Copertina
Autore Patrice Salsa
Titolo Il risarcimento
EdizioneVoland, Roma, 2006, Libri piccoli 14 , pag. 120, cop.fle., dim. 120x165x10 mm , Isbn 978-88-88700-64-9
OriginaleUn garηon naturel
EdizioneLe Rouergue, Paris, 2005
TraduttoreEnzo Buccheri
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe narrativa francese
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

— La vende, la macchina?

— Dipende. Quanto mi dà?

— Non so... Cinquanta bigliettoni...

— Se è così, allora me la tengo.

— Tanto non mi piace.

Appoggiato con aria indolente a un pilastro di cemento grezzo dell'autolavaggio, l'adolescente continua a osservare l'uomo, che adesso sta passando la pelle di daino sull'automobile. Pare interessarsi, ma non più di tanto, al modo in cui l'umida brillantezza scompare progressivamente lasciando apparire la luminosità più opaca della vernice.

L'uomo si raddrizza sbuffando. Ha appena finito di asciugare i fari anteriori. Ha una mano sul fianco e si passa il dorso dell'altra sulla fronte. Strizza la pelle con cura, poi inizia a piegarla, meticolosamente.

— I cerchioni non li fai?

— Un'altra volta, siamo già in ritardo. Tua madre ci terrà il broncio.

Il ragazzo si stacca dal pilastro e si sistema sul sedile di destra, mentre l'uomo armeggia dietro la macchina. Si sente il rumore di oggetti che vengono caricati nel cofano.

— Metti la cintura.

— Non serve. Non è nemmeno un chilometro.

— Non serve, ma è così. Se non vuoi rischiare, te la devi allacciare.

Fischio.

— Che musica!

— Non è mia. Era lo slogan di una campagna della Sicurezza stradale, credo... quindici anni fa.

Colpetto secco del gancio della cintura di sicurezza che entra nella sua cerniera.

L'uomo pensa che l'adolescente abbia una netta inclinazione a discutere la fondatezza delle cose e a commentare con ironia le situazioni, ma che finisca sempre per obbedire. Θ come se l'aver espresso il proprio punto di vista, senza mezzi termini, fosse la prova sufficiente della ribellione, ritenuta tipica della sua età.

L'uomo tenta anche di trovare un senso, ancora una volta, un'intenzione ai giochi di ruolo in cui lo trascina di punto in bianco il figlio. Pur senza comprenderne la portata, sa di aver superato una specie di test quando il figlio gli ha proposto, indirettamente, d'improvvisare il dialogo di due sconosciuti su un banale argomento.

Sa anche di averlo in quell'occasione superato per caso, intuendo solo in seguito quello che l'adolescente gli suggeriva.

Ha notato inoltre che il ragazzo lo faceva soltanto in assenza della madre.

Mentre parcheggia, si chiede di nuovo come il ragazzo potrebbe reagire se fosse lui a prendere l'iniziativa di un simile scambio.

Per fare marcia indietro, ruota il busto, mettendo il braccio dietro lo schienale del sedile di destra, e sfiora con la mano la spalla dell'adolescente. La manovra è conclusa ma il ragazzo non si muove, sembra profondamente assorto nei suoi pensieri, chiuso in se stesso. Per qualche secondo l'uomo ne contempla il profilo.

Ancora una volta si chiede come sia possibile che quel ragazzo così bello sia suo figlio.


L'uomo è disteso sul letto. Sente la madre di suo figlio farsi la doccia. Perché va sempre in bagno dopo che hanno fatto l'amore? Lui, la doccia la fa prima. Capisce che questo punto non è più negoziabile. Per troppo tempo sono stati lontani l'uno dall'altra. Ognuno ha le proprie abitudini. Non ha tentato nemmeno di parlargliene.

Nella sonnolenza che lo assale, il filo dei suoi pensieri va alla deriva. Come spesso accade negli ultimi mesi, gli torna in mente l'immagine del figlio. Θ chiaro che lui non si rende minimamente conto dell'effetto che produce su quelli che incrocia. Nel migliore dei casi, un senso di ammirazione. Nel peggiore... L'uomo si rifiuta di pensare al peggio.

