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| << | < | > | >> |Pagina 11Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c'era nessun altro nel giardino dell'eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godevano già di voce propria. In un accesso d'ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l'altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua. Dagli scritti a cui sono stati via via, nel corso dei tempi, consegnati un po' a caso gli avvenimenti di queste epoche remote, vuoi di possibile certificazione canonica futura o frutto d'immaginazioni apocrife e irrimediabilmente eretiche, non si chiarifica il dubbio su che lingua sarà stata, se il muscolo flessibile e umido che si muove e rimuove nel cavo orale e a volte anche fuori, o la parola, detta anche idioma, di cui il signore si era deprecabilmente dimenticato e che ignoriamo quale fosse, dato che non ne è rimasta la minima traccia, neppure un semplice cuore inciso sulla corteccia di un albero con una legenda sentimentale, qualcosa sul tipo ti-amo, eva. Siccome una cosa, teoricamente, non dovrebbe andare senza l'altra, è probabile che un secondo fine del violento spintone dato dal signore alle lingue mute dei suoi rampolli fosse di metterle in contatto con le interiorità più profonde dell'essere corporale, le cosiddette parti scomode dell'essere, perché in avvenire, ormai con qualche cognizione di causa, potessero parlare della loro oscura e labirintica confusione alla cui finestra, la bocca, già cominciavano a spuntare. Tutto può essere. Chiaramente, per uno scrupolo da buon artefice che andava unicamente a suo favore, oltre che compensare con la dovuta umiltà la precedente negligenza, il signore volle accertarsi che l'errore fosse stato corretto, e quindi domandò ad adamo, Tu, come ti chiami, e l'uomo rispose, Sono adamo, tuo primogenito, signore. Il creatore, poi, si rivolse alla donna, E tu, come ti chiami tu, Sono eva, signore, la prima dama, rispose lei superfluamente, dato che altre non ce n'erano. Il signore si ritenne soddisfatto, sì congedò con un paterno Arrivederci, e riprese la sua vita. Allora, per la prima volta, adamo disse a eva, Andiamo a letto. Set, il terzogenito della famiglia, verrà al mondo solo centotrent'anni dopo, non perché la gravidanza materna richiedesse tanto tempo per ultimare la fabbricazione di un nuovo discendente, ma perché le gonadi del padre e della madre, i testicoli e l'utero rispettivamente, avevano tardato più di un secolo a maturare e a sviluppare sufficiente potenza generativa. C'è da dire ai precipitosi che il fiat ci fu una volta e mai più, che un uomo e una donna non sono mica delle macchine automatiche, gli ormoni sono una cosa piuttosto complicata, non si producono così da un giorno all'altro, non si trovano in farmacia né al supermercato, bisogna dare tempo al tempo. Prima di set erano venuti al mondo, a breve intervallo di tempo fra l'uno e l'altro, dapprima caino e poi abele. Quello cui non si può non fare immediatamente cenno è la profonda noia che erano stati tanti anni senza vicini, senza distrazioni, senza un bambino lì a gattonare tra la cucina e il salotto, senz'altre visite al di fuori di quelle del signore, e anche queste rarissime e brevi, intervallate da lunghi periodi di assenza, dieci, quindici, venti, cinquant'anni, immaginiamo che poco ci sarà mancato che i solitari occupanti del paradiso terrestre si vedessero come dei poveri orfanelli abbandonati nella foresta dell'universo, ancorché non sarebbero stati in grado di spiegare cosa fosse questa storia di orfani e abbandoni. È pur vero che, un giorno sì, un giorno no, e anche quel giorno no con altissima frequenza sì, adamo diceva a eva, Andiamo a letto, ma la routine coniugale, aggravata, nel loro caso, da nessuna varietà nelle posizioni per mancanza di esperienza, già allora si dimostrò altrettanto distruttiva di un'invasione di tarli lì a rodere le travature della casa. All'esterno, salvo un po' di polverina che fuoriesce qua e là da minuscoli orifizi, l'attentato si coglie a stento, ma all'interno la processione è ben altra, non ci vorrà molto che venga giù tutto ciò che era parso tanto solido. In situazioni del genere, c'è chi sostiene che la nascita di un figlio può avere effetti rivitalizzanti, se non della libido, che è opera di chimiche