gente», l'idea di sostituire un mondo di materia con un mondo di onde non lo spaventa. La lettera che Schrödinger usa per designare le sue onde è la lettera ψ, la «Psi». La quantità ψ è spesso chiamata la «funzione d'onda». Lo splendido calcolo di Schrödinger sembra mostrare che il mondo microscopico non è fatto di particelle: è fatto di onde ψ. Intorno ai nuclei degli atomi non orbitano puntini di materia: ci sono ondulazioni continue delle onde di Schrödinger, come le onde che scuotono un piccolo lago sempre agitato dal vento. Questa «meccanica ondulatoria» appare di colpo molto più convincente che la «meccanica delle matrici» di Göttingen, anche se dà le stesse predizioni. Il conto di Schrödinger è più semplice di quello di Pauli. I fisici della prima metà del XX secolo avevano familiarità con le equazioni delle onde, non avevano alcuna familiarità con le matrici. «La teoria di Schrödinger è arrivata come un sollievo: non dovevamo più imparare la strana matematica delle matrici» ricorda un noto fisico del tempo. E soprattutto: le onde di Schrödinger sono facili da immaginare e visualizzare. Ci mostrano chiaramente cosa ne è della «traiettoria dell'elettrone» che Heisenberg voleva far sparire: l'elettrone è un'onda che si può spargere, tutto qui. Schrödinger sembra trionfare su tutta la linea. | << | < | > | >> |Pagina 39È Max Born, ancora lui, che aggiunge un tassello alla questione, comprendendo per primo il significato della ψ di Schrödinger. Born, con la sua aria da ingegnere serio e un po' dimesso, è il meno flamboyant e il meno noto fra i creatori della teoria dei quanti, ma ne è forse il vero artefice, oltre a essere stato, come dicono gli americani, il «solo adulto nella stanza», in senso tanto figurato quanto letterale. Era lui, nel 1925, ad avere ben chiaro che i fenomeni quantistici rendevano necessaria una meccanica radicalmente nuova, è stato lui a instillare quest'idea nei giovani, è stato lui a riconoscere al volo l'idea giusta nel primo confuso calcolo di Heisenberg e a tradurla in una vera teoria.Born capisce che il valore dell'onda di Schrödinger in un punto nello spazio determina la probabilità di osservare l'elettrone in quel punto. Se un atomo emette un elettrone ed è circondato da contatori Geiger, il valore della ψ là dove c'è un contatore determina la probabilità che sia quel contatore, e non un altro, a rivelare l'elettrone. La ψ di Schrödinger non è quindi la rappresentazione di un'entità reale: è uno strumento di calcolo che ci dice la probabilità che qualcosa di reale avvenga. È come le previsioni del tempo, che ci dicono cosa potrebbe succedere. [...] La meccanica quantistica di Heisenberg e Schrödinger predice probabilità: è una teoria che non tiene conto di tutti i dati rilevanti del problema? Per questo ci dà solo probabilità? Oppure la natura salta qui e là davvero a caso? L'ateo Einstein ha formulato la domanda in un linguaggio colorito: «Davvero Dio gioca a dadi?». Einstein amava il linguaggio figurato, e gli piaceva usare «Dio» per le sue metafore nonostante il dichiarato ateismo. Ma in questo caso la sua frase può essere letta in senso letterale: Einstein amava Spinoza per il quale «Dio» è sinonimo di «Natura». Quindi «Davvero Dio gioca a dadi?» significa letteralmente «Davvero le leggi della Natura non sono deterministiche?». A cent'anni di distanza dalle polemiche fra Heisenberg e Schrödinger, su questa domanda, come vedremo, si discute ancora. | << | < | > | >> |Pagina 44Cinque anni più tardi, Einstein suggerisce che la luce e tutte le altre onde elettromagnetiche siano proprio costituite di «grani» elementari, ciascuno con una energia fissa, che dipende dalla frequenza. I primi «quanti». Oggi li chiamiamo fotoni, i quanti di luce. La costante di Planck h misura la loro dimensione: ogni fotone ha un'energia h volte la frequenza della luce di cui fa parte.Assumendo che questi «grani elementari di energia» esistano davvero, Einstein riesce a spiegare un fenomeno allora non compreso, chiamato effetto