Autore José Saramago
Titolo Il vangelo secondo Gesù Cristo
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2010, UE 2169 , pag. 352, cop.fle., dim. 12,4x19,4x2 cm , Isbn 978-88-07-72169-4
OriginaleO evangelho segundo Jesus Cristo [1997]
TraduttoreRita Desti
LettoreRenato di Stefano, 2017
Classe narrativa portoghese , religione , storia antica












 

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Si vede il sole in uno degli angoli superiori del rettangolo, quello alla sinistra di chi guarda, e l'astro re è raffigurato con la testa di un uomo da cui sprizzano raggi di luce pungente e sinuose lingue di fuoco, come una rosa dei venti indecisa in quali direzioni puntare, e quel viso ha un'espressione piangente, contratta da un dolore inconfortabile, e dalla bocca aperta emette un urlo che non potremo udire, giacché nessuna di queste cose è reale, quanto abbiamo davanti è solo carta e colore, nient'altro. Sotto il sole vediamo un uomo nudo, legato a un tronco d'albero, i fianchi cinti da un drappo, a coprirgli le parti che chiamiamo intime o vergognose, e i piedi li ha posati su quanto resta di un ramo tagliato, ma per maggior saldezza, perché non scivolino da quel sostegno naturale, sono fissati da due chiodi, profondamente conficcati. Dall'espressione del viso, d'ispirata sofferenza, e dalla direzione dello sguardo, levato in alto, deve essere il Buon Ladrone. I capelli, a riccioli, sono un altro indizio che non tradisce, infatti è noto che angeli e arcangeli li usano così, e il criminale pentito, a quanto pare, è già sulla buona strada per ascendere al mondo delle celesti creature. Non sarà possibile appurare se questo tronco sia ancora un albero, solo adattato, per selettiva mutilazione, a strumento di supplizio, ma che continua a nutrirsi dalla terra con le radici, visto che la parte inferiore è completamente coperta da un uomo con la barba lunga, vestito con ricchi abiti, sontuosi e ampi, il quale, benché con il viso sollevato, non guarda certo il cielo. Questa solenne postura, questo sembiante triste possono appartenere solo a Giuseppe di Arimatea, ché Simone di Cirene, senza dubbio altra ipotesi plausibile, dopo il lavoro cui lo avevano costretto, aiutare il condannato nel trasporto del patibolo, secondo i protocolli di tali esecuzioni, se n'era tornato alla sua vita, alquanto più preoccupato per le conseguenze del ritardo su un affare che aveva rinviato che non per le mortali pene di quello sventurato che stavano per crocifiggere. Orbene, questo Giuseppe di Arimatea è quel caritatevole e benestante uomo che offrì il servizio del proprio tumulo perché vi fosse deposto il corpo principale, ma non gli servirà granché la sua generosità al momento delle santificazioni, e neppure delle beatificazioni, giacché ad avvolgergli la testa non possiede altro che il turbante con cui esce di casa tutti i giorni, al contrario di questa donna che vediamo in primo piano, con i capelli sciolti sulle spalle, curva e china, ma toccata dalla suprema gloria di un'aureola, nel suo caso frastagliata come un ricamo fatto in casa. La donna inginocchiata si chiamerà di certo Maria, perché sappiamo già che tutte quelle radunate qui portano questo nome, ma solo una, essendo in più Maddalena, si distingue onomasticamente dalle altre, ebbene, qualunque osservatore, purché abbastanza addentro ai fatti elementari della vita, giurerebbe di primo acchito che la suddetta Maddalena è proprio questa, giacché soltanto una come lei, con un passato dissoluto, avrebbe osato presentarsi, nel tragico momento, con una scollatura così profonda e con un bustino tanto ridotto da farle risaltare e sporgere le rotondità dei seni, ragion per cui, inevitabilmente, attira e fissa su di sé lo sguardo avido degli uomini che passano, pregiudicando seriamente le anime, trascinate così alla perdizione dal turpe corpo. È tuttavia di compunta tristezza l'espressione del suo viso, e l'abbandono del corpo non esprime altro che il dolore di un'anima, sì, magari nascosta da carni tentatrici, ma che dobbiamo pur tenere in conto, stiamo parlando dell'anima, è chiaro, questa donna potrebbe essere addirittura completamente nuda, se avessero scelto di raffigurarla in tale stato, eppure dovremmo dimostrarle comunque rispetto e considerazione. Maria Maddalena, se è lei, sostiene e, con un gesto di compassione intraducibile a parole, sembra sul punto di baciare la mano dell'altra donna, questa sì, accasciata a terra, quasi priva di forze o ferita a morte. Anche lei si chiama Maria, seconda in ordine di apparizione, ma, senza dubbio, di primissima importanza, ammesso che significhi qualcosa il posto centrale che occupa nella parte inferiore della composizione. A parte il viso piangente e le mani inerti, nulla le si riesce a vedere del corpo, coperto dalle innumerevoli pieghe del mantello e della