assai più complesse che imparare a cambiare un pannolino, almeno dei sentimenti, il che, bisogna riconoscerlo, già non è poco. Quanto al signore e alle sue visite sporadiche, la prima fu per vedere se adamo ed eva avevano avuto problemi nell'installazione domestica, la seconda per sapere se avevano tratto qualche beneficio dall'esperienza della vita campestre e la terza per avvisare che tanto presto non si aspettava di tornare, giacché aveva da far la ronda negli altri paradisi esistenti nello spazio celeste. In effetti, sarebbe riapparso solo molto più tardi, in una data di cui non è rimasta traccia, per scacciare la sventurata coppia dal giardino dell'eden per il nefando crimine di aver mangiato del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Questo episodio, che diede origine alla prima definizione di un peccato originale fino ad allora ignorato, non è mai stato ben spiegato. In primo luogo, persino l'intelligenza più rudimentale non avrebbe alcuna difficoltà a comprendere che essere informato sarà sempre preferibile a ignorare, soprattutto in materie tanto delicate come lo sono queste del bene e del male, nelle quali chiunque si mette a rischio, senza saperlo, di una condanna eterna a un inferno che allora era ancora da inventare. In secondo luogo, grida vendetta l'imprevidenza del signore che, se realmente non voleva che mangiassero di quel suo frutto, avrebbe avuto un rimedio facile, sarebbe bastato non piantare l'albero, o andare a metterlo altrove, o circondarlo da un recinto di fildiferro spinato. E, in terzo luogo, non fu per aver disobbedito all'ordine di dio che adamo ed eva scoprirono di essere nudi. Nudi e crudi, con tutto quanto all'aria, c'erano già quando andavano a letto, e se il signore non aveva mai notato una mancanza di pudore così evidente, la colpa era della sua cecità di progenitore, proprio quella che, a quanto pare inguaribile, ci impedisce di vedere che i nostri figli sono, in fin dei conti, tanto buoni o tanto cattivi quanto gli altri. Mozione d'ordine. Prima di proseguire con questa istruttiva e categorica storia di caino cui, con arditezza mai vista prima, abbiamo messo mano, è forse consigliabile, perché il lettore non si ritrovi confuso per la seconda volta con pesi e misure anacronistici, introdurre qualche criterio nella cronologia degli avvenimenti. Così faremo, dunque, iniziando col chiarire qualche malizioso dubbio sollevato se adamo sarebbe stato ancora idoneo a fare un figlio all'età di centotrent'anni. | << | < | > | >> |Pagina 51Caino ormai è entrato, ha dormito nel letto di lilith e, per quanto ci sembri incredibile, è stata proprio la sua mancanza di esperienza in fatto di sesso che gli ha impedito di annegare nel vortice di lussuria che in un solo istante ha rapito la donna e l'ha fatta esplodere e urlare come un'ossessa. Digrignava i denti, mordeva il guanciale, poi la spalla dell'uomo, del quale ha succhiato il sangue. Diligente, caino s'impegnava sul corpo di lei, perplesso davanti a quei movimenti e quelle grida sregolate, mentre, al tempo stesso, un altro caino che non era lui osservava la scena con curiosità, quasi con freddezza, l'agitazione incontenibile degli arti, le contorsioni del corpo di lei e del proprio corpo, le posizioni che la copula stessa sollecitava o imponeva, fino all'acme degli orgasmi. Non dormirono molto quella prima notte i due amanti. Né la seconda, né la terza, né tutte le altre che seguirono. Lilith era insaziabile, le forze di caino parevano inesauribili, insignificante, quasi nullo, l'intervallo tra due erezioni e rispettive eiaculazioni, si sarebbe davvero potuto dire che si trovavano, sia l'uno che l'altra, nel paradiso dell'allah di là da venire. Una di quelle notti noah, il signore della città e marito di lilith, al quale uno schiavo di fiducia aveva portato la notizia che lì si verificava qualcosa di straordinario, entrò nell'anticamera. Non era la prima volta che lo faceva. Marito consenziente quant'altri mai, noah, in tutto il tempo, come si suole dire, di vita in comune, era stato incapace di dare un figlio alla donna ed era stata proprio la consapevolezza di quello smacco continuo, e fors'anche la speranza che lilith finisse per restare incinta di un amante occasionale e finalmente gli desse un figlio da poter chiamare erede, che lo aveva portato ad