fotoelettrico, e prevederne caratteristiche prima che siano misurate. Einstein è il primo, già dal 1905, a rendersi conto che i problemi sollevati da questi fenomeni sono così seri da richiedere una revisione dell'intera meccanica. Questo fa di lui il padre spirituale della teoria dei quanti. La sua idea che la luce sia un'onda ma anche una nuvola di fotoni è confusa, ma è l'idea che ispira de Broglie a pensare che tutte le particelle elementari siano onde, e poi Schrödinger a introdurre l'onda ψ. Einstein è quindi l'ispiratore della meccanica quantistica per più vie: Born impara da lui che la meccanica va interamente rivista; Heisenberg si ispira a lui nel restringere l'attenzione alle sole quantità misurabili; Schrödinger parte dall'idea di de Broglie ispirata dai fotoni di Einstein. C'è di più: Einstein è anche il primo a studiare fenomeni atomici usando la probabilità, mettendo così Born sulla strada per comprendere che il significato dell'onda ψ è una probabilità. La costruzione della teoria dei quanti è stata un gioco di squadra. | << | < | > | >> |Pagina 47Stiamo avvicinandoci alla conclusione della prima parte del libro, che racconta la nascita della teoria e la confusione che ha generato. Nella seconda parte descrivo le strade per uscire dalla confusione. Prima di concludere questa parte, tuttavia, voglio dire qualche parola sulla singola equazione che, come ho accennato, la teoria dei quanti aggiunge alla fisica classica.È una equazione buffa. Dice che moltiplicare la posizione per la velocità è diverso che moltiplicare la velocità per la posizione. Se posizione e velocità fossero numeri, non ci sarebbe differenza, perché 7 per 9 è lo stesso che 9 per 7. Ma posizione e velocità sono ora tabelle di numeri, e quando si moltiplicano due tabelle l'ordine conta. La nuova equazione ci dà la differenza fra moltiplicare due quantità in un ordine oppure nell'ordine inverso. È compatta, semplicissima. Incomprensibile.
Non cercate di decifrarla: ci si accapigliano ancora scienziati e filosofi.
Più avanti tornerò a discutere un po' il contenuto di questa equazione. Ma
qui la scrivo lo stesso, perché è il cuore della teoria dei quanti, e non si può
concludere la presentazione della teoria senza di essa. Eccola:
È tutto. La lettera X indica la posizione di una particella, la lettera P indica la sua velocità moltiplicata per la sua massa (in gergo si chiama «impulso»). La lettera i è il simbolo matematico per la radice quadrata di -1, e come abbiamo visto ħ è la costante di Planck divisa per 2π. In un certo senso, Heisenberg e amici hanno aggiunto alla fisica solo questa semplice equazione: il resto ne segue. Ne seguono i computer quantistici e la bomba atomica. Il prezzo di questa estrema semplicità nella forma è l'estrema oscurità nel significato. La teoria dei quanti prevede granularità, salti, fotoni, e tutto il resto, sulla base di una sola equazione di otto caratteri aggiunta alla fisica classica. Un'equazione che dice che moltiplicare posizione per velocità è diverso che moltiplicare velocità per posizione. L'oscurità è totale. Forse non è un caso che Murnau abbia girato scene di Nosferatu a Helgoland. | << | < | > | >> |Pagina 81Al tempo in cui scriveva Dante, in Europa pensavamo il mondo come lo specchio offuscato di una grande gerarchia celeste: un Grande Dio e le sue sfere di Angeli portano i pianeti nella loro corsa attraverso il Cielo e partecipano con trepidazione e amore alla vita di noi, fragile umanità, che al centro del Cosmo oscilliamo fra adorazione, ribellione e pentimento. Poi abbiamo cambiato idea. Nei secoli successivi abbiamo capito aspetti della realtà, scoperto grammatiche nascoste, trovato strategie per i nostri obiettivi. Il pensiero scientifico ha tessuto un complesso edificio di saperi. La fisica ha giocato un ruolo trainante e unificante, offrendo un'immagine nitida della realtà: un vasto spazio dove corrono particelle, spinte e tirate da forze. Faraday e Maxwell hanno aggiunto il «campo» elettromagnetico, entità diffusa nello