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| << | < | > | >> |Indice9 MARZO 2009 11 Funes & Funes 12 Al lupo, al lupo 13 Il domani e il millennio 15 Questione di colore 16 Guazzabuglio 17 Raposa do Sol 18 Geometria frattale 21 APRILE 2009 23 Mahmud Darwish 24 G20 24 Santa Maria di Iquique 26 L'orologio 27 Un'altra lettura per la crisi 27 Leggere 28 L'Aquila 29 Bo 29 Colombia a Lanzarote 30 Manie di grandezza 31 Con Dario Fo 32 Esibizionismi [...] 177 OTTOBRE 2009 179 Giorni felici 181 NOVEMBRE 2009 183 No alla disoccupazione 185 Su Maria Joào Pires |
| << | < | > | >> |Pagina 15Dialogo in una pubblicità di automobili in televisione. Accanto al padre, che guida, la figlia, di sei o sette anni, domanda: "Papà, sapevi che Irene, la mia compagna di scuola, è nera?". Risponde il padre: "Sì, certo...". E la figlia: "Io no, invece...". Se queste tre parole non sono un vero e proprio cazzotto alla bocca dello stomaco, un'altra cosa saranno di sicuro: un ceffone alla mente. Si dirà che il breve dialogo non è che il frutto del talento creativo di un pubblicitario geniale, ma, proprio qui accanto, mia nipote Júlia, che non ha più di cinque anni, interpellata se a Tías, località in cui viviamo, ci fossero donne nere, ha risposto che non lo sapeva. E Júlia è cinese... Si dice che la verità esce spontaneamente dalla bocca dei bambini, ma, visti gli esempi forniti, non sembra sia questo il caso, dato che Irene è realmente nera e a Tías le nere non mancano. La questione è che, contrariamente a quel che in genere si crede, per quanto si tenti di convincerci del contrario, le verità uniche non esistono: le verità sono molteplici, solo la menzogna è globale. Le due bambine non vedevano delle nere, vedevano delle persone, persone come loro vedono se stesse, dunque, la verità che è uscita dalle loro bocche è stata semplicemente un'altra. Il signor Sarkozy, invece, non la pensa così. Ora ha avuto l'idea di far procedere a un censimento etnico destinato a "radiografare" (l'espressione è sua) la società francese, cioè a sapere chi e dove sono gli immigrati, presumibilmente per sottrarli all'invisibilità e appurare se le politiche contro la discriminazione siano efficaci. Secondo un'opinione molto diffusa, la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni. Credo sia lì che andrà la Francia se l'iniziativa prospera. Non è per niente difficile immaginare (gli esempi del passato abbondano) che il censimento possa finire per convertirsi in uno strumento perverso, origine di nuove e più raffinate discriminazioni. Sto pensando seriamente di chiedere ai genitori di Júlia di portarla a Parigi per consigliare il signor Sarkozy... | << | < | > | >> |Pagina 38Grande trambusto nelle redazioni dei giornali, delle radio e delle televisioni di tutto il mondo. Chàvez si avvicina a Obama con un libro in mano, è evidente che qualsiasi persona di buon senso troverà che l'occasione per chiedere al presidente degli Stati Uniti d'America un autografo sia scelta malissimo, lì, in piena riunione del vertice, ma alla fin fine non è così, si tratta piuttosto di un gentile omaggio da capo di Stato a capo di Stato, niente di meno che Le vene aperte dell'America Latina , di Eduardo Galeano. Chiaro che il gesto ha un secondo fine. Chàvez avrà pensato: "Quest'Obama di noi non sa niente, per poco non era ancora nato, Galeano gli insegnerà qualcosa". Speriamo che sia così. La cosa più interessante, però, oltre al fatto che su Amazon il libro sia andato esaurito, passando in un attimo da un modestissimo posto nella tabella delle vendite alla gloria commerciale del bestseller, da cinquatamila e qualcosa a secondo in classifica, è stata la rapida e apparentemente concertata comparsa di commenti negativi, soprattutto sulla stampa, che tendevano a squalificare, sebbene in qualche caso sporadico con certe sfumature benevole, il libro di Eduardo Galeano, insistendo che l'opera, oltre a dilungarsi in analisi poco fondate e marcati preconcetti