tunica stretta in vita da un cordone di cui s'indovina la ruvidezza. È più vecchia dell'altra Maria, e questa probabilmente è una buona ragione, ma non l'unica, perché la sua aureola abbia un disegno più complesso, o perlomeno questo sarebbe autorizzato a pensare chi, non disponendo di informazioni precise su priorità, graduatorie e gerarchie in vigore su questo mondo, fosse costretto a esprimere un'opinione. Ma, tenendo conto del grado di divulgazione, fatta con arti maggiori o minori, di queste iconografie, solo un abitante di un altro pianeta, supponendo che non vi avessero mai replicato, o magari solo messo in scena, questo dramma, solo quell'essere davvero inimmaginabile ignorerebbe che l'addolorata è la vedova di un falegname di nome Giuseppe e la madre di tanti figli e figlie, sebbene solo uno, per i dettami del destino o di chi lo regola, abbia finito col prosperare, non tanto in vita quanto, soprattutto, dopo morto. Adagiata sulla sinistra, Maria, la madre di Gesù, proprio quello di cui abbiamo appena detto, appoggia l'avambraccio sulla coscia di un'altra donna, anch'essa inginocchiata, anch'essa di nome Maria, e in fondo, benché non possiamo vedere né immaginare la sua scollatura, forse la vera Maddalena. Identica alla prima di questa trinità al femminile, ha i lunghi capelli sciolti sulle spalle, ma questi hanno tutta l'aria di essere biondi, a meno che non sia dovuta a pura casualità la differenza del tratto, più lieve in questo caso e con alcuni spazi vuoti fra una ciocca e l'altra, il che ovviamente sarà servito all'incisore per schiarire la tonalità della chioma raffigurata. Con simili ragioni non intendiamo affermare che Maria Maddalena sia stata di fatto bionda, ci stiamo solo adeguando alla corrente d'opinione prevalente, che insiste nel vedere nelle bionde, sia in quelle naturali sia in quelle tinte, i più efficaci strumenti di perdizione. Essendo stata, com'è noto, Maria Maddalena una donna così peccaminosa, perduta come tante altre, doveva pur essere bionda, per non smentire le credenze, bene o male acquisite, di una buona metà del genere umano. Comunque, non è che, perché apparentemente più chiara di carnagione e colore di capelli rispetto all'altra, suggeriamo e proponiamo, contro le prove schiaccianti di una profonda scollatura e di un seno in mostra, che sia questa terza Maria la Maddalena. Un'altra prova, e molto consistente, rafforza e convalida l'identificazione, e cioè che questa donna, per quanto sostenendo appena, con fare un po' distratto, l'estenuata madre di Gesù, ha lo sguardo rivolto verso l'alto, ed è uno sguardo di autentico e appassionato amore, che ascende con forza tale da sollevare apparentemente tutto il corpo, tutto il suo essere carnale, come un'aureola raggiante capace di far impallidire l'alone che già le circonda il capo e disperde pensieri ed emozioni. Solo una donna che avesse amato tanto quanto immaginiamo che Maria Maddalena abbia amato potrebbe guardare così, ed ecco quindi, in ultima analisi, la prova che dev'essere questa, solo questa e nessun'altra, escludendo pertanto anche la donna che le si trova accanto, la quarta Maria, in piedi, con le mani leggermente sollevate in atteggiamento pietoso, ma con lo sguardo vacuo, a far coppia in questa parte del quadro con un uomo giovane, poco più che adolescente, il quale flette la gamba sinistra in modo aggraziato, così, al ginocchio, mentre la mano destra, aperta, indica con posa affettata e teatrale il gruppo di donne cui tocca raffigurare, per terra, l'evento drammatico. Questo personaggio, così giovane, con i capelli a boccoli e il labbro tremante, è Giovanni. Come Giuseppe d'Arimatea, anch'egli occulta con il corpo la base di quest'albero che, lassù, in cima, innalza al cielo un secondo uomo nudo, legato e inchiodato come il primo, ma questi ha i capelli lisci, e con la testa reclinata guarda, se ancora ce la fa, il suolo, e la sua faccia, magra e scarna, suscita tanta pena, al contrario del ladrone dall'altro lato, che persino nell'ultimo frangente di sofferenza agonica possiede ancora la forza di mostrarci un viso che facilmente possiamo immaginare rubicondo, doveva passarsela bene quando rubava, sebbene qui ci manchino i colori. Magro, capelli lisci, la testa piegata verso la terra che dovrà inghiottirlo, due volte condannato, a morte e all'inferno, questo misero relitto può essere solo il Cattivo Ladrone, in fin dei conti un uomo rettissimo, cui è rimasto quel po' di coscienza che gli impedisce di fingere di credere, al riparo di leggi umane e divine, che un minuto di pentimento basti per riscattare una vita intera di malvagità o una sola ora di debolezza. Sopra di lui, anch'essa piangente e implorante come il sole che le sta di fronte, vediamo la luna, raffigurata da una donna con un incongruente cerchietto all'orecchio, una licenza che