Copertina
Autore Lydie Salvayre
Titolo Anime belle
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2002, Varianti , pag. 120, dim. 137x220x10 mm , Isbn 978-88-339-1424-4
OriginaleLes belles ames
EdizioneSeuil, Paris, 2000
TraduttoreLuigi Carrozzo, al.
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa francese
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Indice

  9 Primo giorno   Parigi-Bruxelles

 51 Secondo giorno Bruxelles-Colonia-Berlino

 75 Terzo giorno   Berlino-Dresda-Ratisbona

 91 Quarto giorno  Ratisbona-Milano-Vigevano

107 Quinto giorno  Vigevano-Torino
 

 

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Pagina 9

Primo giorno

Parigi-Bruxelles


Qui il giorno non ha niente del giorno. Il giorno è come un pezzo di notte sbiadito. L'accompagnatore, con queste parole, vuol sferzare gli animi. Ha lo spirito del prete, pronto a correggere e a intimorire. Pronto a violentare le coscienze, avrebbe detto colui di cui non posso fare il nome.

Subito i turisti ostentano l'espressione protocollare di dignitosa tristezza, scendono dal pullman, in silenzio, e si raggruppano davanti alla scala D per aspettare Jason, l'animatore, che deve raggiungerli per dare il suo contributo. Non si sa mai.

Eccolo che arriva, braccia ciondoloni, andatura da scimmia. Ci si presenta. «Piacere», «piacere». Nonostante lo scenario che, bisogna ammetterlo, non ha niente di piacevole. Che anzi, a essere sinceri, è abbastanza deprimente. Jason, pronunciato Gèson, illustra all'accompagnatore le varie tappe dell'escursione nella cité. I turisti vogliono sensazioni forti, saranno serviti. Dice.

Non dimentichiamo che Real Voyages, l'agenzia che organizza questo periplo attraverso l'Europa dei derelitti, ha previsto un programma verticale e longitudinale nello stesso tempo. Il programma longitudinale consiste nel presentare ai turisti un campionario tanto variegato quanto esauriente di diversi esemplari di poveri. Quanto al programma verticale, il consiglio è di andare per gradi: prima i poveri presentatili, poi quelli meno presentatili, poi quelli ancor meno presentatili, fino agli ultimi degli ultimi, fino ai relitti la cui sola vista ti fa passare la voglia di vivere.

Prima tappa dunque: la cité des Sables, periferia nord di Parigi. Si comincia con cautela. Contrariamente a quanto dice Jason. Che peggiora il quadro. Di proposito. Per allettare i turisti ingenui. Che si mettono in movimento. In quel preciso istante. Guidati dall'accompagnatore, che assume un'espressione sinistra. A sua volta assistito, in quella penosa circostanza, da Jason, pronunciato Gèson, insisto, un giovanotto sveglio, tutto languido e carezzevole, promosso, per non si sa quale motivo, animatore, e per l'animazione si può contare su di lui, afferma il suddetto.

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Pagina 16

Gli studenti americani che compaiono in Les années fac sono belli, eleganti, allegri, incredibilmente spiritosi e mettono a rischio gli adorati studi per difendere la fidanzata: una studentessa americana bionda, elegante, allegra e incredibilmente spiritosa. La loro felicità fa bene al cuore.

Olympe è mulatta, riccia ed è totalmente priva di senso dell'umorismo. Non si può dire che abbia un fascino personale. Hanno un fascino personale solo coloro che, innamorati di se stessi, conoscono l'arte e il modo di farsi valere. In fatto di valore, Olympe è uno zero a sinistra. E non ha voce in capitolo. Come in questo romanzo. Dove è soltanto un'appendice.

Olympe non conta niente. Se non l'avessi inventata, avrebbe vissuto la sua vita da niente senza che nessuno, mai, ci facesse il minimo caso. E io sono molto fiera di darle un'esistenza. Ma temo di ferirla, o peggio, di farla sparire. So che un movimento sbagliato, una parola ingiusta potrebbero annientarla, tanto è insignificante, tanto è evanescente la sua vita, tanto poco le appartiene. Poiché Olympe è come quei fiori che appassiscono appena còlti, per i quali essere e svanire sono la stessa cosa, con lei non esito a praticare la poesia, di cui abbiamo così tanto bisogno. In termini da macelleria, Olympe sarebbe una seconda scelta. Una seconda scelta seconda anche alla seconda scelta Jason. Ma nessuno ha detto che le seconde scelte sono immangiabili. No, solo non godono di molto credito.