ideologici, non era aggiornata per quanto riguardava la realtà presente. Orbene, Le vene aperte dell'America Latina è stato pubblicato nel 1971, quasi quarant'anni fa, dunque, a meno che il suo autore non fosse una sorta di Nostradamus, solo con un erculeo sforzo immaginativo sarebbe stato in grado di anticipare la realtà del 2009, già tanto diversa dagli anni immediatamente precedenti. La denuncia dei frettolosi commentatori, oltre che malintenzionata, è piuttosto ridicola, almeno quanto lo sarebbe l'accusa che la Vera storia della conquista della Nuova Spagna, per esempio, scritta nel secolo XVII da Bernal Díaz del Castillo, abbondi anch'essa di analisi mal fondate e marcatissimi preconcetti ideologici. La verità è che chiunque intenda essere informato su cosa è successo in America, in quell'America, dal Quattrocento in poi, avrà solo da guadagnarci leggendo il libro di Eduardo Galeano. Il male di quelli e altri commentatori che pullulano da quelle parti è che di Storia ne sanno poco. Ora ci resta solo da vedere come Barack Obama metterà a frutto la lettura de Le vene aperte. Un buon allievo, pare lo sia. | << | < | > | >> |Pagina 40Siamo la memoria che abbiamo, senza memoria non sapremmo chi siamo. Questa frase, sbocciata nella mia mente tanti anni fa, nel fervore di una delle molteplici conferenze e interviste a cui il mio lavoro di scrittore mi ha obbligato, oltre a essermi sembrata, immediatamente, una verità elementare, una di quelle verità che non ammettono discussione, si riveste di un equilibrio formale, di un'armonia fra i suoi elementi che, pensavo, avrebbe contribuito molto a una facile memorizzazione da parte di ascoltatori e lettori. Fin dove giunge il mio orgoglio, e mi piace dichiarare che non va molto lontano, m'inorgogliva essere l'autore della frase, sebbene d'altro canto la modestia, che pure non mi manca del tutto, mi sussurrasse di quando in quando all'orecchio che era una frase altrettanto corretta dell'affermare con la massima serietà che il sole nasce a oriente. Cioè, un'ovvietà. Orbene, persino le cose apparentemente più ovvie, come pareva essere questa, si possono controbattere in qualsiasi momento. È il caso della nostra memoria che, a giudicare da informazioni recentissime, è puramente e semplicemente a rischio di scomparire, inserendosi, per così dire, nel gruppo delle specie in via di estinzione. Secondo tali informazioni, pubblicate su rispettabili riviste scientifiche come "Nature" e "Learn Mem", è stata scoperta una molecola, denominata Zip (col nome non abbia a perderci), capace di cancellare tutte le memorie, buone o cattive, felici o nefaste, lasciando il cervello libero dal carico di ricordi che va accumulando nel corso della vita. Il bambino appena nato non ha memoria e così ci ritroveremmo anche noi. Come si diceva, la scienza fa passi da gigante, ma io, questa scienza, non la voglio. Mi sono abituato a essere quel che la memoria ha fatto di me e non sono affatto scontento del risultato, ancorché le mie azioni non sempre siano state le più meritorie. Sono un animale della terra come qualsiasi essere umano, con qualità e difetti, con errori e conquiste, lasciatemi stare così. Con la mia memoria, questa memoria che io sono. Non voglio dimenticare niente. | << | < | > | >> |Pagina 48Ieri è mancato per arresto cardiorespiratorio lo scrittore e giornalista Javier Ortiz. È qualcosa che egli stesso, autore di queste righe, sapeva benissimo che sarebbe successo, e pertanto lo ha potuto pronosticare, dato che non c'è niente di più inevitabile che morire per arresto cardiorespiratorio. Se continui a respirare e il cuore ti batte, non ti danno per morto. A ogni modo siamo qui (be', lui non più). Javier Ortiz era il sesto figlio di María Estévez Sàez, una maestra di Irún, e di José María Ortiz Crouselles, un dirigente amministrativo di Madrid. I suoi nonni furono rispettivamente un signore di Granada con l'aria da poliziotto, il che è giustificabile dato che era