spazio attraverso la quale corpi lontani esercitano forze uno sull'altro. Einstein ha completato il quadro, mostrando che anche la gravità è portata da un «campo»: un campo che è la geometria stessa dello spazio e del tempo. La sintesi è limpida e bella. La realtà è una stratificazione lussureggiante: montagne innevate e foreste, lo sguardo degli amici, il rombo della metropolitana nelle sporche mattine d'inverno, la nostra sete irrequieta, il saltare delle dita sulla tastiera del portatile, il sapore del pane, il dolore del mondo, il cielo notturno, l'immensità delle stelle, Venere che brilla solitaria nel cielo blu oltremare del crepuscolo... Di questo pullulare caleidoscopico pensavamo aver trovato la trama di fondo, l'ordine nascosto dietro al velo disordinato delle apparenze. Era il tempo in cui il mondo sembrava semplice. Ma le grandi speranze di noi minuscole creature mortali sono brevi sogni. La chiarezza concettuale della fisica classica è stata spazzata dai quanti. La realtà non è come la descrive la fisica classica. È stato un risveglio brusco dal sonno felice in cui ci avevano cullato le illusioni del successo di Newton. Ma è un risveglio che ci riporta al cuore pulsante del pensiero scientifico, che non è fatto di certezze acquisite: è un pensiero in movimento continuo, la cui forza è proprio la capacità di rimettere sempre in discussione ogni cosa e ripartire, di non aver paura di sovvertire un ordine del mondo per cercarne uno più efficace, e poi rimettere ancora tutto in discussione, sovvertire tutto di nuovo. Non aver paura di ripensare il mondo è la forza della scienza: da quando Anassimandro ha eliminato le colonne su cui si appoggiava la Terra, Copernico l'ha lanciata a roteare nel cielo, Einstein ha sciolto la rigidità della geometria dello spazio e del tempo e Darwin ha smascherato l'illusione dell'alterità degli umani... La realtà si ridisegna in continuazione in forme via via più efficaci. Il coraggio di reinventare in profondità il mondo: questo è il fascino sottile della scienza che aveva catturato le ribellioni della mia adolescenza... | << | < | > | >> |Pagina 86[...] Ma la meccanica quantistica non descrive solo questi: descrive la grammatica elementare e universale della realtà fisica, che soggiace non solo alle osservazioni di laboratorio, ma a ogni interazione.Se guardiamo le cose in questo modo, non c'è nulla di speciale nelle «osservazioni» della meccanica quantistica, le «osservazioni» introdotte da Heisenberg. Non c'è nulla di speciale negli «osservatori» nel senso della teoria: qualunque interazione fra due oggetti fisici vale come un'osservazione, e dobbiamo poter prendere qualunque oggetto come «osservatore», quando consideriamo il manifestarsi di altri oggetti ad esso. Quando cioè consideriamo come le proprietà di altri oggetti si manifestino ad esso. La teoria dei quanti descrive il manifestarsi delle cose l'una all'altra. La scoperta della teoria dei quanti, io credo, è la scoperta che le proprietà di ogni cosa non sono altro che il modo in cui questa cosa influenza le altre. Esistono solo nell'interazione con altre cose. La teoria dei quanti è la teoria di come le cose si influenzano e questa è la migliore descrizione della natura di cui disponiamo oggi. È un'idea semplice, ma ha due conseguenze radicali, che aprono lo spazio concettuale necessario per capire i quanti. [...] Così rivista, l'osservazione di Bohr cattura la scoperta alla base della teoria: l'impossibilità di separare le proprietà di un oggetto dalle interazioni dove queste proprietà si manifestano, e dagli oggetti a cui si manifestano. Le caratteristiche di un oggetto sono il modo in cui esso agisce su altri oggetti. L'oggetto stesso non è che un insieme di interazioni su altri oggetti. La realtà è questa rete di interazioni, al di fuori della quale non si capisce neppure di cosa staremmo parlando. Invece di vedere il mondo fisico come un insieme di oggetti con proprietà definite, la teoria dei quanti ci invita a vedere il mondo fisico