Copertina
Autore Giampiero Sanguigni
Titolo Undutchable
EdizioneMeltemi, Roma, 2006, Babele 44 , pag. 240, ill., cop.fle., dim. 120x190x12 mm , Isbn 978-88-8353-496-6
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe architettura , paesi: Olanda , musei
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Indice


 11 Una generazione difficile

    di Hans Ibelings

 19 Tabula rasa


 29 Il paesaggio artificiale

    Commissariato peri media, Koen van Velsen
    Ijburg housing, Bosch Architects
    Artificial arcadia, Bas Princen
    Bockenheim, Daniëlle Huls, Miguel Loos
                (de architectengroep)
    Schie2.0

 53 Dimensioni minime

    Ampliamento di una casa rurale, 24H—Architetture
    House n. 19, Korteknie Stuhlmacher Architecten
    Womb House, Atelier van Lieshout
    Spacebox, De Vijf

 77 Terapia d'urto

    Facility pulling, Urban Affairs
    Parasite Las Palmas, Korteknie Stuhlmacher Architecten
    Olimpic loop, NL Architects
    Spazi pubblici, West8

 97 Estremamente logico

    Centro per malati psicosomatici, VMX
    Body house, Monolab
    I ponti di Leidsche Rijn, Maxwan
    Nam June Paik Museum, Atelier Kempe Thill

115 Estraneo e familiare

    Onix
    Wolzak, seARCH
    De Schieschuur, MADE
    De Kleine Kikker, Drost + van Veen

143 Città nuove

    Almere
    Leidsche Rijn
    Ypenburg

161 I racconti del cuscino

    Biblioteca universitaria, Wiel Arets
    Model-T©, Arons en Gelauff
    Atlas college, DP^6
    Nuilding, Maxwan

181 Traders

    Performances, Heleen van Heel, Said Mahrouf
    Acrilic Dome, Atelier Kempe Thill
    Morgenstond-Midden, Daniélle Huls, Miguel Loos
                (de architectengroep)

205 Architettura e cultura di massa

    Snooze, Studio Sputnik
    Cola bar, Maurer United Architects
    Ceci n'est pas une game, Maurer United Architects

219 Otto itinerari

    Noord Brabant, Breda
    Zuid Holland, Rotterdam
    Zuid Holland, Ypenburg, Den Haag
    Utrecht
    Utrecht, Leidsche Rijn
    Noord Holland, Amsterdam
    Flevoland, Almere
    Groningen

229 Bibliografia selezionata


233 Crediti


 

 

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Pagina 19

Tabula Rasa


Questo testo è una guida informale, che mette in successione una serie di informazioni, legate a quanto avviene ed è avvenuto in Olanda negli ultimi anni. Rileggendolo mi sono reso conto della sua evidente frammentarietà, e dell'isteria con cui cammina tra temi e progetti profondamente diversi. Lo ritengo un fatto positivo, credo che la differenza tra lo scrivere un romanzo e il descrivere l'architettura sia proprio nel modo con cui viene raccontata la storia. Se la realtà che questo libro cerca di proporre è multiforme ed eterogenea, lo è anche il modo con cui essa viene presentata: una successione di progetti spesso antipodali per scelte, approcci e dimensioni. Molte guide e manuali propongono chiavi di lettura repressive, tese alla tipizzazione dei temi e alla visione isolata delle opere e degli eventi. Ho cercato di immaginare degli argomenti "contenitori", frutto dei miei viaggi e dei confronti che ho avuto con gli architetti; nella cui apparente genericità fossero evidenti o potessero esprimersi i caratteri propri di ogni studio e di ogni progetto. Alla critica, e al suo linguaggio fatto di citazioni e riferimenti, si è sostituita la cronaca, conferendo al testo un insolito carattere giornalistico. A questa immagine ha contribuito l'idea di un libro che potesse essere letto sui mezzi di trasporto o nei ritagli di tempo, cominciando la lettura dall'inizio, dalla fine o dal mezzo. I progetti, per quanto possibile, dovevano essere presentati all'interno di due pagine, dando al lettore la possibilità di esaurire un argomento senza voltare pagina, esattamente come in un quotidiano. Questo testo non è un must have object e neanche un coffe table book, mi piace considerarlo come la serie di foto che mostriamo al ritorno da un viaggio. Prevale l'idea che non si possa commentare l'architettura senza averla visitata, perché lo spazio vissuto ci informa più di quanto faccia la pura teoria: un'idea che mi ha portato a vedere di persona i progetti anche più volte, spesso con un atteggiamento feticistico, perso nell'osservazione dei dettagli e degli stili di vita delle persone in essi ospitate. Ho iniziato a pensare a Undutchable nel gennaio del 2004, quando la ricerca di un posto di lavoro come architetto a Rotterdam mi aveva fatto accumulare una quantità di materiale sufficiente per un libro. Un piacevole incidente, visto l'uso che poi è stato fatto di tutte quelle informazioni.