adottare, quasi senza accorgersene, quell'atteggiamento di condiscendenza coniugale che avrebbe finito, col tempo, per divenire una comoda maniera di vivere, turbata solo dalle rarissime volte in cui lilith, mossa da quella che immaginiamo sia la tanto decantata compassione femminile, decideva di andare nella camera del marito per un fugace e insoddisfacente contatto che non impegnava nessuno dei due, né lui a richiedere più di quanto gli era dato, né lei a riconoscergli un tale diritto. Mai, però, lilith permise a noah di entrare nella sua camera. In questo momento, nonostante la porta chiusa, la veemenza delle effusioni erotiche dei due partner colpiva il pover'uomo come uno schiaffo dopo l'altro, dando luogo, in lui, alla nascita subitanea di un sentimento che non aveva provato prima, un odio smisurato per il cavaliere che montava la cavalla lilith e la faceva nitrire come non mai. Lo uccido, disse noah fra sé e sé, senza pensare alle conseguenze del gesto, per esempio, come avrebbe reagito lilith se le avessero ucciso l'amante preferito. Li uccido, insisteva noah, ampliando ora il suo proposito, uccido lui e uccido lei. Sogni, fantasie, deliri, noah non ucciderà nessuno ed egli stesso avrà la fortuna di sfuggire alla morte senza per ciò fare nulla. Dalla camera ora non arriva più alcun suono, ma ciò non vuol dire che la festa dei corpi sia terminata, i musicisti stanno solo prendendosi un po' di riposo, non tarderà che l'orchestra attacchi il ballo seguente, quello in cui la spossatezza farà seguito, fino alla notte seguente, al violento parossismo finale. Noah si è ormai ritirato, portando con sé i suoi progetti di vendetta, che accarezza come se coccolasse il corpo inaccessibile di lilith. Vedremo come andrà a finire. | << | < | > | >> |Pagina 63Malgrado l'oscurità cinerea dell'albeggiare, si vedeva che gli uccelli, non le amabili creature alate che ormai non avrebbero tardato molto a intonare al sole i loro canti, ma quei bruti volatili rapaci, quelli carnivori che vagano da un patibolo all'altro, avevano già iniziato il loro lavoro di nettezza urbana nelle parti esposte degli impiccati, i visi, gli occhi, le mani, i piedi, la mezza gamba che la tunica non arrivava a coprire. Due civette, allarmate dal rumore delle zampe del giumento, si alzarono in volo dalle spalle dello schiavo, con un tenue fruscio setoso percepibile solo a orecchi esperti. Si infilarono a volo radente in una viuzza stretta, a fianco del palazzo, e scomparvero. Caino spronò il giumento con i calcagni, attraversò la piazza, chiedendosi se anche adesso avrebbe incontrato il vecchio con le due pecore legate con una cordicella, e, per la prima volta, si domandò chi mai potesse essere quell'impertinente personaggio, Forse era il signore, ne sarebbe anche capace, con quel suo gusto di apparire all'improvviso da qualche parte, mormorò. Non voleva pensare a lilith. Quando nel suo desolato letto di custode si era svegliato da un sonno inquieto, continuamente interrotto, un repentino impulso lo aveva quasi spinto a entrare nella stanza per un'ultima parola di commiato, per un ultimo bacio, e magari per quant'altro sarebbe potuto succedere. Era ancora in tempo. Nel palazzo dormono, soltanto lilith sarà di certo sveglia, nessuno si sarebbe accorto della rapida incursione, o forse le due schiave che gli avevano schiuso le porte del paradiso al suo arrivo, e loro avrebbero detto, sorridendo, Come ti capiamo bene, abele. Dopo avere svoltato al primo incrocio non avrebbe più visto il palazzo. Il vecchio delle pecore non c'era, il signore, se era lui, gli dava carta bianca, ma né una mappa delle strade, né un passaporto, né raccomandazioni di alberghi e ristoranti, un viaggio come quelli che si facevano anticamente, alla ventura, o, come si diceva allora, come vuole iddio. Caino spronò di nuovo il giumento e ben presto si ritrovò in aperta campagna. La città era ormai solo una macchia grigiastra che, a poco a poco, con la distanza che via via aumentava, nonostante il passo contenuto dell'asino, sembrava sprofondare nel terreno. Il paesaggio era secco, arido, senza un filo d'acqua in vista. Davanti a questa desolazione era inevitabile che caino rammentasse la dura camminata fatta quando il signore lo aveva scacciato dalla fatidica valle dove il povero abele era rimasto per sempre. Senza