nessun artista o poeta si sarà mai permesso prima, e c'è da dubitare che se la sia concessa anche dopo, malgrado l'esempio. Il sole e la luna illuminano entrambi la terra, ma la luce diffusa è circolare, senza ombre, ecco perché si può vedere così nitidamente ciò che si trova sull'orizzonte, nello sfondo, torri e mura, un ponte levatoio sopra un fossato in cui brilla l'acqua, alcune guglie gotiche e, laggiù, sul crinale dell'ultima collina, le pale immobili di un mulino. Un po' più vicino, per l'illusione della prospettiva, quattro cavalieri con elmo, lancia e armatura fanno volteggiare le cavalcature in destrezze d'alta scuola, ma i loro gesti suggeriscono che sono ormai al termine dell'esibizione, stanno salutando, per così dire, un pubblico invisibile. La stessa impressione di epilogo della festa ce la dà quel fante che sta facendo il primo passo per ritirarsi, portando via, tenendolo con la mano destra, qualcosa che, a questa distanza, sembra un pezzo di stoffa, ma che potrebbe essere un mantello o una tunica, mentre altri due militari mostrano segni di irritazione e dispetto, ammesso che da così lontano si possa decifrare sui visi minuscoli un sentimento, come di chi ha giocato e perduto. Al di sopra di simili banalità, come eserciti e città recintate da mura, aleggiano quattro angeli, di cui due a tutto campo, che piangono e si lamentano, mentre uno, con espressione seria, è assorto nel suo compito di raccogliere in un recipiente fino all'ultima goccia lo zampillo di sangue che sprizza dal lato destro del Crocifisso. Su questo luogo chiamato Golgota molti hanno avuto lo stesso fatale destino, e tanti altri lo avranno, ma quest'uomo nudo, inchiodato piedi e mani a una croce, figlio di Giuseppe e Maria, di nome Gesù, è l'unico cui il futuro concederà l'onore dell'iniziale maiuscola, gli altri non saranno che crocifissi minori. È lui, in fondo, l'uomo verso cui volgono lo sguardo Giuseppe di Arimatea e Maria Maddalena, lui che fa piangere il sole e la luna, lui che poco fa ha lodato il Buon Ladrone e disprezzato il Cattivo perché non ha capito che non c'è alcuna differenza tra l'uno e l'altro o, se differenza c'è, non è quella, ché il Bene e il Male non esistono in se stessi, ciascuno di essi è solo l'assenza dell'altro. Sopra la testa, risplendente di raggi di luce, più del sole e della luna insieme, ha un cartiglio scritto con lettere romane che lo proclama Re dei Giudei, e a cingerla una dolorosa corona di spine, come ce l'hanno, senza saperlo, anche quando non sanguinano all'esterno del corpo, quegli uomini cui non è permesso di essere re di se stessi. Gesù non gode di alcun sostegno per i piedi, come ce l'hanno i ladroni, tutto il peso del corpo graverebbe sulle mani inchiodate al legno se non gli restasse ancora un barlume di vita, quanto basta per mantenerlo eretto sulle ginocchia rigide, ma ben presto la vita gli si esaurirà, se il sangue continuerà a sprizzargli dalle ferite al costato, come si è detto. Fra i due cunei che tengono ben salda la croce, anch'essi come la croce conficcati in una scura fessura del suolo, una ferita della terra non più incurabile di una qualunque sepoltura d'uomo, c'è un cranio, e accanto una tibia e un'omoplata, ma a noi interessa il cranio, perché cranio significa Golgota, non sembrano la stessa parola, eppure qualche differenza la noteremmo se invece di scrivere cranio e Golgota avessimo scritto golgota e Cranio. Non si sa chi abbia messo qui questi resti e per quale fine, a meno che non sia solo un ironico e macabro avvertimento agli infelici suppliziati sul loro futuro stato, prima di diventare terra, polvere e niente. Ma c'è anche chi sostiene che sia il cranio di Adamo, emerso dalle tenebre profonde degli strati geologici arcaici, e adesso, non potendovi tornare, condannato eternamente ad avere davanti agli occhi la terra, suo unico paradiso possibile e per sempre perduto. Laggiù, sullo stesso campo in cui i cavalieri eseguono un ultimo volteggio, un uomo si allontana, il viso ancora rivolto da questa parte. Con la mano sinistra porta un secchio e, con la destra, una canna. Sull'estremità della canna dev'esserci una spugna, è difficile distinguerlo da qui, e il secchio, potremmo scommetterci, contiene acqua e aceto. Quest'uomo, un giorno, e poi per sempre, sarà vittima di una calunnia, quella di aver offerto, per malvagità o scherno, dell'aceto a Gesù che gli chiedeva acqua, mentre gli avrà certo dato la mistura che ha con sé, acqua e aceto, una fra le migliori bevande per ammazzare la sete, com'era noto e praticato allora. Se ne va, non rimane fino alla fine, ha fatto il possibile per alleviare l'arsura dei tre condannati, e senza alcuna differenza tra Gesù e i ladroni, per la semplice ragione che queste sono cose terrene, che rimarranno sulla terra, e con le quali si fa l'unica storia possibile.

