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| << | < | > | >> |Indice5 Fascismo, fotografia e politica dell'immagine 33 Mostra della Rivoluzione Fascista 75 I.a Mostra nazionale delle Bonifiche 97 Mostra nazionale dello Sport 121 Mostra autarchica del Minerale italiano 149 Esposizione aeronautica italiana 163 I libri fotografici del fascismo 185 Foto simbolo 186 Cronologia 190 Letture consigliate 191 Referenze fotografiche |
| << | < | > | >> |Pagina 5Estetizzazione della politica, estetizzazione delle masse La spettacolarizzazione della vita politica durante il regime fascista non rappresentava né un momento episodico né un'appendice pittoresca del progetto totalitario, ma costituiva la base e il presupposto della strategia politica del regime. Fin dalla sua fondazione, il fascismo si era imposto non solo come un movimento politico ma come un partito attraversato da una sorta di fideismo, consacrato al culto della nazione e alla missione di trasformare il popolo italiano, forgiandolo e disciplinandolo secondo la propria dottrina. Nei suoi studi, Emilio Gentile ha sottolineato la componente rituale delle manifestazioni, celebrazioni e marce fasciste, e «la religiosità» che Mussolini rivendicava al suo regime, la prerogativa di sacralità, la «mistica» che egli intendeva diffondere nella vita politica italiana. Attraverso l'affermazione di una pratica «liturgica» della sua dottrina e la trasformazione dei «sudditi» in «fedeli», il fascismo avrebbe dovuto quindi rappresentare non solo una concezione politica ma il nuovo verbo da diffondere fra tutti gli italiani per prepararli alla sfida imposta dall'epoca moderna e far valere il primato italiano nel mondo. Proprio come una religione secolare, spiega Gentile, il fascismo aveva bisogno di alimentare continuamente la fede nel partito e nel Duce attraverso l'istituzione di rituali patriottici, commemorazioni ufficiali, celebrazioni di storia patria, marce e cerimonie politiche che avevano l'importante funzione di dare espressione e rappresentazione a questa nuova religione. Insieme a questa liturgia cerimoniale il regime diffuse tutta una serie di segni: il fascio littorio, dapprima coniato su monete poi stampato su francobolli, integrato nell'architettura ufficiale del regime, infine incorporato nello stemma dello Stato italiano; il manganello, che ispirò diverse poesie, e la camicia nera, un indumento che diventò obbligatorio nelle manifestazioni politiche fasciste. Dettando l'abbigliamento e l'atteggiamento degli italiani, il fascismo trasformava i corpi, imponeva un nuovo linguaggio, dava la sensazione al popolo di vivere in una nuova era inaugurata con l'avvento del regime. L'uso del saluto romano, ritenuto piú igienico e dinamico rispetto alla borghese stretta di mano, l'abolizione del pronome «lei» sostituito dal «voi», la bonifica linguistica e la datazione secondo il calendario fascista mettevano in circolazione abitudini culturali che avrebbero dovuto contribuire a diffondere un nuovo stile di vita, creando l'illusione di vivere l'alba di una nuova epoca. Il fascismo puntò cosí a definirsi non come un'ideologia astratta destinata a una élite culturale, ma a entrare progressivamente a far parte della vita e delle abitudini di gran parte degli italiani, coinvolgendoli in manifestazioni e cerimonie che giunsero a condizionare ogni aspetto della vita pubblica e del tempo libero. Il popolo italiano, che Mussolini aveva definito come una massa «informe e priva di ideali», attraverso le manifestazione politiche e le cerimonie volute dal duce, doveva essere trasformato in materia prima della rivoluzione, disciplinata attraverso le celebrazioni della fede fascista.
L'estetizzazione della vita politica durante il
ventennio fascista assolse quindi anche l'importante
funzione di dare rappresentazione e di produrre immagini
nuove e aggiornate della fascistizzazione delle masse.