un poliziotto, e una signora molto piacevole e colta con l' allure e il cognome del Rosellon; un carabiniere di Ourense, discreto e rispettato, con abilità di calligrafo, e una vedova di Haro sposata in seconde nozze con l'appena citato, Javier Estévez Cartelle, da cui deriva il nome di battesimo del nostro recente estinto. Se tutti questi antecedenti hanno qualche valore, cosa per niente certa, è quello di dimostrare che, contrariamente a ciò che siamo soliti pretendere, l'incrocio delle razze non migliora il risultato. (Si noti che una bella varietà di provenienze diverse si è data da fare per poi finire col creare un basco calvo e bassino.) Javier Ortiz trascorse l'infanzia a San Sebastiàn, città a portata di mano, perché nacque lì. Si dedicò principalmente a guardare ciò che stava nei dintorni, in particolare il seno delle signore - ora che è morto possiamo rivelare questo suo segreto innocente - e a studiare cose assai peregrine, come le città costiere del Perú, che non poté dimenticare fino all'ultimo respiro. I gesuiti tentarono di metterlo sulla buona strada, ma ben presto si scoprì comunista. Questo rovinò del tutto la sua carriera religiosa, già di per sé poco promettente, specialmente da quando notò con disgusto l'interesse che alcuni sacerdoti ponevano nelle sue parti pudende. Il suo primo lavoro come scrittore, apparso in una pagina del giornalino della scuola, fu curiosamente un necrologio, e con ciò potremmo dire che la sua carriera da giornalista è risultata bifronte, singolare circostanza della quale ben pochi potrebbero vantarsi, anche nell'improbabile caso vi aspirassero. A quindici anni, stufo delle ingiustizie umane - alcune delle quali continuavano ad avere come riferimento ossessivo il seno delle donne - decise di diventare marxista-leninista. Gli anni successivi dovette impiegarli a verificare ciò che stava diventando, con il contributo decisivo di alcuni impavidi membri della Polizia politica franchista. Da quel momento, si dedicò con molto entusiasmo a coltivare la nobile arte del libello. Senza sosta. Giornalmente. Anno dopo anno. Passò da una residenza all'altra, non sempre per volontà propria - a questo punto bisogna citare le sue permanenze in carcere e l'esilio, prima a Burdeos, poi a Parigi - tuttavia non rinunciò mai al suo incrollabile impegno di agitatore politico, che lui amava pensare di aver acquisito, per quanto sembri assurdo - e di fatto lo è -, con la lettura de I documenti postumi del Circolo Pickwick di don Carlos Dickens, e delle Avventure, invenzioni e mistificazioni di Silvestre Padarox di don Pío Baroja. Burdeos, Parigi, Barcellona, Madrid, Bilbao, Aigües, Santander... Transitò per moltissimi posti e scoprì innumerevoli luoghi senza smettere di scrivere, dai e ridai. "Zutik! Servir al Pueblo", "Saida, Liberación y Mar", e "Mediterranean Magazine", ed "El Mundo", e una dozzina di libri e di radio varie, e alcune televisioni... Per scrivere, scrisse anche per altri e altre, ha scritto "da negro" in momenti di particolare penuria... A volte lo ha fatto anche per amicizia. Spinto dalla lettura della Selezione dal Reader's Digest e da altre pubblicazioni statunitensi assai sensibili a questo genere di operazioni, un giorno decise di calcolare quanti chilometri avrebbero coperto i suoi scritti se fossero stati disposti in una sola lunghissima riga, corpo 12. Il risultato era indiscutibile: avrebbero occupato un rotolo di carta enorme. Anche in materia di amore (di cui sarebbe ingiusto dire che mancasse di qualche esperienza), è stato bifronte. Diceva che le migliori donne, le più affettuose e le più nobili con cui ha condiviso i suoi giorni (senza disdegnare dogmaticamente nessun'altra), erano la prima e l'ultima. Sebbene la preferita gli apparisse nel mezzo: sua figlia Ane.
E tutto ciò per finire con qualcosa di così volgare come la morte. Per
arresto cardiorespiratorio, come già detto. Tutto sommato, nuovo posto di lavoro
disponibile. È già qualcosa.