come una rete di relazioni di cui gli oggetti sono i nodi. [...] Il fatto che ci siano proprietà definite solo rispetto a qualcos'altro non ci dovrebbe stupire più di tanto. Lo sapevamo già. Per esempio la velocità è una proprietà che un oggetto ha rispetto a un altro oggetto. Se cammini sul ponte di un traghetto sul fiume, hai una velocità rispetto al traghetto, una velocità diversa rispetto all'acqua del fiume, una diversa rispetto alla Terra, una ancora diversa rispetto al Sole, una ancora diversa rispetto alla galassia, e così via senza un punto finale. Non esiste velocità senza stabilire (implicitamente o esplicitamente) rispetto a cosa. La velocità è una nozione che riguarda due oggetti (te e il traghetto, te e la Terra, te e il Sole...). È una caratteristica che esiste solo rispetto a qualcos'altro. È una relazione fra due oggetti. | << | < | > | >> |Pagina 93Schrödinger si era battuto come un leone contro la discontinuità quantistica, contro i salti quantici di Bohr, contro il mondo a matrici di Heisenberg. Voleva difendere l'immagine della realtà continua della visione classica. Ma alla fine capitola anche lui, decenni dopo gli scontri degli anni Venti, e dichiara sconfitta. Le parole di Schrödinger che seguono il passo che ho citato più sopra («Ci fu un momento in cui i creatori della meccanica ondulatoria si cullarono nell'illusione di avere eliminato le discontinuità dalla teoria dei quanti») sono limpide e definitive:
«... è meglio considerare una particella non come un'entità permanente bensì
come un evento istantaneo. A volte questi eventi formano catene che suscitano
l'illusione di esseri permanenti, ma solo in particolari circostanze e solo per
un periodo di tempo estremamente breve in ciascun caso singolo».
Cos'è allora l'onda ψ? È il calcolo probabilistico di dove ci aspettiamo si realizzi, rispetto a noi, il prossimo evento. È una quantità prospettica: un oggetto non ha una sola onda ψ, ne ha una diversa rispetto a ogni altro oggetto con cui ha interagito. Gli eventi che si realizzano rispetto ad altro da noi non influiscono sulla probabilità dei futuri eventi che si realizzeranno rispetto a noi. Lo «stato quantistico» descritto da ψ è quindi sempre solo uno stato relativo. | << | < | > | >> |Pagina 111Le proprietà di un oggetto fisico si realizzano rispetto a un secondo oggetto e possiamo pensarle, abbiamo visto, come lo stabilirsi di una correlazione fra i due, ovvero come informazione che il secondo oggetto ha sul primo.Si può quindi pensare la fisica dei quanti come una teoria sull'informazione (nel senso appena visto) che i sistemi hanno l'uno sull'altro. Anche per la fisica classica possiamo limitarci a pensare all'informazione che i sistemi fisici possono avere l'uno sull'altro. Ma ci sono due differenze, riassumibili in due leggi generali, o «postulati», che differenziano radicalmente la fisica quantistica dalla fisica classica, e ne catturano la novità: I. La quantità d'informazione rilevante che possiamo avere su un oggetto fisico è finita. II. Interagendo con un oggetto possiamo acquisire sempre nuova informazione rilevante. A prima vista i due postulati sembrano contraddirsi. Se l'informazione è finita, come posso ottenerne di nuova? La contraddizione è solo apparente, perché i postulati parlano di informazione «rilevante». L'informazione rilevante è quella che ci permette di determinare il comportamento futuro dell'oggetto. Quando acquisiamo nuova informazione, parte della vecchia informazione diventa «irrilevante»: cioè non cambia quanto si può dire sul comportamento futuro dell'oggetto.
Questi due postulati riassumono la teoria dei
quanti. Vediamo come.
I. L'informazione è finita: il principio di Heisenberg Se conoscessimo tutte le variabili fisiche che descrivono una cosa con precisione infinita, avremmo informazione infinita. Ma non possiamo. Il limite è determinato dalla costante di Planck ħ. È questo il significato fisico della costante di Planck. È il limite a quanto sono determinate le variabili fisiche.