Olympe ha l'aria di un cane bastonato. E, negli occhi nerissimi, la desolazione del mondo. Soprattutto quando esce dalla lavanderia, con l'anima strizzata come i panni che stira. Nei monolocali con angolo cottura degli studenti americani, il suo sorriso dolente, accompagnato da uno sguardo da cui sgorga continuamente metafisica, stonerebbe, nessun dubbio. Olympe, che non legge i giornali, non sa che negli ambienti letterari circolano delle petizioni a favore dell'introduzione, nelle serie televisive, di studenti mulatti, coi capelli crespi, allegri, incredibilmente spiritosi e innamorati persi. Il razzismo non l'avrà vinta.

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Pagina 34

Ma che cosa va dicendo?

Degli eroi, dice, perché ci vuole eroismo per lottare senza sosta contro il proprio desiderio di essere ciechi. Ci vuole eroismo per acquisire conoscenze che sarete i soli ad avere e che gli ignoranti, scandalizzati, non vi perdoneranno. Davanti alle visioni esorbitanti che dovrete sostenere, dice l'accompagnatore, saprete reagire con quello che Salomone considerava il dono più importante concesso agli uomini: un cuore intelligente. Solo un cuore intelligente vi darà la forza di vivere con questo eccesso di sapienza.

Promette bene!

Quest'Europa così bella, che ha la pretesa di avere offerto al mondo l'immagine stessa della perfezione, vi mostra oggi, se posso dirlo, i suoi retroscena. E mentre i pensatori vigliacchi teorizzano con paroloni senza nemmeno, scusatemi, metterci dentro il naso, mentre i politici si sgolano con dichiarazioni tanto sofisticate quanto vuote, mentre la maggior parte della gente sonnecchia davanti a uno schermo televisivo perfettamente analgesico e contempla stupefatta le sfilze di disastri, e intanto si gusta l'arrosto, ed esclama Che orrore! fra una forchettata e l'altra, voi, i nuovi turisti del XXI secolo, avete scelto di fare l'esperienza dell'Europa, dovrei dire di fare la prova dell'Europa, con spirito autenticamente europeo (spirito che non morirà mai, anche se dovesse morire l'Europa, ne sono certo). In breve, voi avete deciso di vedere e di pensare, al contrario del gran numero di quelli che vivono con gli occhi chiusi, come chiusa è la loro anima, e questo, aggiunge, a lungo termine, potrà portare soltanto a un negazionismo puro e semplice, e sto misurando le parole.

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Pagina 40

Adesso il programma prevede una visita in portineria. Per ora, i turisti non vogliono perdersi niente dello spettacolo seducente della miseria. Per le menti illuminate infatti la miseria è la migliore delle spezie. Stimola la mente. La infiamma. La eccita. Lo ripeto a rischio di stancare. Ma alcune verità sembra che ci guadagnino a essere ripetute.

Jason chiede se una volontaria accetterebbe di trattare con la custode, che è un caso particolare, avverte. Ma né la signorina Faulkircher, né Odile B., né la signora Pite, né la signora Défosse, nessuna di quelle signore ha mai frequentato guardiane di quartiere e nessuna si considera in grado di portare a buon fine un'impresa del genere. Come ci potrebbero provare? Non hanno né codice di accesso né istruzioni per l'uso. Si scusano, ma... Le loro reticenze sono le stesse che manifesterebbe un commerciante onesto di fronte alle proposte di una puttana.

Se è così non importa, sarà Jason a condurre le operazioni. Suona dalla portinaia che socchiude la porta, accigliata e diffidente. Le spiega che accompagna il gruppo di visitatori di cui le aveva parlato il giorno prima, questi signori e signore che vogliono istruirsi sulla questione dei meno fortunati in Europa.

Digli che non siamo dei macachí, replica seccamente la portinaia, con sorpresa di Jason.

Ma certo che sì! Siamo dei macachi, dice Jason ridendo Tu, io, Olympe, quasi tutti qui siamo dei macachi.

Olympe scoppia a ridere. Quell'ipotesi sincretica la rallegra enormemente.

La portinaia si rasserena e vuol sapere che cosa si nasconde esattamente dietro la visita di quelle persone. Qui gatta ci cova. Sarà mica un'ispezione mascherata di controllori dell'OPHLM, che vorrebbero coglierla di sorpresa? Perché una visita così, per niente, non ci crede neanche un secondo. Contatela a un'altra. Se 'ste persone qua vengono a ficcare il naso, è o per interesse, o per vicissitudine, dice la custode che ha imparato da poco questa parola e ne fa uso come di un superlativo. O sennò è che sono fessi, aggiunge. E giù a ridere tenendosi la pancia.

Odile spiega a bassa voce a suo marito che la portinaia è da ricovero. E dire che quella donna ha delle responsabilità. E poi ci si stupisce se le periferie si degradano a gran velocità.