Javier Ortiz, scrittore e giornalista, è nato a Donostia San Sebastián il 24 gennaio del 1948 ed è morto ieri ad Aigües (Alicante), dopo aver lasciato scritto questo necrologio. | << | < | > | >> |Pagina 55Culturalmente, è più facile mobilitare gli uomini per la guerra che per la pace. Nel corso della storia, l'Umanità è sempre stata portata a considerare la guerra come il mezzo più efficace di risoluzione dei conflitti, e quelli che hanno governato si sono sempre serviti dei brevi intervalli di pace per preparare le guerre future. Ma è sempre stato in nome della pace che sono state dichiarate tutte le guerre. È sempre perché un domani i figli vivano pacificamente che oggi vengono sacrificati i padri... Questo si dice, questo si scrive, questo si fa credere, giacché si sa che l'uomo, ancorché storicamente educato per la guerra, possiede nel proprio spirito un permanente anelito di pace. Ecco perché la pace è usata tante volte come mezzo di ricatto morale da quelli che vogliono la guerra: nessuno oserebbe confessare che fa la guerra per la guerra, mentre si giura, questo sì, che si fa la guerra per la pace. Per ciò tutti i giorni e in tutte le parti del mondo continua a essere possibile che gli uomini partano per la guerra, continua a essere possibile che la guerra vada a distruggerli nelle loro stesse case. Ho parlato di cultura. Sarò magari più chiaro se parlerò di rivoluzione culturale, anche se sappiamo che si tratta di un'espressione logora, spesso perduta in progetti che l'hanno snaturata, usurata in contraddizioni, smarrita in avventure che hanno finito per servire interessi che le erano radicalmente contrari. Eppure, non sempre queste agitazioni sono state vane. Si sono aperti spazi, allargati orizzonti, ancorché mi sembri che ormai sarebbe più che ora di capire e proclamare che l'unica rivoluzione veramente degna di tal nome sarebbe la rivoluzione della pace, quella che trasformerebbe l'uomo addestrato alla guerra in un uomo formato per la pace perché con la pace sarebbe stato formato. Questa, sì, sarebbe la grande rivoluzione mentale, e dunque culturale, dell'Umanità. Questo sarebbe, infine, l'Uomo nuovo di cui tanto si parla. | << | < | > | >> |Pagina 57Che io sappia (ma io ne so ben poco), nessun animale tortura un altro animale e tanto meno un suo simile. Vero è che si dice che il gatto prova piacere e si diverte un mondo a tormentare il topo che gli è finito tra le grinfie e che infine lo divorerà, ma solo dopo avergli mordicchiato ben bene le carni in una sorta particolare di macerazione, ma gli intenditori di queste materie (non so se gli intenditori di gatti o di topi) affermano che il felino, come un raffinato gourmet sempre alla ricerca delle reali cinque stelle, sta semplicemente migliorando il sapore del manicaretto grazie all'inevitabile rottura della vescicola biliare del roditore. Essendo la natura tanto varia e diversa, tutto è possibile. Meno diversa e varia, contrariamente a quel che in genere si crede, è la natura umana. Ha torturato in passato, tortura oggi e, non abbiamo alcun dubbio, continuerà a torturare per tutti i tempi dei tempi, a cominciare dagli animali, tutti quanti, che siano domestici o meno, per finire con la propria specie, delle cui agonie particolarmente si diletta. Per quelli che s'impuntano sull'esistenza di qualcosa che, con l'aria più candida di questo mondo, si spingono a chiamare bontà umana, la lezione è dura e capacissima di far svanire qualcuna delle loro amate illusioni. È appena stato portato a conoscenza dell'opinione pubblica uno dei più demenziali casi di tortura che avremmo potuto immaginare. Il torturatore è un fratello dell'emiro di Abu Dhabi e presidente degli Emirati Arabi Uniti, uno dei paesi più ricchi del mondo, grande esportatore di petrolio. Lo sventurato torturato è un commerciante afghano accusato di avere perso un carico di cereali del valore di 4000 euro che lo sceicco Al Nayan (è questo il nome della bestia) aveva acquistato. Com'è andata si racconta in poche parole, dato che per un resoconto completo ci vorrebbe un libro di molte pagine. Il video registrato, di quarantacinque minuti, mostra un uomo in tunica bianca che colpisce i testicoli della vittima con un pungolo elettrico, di quelli che si usano per incitare il bestiame, che poi gli introduce nell'ano. Dopo gli versa sui testicoli il contenuto di un accendino e appicca il fuoco, gettandogli poi del sale sulla carne bruciata. Per concludere, investe più volte lo sventurato con un fuoristrada. Nel video si possono udire le ossa che si rompono. Come si vede, un semplice capitolo in più dell'illimitata crudeltà umana. Se Allah non comincia a badare alla sua gente, andrà a finire male. Come manuale del perfetto criminale avevamo già la Bibbia, ora è la volta del Corano, che lo sceicco Al Nayan recita tutti i giorni. | << | < | > | >> |Pagina 61Alla domanda angosciata, ancorché carica di una facile retorica, che il papa ha lanciato ad Auschwitz suscitando la sorpresa e lo scandalo del mondo credente, "Dov'era Dio?", viene a rispondere con semplicità questa grande mostra di Sofía Gandarias: "Dio non è qui". È evidente che Dio non ha letto Kafka e, a quanto pare, neanche Ratzinger. Non hanno letto neppure Primo Levi, che è più vicino al nostro tempo e non si è mai servito di allegorie per descrivere l'orrore. Se mi è permessa l'audacia, consiglierei al papa di visitare, con tempo e occhi per vedere, questa mostra di Sofía, di ascoltare con attenzione le spiegazioni che gli verrebbero date da una pittrice che, conoscendo a fondo l'arte che coltiva, conosce a fondo anche il mondo e la vita che vi abbiamo condotto, quelli che credono e quelli che non credono, quelli che sperano e quelli che si disperano, e gli altri, quelli che fecero Auschwitz e quelli che si domandano dov'era Dio. Meglio sarebbe che ci domandassimo dove siamo noi, che malattia incurabile è questa che non ci fa inventare una vita diversa, con gli dèi, se volete, ma senza l'obbligo di credervi. L'unica e autentica libertà dell'essere umano è quella dello spirito, di uno spirito non contaminato da credenze irrazionali e da superstizioni forse poetiche in qualche caso, ma che deformano la percezione della realtà e dovrebbero offendere la ragione più elementare.