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Trascorsi due giorni, Gesù se ne andò da casa. Nel frattempo si contarono le parole che pronunciò e le notti le passò in bianco, solo perché non riusciva a dormire. Immaginava l'orribile carneficina, i soldati che irrompevano nelle case e frugavano nelle culle, le spade che si abbattevano o si conficcavano nei teneri corpicini scoperti, le urla folli delle madri, i padri che bramivano come tori incatenati, e si figurava anche se stesso, dentro una grotta che non aveva mai visto, e in quei momenti, a tratti, come dense e lente ondate che lo sommergessero, sentiva l'inspiegabile desiderio di essere morto, di non essere vivo, almeno. Lo ossessionava una domanda, che non aveva mai posto alla madre, quanti bambini erano stati uccisi, nella sua mente erano tanti, accatastati uno sull'altro, come agnelli decapitati e gettati nel mucchio, in attesa del grande falò che li avrebbe consumati e portati in cielo, stemperati in fumo. Ma non lo aveva domandato al momento della rivelazione, e adesso gli sembrava un atto di cattivo gusto, se l'espressione era già in uso allora, andare dalla madre e dire, Mamma, l'altro giorno ho dimenticato di chiederti quanti furono i pargoli passati a miglior vita laggiù a Betlemme, e lei avrebbe risposto, Ah, figlio mio, non pensarci, neanche una trentina, e poi, se sono morti, l'ha certo voluto il Signore, ché era in suo potere evitarlo se gli fosse convenuto. Fra sé e sé, incessantemente, Gesù si domandava, Quanti, guardava i fratelli e domandava, Quanti, avrebbe voluto sapere la quantità di corpi morti che c'era stato bisogno di porre sull'altro piatto perché l'ago della bilancia dichiarasse equilibrata la sua vita salva. La mattina del secondo giorno, Gesù disse alla madre, Non ho pace né riposo in questa casa, resta con i miei fratelli, ché io parto. Maria alzò le braccia al cielo, piangente e stupefatta, Che significa, che significa, un figlio primogenito non abbandona la propria madre vedova, dove si è mai visto, addio mondo sempre peggiore, e perché, perché, se questa è la tua casa e questa la tua famiglia, come vivremo noi se non ci sarai tu, Giacomo ha soltanto un anno meno di me, provvederà lui, come dovrei fare io in mancanza di tuo marito, Mio marito era tuo padre, Non voglio parlarne, non voglio parlare di nient'altro, dammi la tua benedizione per il viaggio, se vuoi, io me ne vado comunque, E dove vuoi andare, figlio mio, Non so, forse a Gerusalemme, forse a Betlemme, per vedere il paese in cui sono nato, Ma là nessuno ti conosce, Buon per me, dimmi, mamma, che cosa pensi che mi farebbero se sapessero chi sono, Taci, che i tuoi fratelli ti sentono, Un giorno anche loro conosceranno la verità, E adesso, su queste strade, con i romani che vanno a caccia dei guerriglieri di Giuda, andrai incontro a tanti pericoli, I romani non sono peggiori dei soldati dell'altro Erode, non mi si scaglieranno certo addosso con la spada in pugno per uccidermi, né mi inchioderanno su una croce, io non ho fatto niente, sono innocente, Anche tuo padre lo era, e vedi che cosa è successo, Tuo marito è morto innocente, ma non ha vissuto da tale, Gesù, il Demonio parla per bocca tua, Come puoi sapere che non sia Dio colui che parla per bocca mia, Non pronunciare il nome del Signore invano, Nessuno può sapere quando il nome di Dio è pronunciato invano, non lo sai tu né lo so io, soltanto il Signore può fare la distinzione e noi non potremmo comprendere le sue ragioni, Figlio mio, Dimmi, Non so dove tu, così giovane, sia andato a trovare queste idee, questa scienza, E io non saprei dirtelo, forse gli uomini nascono con la verità dentro di sé e non la rivelano solo perché non credono che sia il vero, Te ne vuoi proprio andare, Sì, E tornerai, Non lo so, Se proprio vuoi, se questo ti tormenta, va' pure a Betlemme, va' a Gerusalemme, al Tempio, parla con i dottori, interrogali, ti illumineranno, e poi torna da tua madre e dai tuoi fratelli che hanno bisogno di te, Non ti prometto di tornare, E di che cosa vivrai, tuo padre non è campato a sufficienza per insegnarti il mestiere, Lavorerò nei campi, farò il pastore, chiederò ai pescatori di portarmi con loro in mare, Non desiderare di essere pastore, Perché, Non lo so, è una specie di presentimento, Ciò che dovrà essere, sarà, e adesso, madre mia, Non puoi andartene così, devo prepararti del cibo per il viaggio, denaro ce n'è poco, ma qualcosa si rimedierà, prendi la bisaccia di tuo padre, per fortuna che l'ha lasciata, Prenderò il cibo, ma non la bisaccia, È l'unica che abbiamo, tuo padre non aveva mica la lebbra, né la rogna, Non posso, Un giorno dovrai piangere tuo padre e non lo avrai, L'ho già pianto, Lo piangerai di più, e allora non vorrai sapere le sue colpe, a queste parole della madre Gesù non rispose. I fratelli più grandi gli si avvicinarono, domandando, Te ne vuoi proprio andare, non sapevano alcunché delle motivazioni segrete di quella conversazione con la madre, e Giacomo disse, Vorrei venire con te, lo attiravano l'avventura, il viaggio, il pericolo, un orizzonte diverso, Tu devi restare, rispose Gesù, qualcuno dovrà pure occuparsi di nostra madre che è vedova, si trattò di parole che gli uscirono sfuggendo alla sua volontà, fece per mordersi il labbro come per trattenerle, ma ciò che non riuscì a fermare furono le lacrime, il ricordo vivo del padre, inatteso, lo aveva colpito come un fascio di luce insopportabile.