È stato Heisenberg a mettere in luce questo fatto
cruciale, nel 1927, poco dopo aver costruito la
teoria. Ha mostrato che se la precisione con cui
abbiamo informazione sulla posizione di una cosa è
ΔX
e la precisione con cui abbiamo informazione sulla sua velocità (moltiplicata
per la massa) è
ΔP,
le due precisioni non possono essere entrambe arbitrariamente buone. Il prodotto
delle precisioni non può essere più piccolo di una quantità minima: metà della
costante di Planck. In formula:
Si legge: «Delta X per Delta P è sempre maggiore o uguale di metà h tagliata». Questa proprietà generalissima della realtà è chiamata il «principio di indeterminazione di Heisenberg». Vale per tutto.
Una conseguenza immediata è la granularità. Per
esempio la luce è fatta di fotoni, granelli di luce,
perché porzioni di energia ancora più minute
violerebbero questo principio: il campo elettrico
e il campo magnetico (che per la luce sono come
X
e
P)
sarebbero troppo determinati entrambi e violerebbero il primo postulato.
II. L'informazione è inesauribile: la non commutatività Il principio di indeterminazione non significa che non possiamo misurare con grande precisione la velocità di una particella e poi misurare con grande precisione la sua posizione. Possiamo. Ma dopo la seconda misura, la velocità non sarà più la stessa: misurando la posizione perdiamo informazione sulla velocità, cioè se la misuriamo di nuovo la troviamo cambiata. Questo segue dal secondo postulato che dice che anche quando raggiungiamo l'informazione massima su un oggetto, possiamo comunque imparare ancora qualcosa di inaspettato (perdendo però informazione precedente). Il futuro non è determinato dal passato: il mondo è probabilistico.
Siccome misurare
P
altera
X
misurare prima
X
e poi
P
dà risultati diversi che non misurare prima
P
e poi
X.
Quindi è necessario che nella matematica «prima
X
e poi
P»
sia diverso da «prima
P
e poi
X».
Questa è esattamente la proprietà che caratterizza le matrici: l'ordine conta.
Ricordate l'unica equazione nuova della teoria dei quanti?
Ci dice esattamente questo: cioè «prima X e poi P» è diverso da «prima P e poi X». Quanto diverso? Di una quantità che dipende dalla costante di Planck: la scala dei fenomeni quantistici. Per questo le matrici di Heisenberg funzionano: perché permettono di tenere conto dell'ordine in cui le informazioni sono acquisite. Anche il principio di Heisenberg, cioè l'equazione nella pagina precedente, segue con pochi passaggi dall'equazione di questa pagina, che dunque riassume tutto. Quest'equazione traduce in termini matematici entrambi i postulati della teoria quantistica. I due postulati ne rappresentano, al meglio di quanto comprendiamo oggi, il significato fisico. | << | < | > | >> |Pagina 115Le ultime considerazioni sono state tecniche, forse avrei potuto metterle in una nota... Ma sto arrivando alla fine di questa seconda parte del libro e volevo completare il quadro della teoria dei quanti, compresi i postulati sull'informazione che la riassumono, e il nocciolo della sua struttura matematica, data da una sola equazione.Questa struttura ci dice in estrema sintesi che il mondo non è continuo ma granulare, che c'è un limite inferiore finito alla sua determinazione. Non esiste nulla di infinito andando verso il piccolo. Ci dice che il futuro non è determinato dal presente. Ci dice che le cose fisiche hanno solo proprietà relative ad altre cose fisiche, e che queste proprietà ci sono solo quando le cose interagiscono. Prospettive diverse non si possono giustapporre senza apparire contraddittorie. Nella nostra vita quotidiana non ci rendiamo conto di tutto ciò. Il mondo ci sembra determinato perché i fenomeni di interferenza quantistica si perdono nel brusio del mondo macroscopico. Riusciamo a metterli in risalto solo con osservazioni delicate e isolando il più possibile gli oggetti. Quando non osserviamo interferenze possiamo ignorare le sovrapposizioni quantistiche e reinterpretarle come fossero nostra ignoranza: se non apriamo la scatola, non sappiamo se il gatto sia sveglio o dorma. Se non vediamo interferenza, cioè, non c'è bisogno di pensare che ci sia una sovrapposizione quantistica: «sovrapposizione quantistica» - lo