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| << | < | > | >> |IndiceXI Premessa 1 1. I Cagiari: una dinastia in crisi 1 1.1 La modernizzazione mancata dell'Iran 7 1.2 Le cause del ritardo 13 1.3 Il ruolo delle donne 20 1.4 Il boicottaggio della concessione per il tabacco (1890-1892) 23 1.5 L'assassinio di Naser al-Din Shah e l'ascesa al trono del figlio Muzaffar al-Din 27 2. La rivoluzione costituzionale 27 2.1 Le cause 33 2.2 I protagonisti della rivoluzione 35 2.3 La scintilla 36 2.4 Il parlamento e la Costituzione limitano il potere del sovrano 39 2.5 Il fallimento del colpo di Stato dello scià contro il parlamento 40 2.6 All'indomani della vittoria costituzionale 44 2.7 Un confronto con i Giovani Turchi 47 3. La prima guerra mondiale 47 3.1 La Gran Bretagna e la Russia attaccano l'Impero ottomano dall'Iran 49 3.2 Conseguenze militari per l'Iran 51 3.3 Conseguenze economiche e politiche per l'Iran 52 3.4 L'accordo anglo-persiano 55 4. Gli anni venti e trenta: Reza Shah Pahlavi 55 4.1 Il nuovo Medio Oriente 55 4.2 Il colpo di Stato 60 4.3 Politica interna 61 4.4 Comunicazioni, economia e modernizzazione 67 4.5 I rapporti con gli 'ulema 69 4.6 La ricchezza personale accumulata dal sovrano 70 4.7 La politica estera di Reza Shah 72 4.8 Un parallelo con la Turchia di Atatόrk 73 4.9 Gli intellettuali 75 5. La seconda guerra mondiale e l'ascesa di Muhammad Reza Shah 75 5.1 L'apparato militare iraniano 76 5.2 L'invasione britannica e sovietica 77 5.3 Reza Shah abdica: gli succede il figlio Muhammad Reza 79 5.4 L'accordo tripartito tra Londra, Mosca e Teheran 81 5.5 La rivolta del pane 82 5.6 La conferenza di Teheran 87 6. Petrolio e nazionalismo con il premier Mossadeq 88 6.1 Lo scià detiene il controllo? 89 6.2 Il generale Razmara primo ministro 90 6.3 La nazionalizzazione dell'AIOC e la nomina di Mossadeq a primo ministro 91 6.4 La risposta della Gran Bretagna 95 6.5 Il colpo di Stato contro Mossadeq 97 6.6 Le cause del fallimento di Mossadeq 99 6.7 La concessione dell'AIOC a un nuovo consorzio 100 6.8 Il patto di Baghdad 103 7. Riforme e proteste degli anni sessanta e settanta 105 7.1 Le pressioni di Washington e la crisi economica 107 7.2 La "rivoluzione bianca" 108 7.3 La riforma agraria 110 7.4 L'esercito del sapere 110 7.5 L'esercito dei religiosi 112 7.6 Il petrolio e la corsa agli armamenti 114 7.7 La protesta di Khomeini, l'arresto e l'esilio 117 7.8 Il bazar e la moschea 127 8. La rivoluzione del 1979 e la prima fase della Repubblica islamica 127 8.1 Le cause della rivoluzione 128 8.2 Gli eventi 133 8.3 La filosofia politica di Khomeini 135 8.4 Gli ayatollah contrari al velayat-e faqih 137 8.5 La crisi degli ostaggi 139 8.6 Bani Sadr presidente della Repubblica islamica 141 8.7 Il complotto Nuzhih 142 8.8 La presidenza di 'Ali Khamenei (1981-1989) 143 8.9 La guerra Iran-Iraq (1980-1988) 147 8.10 La fatwa di Khomeini contro Salman Rushdie 149 8.11 Perché l'Iran non riuscì a esportare la rivoluzione? 151 9. I presidenti Rafsanjani e Khatami: ricostruzione e riforma 151 9.1 L'ayatollah Montazeri 153 9.2 La revisione della Costituzione 154 9.3 La successione di Khamenei alla carica di faqih 155 9.4 Rafsanjani presidente 160 9.5 L'economia della Repubblica islamica 163 9.6 La caduta dell'Unione Sovietica 165 9.7 L'embargo americano 166 9.8 Il primo mandato del presidente riformatore Khatami 170 9.9 Il secondo mandato di Khatami 174 9.10 Al-Qaeda 176 9.11 Il nucleare 179 10. La presidenza di Mahmoud Ahmadinejad (2005-2009) 180 10.1 Le elezioni presidenziali del giugno 2005 181 10.2 Chi è Ahmadinejad? 