Seguo il lavoro di Sofía Gandarias da vari anni. Mi stupiscono la sua
capacità di lavoro, la forza della sua vocazione, la maestria con cui
trasferisce sulla tela le visioni
del suo mondo interiore, il rapporto quasi organico che
ha con il colore e il disegno. Sofía Gandarias è, tutta, memoria. Memoria di se
stessa come chiunque, prima di tutto, ma anche memoria di ciò che ha vissuto e
di ciò che ha appreso, memoria di tutto quello che ha interiorizzato
come proprio, memoria di Kafka, di Primo Levi, di Roa
Bastos, di Borges, di Rilke, di Brecht, di Hannah Arendt,
di quanti, per dire tutto in poche parole, si sono sporti sul
pozzo dell'anima umana e hanno provato la vertigine.
Nota: Testo per la mostra Kafka, il visionario, di Sofía Gandarias, che si potrà visitare nella Haus am Kleistpark di Berlino a partire dal 28 di questo mese. | << | < | > | >> |Pagina 62All'incirca duemilacinquant'anni fa, giorno più giorno meno, a quest'ora o a un'altra, se ne stava il buon Cicerone proclamando la sua indignazione nel senato romano o nel foro: "Fino a quando, o Catilina, abuserai della nostra pazienza?" domandò una e più volte al vecchiardo cospiratore che aveva tentato di ucciderlo e impadronirsi di un potere a cui non aveva alcun diritto. La Storia è così prodiga, così generosa che non solo ci dà eccellenti lezioni sull'attualità di certi accadimenti del passato, ma pure ci trasmette, per regolarci, delle parole, delle frasi che, per un motivo o per l'altro, avrebbero finito per mettere radici nella memoria dei popoli. La frase che ho citato sopra, fresca, vibrante, come se fosse stata appena pronunciata in questo istante, è senza dubbio una di queste. Cicerone fu un grande oratore, un tribuno dalle enormi risorse, ma è interessante osservare come, in questo caso, preferì utilizzare termini tra i più comuni, che avrebbero potuto uscire anche dalla bocca di una madre che rimproverasse il figlio irrequieto. Con l'enorme differenza che quel figlio di Roma, il famoso Catilina, era un mascalzone della peggior specie, sia come uomo sia come politico. La Storia dell'Italia sorprende chiunque. È una sequela lunghissima di geni, siano essi pittori, scultori o architetti, musicisti o filosofi, scrittori o poeti, esegeti o artefici, un'infinità di gente sublime che rappresenta quanto di meglio l'umanità abbia pensato, immaginato, fatto. I catilina di maggiore o minore spessore non le sono mai mancati, ma nessun paese ne è esente, è una lebbra che colpisce tutti. Il Catilina odierno, in Italia, si chiama Berlusconi. Non ha bisogno di dare l'assalto al potere perché è già suo, ha soldi abbastanza per comprare tutti i complici che siano necessari, compresi giudici, deputati e senatori. È riuscito nella prodezza di dividere la popolazione dell'Italia in due: quelli che vorrebbero essere come lui e quelli che già lo sono. Ora ha promosso l'approvazione di leggi assolutamente discrezionali contro l'immigrazione illegale, mette pattuglie di cittadini a collaborare con la polizia nella repressione fisica degli immigrati privi di documenti e, massimo dei massimi, vieta che i figli di genitori immigrati siano iscritti all'anagrafe. Catilina, il Catilina storico, non avrebbe fatto di meglio. Ho detto prima che la Storia dell'Italia sorprende chiunque. Sorprende, per esempio, che nessuna voce italiana (almeno che sia giunta a mia conoscenza) abbia ripreso, con un leggero adattamento, le parole di Cicerone: "Fino a quando, o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza?". Ci si provi, può darsi che dia risultato e che, per un motivo o per l'altro, l'Italia torni a sorprenderci. | << | < | > | >> |Pagina 76Tutti i giorni scompaiono specie animali e vegetali, idiomi, mestieri. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ogni giorno c'è una minoranza che sa di più e una minoranza che sa di meno. L'ignoranza dilaga in maniera terrificante. Abbiamo un problema gravissimo nella redistribuzione della ricchezza. Lo sfruttamento è arrivato a raffinatezze diaboliche. Le multinazionali dominano il mondo. Non so se siano le ombre o le immagini che ci occultano la realtà. Possiamo discutere su questo tema all'infinito, certo è che abbiamo perso la capacità critica per analizzare ciò che avviene nel mondo. Per cui è come se stessimo chiusi nella caverna di Platone. Abbiamo abbandonato la nostra responsabilità di pensare, di agire. Ci siamo tramutati in esseri inerti senza la capacità di indignazione, di anticonformismo e di protesta che ci ha caratterizzato per tanti anni. Stiamo per arrivare alla fine di una civiltà e quella che si annuncia non mi piace. Il neoliberalismo, a mio avviso, è un nuovo totalitarismo mascherato da democrazia, della quale non serba altro che le apparenze. Il centro commerciale è il simbolo di questo nuovo mondo. Ma c'è un altro piccolo mondo che scompare, quello delle piccole industrie e dell'artigianato. È chiaro che tutto è destinato a morire, ma ci sono persone che, fintanto che vivono, devono costruire la propria felicità, e queste sono eliminate. Perdono la lotta per la sopravvivenza, non ce l'hanno fatta a vivere secondo le regole del sistema. Se ne vanno sconfitti, ma con la dignità intatta, semplicemente dicendo che si ritirano perché non vogliono questo mondo. | << | < | > | >> |Pagina 82È sempre infuocata la questione del laicismo, a mio modo di vedere in termini non molto chiari, in quanto sembra volersi ignorare la questione fondamentale che soggiace al dibattito: credere o non credere nell'esistenza di un dio che, non solo avrà creato l'universo e dunque la specie umana, ma sarà anche, alla fine dei tempi, il giudice del nostro operato sulla terra, premiando le buone azioni con l'ammissione in un paradiso dove gli eletti contempleranno il volto del Signore per tutta l'eternità, mentre, sempre per tutta l'eternità, i colpevoli di azioni cattive arderanno nell'inestinguibile fuoco dell'inferno. Questo giudizio finale non sarà facile, né per dio né per coloro che dovranno rendere conto, giacché non si conosce un solo caso di qualcuno che, in vita, abbia compiuto esclusivamente buone azioni o cattive azioni. Propria dell'uomo è l'incostanza nei propositi e negli atti, sempre lì a contraddirsi da un'ora all'altra. In tutto questo, il laicismo mi appare più come una posizione politica determinata, ma prudente, che come l'emanazione di una convinzione profonda della non esistenza di dio e dunque dell'impertinenza logica delle istituzioni e degli strumenti che pretendono di imporre il contrario alla coscienza della gente. Si discute di laicismo perché, in fondo, si teme di discutere di ateismo. La cosa interessante, però, è che la Chiesa Cattolica, nella sua vecchia tradizione di fare il male e il piagnisteo, se ne sta lì a lagnarsi di essere vittima di un ipotetico laicismo "aggressivo", una nuova categoria che le permette di insorgere contro il tutto fingendo di attaccare soltanto la parte. La doppiezza è sempre stata inseparabile dalle tattiche e dalle strategie diplomatiche e dottrinarie della curia romana. Ci sarebbe da essere grati se la Chiesa Cattolica Apostolica Romana smettesse di intromettersi in quello che non la riguarda, cioè, la vita civile e la vita privata delle persone. Non dobbiamo, però, stupirci. Alla Chiesa Cattolica importa poco o niente il destino delle anime, il suo obiettivo è sempre stato controllare i corpi, e il laicismo è la prima porta da cui cominciano a sfuggirle questi corpi, e via facendo gli spiriti, giacché gli uni non vanno senza gli altri dovunque sia. La questione del laicismo non è altro, dunque, che una prima scaramuccia. Il vero e proprio scontro arriverà quando infine si contrapporranno credenza e miscredenza, quest'ultima andando alla lotta con il suo vero nome: ateismo. Il resto sono giochi di parole. | << | < | > | >> |Pagina 85Questo articolo, con questo stesso titolo, è stato pubblicato ieri sul giornale spagnolo "El País", che espressamente me l'aveva commissionato. Considerando che in questo blog ho fatto alcuni commenti sulle prodezze del primo ministro italiano, sarebbe strano non accogliere qui questo testo. Altri ce ne saranno nel futuro, sicuramente, dato che Berlusconi non rinuncerà a quello che è e a ciò che fa. E io neanche. Non vedo che altro nome gli potrei dare. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che tiene feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un vomito profondo non riuscirà a sradicarla dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene e spezzare il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori basilari della convivenza umana sono calpestati tutti i giorni dalle zampe vischiose della cosa Berlusconi che, tra i suoi molteplici talenti, ha un'abilità funambolesca nell'abusare delle parole, corrompendone l'intenzione e il senso, come nel caso del Polo della Libertà, che è proprio il nome del partito con cui ha dato l'assalto al potere. Ho chiamato delinquente questa cosa e non me ne pento. Per motivi di natura semantica e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente possiede in Italia una carica negativa assai più forte che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. È stato per tradurre in modo chiaro e contundente ciò che penso della cosa Berlusconi che ho usato il termine nell'accezione che la lingua di Dante gli conferisce abitualmente, sebbene sia più che dubbioso che Dante lo abbia mai impiegato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, secondo i dizionari e la prassi corrente della comunicazione, "atto di commettere delitti, disobbedire a leggi o a modelli morali". La definizione si adatta alla cosa Berlusconi senza una piega, senza una ruga, al punto di sembrare una seconda pelle più che l'abito che si mette addosso. Sono anni che la cosa Berlusconi continua a commettere delitti di variabile ma sempre dimostrata gravità. Inoltre, non solo disobbedisce alle leggi ma, peggio ancora, le fa fare a salvaguardia dei propri interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minori, e quanto agli standard morali, non vale neanche la pena parlare, non c'è in Italia e nel mondo nessuno che non sappia che la cosa Berlusconi è ormai caduta da tempo nella più totale abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano per ben tre volte ha eletto per servirgli da modello, questo è il cammino della rovina verso cui si stanno trascinando i valori che di libertà e dignità impregnarono la musica di Verdi e l'azione politica di Garibaldi, quelli che fecero dell'Italia dell'Ottocento, durante la lotta per l'unificazione, una guida spirituale dell'Europa e degli europei. È questo che la cosa Berlusconi vuole gettare nel cassonetto dei rifiuti della Storia. E gli italiani, glielo permetteranno? | << | < | > | >> |Pagina 98Quasi cento, novantotto per la precisione, sono gli anni che compie oggi Ernesto Sabato, il cui nome ho udito per la prima volta nel vecchio Caffè Chiado, a Lisbona, nei remoti anni cinquanta. Lo pronunciò un amico i cui gusti letterari propendevano per le letterature sudamericane allora poco note, mentre noi, gli altri membri del sodalizio che ci portava a riunirci lì nel tardo pomeriggio, pendevamo, quasi tutti, per la dolce e all'epoca ancora immortale Francia, salvo qualche eccentrico che si vantava di conoscere a menadito quello che negli Stati Uniti si scriveva. A quell'amico, che ho finito per perdere strada facendo, devo l'incipiente curiosità che mi portò a nomi come Julio Cortázar, Borges, Bioy Casares, Astúrias, Rómulo Gallegos, Carlos Fuentes e tanti altri che mi si affollano nella memoria quando li convoco. E c'era Sabato. Per un qualche fenomeno acustico associai le tre rapide sillabe a un improvviso colpo di pugnale. Conosciuto com'è il significato di questa parola italiana, l'associazione dovrà sembrare quanto vi sia di più incongruente, ma le verità vanno dette, e questa è una di quelle. Il tunnel era stato pubblicato nel 1948, ma io non lo avevo letto. All'epoca, con i miei innocenti ventisei anni, avrei dovuto mangiare ancora tanto pane e sale prima di scoprire la via marittima che avrebbe dovuto condurmi a Buenos Aires... Fu quel mio indimenticabile compagno di tavolino al bar che mi sollecitò la lettura del romanzo. Sin dalle prime pagine mi accorsi fino a qual punto fosse esatta l'audace associazione di idee che mi aveva portato da un cognome a un pugnale. Le letture successive di Sabato che feci, tanto dei romanzi come dei saggi, avrebbero solo confermato quella mia prima intuizione, di trovarmi cioè di fronte a un autore tragico ed eminentemente lucido che, oltre a esser capace di farsi strada tra i