Dice a se stesso che l'innocenza del figlio è la sua migliore protezione.


Su questo punto il padre del ragazzo si sbaglia di grosso.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 27

Il padre e la madre del ragazzo sono in un bar, seduti a un tavolino isolato. Hanno ordinato due caffè. Mentre li aspettano, non parlano.

Certo, quello che hanno da dirsi è importante, ed entrambi preferiscono non doversi interrompere quando il cameriere porterà le consumazioni.

Tintinnio di cucchiaini nelle tazzine.

Lei sembra attendere, lui esita.

Lei si spazientisce. Lui non sa da dove cominciare.

— Indeciso come al solito!

— Ce l'hai ancora con me?

— Se ce l'avessi con te, non sarei qui.

— Lui come sta?

— Proprio bene. Θ bellissimo e molto intelligente. Θ avanti di una classe.

Nonostante abbia tentato di pronunciare queste parole con voce distaccata, ne traspare un orgoglio palese.

— E tu? Voglio dire, come sta la tua... famiglia?

Stavolta non ha cercato di mascherare la sfumatura di disprezzo messa nell'ultima parola.

— Bene, immagino. Non li vedo da sei settimane. Sono in attesa di divorzio.

Silenzio. Θ evidente che lei non farà domande.

— Fra poco è il suo compleanno, vero?

— Sì, fra dieci giorni. Compirà quattordici anni.


La professoressa di lettere è seduta sull'autobus, la cartella sulle ginocchia. Come le accade spesso, pensa al ragazzo.

Θ nubile, non molto graziosa — un po' rotondetta — ed è di ruolo.

Θ intelligente, o meglio estremamente sensibile. Θ timida e particolarmente a disagio con gli uomini. Piuttosto impacciata fin dall'adolescenza, il fatto di essere stata sverginata in modo alquanto goffo da un professore universitario durante un seminario nell'ultimo anno di corso — un intero sabato consacrato ad Artaud — non ha migliorato i suoi rapporti con gli uomini. Θ vero che, come tutti i partecipanti, erano entrambi sotto l'effetto della marijuana, di cui si era fatto largo consumo durante la giornata. A ogni modo la settimana successiva non era stato molto carino da parte sua comportarsi come se non la conoscesse.

Ma, a ripensarci, non era su Michaux il seminario? In ogni caso, sembrerebbe più logico.

Θ una donna lucida — sa, per esempio, di non avere alcun fascino — ma non al punto da capire di essere innamorata del ragazzo.

Θ comunque curioso ricondurre tutte le azioni di Don Giovanni a una rivolta contro il padre. Certo, è possibile riconoscere nella figura del Re e in quella del Commendatore delle metamorfosi dell'autorità paterna, dei sostituti di Don Luigi, ma da lì a sostenere che Don Giovanni abbia un'unica motivazione, quella di distruggere il padre e la sua immagine... Certo, partendo da questo postulato l'accettazione di Don Giovanni a essere annientato dal Commendatore si può interpretare come una vittoria, poiché quest'annientamento sottolinea il fallimento del padre, se si ammette che riuscire in quanto padre vuol dire assicurare la riproduzione di se stesso. Ed è vero che su questa base è possibile presentare il dongiovannismo come il rifiuto di essere lui stesso padre. La seduzione e il matrimonio, ma non la procreazione.

Ma dov'è andato a trovare tutto questo? Possibile che abbia realmente consultato tutte queste fonti? Nikolaus Lenau, Max Frisch... E come diavolo ha fatto a scovare il saggio di Jean Rousset?

La prossima volta, farò più attenzione a formulare l'argomento. Θ vero che Un critico ha scritto che Don Giovanni incarnava l'essenza stessa della rivolta contro l'ordine stabilito. Commentate e giustificate apre la strada a ogni interpretazione, soprattutto a quell'età.