Fu dopo che ebbero mangiato, tutta la famiglia riunita, che Gesù partì. Si congedò dai fratelli, a uno a uno, si accomiatò dalla madre che piangeva, dicendole, senza capire perché, In un modo o nell'altro, tornerò, e poi, mettendosi la bisaccia in spalla, attraversò il cortile e aprì il cancello che dava sulla strada. Lì si fermò, come se riflettesse su quanto stava per fare, lasciare la casa, la madre, i fratelli, quante e quante volte sulla soglia di una porta o di una decisione, un'improvvisa e nuova motivazione, o qualcosa che l'ansia del momento come tale ha raffigurato, ci fa trattenere la mano, ci porta a considerare il detto come non detto. Lo pensò anche Maria, e una felice sorpresa le si stava già dipingendo sul viso, ma ebbe breve durata, perché il figlio, prima di tornare indietro, posò la bisaccia per terra, dopo una lunga pausa durante la quale aveva dato l'impressione di dibattere fra sé e sé un problema di difficile soluzione. Gesù passò tra i suoi famigliari senza guardarli ed entrò in casa. Quando ne uscì di nuovo, alcuni istanti dopo, in una mano aveva i sandali del padre. Taciturno, con gli occhi bassi, come se il pudore o una mal celata vergogna non gli consentissero di affrontare altri sguardi, infilò i sandali nella bisaccia e, senza altre parole o gesti, se ne andò. Maria corse al cancello, la seguirono tutti i figli, i più anziani con l'aria di non dare grande importanza al caso, ma non vi furono gesti di saluto perché Gesù non si voltò neppure una volta. Una vicina che, passando, assistette alla scena, domandò a Maria, Dove va tuo figlio, e Maria rispose, Ha trovato lavoro a Gerusalemme, starà lì per qualche tempo, una sfacciata menzogna, come sappiamo, ma questa faccenda del mentire e del dire la verità è una lunga storia, è meglio non azzardare giudizi morali assoluti perché, se daremo abbastanza tempo al tempo, arriverà sempre il giorno in cui la verità diventerà menzogna e la menzogna si trasformerà in verità. Quella notte, mentre in casa dormivano tutti, tranne Maria che fantasticava su come e dove fosse a quell'ora il figlio, se in salvo in qualche caravanserraglio, se sotto qualche albero, se fra i sassi di qualche burrone tenebroso, se nelle grinfie dei romani, che il Signore non lo permetta, udì il cigolio del cancello sulla strada e il cuore le balzò in gola, E Gesù che ritorna, pensò e, in un primo momento, la gioia la lasciò paralizzata e confusa, Che cosa devo fare, non voleva andare ad aprirgli la porta con aria trionfante, Hai visto, tanta durezza con tua madre e neppure una notte hai resistito fuori, per lui sarebbe stata un'umiliazione, le conveniva restarsene lì tranquilla e silenziosa, far finta di dormire, lasciarlo entrare, e se lui vorrà coricarsi sulla stuoia alla chetichella, senza dire, Sono qui, domattina si fingerà stupita per il ritorno del figliol prodigo, mica perché le assenze sono brevi la gioia sarà minore, in fondo anche l'assenza è una morte, l'unica e importante differenza è la speranza. Ma quanto gli ci vuole per arrivare alla porta, chissà, forse agli ultimi passi si è bloccato, esitante, ma questo pensiero Maria non è riuscita a sopportarlo, ecco lì la fessura della porta attraverso cui potrà spiare senza essere vista, avrà il tempo di tornare alla sua stuoia se il figlio deciderà di entrare, avrà il tempo di trattenerlo se si pentirà e tornerà sui suoi passi. In punta di piedi, scalza, Maria si avvicinò e si mise a spiare. C'era la luna, il suolo del cortile brillava come acqua. Una sagoma alta e nera si muoveva lentamente, avanzava verso la porta, e Maria, appena la vide, si tappò la bocca con le mani per non urlare. Non era il figlio, enorme, gigantesco, immenso, era il mendicante, coperto di stracci come la prima volta e, sempre come in quella prima occasione, adesso forse per effetto del chiaro di luna, improvvisamente rivestito di abiti sontuosi, che un forte alito di vento agitava. Maria, spaventata, bloccava la porta, Che cosa vuole, che cosa vuole, mormoravano le sue labbra tremanti, e d'improvviso non seppe che cosa pensare, l'uomo che aveva detto di essere un angelo si scostò di lato, era lì accanto alla porta ma non entrava, lei riuscì a sentire solo il respiro e poi un rumore simile a un graffio, come se la terra fosse squarciata crudelmente da una ferita che si trasformava in una bocca abissale. Maria non aveva bisogno di aprire né di domandarlo per sapere quanto stava accadendo dietro la sua porta. La sagoma massiccia dell'angelo riapparve, per un breve istante il grande corpo riempì tutto il campo visivo di Maria e poi, senza neppure uno sguardo alla casa, la figura si allontanò verso il cancello, portando con sé, dalla radice all'ultima foglia, l'enigmatica pianta che era nata tredici anni prima nel punto in cui la scodella era stata seppellita. Il cancello si aprì e si chiuse, fra un movimento e l'altro l'angelo si trasformò e apparve il mendicante, chiunque fosse scomparve al di là del muro, trascinando le lunghe frasche come un serpente piumato, adesso senza il minimo rumore, come se quanto era successo non fosse stato altro che sogno e immaginazione. Maria