182 10.3 Ahmadinejad e la rivoluzione 184 10.4 Da governatore di provincia a sindaco della capitale 188 10.5 Perché Ahmadinejad è fin dall'inizio considerato un estremista 189 10.6 Ahmadinejad e il suo mentore, l'ayatollah Mesbah Yazdi 190 10.7 L'insediamento di Ahmadinejad e del governo 192 10.8 Le ragioni del consenso 193 10.9 La visione mistica di Ahmadinejad 194 10.10 L'elezione di Rafsanjani alla presidenza dell'Assemblea degli esperti 195 10.11 Le elezioni parlamentari del 14 marzo 2008 197 10.12 Da mediatore sul nucleare a presidente del parlamento: 'Ali Larijani 198 10.13 Il licenziamento del ministro degli Interni 'Ali Kordan 199 10.14 Le dichiarazioni di Ahmadinejad 200 10.15 La reazione della comunità ebraica in Iran 202 10.16 Il nucleare nella storia dell'Iran e la testimonianza dello scienziato dello scià 203 10.17 Il nucleare con Ahmadinejad 205 10.18 La condizione femminile 206 10.19 Il decreto per la protezione della famiglia 207 10.20 La campagna per l'uguaglianza 208 10.21 La lapidazione 210 10.22 Il giro di vite contro le minoranze 212 10.23 Lo sciopero dei bazarì 212 10.24 Verso le elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 214 10.25 I marinai britannici catturati dai pasdaran 216 10.26 La connection israeliana: l'imprenditore impiccato e il blogger arrestato 216 10.27 Il fattore russo 219 10.28 La vittoria di Obama e le conseguenze per l'Iran 223 Cronologia 243 Glossario 251 Nota bibliografica 261 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina XIPremessaL'elezione di Barack Obama alla Casa Bianca segna una nuova epoca. Durante la presidenza di George W. Bush l'isolamento di Teheran si è accentuato e ormai la Repubblica islamica guarda sempre più a Oriente nelle relazioni diplomatiche, nelle possibilità di business e, per quanto riguarda i giovani, nella ricerca di nuove opportunità di studio e poi di lavoro in paesi dove sia meno difficile ottenere il permesso di soggiorno rispetto all'Europa e agli Stati Uniti. Lascio agli specialisti di scienza politica la previsione degli scenari sui possibili sviluppi futuri ed essendo una storica con una formazione economica in questa premessa mi soffermerò invece sulle date e sui dati. Cominciamo dalle date. Il 44° presidente americano è nato nel 1961, come il sindaco di Teheran Baqer Qalibaf. Mahmoud Ahmadinejad è nato nel 1956 e il presidente del parlamento 'Ali Larijani nel 1958. I riformatori Muhammad Khatami e Mehdi Karrubi sono invece nati rispettivamente nel 1943 e nel 1937: appartengono quindi alla vecchia guardia e a differenza di Ahmadinejad, Qalibaf e Larijani che sono l'espressione politica dei paramilitari portano il turbante del clero. Lo stesso vale per Hashemi Rafsanjani, considerato dapprima un conservatore e ora un pragmatico, ma comunque classe 1934 ed esponente della gerarchia sciita. Una prima riflessione riguarda quindi la nuova generazione arrivata, dopo anni di gavetta, a occupare i punti nevralgici del potere. Negli USA come in Iran. Ma le analogie si fermano qui. Se Obama è figlio della pace e il candidato repubblicano McCain, veterano del Vietnam, lo aveva accusato di inesperienza, il presidente iraniano Ahmadinejad e i suoi colleghi hanno combattuto contro l'Iraq (1980-1988). Quando si tratterà di negoziare, il punto di partenza di Obama potrebbe quindi essere diverso da quello dei suoi interlocutori a Teheran. Senza sottovalutare il fatto che secondo la Costituzione iraniana la politica estera è come il programma nucleare prerogativa del leader supremo e non del presidente della Repubblica. Prima di passare ai dati, va ricordato che il 1° febbraio 2009 ricorre il trentesimo anniversario del ritorno in patria dell'Ayatollah Khomeini e sarà quindi, tenuto conto