L'interesse per quanto contenuto in queste pagine, iniziava intorno al 1998, quando, studente, cercavo di viaggiare il più possibile. Allora come oggi, ero attratto da quanto mi sembrava distante dai modelli proposti dall'università italiana. L'Olanda degli anni Novanta produceva un'architettura visionaria, proponeva edifici figli di un nuovo modo di affrontare il contesto e la realtà.

Tutti elementi che hanno sedotto me e molti miei colleghi di quegli anni, convinti che la coerenza alla base del processo progettuale legittimasse il prodotto finale allontanandolo da categorizzazioni e speculazioni. Allora usavamo il sesso della trave, parafrasi architettonica del "sesso degli angeli", per criticare chi sosteneva l'idea di un'architettura lirica, implosa, in senso lato, nelle concettualizzazioni sul ruolo delle parole ed estranea a una ricerca sul valore comunicativo delle frasi nella loro interezza (si pensava alla grammatica dell'oggetto ma non alla realtà sociale ed economica in cui si operava).

A otto anni di distanza da quei primi viaggi molte cose sono cambiate. Per prima la mia comprensione della geografia olandese, al tempo assecondata dall'abitudine di chi, italiano come me, è avvezzo ai paesaggi interrotti, dove i confini sono, ancora prima che dalla politica, generati dall'orografia (i rilievi, le coste). Così, se i polders ricordano vagamente un paesaggio padano (se non altro per la comune realtà agricola da cui provengono), manca qualcosa di fisico (le Alpi) capace di definirne l'orizzonte. Col tempo ci si accorge che quel limite con cui Norberg Schulz definiva la "stanza" del paesaggio è dato dal cielo stesso: grigio e straniante, accompagnato dalla monotonia urbanizzata dei Paesi Bassi. Un cielo che cambia soltanto in prossimità del mare, dove la luminosità è resa più intensa dalla riflessione dell'acqua.

È proprio la costa, solida e preistorica in Italia, mutevole ed effimera in Olanda, che introduce il tema dell'artificialità del paesaggio. La dinamica con cui vengono trasformati e traslati i confini tra terra e mare ha creato nuovi territori senza storia e senza presistenze, una tabula rasa fatta di sabbia e conchiglie, conquistate al mare per costruire intere città. Mentre in altri paesi la prima fase di un cantiere corrisponde alla realizzazione delle fondazioni, in Olanda la prima operazione ideale è l'invenzione del terreno su cui l'oggetto poggerà. Un sito "inventato" non soffre di complessi freudiani, non ha padri, non ha una storia e tanto meno delle tradizioni da rispettare.

In questi anni l'immagine che avevo dell'Olanda, viziata dai luoghi comuni e sedotta dal buon marketing compiuto da istituzioni come il NAi e il Berlage Institute, è stata ridimensionata dal confronto con la realtà. L'Olanda degli anni Novanta, quella degli Jaarboek pieni di edifici destinati alla storia, delle commissioni e dei progetti faraonici, è sempre più difficile da ritrovare oggi. Da un lato gli studi di quel tempo hanno raggiunto una dimensione tale che per autosostenersi cercano sempre più committenti all'estero, dall'altro le nuove leve, cresciute osservando attentamente quanto veniva realizzato, stentano a decollare per colpa della recessione e della progressiva privatizzazione del mercato. Ero ad Amsterdam quando Theo van Gogh venne assassinato: con la sua morte è crollata la convinzione di trovarmi in una nazione tollerante. Rob Oudkerk, leader social-democratico, commentava giorni dopo sui giornali: "Questa Mokum non è più la mia Mokum" (usando il vecchio nome ebraico di Amsterdam).

Fino ad allora solo pochi personaggi pubblici avevano avuto bisogno di scorte, ma l'assassinio del regista, compiuto in pieno giorno e in modo efferato, ha scosso profondamente l'opinione, dando il via a un periodo di diffidenza e di indurimento nei rapporti tra le varie culture religiose.

Se l'Olanda è il paese più libertario d'Europa, è anche quello più ossessionato dalle normative: esiste una legge o una strategia per tutto, dalla gestione del territorio a quella del traffico, fino ad arrivare a quelle misure che condizionano i gesti quotidiani.