aprì la porta lentamente e, timorosa, fece capolino. Il mondo, fin dall'alto e inaccessibile cielo, era tutto un chiarore. Lì vicino, rasente al muro della casa, c'era il buco nero da cui la pianta era stata strappata, e, partendo dal bordo, verso il cancello, una scia luminosa brillava come una Via Lattea, ammesso che allora si chiamasse così, giacché Cammino di Santiago non può essere, perché chi dovrà dargli questo nome per il momento è ancora solo un ragazzino della Galilea, più o meno coetaneo di Gesù, Dio solo sa dove saranno, l'uno e l'altro, in questo momento. Maria pensò al figlio, ma questa volta senza che il cuore le si stringesse per la paura, niente di male gli sarebbe potuto accadere sotto un cielo così, bello, sereno, imperscrutabile, e questa luna, come un pane fatto di sola luce, che alimenta le fonti e le linfe della terra. Con animo tranquillo, Maria attraversò il cortile, calpestando senza timore le stelle del suolo, e aprì il cancello. Guardò fuori, vide che la scia terminava poco più avanti, come se la potenza iridescente delle foglie si fosse estinta o, altro delirio della fantasia di questa donna che a discolpa non potrà più invocare il fatto di essere incinta, come se il mendicante avesse ripreso le sembianze dell'angelo, servendosi finalmente, giacché si trattava di un'occasione speciale, delle ali. In cuor suo, Maria ponderò questi rari eventi e li trovò semplici, naturali e giustificati, tanto quanto la visione delle proprie mani sotto il chiaro di luna. Rientrò poi in casa, prese dal gancio alla parete il lume e andò a far luce nell'ampia buca lasciata dalla pianta sradicata. Sul fondo c'era la scodella vuota. Infilò la mano nella fossa e la tirò fuori, era soltanto quella banale ciotola di cui si ricordava, solo con qualche rimasuglio di terra dentro, ma le luci erano spente, un prosaico utensile domestico ritornato alle funzioni originarie, d'ora in poi servirà di nuovo per il latte, l'acqua o il vino, secondo l'appetito e le possibilità, è proprio vero ciò che si è detto, a ognuno la sua ora e ogni cosa a suo tempo.

Per quella sua prima notte da viandante, Gesù ebbe il conforto di un tetto. Il crepuscolo lo ha colto lungo la via, in vista di un paesino che si trova prima della città di Jenin, e ha voluto la sorte, che tanti brutti annunci gli ha promesso e concretato fin dalla nascita, che gli abitanti della casa dove, senza sperarci troppo, ha bussato per chiedere alloggio, fossero gente compassionevole, di quella che passerebbe il resto della vita fra i rimorsi se lasciasse un ragazzino come questo senza un tetto, specialmente in un periodo così tormentato da guerre e assalti, quando per un nonnulla si crocifiggono anime e si accoltellano creature innocenti. Gesù dichiarò ai suoi benevoli ospiti che veniva da Nazaret e andava a Gerusalemme, ma non ripeté la vergognosa menzogna udita sulla bocca della madre, che andava a lavorare, disse solo che aveva l'incarico di interrogare i dottori del Tempio su un punto della Legge cui la sua famiglia era particolarmente interessata. Il padrone di casa si stupì che una missione di tale responsabilità fosse affidata a un ragazzo così giovane, anche se già entrato, come si capiva chiaramente, nella maturità religiosa, e Gesù spiegò che non poteva essere altrimenti, essendo lui il maschio più anziano della famiglia, ma del padre non disse una sola parola. Cenò con i padroni di casa e poi se ne andò a dormire sotto la tettoia del cortile, perché non c'erano comodità migliori per gli ospiti di passaggio. Nel cuore della notte, di nuovo lo assalì quel sogno, ma con qualche variante rispetto a quanto di solito sognava, e cioè che il padre e i soldati non si avvicinarono molto, neppure il muso del cavallo comparve dietro l'angolo, ma non c'è da farsi illusioni, non furono perciò minori l'angoscia e il terrore, mettiamoci al posto di Gesù, sognare che nostro padre, quello che ci ha dato la vita, ci si avvicina a spada tratta per ammazzarci. Nessuno, in casa, si accorse della passione che lì, a pochi passi, si rappresentava, anche nel sonno Gesù stava ormai imparando a controllare la paura, la coscienza tormentata gli metteva, come ultima risorsa, una mano sulla bocca, e le urla vibravano terribilmente, sì, ma in silenzio, soltanto nella sua testa. Il mattino dopo, Gesù fu partecipe del primo pasto della giornata, ringraziando e lodando poi i suoi benefattori con una compostezza così seria e con parole così appropriate che tutta la famiglia, nessuno escluso, si sentì per qualche istante vicina all'ineffabile pace del Signore, malgrado fossero tutti soltanto degli sconsiderati samaritani. Si accomiatò Gesù e partì, serbando nelle orecchie le ultime parole pronunciate dal padrone di casa, e cioè, Benedetto sia tu, Signore nostro Dio, re dell'universo, che indirizzi i passi dell'uomo, al che lui aveva risposto benedicendo lo stesso Signore, Dio e re, che provvede a tutti i bisogni, una dimostrazione che l'esperienza della vita crea giorno dopo giorno persuasivamente, secondo la sacrosanta regola della proporzione diretta che detta di concedere di più a chi più ne abbia.