niente da mangiare, senza un filo d'acqua tranne quella che, per miracolo, venne giù finalmente dal cielo quando le forze dell'anima stavano ormai per esaurirsi e le gambe minacciavano di afflosciarsi a ogni passo. Stavolta, almeno, il cibo non gli mancherà, le bisacce sono piene fino all'orlo, un pensiero amorevole di lilith che, a quanto pare, non ci si è dimostrata una padrona di casa così pessima come si sarebbe potuto pensare dai suoi costumi dissoluti. Il male è che tutt'intorno nel paesaggio non si vede neppure un'ombra dove proteggersi. A metà mattina il sole è già fuoco puro e l'aria è tutta un tremolio che ci fa dubitare di ciò che gli occhi vedono. Caino disse, Meglio, così non dovrò smontare per mangiare. La strada saliva e saliva, e il giumento, che a ben vedere le cose di asino non ha niente, avanzava a zigzag, ora di qua, ora di là, si suppone che dovesse avere appreso quel geniale trucco dalle mule, che in questa materia di ascensioni alpine la sanno lunga. Qualche altro passo e la salita finì. E allora, oh sorpresa, oh stupore, oh stupefazione, il paesaggio che caino aveva ora davanti a sé era completamente diverso, verde di tutti i verdi mai visti, con alberi frondosi e campi coltivati, riflessi d'acqua, una temperatura mite, nuvole bianche che fluttuavano nel cielo. Si guardò indietro, la stessa aridità di prima, la stessa secchezza, lì non era cambiato niente. Era come se ci fosse una frontiera, una linea lì a separare due paesi, O due tempi, disse caino senza la consapevolezza di averlo detto, proprio come se qualcuno lo stesse pensando al posto suo. Alzò il capo per guardare il cielo e vide che le nuvole in movimento dalla direzione da cui siamo venuti si trattenevano in verticale al suolo e subito dopo scomparivano per artifici sconosciuti. C'è da tenere in considerazione il fatto che caino è male informato su questioni cartografiche, si potrebbe addirittura dire che questo, in un certo qual modo, è il suo primo viaggio all'estero, dunque è naturale che sia sorpreso, altra terra, altra gente, altri cieli e altri costumi. Sì, tutto questo può essere corretto, ma quello che nessuno mi spiega è il motivo per cui le nuvole non possono passare da là a qua. A meno che, dice la voce che parla per bocca di caino, il tempo sia un altro, che questo paesaggio curato e lavorato dalla mano dell'uomo fosse stato, in epoche passate, altrettanto sterile e desolato della terra di nod. Allora ci troviamo nel futuro, ci domandiamo noi, che però abbiamo già visto dei film che ne trattano, e libri pure. Sì, questa è la formula comune per spiegare qualcosa tipo quello che sembra esser successo qui, il futuro, diciamo noi, e tiriamo un sospiro di sollievo, ormai ci abbiamo messo il cartellino, l'etichetta, ma, a nostro parere, ci capiremmo meglio se lo definissimo altro presente, perché la terra è la stessa, sì, ma i suoi presenti continuano a variare, alcuni sono presenti passati, altri presenti a venire, è semplice, lo capirà chiunque. Chi dà segni della gioia più profonda è il giumento. Nato e cresciuto in terre dove il terreno è arido, alimentato a paglia e cardi, con l'acqua razionata o quasi, la visione che gli si offriva rasentava il sublime. Peccato che non ci fosse lì nessuno in grado di interpretare i movimenti delle orecchie, questa specie di telegrafo sventolante di cui la natura lo aveva dotato, senza che la fortunata bestia potesse immaginare che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe voluto esprimere l'ineffabile, e l'ineffabile, come sappiamo, è proprio ciò che si trova al di là di qualsiasi possibilità di espressione. Felice lo è anche caino, che già sogna una colazione in campagna, tra verzure, fugaci rivoletti d'acqua e uccellini lì a intonare la loro sinfonia tra i rami. A destra della strada, laggiù, si vede un filare di alberi di una certa dimensione che promette un'ombra e una siesta tra le migliori. In quella direzione spronò caino il giumento. Il posto sembrava inventato apposta per rinfrescare i viaggiatori stanchi e le rispettive bestie da soma. Parallela agli alberi c'era una siepe di arbusti che occultavano la stretta carrareccia che saliva verso il picco della collina. Alleviato dal peso delle bisacce, il giumento si era dedicato alle delizie dell'erba fresca e di qualche rustico fiore qua e là, dei