Lafeuillade deplora in un sussurro il fatto che i poveri si mostrino spesso così maldisposti verso gli sconosciuti. Non c'è forse in ciò una forma larvale di razzismo?

Jason, che ha sentito la frase, non reagisce immediatamente. Ma si dice con grande fermezza che dovrà chiudere il becco a quello stronzo. E sarà meglio farlo al più presto.

L'accompagnatore, per calmare il gioco dichiara alla portinaia: non la tratterremo ulteriormente, cara signora, e si congeda gentilmente. Ecco, aria, dice la portinaia che non applica stricto sensu i canoni della buona educazione urbana (differenti, a quanto pare, da quelli che regolano l'educazione suburbana: nota di Flauchet).

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Pagina 92

[...] Lo squat avrebbe potuto, comunque, trovarsi a Parigi, Madrid, Bruxelles o altrove. Ma il tour operator ha previsto la visita di uno squat a sud di Milano e, al momento, il suo programma viene rispettato alla lettera.

La zona attraversata assomiglia a tutte quelle che circondano le grandi città europee. Edifici industriali. Pubblicità giganti. Stabili brutti. Malinconia.

Arrivano allo squat.

Che dire se non che la sola vista è un incubo, un passo ulteriore nell'inferno?

Una fabbrica sventrata. Nera di fuliggine. Aperta ai quattro venti. Glaciale. Nauseabonda. Di una sporcizia indescrivibile. La vicinanza con Milano, città ricca se ce n'è una, non fa che accentuarne la miseria.

All'interno, dei giovani sonnambuli vagabondano, scalzi, stracciati, con un'aria dell'altro mondo, e inciampano alla cieca su rifiuti ammonticchiati dove si distinguono delle siringhe.

Vivono là, nell'attesa di morire.

Olympe e l'accompagnatore hanno smesso di parlare.

Non possono guardarsi intorno, né possono impedirsi di guardare.

E l'orrore di ciò che vedono e di ciò che non vedono, bruscamente, li separa.

Allora l'accompagnatore fissa intensamente Olympe. In quel modo vorrebbe lavarsi via dagli occhi quell'orrore allucinato che gli è comparso davanti. Ma gli è impossibile cancellarlo. Idem per Olympe. L'ora delle iniquità scottanti, mormora l'accompagnatore, l'ora delle fraternità senza terra.

Jason sente il desiderio di fare male inondargli il sangue. Un desiderio a misura dell'indicibile spavento che lo invade. Presto, cazzo! Una canna prima che mi scoppi il cuore.

I turisti sono stremati dall'emozione. Muti. Come se avessero assistito a un crimine. E forse hanno assistito a un crimine, metafísico.

Anche la signorina Faulkircher si blocca. In genere, un paesaggio la rimanda a un altro paesaggio, che la rimanda a un quadro di Bacon, che la rimanda a... Ma lo squat di Milano non la rimanda a nessuna idiozia dicibile.

L'orrore. E allo stesso tempo l'irrealtà dell'orrore. E l'assoluta impossibilità di raccontarlo.

Grazie a Dio, lo squat non è in Francia, pensano i turisti per consolarsi. Ma non si consolano per niente. Visioni da incubo rifluiscono senza sosta nelle loro teste entrando violentemente in conflitto con i loro ideali sublimi. E queste battaglie interiori fanno un bel casino nelle coscienze. Alle speciose acrobazie, ai contorsionismi dell'anima per accordare i loro ideali sublimi a quelle visioni di orrore ci si potranno dedicare solo più tardi, seduti in fase postprandiale nel loro salone high-tech, con una rivista aperta sulle ginocchia, soddisfatti, tranquilli, leggermente ronfanti, con i piedi impantofolati, e l'anima pure.

Per il momento, questa guerra nell'animo si traduce in un generale abbattimento, al quale succederanno presto rancori, risentimenti, poi insinuazioni reciproche e violenze assortite, e così di seguito in una sorta di concatenazione fatale, fino alla catastrofe finale, se niente viene a impedirla.

L'accompagnatore, che non vuole lasciare Olympe sconsolata, formula qualche frase per lei. Ma le parole che gli salgono alle labbra aumentano solo la sua disperazione. Di quei giovani incrociati nello squat di Milano, di quei morti-viventi, di quegli spettri, nota l'isolamento. L'isolamento che non è la solitudine, dice. Che è ancora più terribile. Perché nella solitudine, dice, l'uomo è solo con se stesso ma in compagnia di tutti. Mentre nell'isolamento l'uomo è abbandonato da tutti e ancor di più da se stesso.

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