ricordo perché si fa molto spesso confusione su questo punto - significa solo che vediamo interferenze. I delicati fenomeni di interferenza fra gatto-sveglio e gatto-addormentato non li vediamo perché persi nel rumore del mondo. In effetti, più che per oggetti piccoli, i fenomeni quantistici si manifestano per oggetti molto bene isolati, che permettono di isolare e rilevare le sottili interferenze quantistiche. Di solito poi osserviamo il mondo a grandi scale, quindi non ne vediamo la granularità. Vediamo valori mediati fra tantissime piccole variabili. Non vediamo singole molecole: vediamo l'intero gatto, Quando ci sono tantissime variabili, le fluttuazioni diventano irrilevanti, la probabilità si avvicina alla certezza. I miliardi di variabili discontinue e punteggiate dell'agitato e fluttuante mondo dei quanti si riducono alle poche variabili continue e ben definite della nostra esperienza quotidiana. Alla nostra scala il mondo è come un oceano agitato dalle onde osservato dalla luna: una piatta superficie di una biglia immobile. La nostra esperienza quotidiana quindi è compatibile con il mondo quantistico: la teoria dei quanti comprende la meccanica classica, e comprende la nostra usuale visione del mondo, come approssimazioni. Le comprende come un uomo che vede bene può comprendere l'esperienza di un miope che non vede il ribollire in una pentola sul fuoco. Ma alla scala delle molecole, il netto spigolo di un coltello d'acciaio è fluttuante e impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una spiaggia di sabbia bianca. La solidità della visione classica del mondo non è che nostra miopia. Le certezze della fisica classica sono solo probabilità. L'immagine del mondo nitida e solida della vecchia fisica è un'illusione. | << | < | > | >> |Pagina 125Nel 1909, quattro anni dopo la fallita Rivoluzione del 1905 e otto anni prima della vittoriosa Rivoluzione d'Ottobre, Lenin , firmandosi con lo pseudonimo «V. Il'in», pubblica Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, il suo testo più filosofico. Bersaglio politico implicito contro cui è indirizzato il testo è Aleksandr Bogdanov , fino a quel momento suo amico e alleato, con lui fondatore e principale testa pensante dei bolscevichi. Negli anni che precedono la Rivoluzione Aleksandr Bogdanov aveva pubblicato un lavoro in tre volumi per offrire una base teorica generale al movimento rivoluzionario. Faceva riferimento a una prospettiva filosofica chiamata empiriocriticismo. Lenin inizia a vedere in Bogdanov un rivale e ne teme l'influenza ideologica. Nel suo libro critica ferocemente l' empiriocriticismo, «filosofia reazionaria», e difende quello che chiama materialismo. Empiriocriticismo è un nome con cui Ernst Mach designava idee come le proprie. Ernst Mach, ricordate? La fonte d'ispirazione filosofica per Einstein e Heisenberg. Mach non è un filosofo sistematico e talvolta manca di chiarezza, ma ha avuto un'influenza sulla cultura contemporanea che credo sia sottovalutata. Ha ispirato l'inizio di entrambe le grandi rivoluzioni della fisica del XX secolo, relatività e quanti. Ha giocato un ruolo diretto nella nascita degli studi scientifici sulle percezioni. È stato al centro del dibattito politico-filosofico che ha portato alla Rivoluzione russa. Ha avuto un'influenza determinante sui fondatori del Circolo di Vienna (il cui nome pubblico era «Verein Ernst Mach»), l'ambiente filosofico dove è germogliato l'empirismo logico, radice di tanta filosofia della scienza contemporanea, che eredita da Mach la retorica «antimetafisica». La sua influenza arriva al pragmatismo americano, altra radice della filosofia analitica odierna. La sua zampata arriva alla letteratura: Robert Musil , fra i massimi romanzieri del Novecento, ha svolto la tesi di dottorato su Ernst Mach. Le agitate discussioni del protagonista del suo primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless, ripercorrono i temi della tesi sul senso della lettura scientifica del mondo. Le stesse questioni attraversano in filigrana la sua opera maggiore, L'uomo senza qualità, fin dalla prima pagina, che si apre con una sorniona doppia descrizione, scientifica e quotidiana, di una giornata di sole. L'influenza