Probabilmente deluderò quanti si aspettano l'ennesima celebrazione di quegli architetti (OMA, MVRDV, UN studio, Arets, ecc.) che hanno fatto e continuano a fare molto per l'evoluzione dell'architettura oggi. I loro progetti, quando compaiono, cercano di essere una conferma dei temi trattati.

L'editoria nel campo dell'architettura sta cambiando: è raro trovare monografie firmate da terzi, l'architetto è egli stesso scrittore e progettista di un perfetto meccanismo di autocelebrazione.

Un tempo le antologie dell'opera di un maestro venivano spesso pubblicate postume, oggi esistono volumi monografici sui singoli edifici redatti in tempo reale. Comincia anzi a svilupparsi una certa insofferenza nei confronti dell'oggetto libro, arretrato rispetto a quanto viene commentato in diretta sul web.

Una crisi dell'architettura stampata che ha spinto gli editori a investire sul packaging dell'oggetto libro, trasformato da veicolo di informazioni in feticcio fluorescente e plastificato. Così i book-shops cominciano a confondersi con i musei che li ospitano e i libri diventano sempre più oggetti del desiderio.

In questo panorama sembra più etico dedicare la propria attenzione ai progetti di quegli studi che ancora investono la totalità del loro tempo nella progettazione.

Questo libro parla delle loro idee, descrive quelle persone che continuano a trovare soluzioni non ordinarie ai temi che la progettazione offre. Mostra edifici che hanno una radicalità connaturata all'età dei progettisti e al carattere del contesto che li ha prodotti.

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Pagina 53

Dimensioni minime

Minimum Dimensions


Sfogliando una rivista qualsiasi, in seconda pagina, tra la pubblicità dell'American Express e quella di un profumo troverete la reclame di un'automobile. Rigorosamente orientata da sinistra a destra, in modo da comporre una diagonale ascendente rispetto al senso di lettura; quella pubblicità tenterà di trasmettervi un senso di perfezione e durevolezza, comfort e positività. Che sia sportiva, spider o familiare, il testo riportato sotto cercherà di convincervi che quel modello è fatto su misura per voi; che interpreta al meglio la vostra voglia di libertà, legittimando il desiderio di giovinezza o affermazione che cova nel vostro subconscio. Sarete pronti, nel vostro nuovo abitacolo, a guadare un fiume in piena.

Perchè al posto di quell'auto non c'è una casa, la vostra futura casa? Potreste rottamare la vecchia abitazione, e averne in cambio una non inquinante, dagli interni allestibili secondo le vostre esigenze e soprattutto progettata per garantire al meglio la vostra incolumità e quella dei vostri cari.

La nostra è una società dove le innovazioni tecnologiche sono visibili e estremizzate all'interno delle automobili e non dentro le abitazioni ordinarie. Materiali leggeri, scocche rinforzate, dotazioni personalizzabili rivestono l'oggetto-auto di un'aura capace di rappresentare le aspettative e l'identità dell'acquirente. Se poi l'auto consuma poco, il nostro ego risparmiatore ha la coscienza a posto anche se vive in una casa incapace di ottimizzare il consumo energetico. Abitazioni e abitacoli sono entrambi luoghi che filtrano la nostra percezione dello spazio, entrambi sono oggetti collocati su un mercato e soggetti a una valutazione economica. Se osserviamo il loro ciclo di vita, dalla produzione allo smantellamento, la società contemporanea investe nell'auto un'aspettativa maggiore. Di un nuovo modello viene immaginato l'appeal che avrà sul pubblico e la possibilità di personalizzare il proprio acquisto scegliendo tra una serie infinita di dotazioni.

È come se il mercato seguisse il progetto di un'automobile fin dal suo stato embrionale, enfatizzando in ogni fase il contributo in termini d'esperienza che il prodotto finito darà all'utente. Ciò non accade per un'abitazione: nonostante i presupposti siano simili, alla casa viene associato un valore aggiunto soltanto nel momento in cui viene abitata (non sorprende la necessità delle persone di "decorare" lo spazio domestico per adeguarlo alla propria identità). Nel marketing quello che vende è l'esperienza suscitata dall'oggetto reclamizzato, la capacità di un'auto di legare a sé, nell'immaginario, un valore supplementare (allegria, ribellione, machismo, sensualità). Ma i vincoli contingenti al settore, come i costi dei materiali e l'assenza di un mercato concorrenziale, non spingono i costruttori a investire nella ricerca di nuove forme abitative e nella sperimentazione sui nuovi materiali.