delle sfide interne ed esterne, un momento di riflessione sul futuro della Repubblica islamica. Passiamo quindi ad esaminare le cifre sull'economia. L'Iran è un paese molto ricco: possiede il 9% delle riserve mondiali accertate di petrolio (circa 138 miliardi di barili), seconde solo a quelle dell'Arabia Saudita, e il 15% del gas del pianeta (27,5 trilioni di metri cubi). Ma non possiede il know-how per esplorare i giacimenti, sfruttarli e costruire impianti di liquefazione del gas, tecnologie quasi tutte in mano agli americani e agli europei. Il paradosso dell'Iran è quindi la dipendenza dall'estero (soprattutto dall'Europa e dall'Asia) per i rifornimenti di carburante che, in mancanza di raffinerie in grado di far fronte al fabbisogno, deve essere in parte lavorato all'estero e poi importato. L'Iran è un paese ricco ma la stragrande maggioranza degli iraniani non lo è: il reddito medio pro capite annuo è di 3470 dollari (Banca mondiale, 2007) e, senza una strategia di diversificazione, l'economia dipende dal petrolio in modo eccessivo: secondo l'Organizzazione mondiale per il commercio l'87,3% delle esportazioni iraniane è costituito da risorse energetiche, mentre i manufatti rappresentano l'8,7%, i prodotti agricoli il 4,1% e incidono quindi in modo decisamente minore. Le esportazioni sono dirette soprattutto verso il Giappone (23,9%), la Cina e Taipei (22,5%), e l'Unione Europea (19,8%). Da quest'ultima arriva la maggioranza dei prodotti importati (9%), a dimostrare un legame molto forte. Nella Repubblica islamica la corruzione è diffusa, mancano investimenti stranieri diretti e le banche hanno aumentato il tasso di interesse passivo, rendendo più costosi i prestiti per gli imprenditori. Secondo fonti governative il tasso di disoccupazione era pari all' 11,3% nel 2007 per ridursi al 10,3% nel 2008 ma, tenuto conto che ogni anno 750 000 giovani si affacciano sul mercato del lavoro, il dato reale è sicuramente più alto. A fronte di queste difficoltà migliaia di persone, le più qualificate, cercano nuove opportunità all'estero. La fuga di cervelli è accompagnata dalla fuga di capitali. Se questi erano un tempo depositati nei paesi occidentali, la minaccia di sanzioni per il programma nucleare iraniano ha fatto sì che gli iraniani spostassero i loro risparmi verso i mercati asiatici. Il dato più interessante riguarda i giovani: su una popolazione di 71,2 milioni, la metà ha meno di venticinque anni. Sono proprio loro, che non hanno vissuto né il regime autoritario di Muhammad Reza Shah e le retate della spietata polizia segreta SAVAK, né l'entusiasmo della Rivoluzione islamica del 1979 e il fascino dell'Imam Khomeini, a chiedere qualcosa di diverso, ispirato agli ideali di libertà e democrazia. Come renderli concreti? Un cambio di regime difficilmente potrà dare i frutti sperati: esiste sì un'opposizione interna ma è mal organizzata e non ha un leader carismatico, la società iraniana resta tradizionale e nazionalista; un attacco esterno sarebbe quindi controproducente perché non farebbe altro che avvicinare gli iraniani alla leadership della Repubblica islamica. Anche una rivoluzione "di velluto" è un'ipotesi difficile da realizzare: i rischi per la società civile sono alti, come dimostrano gli arresti di tanti intellettuali e attivisti alcuni dei quali anche con doppia cittadinanza, e in questa fase storica gli iraniani non sembrano disposti a rischiare tanto. Come in altre parti del mondo, gli iraniani rincorrono il benessere studiando e cercando di emigrare e in questo sembrano più determinati di altri: imparano diverse lingue straniere, si preparano all'esame di accesso all'università