sapori che non gli erano mai passati per la gola. Caino scelse tranquillamente il menu e mangiò proprio lì, seduto a terra, circondato da innocenti uccellini che piluccavano le briciole, mentre i ricordi dei bei momenti vissuti tra le braccia di lilith tornavano a scaldargli il sangue. Le palpebre avevano già cominciato a pesargli quando una voce giovanile, da ragazzo, lo fece sussultare, Padre, chiamò il ragazzo, e poi un'altra voce, da adulto di una certa età, domandò, Che vuoi, isacco, Abbiamo portato fin qui il fuoco e la legna, ma dov'è la vittima per il sacrificio, e il padre rispose, Provvederà il signore, troverà il signore la vittima per il sacrificio. E continuarono a risalire il pendio. Orbene, intanto che loro salgono lemme lemme, conviene sapere com'è iniziata questa storia per comprovare una volta ancora come il signore non sia gente di cui potersi fidare. Circa tre giorni prima, non più tardi, il signore aveva detto ad abramo, padre del ragazzino che trasporta sulle spalle il fascio di legna, Porta con te il tuo unico figlio, isacco, al quale vuoi tanto bene, recati nella regione del monte moria e offrimelo in sacrificio su uno dei monti che ti indicherò. Il lettore ha letto bene, il signore ha ordinato ad abramo di sacrificargli proprio il figlio, e il tutto con la massima semplicità, come chi chiede un bicchiere d'acqua quando ha sete, il che significa che era una sua abitudine, e ben radicata. La cosa logica, la cosa naturale, la cosa semplicemente umana sarebbe stata che abramo avesse mandato il signore a cagare, ma non è andata così. L'indomani mattina lo snaturato padre si alzò presto per bardare l'asino, preparò la legna per il fuoco del sacrificio e s'incamminò verso il luogo che il signore gli aveva indicato, portando con sé due servitori e suo figlio isacco. Il terzo giorno di viaggio, abramo avvistò in lontananza il suddetto luogo. Disse allora ai servitori, Voi restate qui con l'asino che io vado laggiù con il bambino, per adorare insieme il signore e poi torneremo da voi. Vale a dire che, oltre che figlio di puttana quanto il signore, abramo era decisamente un bugiardo, pronto a ingannare chiunque con la sua lingua biforcuta che, in questo caso, secondo il dizionario privato del narratore di questa storia, significa traditrice, perfida, fraudolenta, sleale e altre meraviglie simili. Giunto dunque nel luogo di cui il signore gli aveva parlato, abramo costruì un altare e vi depose sopra la legna. Poi legò il figlio e lo mise sull'altare, impugnò il coltello per sacrificare il povero ragazzo e già si accingeva a tagliargli la gola quando sentì che qualcuno gli afferrava il braccio, mentre una voce urlava, Che vuoi fare, vecchio malvagio, uccidere tuo figlio, bruciarlo, è di nuovo la stessa storia, si comincia con un agnello e si finisce per assassinare colui che più si dovrebbe amare, È il signore che l'ha ordinato, è il signore che l'ha ordinato, si dibatteva abramo, Taci, o se qui c'è qualcuno che uccide quello sono io, slega subito il ragazzo, inginocchiati e chiedigli perdono, Chi sei tu, Sono caino, sono l'angelo che ha salvato la vita a isacco. No, non era vero, caino non è per niente un angelo, un angelo è questo che è appena atterrato con un grande rumore d'ali e ha cominciato a declamare come un attore che avesse finalmente sentito la sua battuta, Non alzare la mano contro il bambino, non fargli del male, giacché oramai ho visto che sei obbediente al signore, disposto, per amor suo, a non risparmiare neppure il tuo unico figlio, Arrivi tardi, disse caino, se isacco non è morto è grazie a me che l'ho impedito. L'angelo fece una faccia contrita, Mi spiace molto di essere arrivato in ritardo, ma non è stata colpa mia, mentre stavo venendo mi è sorto un problema meccanico all'ala destra, non era in sincronia con la sinistra, e il risultato sono stati dei continui cambiamenti di rotta che mi disorientavano, mi son trovato nelle pesti per arrivare sin qui, e per giunta non mi avevano spiegato bene quale di questi monti era il luogo del sacrificio, se ce l'ho fatta è stato per un miracolo del signore, Tardi, disse caino, Meglio tardi che mai, rispose l'angelo con prosopopea, come se avesse appena enunciato una verità elementare, Ti sbagli, mai non è il contrario di tardi, il contrario di tardi è troppo tardi, gli