Abitiamo, parafrasando l'accostamento casa-auto, in abitazioni che continuano a essere prodotte secondo le tecniche e i criteri dell'inizio del XX secolo. Nessuno accetterebbe, se non un collezionista, di mettersi al volante di un'automobile con lampade antiquate al posto dei fari, senza cinture di sicurezza e tantomeno airbags. Così, se il mercato dell'auto spinge all'innovazione nella ricerca di un numero sempre maggiore di clienti, il mercato delle costruzioni cerca il profitto e impone a progettisti e finanziatori i materiali più economici e le tecnologie più convenzionali.

Tra abitacolo e abitazioni le principali differenze sono quattro: le ruote. Il valore di un'architettura è legato al terreno su cui si costruisce, anzi spesso è proprio il rapporto con il luogo che determina la qualità del manufatto. Se nell'auto ciò che si vede dal finestrino è mutevole, nell'abitazione diventa fondamentale: il valore di quest'ultima oscilla sensibilmente se la vista dà su un parco, una strada secondaria o un luogo di prostituzione.


Le case presentate in questo capitolo sono progettate per degli abitanti che investono sul contenuto e non sul contenitore. Gli elettrodomestici stanno influenzando il modo di vivere, rendendo alcuni luoghi della casa, tradizionalmente ritenuti essenziali, meno importanti di altri. Il concetto di "lusso" si è spostato dalle dimensioni degli ambienti al tipo di tecnologie all'interno dell'abitazione. La miniaturizzazione degli strumenti e il decremento del numero medio dei componenti di una famiglia hanno poi legittimato questa diminuzione delle dimensioni. Aumentano le coppie senza figli, dove entrambi i componenti lavorano fuori dalla residenza e vivono l'ambiente domestico nei fine-settimana, e diminuisce la necessità di partizionare gli interni (scompare l'annosa distinzione zona-giorno vs zona-notte, tipica delle tipologie del dopoguerra). Le vecchie abitazioni, se ristrutturate, vengono divise in più unità residenziali: monocali provvisti di angolo cottura, con i servizi in comune. Il prevalere del modello del loft, dove tutto tende a ridursi in un unico ambiente, impone la ridefinizione dei criteri di privacy: scompaiono la stanza da letto e i divisori. Nei casi dalle dimensioni più ridotte vengono esclusi gli ambiti monofunzionali: la socializzazione avviene sul tavolo della cucina, perché non esiste più un luogo dedicato esclusivamente al ricevimento degli ospiti, e il bagno, unico servizio igienico della casa, è provvisto di un lavandino capace di ospitare due persone contemporaneamente. Le case diventano un fenomeno sociale effimero, per il quale vengono studiate soluzioni precarie ed estreme. La loro temporaneità suggerisce un nuovo stile di vita, legato a nuove forme di adattamento e a un'idea di casa incapace di durare in eterno.

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Pagina 108

Nam June Paik Museum

Atelier Kempe Thill


Per il pubblico, un museo deve essere attraente e imporre un segno. Per l'arte, il museo deve essere flessibile e neutrale. Oggi il rapporto tra questi due tipi di prestazioni sta diventando antagonistico e contraddittorio (Oliver Thill).

Questo museo è stato progettato analizzando le opere di Nam Jun Paik destinate a esservi esposte. Erano previste rappresentazioni effimere generate dai laser, installazioni visive e sonore, sculture-video dalle dimensioni considerevoli. Diverse tipologie, ognuna delle quali necessitava di un contesto spaziale specifico (non un semplice muro su cui esporre, ma un ambiente privo di ostacoli e dall'illuminazione ottimale).

La scelta è stata quella di adottare un'enorme hall, dell'altezza di dieci metri e capace di assecondare l'orografia del sito: la sua configurazione crea degli spazi tecnici tra i piani orizzontali e la pendenza del terreno dove è possibile collocare depositi e locali per mostre che necessitano della penombra. All'interno la piegatura della grande aula nasconde l'orizzonte, lasciando la sensazione di uno spazio senza fine. L'ambiente curvato si sottrae al visitatore, e la drammaticità di quanto non è ancora visibile viene enfatizzata dall'intensificarsi prospettico degli elementi strutturali. L'oggetto è al servizio delle opere esposte: la tecnologia, la forma e i materiali sono stati scelti per ricavare la luce e gli spazi ottimali. La doppia facciata in policarbonato ospita le scale di servizio e funziona da buffer zone, garantendo la climatizzazione dell'ambiente.

Questo museo può ospitare, senza essere immanente, lavori effimeri e grandi sculture. E stato immaginato come un contenitore capace di esporre il paesaggio circostante nelle sue componenti essenziali: quella della luce, resa naturale e soffusa dai rivestimenti, e quella dell'orografia, sfruttata, in questo caso, per risolvere efficacemente alcuni degli spazi imposti dal programma.

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