Il resto del viaggio fino a Gerusalemme non fu così facile. Primo, ci sono samaritani e samaritani, il che vuol dire che già a quel tempo una rondine non bastava per fare primavera, ce n'era bisogno, come minimo, di due, stiamo parlando delle rondini, non delle primavere, a condizione che siano un maschio e una femmina fertili e abbiano prole. Le porte a cui Gesù andò a bussare non si aprirono più, e al viandante non rimase che dormire lì, da solo, una volta sotto un fico, di quelli grossi e rampicanti, simili a una gonna a ruota, un'altra protetto da una carovana cui si era unito e che, essendo esaurito il caravanserraglio più vicino, aveva dovuto, fortunatamente per Gesù, accamparsi in aperta campagna. Fortunatamente, abbiamo detto, perché nel frattempo, mentre intrepido attraversava i monti deserti, il povero piccolo era stato assalito da due malfattori, vigliacchi e imperdonabili, che gli avevano rubato quel poco di denaro che possedeva, ragion per cui Gesù non poté ripararsi in nessuna locanda dove, secondo le leggi di un sano commercio, chi non fa il nodo perde il punto, come a dire che nessuno fa niente per niente. Fu una pena, ammesso che vi fosse qualcuno a impietosirsi, vedere lo sconforto del meschino dopo che i ladri se n'erano andati, ancora ridendosela, con tutto quel cielo sopra e le montagne intorno, l'infinito universo privo di significato morale, popolato di stelle, ladri e crocifissori. E non ribatteteci, per favore, che un ragazzino di tredici anni non avrebbe mai la cultura scientifica o la competenza filosofica, e neppure la mera esperienza di vita che simili riflessioni presupporrebbero, e che questo, in particolare, benché edotto dagli studi nella sinagoga e dotato di una certa dichiarata agilità mentale, non sarà giustificato nelle parole e nei fatti per la particolare attenzione di cui lo abbiamo fatto oggetto. Figli di falegname non ne mancano davvero in queste terre, tanto meno difettano figli di crocifissi, ma, supponendo che ne avessimo scelto un altro, non dubitiamo che, chiunque fosse, tanta abbondanza di argomentazioni utili ci avrebbe dato questi come ce la sta dando l'altro. In primo luogo perché, come non è più un segreto per nessuno, ogni uomo è un mondo, sia per le vie del trascendente sia per i cammini dell'immanente, e in secondo luogo perche questa terra è sempre stata diversa dalle altre, basti vedere la quantità di gente di alta, media o bassa condizione che l'ha sempre percorsa predicando o profetizzando, a cominciare da Isaia, e via via fino a Malachia, nobili, sacerdoti, pastori, di tutto un po', per cui conviene essere prudenti nell'esprimere opinioni, l'umile esordio del figlio di un falegname non ci dà il diritto di pronunciare giudizi prematuri che, sembrando definitivi, possono compromettere fin dall'inizio una carriera. Questo ragazzo diretto a Gerusalemme, mentre la maggior parte dei suoi coetanei non si azzarda ancora a mettere un piede fuori della porta, forse non è proprio un'aquila quanto a perspicacia né un portento in fatto di intelligenza, ma merita il nostro rispetto, ha una ferita nell'anima, come egli stesso ha dichiarato, e giacché la sua natura non gli consente di aspettare che gliela guarisca la semplice abitudine a conviverci, fino al punto di cicatrizzazione che è il non pensare, è andato in cerca del mondo, forse, chissà, per moltiplicare le ferite e, unendole tutte, per farne un solo e definitivo dolore. Supposizioni del genere potrebbero magari sembrare inadeguate, non solo alla persona, ma anche al tempo e al luogo, attribuendo sentimenti moderni e complessi alla mente di un rustico palestinese nato tanti anni prima che Freud, Jung, Groddeck e Lacan siano venuti al mondo, ma il nostro errore, ci sia consentita questa presunzione, non è né crasso né scandaloso, purché si tenga conto del fatto che abbondano, negli scritti da cui questi giudei traggono il nutrimento spirituale, tanti e tali esempi che ci autorizzano a pensare che un uomo, qualunque sia l'epoca in cui viva o sia vissuto, è mentalmente contemporaneo di un altro individuo di una qualsiasi altra epoca. Le uniche e indubitabili eccezioni conosciute sono Adamo ed Eva, non perché siano stati il primo uomo e la prima donna, ma per il motivo che non hanno avuto infanzia. E non vengano a ribatterci, la biologia e la psicologia, che nella mentalità di un uomo di Cro-Magnon, per noi inimmaginabile, erano già iniziati i cammini che avrebbero portato alla testa quale l'abbiamo oggi sulle spalle, è una discussione che qui non ci potrebbe entrare per niente, visto che di quell'uomo di Cro-Magnon non si parla nel libro della Genesi, che è l'unica lezione sui primordi del mondo che Gesù abbia imparato.