di Mach sulle rivoluzioni della fisica è stata quasi personale. Mach era amico di lunga data del padre e lui stesso padrino di Wolfgang Pauli, l'amico con cui Heisenberg discuteva di filosofia. Mach era filosofo preferito di Schrödinger, che da ragazzo aveva letto praticamente ogni sua riga. Einstein aveva come amico e compagno di studi a Zurigo Friedrich Adler, figlio del cofondatore del Partito Socialdemocratico austriaco, promotore di una convergenza di idee fra Mach e Marx. Adler diverrà dirigente del Partito Socialdemocratico Operaio; per protestare contro la partecipazione dell'Austria nella Grande Guerra assassinerà il primo ministro austriaco Karl von Stürgkh, e in prigione scriverà un libro su... Mach. Insomma Ernst Mach sta a un impressionante crocevia fra scienza, politica, filosofia e letteratura. E pensare che oggi qualcuno vede scienze naturali, scienze umane e letteratura come ambiti impermeabili l'uno all'altro... | << | < | > | >> |Pagina 135«Bogdanov» è uno pseudonimo. Uno dei tanti che ha usato per nascondersi alla polizia dello Zar. Nasce come Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, secondo di sei fratelli, figlio di un maestro di scuola di un paesino. Indipendente e ribelle fin da piccolissimo, la leggenda vuole che le prime parole che pronuncia, a 18 mesi, durante una lite in famiglia, siano: «Papà è scemo!».[...] Il concetto chiave della produzione teorica di Bogdanov è la nozione di «organizzazione». La vita sociale è organizzazione del lavoro collettivo. La conoscenza è organizzazione dell'esperienza e dei concetti. Possiamo comprendere la realtà come organizzazione, struttura. L'immagine del mondo che Bogdanov propone è nei termini di una scala di forme di organizzazione via via più complesse: da elementi minimi che interagiscono direttamente, attraverso l'organizzazione della materia nel vivente, lo sviluppo biologico dell'esperienza individuale organizzata in individui, fino alla conoscenza scientifica, che è, per Bogdanov, esperienza organizzata collettivamente. Attraverso la cibernetica di Norbert Wiener e la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy , queste idee avranno un'influenza poco riconosciuta ma profonda sul pensiero moderno, sulla nascita della cibernetica, sulla scienza dei sistemi complessi, fino al realismo strutturale contemporaneo. Nella Russia sovietica, Bogdanov è professore di economia all'Università di Mosca, dirige l'Accademia Comunista, scrive un romanzo di fantascienza, Stella Rossa, che diventa un clamoroso successo editoriale. Il romanzo descrive una società utopica libertaria su Marte, che ha superato ogni distinzione fra maschi e femmine, e usa un efficiente apparato statistico per elaborare dati economici capaci di indicare alle fabbriche cosa serve produrre e ai disoccupati in che fabbrica trovare lavoro, e così via, lasciando però ognuno libero di scegliere come vivere. Si occupa di organizzare centri per la cultura proletaria, dove una cultura nuova, solidale, sia libera di fiorire autonomamente. Allontanato da Lenin anche da questa attività, si dedica alla medicina. Medico di formazione, aveva servito al fronte durante la Grande Guerra. Fonda un istituto di ricerca medica a Mosca e diventa uno dei pionieri delle tecniche di trasfusione del sangue. Nella sua ideologia rivoluzionaria e collettivista, le trasfusioni del sangue erano simboliche della possibilità degli uomini di collaborare e condividere. Medico, economista, filosofo, scienziato naturale, scrittore di fantascienza, poeta, insegnante, politico, anticipatore della cibernetica e della scienza dell'organizzazione, pioniere delle trasfusioni del sangue, rivoluzionario per tutta la vita, Aleksandr Bogdanov è uno dei personaggi più complessi e affascinanti del mondo intellettuale di inizio Novecento. Le sue idee, troppo radicali per entrambi i lati della cortina di ferro, si sono diffuse sotterraneamente e lentamente. Solo l'anno scorso è stata pubblicata in inglese la sua opera in tre volumi che ha dato origine alla critica di Lenin. Curiosamente se ne trovano più tracce nella letteratura: a lui sono ispirati il romanzo Proletkult di Wu Ming, e il grande personaggio di Arkady Bogdanov