rispose caino. L'angelo borbottò, Un altro razionalista, e siccome non aveva ancora portato a termine la missione di cui era stato incaricato trasmise il resto del messaggio, Ecco ciò che ha mandato a dire il signore, Giacché sei stato capace di fare questo e non hai risparmiato neppure tuo figlio, giuro sul mio buon nome che ti benedirò e ti darò una discendenza tanto numerosa quanto le stelle del cielo o le sabbie della spiaggia ed essi si impadroniranno delle città dei loro nemici e, inoltre, attraverso i tuoi discendenti si sentiranno benedetti tutti i popoli del mondo, perché tu hai obbedito al mio ordine, parola del signore. Queste, per chi non lo sappia o finga di ignorarlo, sono le contabilità doppie del signore, disse caino, se una ci ha guadagnato, l'altra non ci ha perso, a parte ciò non capisco come potranno mai essere benedetti tutti i popoli del mondo solo perché abramo ha obbedito a un ordine stupido, Questa, noi la chiamiamo obbedienza dovuta, disse l'angelo. Poi, zoppicando sull'ala destra, con l'amaro in bocca per il fallimento della missione, la celestiale creatura se n'è andata, anche abramo e suo figlio sono ormai in cammino verso il luogo dove li aspettano i servitori, e adesso, mentre caino sistema le bisacce sulla groppa del giumento, immaginiamo un dialogo tra l'aguzzino frustrato e la vittima salvata in extremis. Domandò isacco, Padre, che male ti ho fatto perché tu abbia voluto uccidermi, proprio io che sono il tuo unico figlio, Male non me ne hai fatto, isacco, Allora perché volevi tagliarmi la gola come se fossi un agnello, domandò il ragazzo, se non fosse apparso quell'uomo a trattenere il tuo braccio, che il signore lo copra di benedizioni, ora staresti riportando a casa un cadavere, L'idea è stata del signore, che voleva fare la prova, La prova di che, Della mia fede, della mia obbedienza, E che razza di signore è questo che ordina a un padre di uccidere il proprio figlio, È il signore che abbiamo, il signore dei nostri antenati, il signore che c'era già quando siamo nati, E se quel signore avesse un figlio, farebbe uccidere anche lui, domandò isacco, Lo dirà il futuro, Allora il signore è capace di tutto, del bene, del male e del peggio, Proprio così, Se tu avessi disobbedito all'ordine, che sarebbe successo, domandò isacco, È costume del signore mandare la rovina, o una malattia, a chi gli è venuto meno, Allora il signore è rancoroso, Penso di sì, rispose abramo a voce bassa, come se temesse di essere udito, al signore niente è impossibile, Neanche un errore o un crimine, domandò isacco, Gli errori e i crimini soprattutto, Padre, non mi ci trovo con questa religione, Dovrai trovartici, figlio mio, non avrai altro rimedio, e ora devo farti una richiesta, un'umile richiesta, Quale, Che dimentichiamo quello che è capitato, Non so se ne sarò capace, padre mio, mi vedo ancora sdraiato su quella legna, legato, e il tuo braccio alzato, col coltello lì a brillare, Quello non ero io, nel pieno delle mie facoltà non lo avrei mai fatto, Vuoi dire che il signore fa impazzire le persone, domandò isacco, Sì, molte volte, quasi sempre, rispose abramo, Comunque sia, chi aveva il coltello in mano eri tu, Il signore aveva organizzato tutto, all'ultimo momento sarebbe intervenuto, hai visto l'angelo che è apparso, È arrivato in ritardo, Il signore avrebbe trovato un altro modo di salvarti, anzi, probabilmente sapeva pure che l'angelo avrebbe tardato e per ciò ha fatto apparire quell'uomo, Si chiama caino, lui, non dimenticare ciò che gli devi, Caino, ripeté abramo obbediente, l'ho conosciuto che ancora non eri nato, L'uomo che ha salvato tuo figlio dall'essere sgozzato e bruciato sul fascio di legna che egli stesso aveva trasportato sulle spalle, Non lo sei stato, figlio mio, Padre, la questione, per quanto me ne importi assai, non è tanto che io sia morto o meno, la questione è che siamo governati da un signore come questo, altrettanto crudele di baal, che divora i propri figli, Dov'è che hai udito questo nome, Si sogna, padre. Sto sognando, disse anche caino quando aprì gli occhi. Si era addormentato sopra il giumento e all'improvviso si svegliò. Si trovava in un paesaggio diverso, con degli alberi rachitici qua e là, e altrettanto secco della terra di nod, ma secco di sabbia, non di cardi. Un altro presente, disse. | << | < | |