La politica espositiva: mostrare per dimostrare Il programma di estetizzazione della politica non si limitava soltanto alle adunate di massa per le commemorazioni delle ricorrenze dell'avvento del regime, alle cerimonie di omaggio al Milite Ignoto e alle marce del sabato fascista, ma comprendeva anche gare sportive, sagre regionali di prodotti tipici e soprattutto mostre d'arte e di fotografia che si inscrivevano nella politica della spettacolizzazione della vita pubblica e del tempo libero, trasformando ciascuna manifestazione in «evento culturale» e occasione celebrativa del regime. Perseguendo nel suo intento di «estetizzare» le masse, il regime di Mussolini si appropriò di luoghi pubblici, piazze, monumenti, fiere e musei assoggettandoli a una colonizzazione visiva che dava spazio all'espressione della politica e della cultura fascista. Specialmente le mostre di fotografia, organizzate in musei o padiglioni espositivi, allestite secondo la logica modernista dello «spettacolare», diventarono un importante tassello nella strategia politica del fascismo che usò queste manifestazioni come cassa di risonanza per celebrare la propria storia. Al contrario delle mostre d'arte storiche, tra cui la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma, organizzate sul modello dei «Salon» ottocenteschi (esposizioni d'arte destinate a un pubblico di specialisti), gran parte delle mostre fotografiche nazionali organizzate durante il regime di Mussolini si prefiguravano come manifestazioni destinate non piú a un pubblico elitario di cultori e collezionisti d'arte ma come «eventi», riti programmati per attrarre milioni di visitatori. In un certo senso si può affermare che con l'avvio delle mostre celebrative del Decennale nel 1932 si rifondò il ruolo del museo italiano secondo la logica della spettacolarizzazione della cultura, si organizzarono mostre d'arte e di fotografia basate su allestimenti iperbolici che assicurarono folle di visitatori, incuriosendo gli indecisi con la promozione di campagne pubblicitarie, con riduzioni ferroviarie e talvolta addirittura con facilitazioni di soggiorno. Naturalmente il fascismo non inventò la strategia espositiva fondata sulla spettacolarizzazione dell'evento, nata già nel 1851 con la Prima esposizione internazionale al Crystal Palace di Londra. Falasca-Zamponi ha notato che quella mostra fondò un nuovo modello espositivo basato su un allestimento iperbolico di prodotti commerciali e industriali esposti insieme a lavori d'arte, e defini le modalità di fruizione delle esposizioni secondo le regole del nascente consumismo culturale. Formulando un allestimento basato sulla continuità fra opere d'arte e prodotti industriali, si costruí anche una rappresentazione della politica espositiva come politica del consumismo, che trasformava oggetti normali in cose straordinarie. In tal modo le esposizioni assumevano una funzione di enorme rilevanza perché pubblicizzavano insieme ai prodotti anche l'ideologia politica che le ispirava. Il fascismo fece proprio questo modello espositivo modernista e, nonostante avesse sempre condannato il consumismo, promosse esposizioni che mettevano in mostra la fascistizzazione dei prodotti di arte, fotografia, tecnologia, esponendoli non solo come segni dell'ideologia fascista ma già inglobati e implicati nella strategia politica del regime. Ogni mostra diveniva anche occasione per presentare le sue conquiste, celebrare la sua storia fornendo tangibilità e materia a questi risultati, mostrando, di volta in volta insieme a arte, sculture, fotomontaggi e gigantografie, cimeli di guerra (come nella Mostra della Rivoluzione Fascista), prodotti della terra (come nella Mostra della Bonifica integrale), idrovolanti e aeroplani (come nell'Esposizione dell'Aeronautica italiana) e prodotti minerali e armi (come nella Mostra del Minerale autarchico). Ogni mostra doveva rappresentare un aspetto della vita pubblica dell'Italia fascista ma anche «domostrarla», restituire all'osservazione dei visitatori una serie d'oggetti d'arte, documenti, bandiere, e soprattutto immagini potenti che diventavano i materiali su cui si fondava l'ideologia e il culto del fascismo. |
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