corridoi labirintici dello spirito dei lettori, non consentiva loro, neanche per un attimo, di sviare lo sguardo dai più oscuri angoli dell'essere. Una lettura perciò difficile? Forse, ma una lettura affascinante come nessun'altra. L'amalgama di surrealismo, esistenzialismo e psicanalisi che costituisce il supporto "dottrinario" della narrativa dell'autore di Sopra eroi e tombe non dovrebbe farci dimenticare che questo autoproclamatosi "nemico" della ragione che si chiama Ernesto Sabato è alla fallibile e umile ragione umana che finirà per fare appello quando i suoi stessi occhi si troveranno di fronte a quell'altra apocalisse che è stata la sanguinosa repressione subita dal popolo argentino. Romanzi che si rifanno a epoche storicamente determinate e a luoghi oggettivamente definiti, Il tunnel, Sopra eroi e tombe, L'angelo dell'abisso non solo fanno udire il grido di una coscienza tormentata dalla propria impotenza e la visione profetica di una sibilla che il futuro terrorizza, ma ci avvisano - proprio come Goya (più conosciuto come pittore che come filosofo...) aveva già espresso nella famosa incisione dei Capricci - che è sempre stato dal sonno della ragione che è nata, è cresciuta e ha prosperato l'inumana genealogia dei mostri. Caro Ernesto, è fra il timore e il tremore che trascorrono le nostre vite, e la tua non poteva fare eccezione. Ma forse non c'è al giorno d'oggi una situazione tanto drammatica come la tua, di qualcuno che, pur essendo tanto umano, si rifiuta di assolvere la propria specie, qualcuno che non perdonerà mai a se stesso la propria condizione di uomo. Non tutti ti ringrazieranno per la violenza. Io ti chiedo di non abbassare le armi. Cento anni, quasi. Sono certo che il secolo appena concluso si chiamerà anche il secolo di Sabato, come quello di Kafka o di Proust. | << | < | > | >> |Pagina 118Con i primi caldi, ormai si sa, è fatale come il destino, giornali e riviste, e una volta ogni tanto qualche canale televisivo dai gusti eccentrici, viene a domandare all'autore di queste righe che libri raccomanderebbe da leggere in estate. Mi sono sempre astenuto dal rispondere, in quanto considero la lettura un'attività sufficientemente importante da doverci occupare tutto l'anno, questo in cui ci troviamo e tutti gli anni a venire. Un giorno, dinanzi all'insistenza di un giornalista ostinato che non mi mollava, decisi di affrontare la questione una volta per tutte, definendo quella che allora chiamai la mia "famiglia di spirito", nella quale, superfluo dirlo, figurerei come l'ultimo dei cugini. Non è stata una semplice lista di nomi, ciascuno aveva la sua piccola giustificazione perché si capisse meglio la scelta dei parenti. Ho incluso nei Quaderni di Lanzarote l'immagine finale dell"albero genealogico" che mi ero spinto ad abbozzare e la ripeto qui a illustrazione dei curiosi. In primo luogo c'era Camões perché, come ho scritto nell' Anno della morte di Ricardo Reis, tutte le strade portoghesi portano a lui. Seguivano padre Antonio Vieira, perché la lingua portoghese non è mai stata così bella come quando la scrisse questo gesuita, Cervantes, perché senza l'autore del Don Chisciotte la Penisola iberica sarebbe una casa senza tetto, Montaigne, perché non ha avuto bisogno di Freud per sapere chi era, Voltaire, perché ha perduto le illusioni sull'umanità ed è sopravvissuto al dispiacere, Raul Brandão, perché non c'è bisogno di essere un genio per scrivere un libro geniale, Humus, Fernando Pessoa, perché la porta attraverso cui si arriva a lui è la porta attraverso cui si arriva al Portogallo (avevamo già Camões, ma ci mancava ancora un Pessoa), Kafka, perché ha dimostrato che l'uomo è un coleottero, Eça de Queiroz, perché ha insegnato ai portoghesi l'ironia, Jorge Luis Borges, perché ha inventato la letteratura virtuale, e infine Gogol', perché ha contemplato la vita umana e l'ha trovata triste. Che ve ne pare? Che i lettori mi permettano ora un suggerimento. Organizzate anche voi la vostra lista, definite la "famiglia di spirito" letteraria a cui vi sentite più legati. Sarà una buona occupazione per un pomeriggio sulla spiaggia o in campagna. O a casa, se i soldi per le vacanze quest'anno non ci sono stati. | << | < | |