La madre del ragazzo ha origini corse. Dall'età di cinque anni lui trascorre tutta l'estate in un paese annidato nel fianco di una montagna. D'inverno il paese conta appena venti anime, ma col bel tempo gli emigranti ritornano nella terra degli antenati, e tra le oltre trecento persone che sbarcano dal continente, il ragazzo ne può collocare circa duecentocinquanta su un albero genealogico che affonda le radici nel suo bisnonno, con il fratello e le tre sorelle. Quanto agli altri, il bambino conosce con precisione i legami che li uniscono al paese. Come la famiglia della maestra che per trent'anni ha assicurato le lezioni all'unica classe del paese, quando ancora era animato tutto l'anno; o gli hippy olandesi che un giorno sono arrivati con i loro zaini, si sono sistemati in un ovile abbandonato e sono rimasti lì, nonostante il granaio incendiato due volte e i cani avvelenati.

Come la gente di qui, ha una conoscenza profonda, quasi inconsapevole, della rete di interessi, odio, alleanze, inimicizie che regolano le relazioni sociali del paese. Rete che si materializza persino negli spostamenti; per andare dalla casa della sorella della nonna a quella ereditata dalla madre, fa ogni volta una deviazione per non passare davanti alla casa di Paul d'Angèle. Sa esattamente come rivolgersi a ognuno di loro, e soprattutto quali sono gli argomenti leciti e i temi vietati nelle conversazioni.

Con alcuni non ha mai scambiato una parola, nemmeno un saluto.

Non gli è mai stato insegnato. Lo ha assorbito, un po' come s'impara una lingua sul posto. D'altronde, è così che ha imparato il dialetto locale, che intende quasi alla perfezione, anche se sostiene il contrario. Ha capito in fretta il vantaggio di tale strategia, dato che i commenti più interessanti sono pronunciati in gergo, quando i vecchi chiacchierano durante le riunioni serali.

Lui trascorre qui tutte le vacanze scolastiche e la madre lo raggiunge durante il mese di ferie. In sua assenza, viene ospitato nella famiglia di uno dei sei cugini carnali della madre.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 44

Il ragazzino e la madre sono seduti su una panchina. Lui lecca diligentemente lo zucchero filato. La madre ha gettato di nascosto il proprio, che l'ha ben presto disgustata. Si alza, poi si accovaccia davanti al figlio, incrociando le braccia sulle sue ginocchia nude. Bacia una sbucciatura che si è fatto di recente.

— Non devi aver paura degli sconosciuti. Se ti parlano devi rispondere. Ma soltanto rispondere. Non devi seguirli. Alcuni sconosciuti, non tutti, solo alcuni, possono essere persone cattive intenzionate a farti del male. Rispondi educatamente, ma non seguirli. Se cercano di obbligarti a seguirli, grida, grida più forte che puoi. D'accordo, angioletto mio?

— E se mi impediscono di gridare?

— Allora ti dimeni, mordi, dài calci fortissimi.

— Come Bruce Lee?

— Sì, angioletto, ancora più forte di Bruce Lee, e fai il grido-che-uccide.

Più tardi, il bambino e la madre lasciano il lunapark, scende la sera. Il bambino dà la mano alla madre.

— Mamma?

— Sì, angioletto mio?

— Perché questi sconosciuti cattivi vorrebbero portarmi via con loro?

La madre piega le ginocchia per essere all'altezza del figlio.

– Perché tu sei un tesoro, il mio tesoro, e i cattivi vogliono rubare sempre i tesori degli altri.

Accarezza i capelli del bambino, poi lo stringe a sé. Sente posarsi sul collo le sue labbra appiccicaticce di zucchero filato.