già dai primi anni della scuola superiore e navigano abitualmente in rete (gli utenti di Internet sono 23 milioni). Sono questi giovani, cresciuti durante i due mandati presidenziali del riformatore Khatami (1997-2005), a temere maggiormente la crisi economica. Essa è in parte motivata dall'isolamento internazionale causato da più fattori: crollato l'impero sovietico, l'Iran è diventato per gli Stati Uniti "il nemico necessario"; le dichiarazioni del presidente Ahmadinejad hanno poi peggiorato una situazione già difficile, soprattutto nei confronti di Israele, sebbene i due paesi non abbiano confini comuni né un contenzioso territoriale. La tensione tra lo Stato ebraico e la Repubblica islamica sarebbe quindi motivata da fattori esclusivamente ideologici. Diversa l'origine della tensione con i paesi arabi: con l'Iraq resta la definizione del confine lungo il fiume Shatt al-Arab, con gli Emirati le tre isole contese nel Golfo e con l'Arabia Saudita le discriminazioni di cui sono oggetto gli sciiti nella penisola. L'opposizione degli arabi nei confronti dell'Iran si spiega così: se il baricentro della politica estera statunitense si spostasse a Teheran, diminuirebbe il sostegno americano verso paesi arabi come l'Egitto il cui regime non potrebbe reggersi senza l'aiuto di Washington. Soffocato nel 1953 dal colpo di Stato dei servizi segreti americani e britannici contro il controverso nazionalista Mossadeq, il seme della democrazia era stato gettato ancora una volta, nella Repubblica islamica fondata dall'Ayatollah Khomeini, con il presidente riformatore Khatami. Sebbene il Consiglio dei guardiani operi una severa selezione sui candidati iscritti alle elezioni e la scelta degli iraniani sia limitata a una rosa di personaggi legati all'establishment, l'ultima parola spetta al popolo, che nel 1997 aveva sorpreso tutti votando a maggioranza per il poco noto Khatami anziché per il conservatore Nateq-Nuri, favorito dal leader supremo Khamenei. E nell'estate del 2005 ha scelto, al secondo turno delle presidenziali, il populista Mahmoud Ahmadinejad sbaragliando ogni sondaggio che dava invece per vincente il conservatore pragmatico Rafsanjani, da molti iraniani accusato di corruzione e di essersi indebitamente arricchito. Rispetto agli eventi politici nel resto del Medio Oriente, dove le repubbliche ereditarie si alternano alle monarchie insediate dalle potenze coloniali, in Iran il processo elettorale può quindi essere considerato più democratico, e sicuramente lo è di più oggi rispetto al passato. La presidenza di Khatami ha prodotto un grande cambiamento nel modo di fare politica nella Repubblica islamica, rendendo le elezioni il teatro dello scontro tra le diverse fazioni e spostando al centro della sfera pubblica la società civile. Composta da avvocati, giornalisti, insegnanti, intellettuali, studenti ed editori, la società civile è particolarmente vivace e rappresenta la vera sfida per l'establishment anche se, a mio parere, non al punto da ribaltare il sistema. Anche se Khatami e i suoi sostenitori non sono riusciti a trasformare i loro elettori in una forza coerente a sostegno di un governo democratico e la società civile è rimasta vittima della magistratura anche durante la presidenza riformatrice. In questo contesto, un intervento armato degli americani oppure degli israeliani magari con il pretesto del nucleare impedirebbe ancora una volta al germoglio della democrazia di crescere e fiorire. Per spiegare il presente è fondamentale conoscere la storia e, a questo proposito, gli esempi significativi sono due. A oltre cinquant'anni dal colpo di Stato contro Mossadeq, per gli iraniani il promotore