nella splendida trilogia Red Mars, Green Mars, Blu Mars di Kim Stanley Robinson. Fedele ai suoi ideali di condivisione, Aleksandr Bogdanov morirà in maniera incredibile, in un esperimento scientifico in cui scambia il proprio sangue con un giovane malato di tubercolosi e malaria, nel tentativo di curarlo. Fino all'ultimo, il coraggio di sperimentare, il coraggio di condividere, il sogno della fratellanza. | << | < | > | >> |Pagina 179Le idee sulla natura della mente si limitano generalmente a tre sole alternative: il dualismo, secondo cui la realtà della mente è del tutto diversa da quella delle cose inanimate; l'idealismo, secondo cui la realtà materiale esiste solo nella mente; e il materialismo ingenuo, secondo cui tutti i fenomeni mentali sono riconducibili al moto della materia. Dualismo e idealismo sono incompatibili con quanto abbiamo imparato sul mondo negli ultimi secoli, in particolare con la scoperta che noi esseri senzienti siamo una parte della natura come le altre. Sono incompatibili con l'evidenza sempre crescente che tutto ciò che conosciamo, noi compresi, segue le leggi naturali già note. Il materialismo ingenuo, d'altro canto, sembra intuitivamente difficile da conciliare con la realtà dell'esperienza soggettiva.Ma non ci sono solo queste alternative. Se le qualità di un oggetto nascono dall'interazione con qualcos'altro, la distinzione fra fenomeni mentali e fenomeni fisici si attenua molto. Sia le variabili fisiche, sia quelli che i filosofi della mente chiamano «qualia», cioè fenomeni mentali elementari come «vedo rosso», sia le une che gli altri possono essere fenomeni naturali più o meno complessi. La soggettività non è un salto qualitativo rispetto alla fisica: richiede una crescita di complessità (Bogdanov direbbe di «organizzazione»), ma sempre in un mondo che è fatto di prospettive, già dal livello più elementare. A me sembra quindi che, quando ci interroghiamo sulla relazione fra l'«io» e la «materia», stiamo usando due concetti entrambi confusi, ed è questa l'origine della confusione attorno alle domande sulla natura della coscienza. Chi è l'«io» che prova la sensazione di sentire, se non l'insieme integrato dei nostri processi mentali? Certo, abbiamo un'intuizione di unità quando pensiamo a noi stessi, ma questa è giustificata semplicemente dall'integrazione del nostro corpo e dal modo di funzionare dei processi mentali, dove la parte che chiamiamo cosciente fa una cosa alla volta. Il primo termine del problema, l'«io», è, credo, il residuo di una metafisica errata: il risultato dell'errore frequente di scambiare un processo per un'entità. Mach è apodittico: «Das Ich ist unrettbar»: l'«io» non può essere salvato. Chiedersi cosa sia la coscienza dopo averne dipanato i processi neurali è come chiedersi cosa sia un temporale dopo averne capito la fisica: una domanda senza senso. Aggiungere un «possessore» delle sensazioni è come aggiungere Giove al fenomeno del temporale. È come dire che, dopo aver capito la fisica del temporale, resta ancora, nel linguaggio di Chalmers , il «problema difficile» di connetterla con la rabbia di Giove. È vero che abbiamo l'«intuizione» di un'entità indipendente che è l'io. Ma se è per questo avevamo anche l'«intuizione» che dietro ai temporali ci fosse Giove... E che la Terra fosse piatta. Non è su «intuizioni» acritiche che costruiamo un'efficace comprensione del mondo. L'introspezione è il peggior strumento di indagine, se ci interessa la natura della mente: è andare a cercare i propri pregiudizi più radicati e sguazzarci dentro. Ma è ancor più il secondo termine della questione, la «semplice materia», a essere il residuo di una metafisica errata, la metafisica basata su una concezione troppo ingenua di materia: la materia come sostanza universale definita solo da massa e moto. È una metafisica errata perché è contraddetta dalla fisica quantistica.
Se pensiamo in termini di processi, eventi, in termini di proprietà
relative,
di un mondo di relazioni, lo iato tra fenomeni fisici e fenomeni mentali
è molto meno drammatico. Possiamo vederli entrambi come fenomeni naturali
generati da complesse strutture di interazioni.
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