Il ragazzo è in camera sua, guarda L'Impero colpisce ancora. Lo avrà visto almeno duecento volte. Θ l'episodio della saga che preferisce, così lo mette più spesso. Da due anni, tra tutte le copie della serie in suo possesso, guarda soltanto le videocassette in versione originale senza sottotitoli, riportate da una gita scolastica a Londra. Non guarda il film per intero. Comunque lo conosce a memoria. Va avanti col telecomando, fino alla sequenza in cui Darth Vader e Luke Skywalker si affrontano in un duello strabiliante che si conclude con la sconfitta del giovane, sotto choc per la rivelazione che gli hanno appena fatto. Poi spegne e si mette a riflettere con gli occhi spalancati nel buio. Pensa al maestro Chang-Li.

Alla fine, si gira di fianco e si addormenta.


La maestra – che è anche la direttrice della scuola – ha convocato la madre del bambino. Non si preoccupi, nulla di grave, anzi, ma ho bisogno di parlarle.

La madre del bambino è un po' in ansia. Traffica con la cerniera della borsetta. Il figlio ha sempre portato a casa un'eccellente pagella, sia dal punto di vista dei risultati scolastici che della condotta.

– Vorrei sapere se aiuta suo figlio a fare i compiti.

– No. So che dovrei, ma lo cresco da sola, e lavoro... e io ho abbandonato la scuola molto presto...

– Non lo aiuta nessuno?

– No, non credo... ne sono sicura.

– Uhm... la settimana scorsa ho dato un tema dal titolo: Qual è il vostro film preferito? Fate il riassunto della storia e dite perché vi piace.

– Io... non ne ero al corrente. Lo so, è un errore.

– Non è questo il punto. Le leggo la conclusione del tema di suo figlio: 'Il mio film preferito è la trilogia di Guerre stellari, soprattutto il secondo episodio. E infatti nel secondo episodio, durante la scena del duello finale, che Dark Vador rivela a Luke che è suo figlio. Lo spettatore scoprirà anche che la Principessa Leia è sua sorella gemella. Tutti i membri della famiglia Skywalker sono dunque uniti fra loro da legami inestricabili, proprio come gli altri personaggi. Θ la stessa situazione per la famiglia degli Atridi o dei Labdacidi. La trama di Guerre stellari è costruita sul modello di un mito greco, poiché l'eroe deve portare a compimento il proprio destino già prestabilito. Θ così che si spiega il successo incredibile e fenomenale della trilogia di Georges Lucas, i più bei film che io abbia mai visto.

— Non conosco questa famiglia... Abbaside.

— Non importa, io stessa ho dovuto verificare nel dizionario di chi si trattasse. Θ la famiglia di Edipo. Θ probabile che suo figlio abbia letto quest'analisi in una recensione cinematografica.

— Ah, sì, passa tutto il tempo alla biblioteca comunale e fotocopia ogni articolo su Guerre stellari.

— Questo spiega molte cose. Ma è sorprendente che l'abbia compresa e inclusa nel tema. Ho esaminato il fascicolo scolastico di suo figlio. Nessuno le ha mai proposto di fargli saltare una classe?

— No.

— Avrebbero dovuto. Θ evidente che è estremamente dotato.

— A dire il vero, abbiamo traslocato spesso in questi ultimi anni, è la prima volta che resta per due anni di seguito nella stessa scuola.

— Lo so. E l'anno scorso ha avuto quattro maestri differenti, di cui tre supplenti. A ogni modo, secondo me l'anno prossimo suo figlio potrebbe anche andare in prima media. Non le nascondo che di solito preferiamo far saltare una classe ai bambini agli inizi del percorso scolastico. La quinta elementare è una tappa importante, ma allo stesso tempo sono sicura che si annoierà, si sta già annoiando quest'anno.

— Non saprei... non è troppo piccolo per andare alle medie?

— Non penso. Dimostra una maturità, soprattutto sociale, sorprendente quanto i suoi risultati. Non decida adesso. Si prenda qualche giorno per riflettere. Se accetta, restano due mesi prima delle vacanze estive, e io avrò il tempo di fargli acquisire le nozioni indispensabili per andare in prima media, che potrà consolidare durante l'estate lavorando, una o due ore al giorno, sui quaderni per le vacanze.

| << |  <  |