della nazionalizzazione del petrolio rappresenta il futuro negato e la sua memoria è ormai entrata nel mito sebbene, trattandosi di un laico, la Repubblica islamica non gli riservi celebrazioni particolari. Ciò nonostante il presidente Ahmadinejad ha citato proprio Mossadeq in uno dei primi messaggi apparsi sul suo blog. Il secondo esempio riguarda le proteste. Quelle dell'ottobre 2008 dei bazarì, contrariati dall'imposizione di una tassa del 3% sul valore aggiunto, richiamano il ruolo di primo piano svolto dai mercanti nella Rivoluzione del 1979 e ricordano la rivolta del tabacco di fine Ottocento. La prima protesta popolare risale infatti al 1891-1892, dopo che lo scià aveva assegnato a uno straniero la concessione per lo sfruttamento e la vendita del tabacco, un prodotto largamente consumato in Iran. Con una fatwa, l'ayatollah Shirazi vietò agli iraniani di fumare. I mercanti, i religiosi e persino le donne dell'harem reale fecero fronte comune, astenendosi dal fumo e obbligando così lo scià ad annullare la concessione. Si trattò della prima alleanza pubblica e ufficiale fra íl clero e il bazar, due gruppi legati tra loro poiché i figli dei religiosi sposano le figlie dei mercanti e viceversa. Tuttavia, rispetto al 1892 e al 1979 oggi in Iran mancano un leader e una chiara proposta politica, e il fronte della protesta non è unito. I religiosi, sempre più potenti anche sotto il profilo finanziario ed economico, sono schierati dall'altra parte della barricata e questo spiega, in parte, il fallimento delle rivendicazioni di inizio millennio. Inoltre, l'affermazione dei paramilitari sulla scena politica sembra scombinare le carte e alterare la storica alleanza tra la moschea e il bazar. Nel Novecento le rivoluzioni non sono mancate: nel 1906 la rivoluzione costituzionale portò alla creazione di un parlamento, nel 1963 la "rivoluzione bianca" diede avvio a una serie di riforme e quella del 1979 determinò l'istituzione di una Repubblica islamica unica nel suo genere. La rapida modernizzazione dell'Iran con i due sovrani della dinastia Pahlavi (1925-1979) è una delle cause della Rivoluzione islamica. Come scriveva Alessandro Bausani nel 1962, «la società persiana moderna soffre soprattutto del fatto che è passata in un periodo di tempo relativamente breve da una struttura feudale a una struttura capitalistica in decadenza, e questo soprattutto per pressione esterna». Reza Shah, il figlio Muhammad Reza, il premier Mossadeq e l'ayatollah Khomeini sono le quattro personalità principali della storia del Novecento iraniano. Il primo, analfabeta colonnello della brigata dei cosacchi; il secondo, ambiguo riformatore educato in Svizzera e poliglotta; il terzo, campione della nazionalizzazione del petrolio iraniano; il quarto, carismatico leader religioso armato di un tale pragmatismo da non esitare a ribaltare la sharìa pur di raggiungere i propri obiettivi.
I due sovrani della dinastia Pahlavi morirono in esilio, Mossadeq agli
arresti domiciliari e Khomeini in patria, con gli onori del popolo. Fu
Muhammad Reza Shah a regnare per il periodo più lungo, dal 1941 al
1979. Forse addirittura troppo, al punto da essere passato alla storia più
come un despota spalleggiato dall'Occidente che come uno dei grandi personaggi
del secondo dopoguerra, fautore di un programma di
riforme che ha trasformato l'Iran in una potenza tanto stabile e qualificata da
poter sostituire la Gran Bretagna, agli occhi di Kissinger, nel
ruolo di guardiano delle acque e del petrolio del Golfo Persico. Date
queste quattro figure, è stato poi l'ordito delle circostanze, di tradizione e
riforma, a determinare l'evoluzione del paese.
Nel 2003, quando fu pubblicata la prima edizione di questo volume, scelsi il nero come colore per contraddistinguere l'Iran del Novecento. Colore del greggio, ricchezza del paese, ha esercitato un grande fascino sulle potenze occidentali e, ancora oggi, attira le imprese petrolifere di tutto il mondo. Colore del turbante dell'Imam Khomeini e del riformatore Muhammad Khatami, ma anche di tanti altri religiosi i quali hanno determinato gli eventi e segnato il passaggio dalla monarchia a una teocrazia unica al mondo. E colore del ciadòr, segno dell'alternanza tra laicismo e religiosità obbligata: vietato da Reza Shah a metà degli anni trenta, l'abito islamico fu reso obbligatorio da Khomeini all'indomani della rivoluzione del 1979 e, nelle sue varie forme dal ciadòr al foulard, ha permesso alla massa delle donne iraniane di uscire di casa da sole e, di conseguenza, di studiare, lavorare e partecipare alla vita sociale come avviene in pochi altri paesi della regione. Una delle conseguenze del maggior coinvolgimento femminile nell'economia iraniana si riflette nel tasso di natalità: le iraniane hanno in media 1,71 figli, un numero notevolmente inferiore rispetto a quello dei paesi confinanti (Afghanistan 6,58, Iraq 3,97, Pakistan 3,58) e non troppo lontano da quello delle italiane (1,30). Oggi, pur riconoscendo che il nero resta un colore importante, sento la necessità di spiegare ai lettori che l'Iran non è un paese monocromo. Al contrario, l'Iran va declinato a colori e in questi ultimi anni è diventato ancora più variopinto. Merito soprattutto dei foulard e degli spolverini colorati indossati dalle ragazze, un elemento rilevante dell'attuale società poiché le donne rappresentano il 65% delle matricole universitarie. L'accesso all'ateneo di Teheran, per quanto difficile e a numero chiuso, è una meta importante, al punto che sempre più genitori permettono alle figlie, in una nazione dalle tradizioni conservatrici, di trasferirsi da sole in città per proseguire gli studi universitari. L'istruzione è obbligatoria e gratuita e l'analfabetismo colpisce in pratica soltanto gli adulti, soprattutto nelle aree rurali: secondo l'UNESCO nel 2005 il tasso di analfabetismo per coloro che avevano compiuto i 15 anni di età era del 19% (13% per gli uomini e 25,1 per le donne). Trattandosi di un testo divulgativo, ho cercato di rileggere la storia dell'Iran del Novecento nel modo più lineare e semplice possibile, fornendo al lettore il supporto di glossario, schede di approfondimento, cronologia e nota bibliografica. Rispetto alle edizioni precedenti in questa i lettori troveranno un capitolo aggiuntivo con informazioni biografiche su Ahmadinejad, sulla sua presidenza e sulle implicazioni per l'Iran dell'elezione di Barack Obama alla presidenza degli USA. Si tratta di pagine di cronaca e di analisi al servizio del lettore, prive della metodologia storica e interpretativa che anima i capitoli precedenti e, tenuto conto della rapida evoluzione degli eventi, non esaustive. Ho inoltre tentato di tracciare paralleli con il presente, per esempio ricordando come la politica dello scià nei confronti della stampa all'inizio del XX secolo, quando la censura obbligava i giornali a chiudere i battenti, sia simile a quella di fine millennio: al tempo della presidenza del riformatore Khatami nelle edicole si trovavano 740 giornali (in tutto il paese), alcuni con un pubblico di oltre centomila lettori, mentre con Ahmadinejad le testate sono diminuite drasticamente.
Infine, ritengo sia doveroso ricordare come le violazioni dei diritti
umani non siano purtroppo prerogativa esclusiva della Repubblica islamica perché
lo scià non fu da meno. Nei secoli, gli iraniani hanno sperimentato sulla loro
pelle periodi difficili. Il poeta Hafez visse al tempo del bigotto e violento
Amir Mobarez al-Din (1318-1358) della dinastia dei Mozaffaridi che dominavano
nel Fars e avevano scalzato gli
Inju vassalli degli ultimi Ilkhanidi per essere poi a loro volta annientati
dall'invasione dei Mongoli di Tamerlano (1393). Se Amir Mobarez
ordinò la chiusura delle taverne, fra la disperazione dei buontemponi,
fu suo figlio, il mecenate Shah Shoja (1358-1384), a riaprirle. E proprio
alle osterie Hafez dedicò alcuni versi del suo
Canzoniere,
prendendo di mira gli integralisti che le avevano chiuse:
Se solo le porte delle taverne potessero essere nuovamente aperte, se solo i
nodi delle misure repressive potessero essere sciolti! Sii paziente, per volere
di Dio riapriranno, riapriranno grazie alla purezza dei bevitori mattutini.
Stanno chiudendo le porte delle taverne, o Dio, non concedere la tua
approvazione, perché così apriranno le porte dell'ipocrisia.
Insomma, bisogna avere soltanto pazienza, perché gli integralisti vanno e
vengono e prima o poi, a dio piacendo, le taverne (e tutto quello che
rappresentano) riapriranno.
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