Distratti da queste riflessioni, non del tutto trascurabili rispetto ai punti essenziali del vangelo che abbiamo via via spiegato, ci siamo dimenticati di seguire, come sarebbe stato nostro dovere, il resto del viaggio del figlio di Giuseppe a Gerusalemme, di cui è appena giunto in vista, senza un soldo, ma sano e salvo, coi piedi segnati dal lungo viaggio, ma con il cuore saldo come quando ha varcato la porta della sua casa, tre giorni fa. Non è la prima volta che viene qui, perciò non è eccitato più di quanto ci si aspetti da un devoto cui il suo dio sia ormai divenuto familiare o stia per diventarlo. Da questo declivio, chiamato Getsemani, sulla costa del monte degli Ulivi, si scorge, maestosamente disteso, il disegno architettonico di Gerusalemme, Tempio, torri, palazzi, abitazioni, e la città ci sembra tanto vicina che si ha l'impressione di toccarla con le dita, purché la febbre mistica sia abbastanza alta da far sì che il credente e sofferente finisca per confondere le poche forze del proprio corpo con la potenza inesauribile dello spirito universale. Il pomeriggio sta per finire, il sole tramonta sul mare distante. Gesù sta scendendo a valle, domandandosi fra sé e sé dove mai dormirà questa notte, se dentro o fuori città, tutte le volte che c'è venuto con il padre e la madre, nel periodo di Pasqua, la famiglia si è accampata in tende fuori delle mura, benevolmente fatte issare dalle autorità civili e militari per accogliere i pellegrini, tutti separati, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, gli uomini con gli uomini, le donne con le donne, i minori ugualmente divisi per sesso. Quando Gesù arrivò alle mura, ormai sul far della sera, le porte si stavano chiudendo, a stento i guardiani gli consentirono di entrare, e dietro di lui piombarono le spranghe nei grossi legni, se Gesù avesse avuto qualche penosa colpa sulla coscienza, di quelle che dappertutto trovano allusioni indirette agli errori commessi, forse avrebbe pensato a una trappola che scattava, a denti di ferro che afferravano lo stinco della preda, a un bozzolo di bava che avviluppava la mosca. A tredici anni, però, i peccati non possono essere molti né terribili, non è ancora tempo di uccidere o di rubare, di testimoniare il falso, di desiderare la donna d'altri, né la casa, né il campo, né lo schiavo, né la schiava, né il bue, né la giumenta, né niente che non appartenga a lui, e dunque questo giovane è puro e senza la macchia di un proprio errore, anche se ha già perduto l'innocenza, ché non si può vedere la morte ed essere tale e quale a prima. Le strade cominciano a svuotarsi, è ora di cena per le famiglie, fuori sono rimasti solo mendicanti e vagabondi, ma si stanno ritirando anche questi, hanno pur sempre le loro gilde, i loro covi corporativi, fra poco le pattuglie di soldati romani cominceranno a percorrere la città, alla ricerca dei facinorosi che arrivano a compiere le loro malefatte e iniquità addirittura nella capitale del regno di Erode Antipa, malgrado i supplizi cui vengono sottoposti se li acciuffano, come si è visto a Sefforis. In fondo alla strada, ecco una di queste ronde notturne che si fa luce con alcune torce, sfila fra un tintinnio di spade e scudi, al passo, piedi calzati in sandali da guerra. Nascosto in un cantuccio, il ragazzo attese che i militari scomparissero, poi si mise alla ricerca di un posto dove dormire. Finì per trovarlo, come pensava, nei sempiterni cantieri del Tempio, uno spazio fra due grandi massi già collocati, sopra i quali fungeva da soffitto una grande lastra. Lì, sbocconcellò l'ultimo tozzo di pane duro e raffermo che gli rimaneva, accompagnandolo con qualche fico secco ritrovato sul fondo della bisaccia. Aveva sete, ma si rassegnò a non bere. Infine distese la stuoia, si coprì con la piccola coperta che faceva parte del suo bagaglio di viandante e, ben avvolto per proteggersi dal freddo che penetrava dai due lati di quel precario rifugio, riuscì ad addormentarsi. La circostanza di trovarsi a Gerusalemme non gli impedì di sognare, ma non fu certo un vantaggio di poco conto il fatto che, forse per via della presenza così prossima di Dio, il sogno si limitasse alla ripetizione delle solite scene, confuse con la sfilata della ronda che aveva incontrato. Si svegliò quando il sole era appena sorto. Si trascinò fuori dal suo buco, freddo come una tomba, e, avvolto nella coperta, fissò davanti a sé Gerusalemme, le case basse, di pietra, sfiorate dalla luce rosata. Allora, con una solennità maggiore, perché pronunciate dalle labbra di quel bambino che ancora era, recitò le parole della devozione, Ti rendo grazie, Signore, Dio nostro, re dell'universo, che con la potenza della tua misericordia mi hai restituito così, viva e perseverante, la mia anima. Ci sono momenti, nella vita, che andrebbero fissati, protetti dal tempo, e non solo affidati, per esempio, a questo vangelo o alla pittura o, più recentemente, alla fotografia, al cinema, al video, sarebbe importante che coloro che li hanno vissuti o fatti vivere potessero restare presenti in eterno agli occhi dei posteri e che a noi, oggi, fosse possibile andare fino a Gerusalemme per vedere coi nostri occhi questo ragazzino, Gesù, figlio di Giuseppe, avvolto nella sua povera coperta, mentre fissa le case di Gerusalemme e rende grazie al Signore perché neppure questa volta ha perduto l'anima. Essendo ancora all'inizio della vita, ha solo tredici anni, c'è da supporre che il futuro gli abbia riservato ore più allegre o più tristi di questa, più felici o più sventurate, più amene o più tragiche, ma noi sceglieremmo questo istante, la città addormentata, il sole immobile, la luce intangibile, un ragazzino che guarda le case avvolto in una coperta e con una bisaccia ai piedi, e tutto il mondo, vicino e lontano, sospeso, in attesa. Non è possibile, si è già mosso, l'istante è arrivato ed è passato, il tempo ci porta fin dove s'inventa una memoria, era così oppure no, è tutto come noi diremo che è stato. Adesso Gesù sta camminando per le stradine che cominciano a riempirsi di gente, è ancora presto per andare al Tempio, come sempre e dovunque i dottori cominciano ad apparire solo più tardi. Non sente più freddo, ma lo stomaco lancia qualche segnale, i due fichi rimastigli sono serviti solo a stimolargli la saliva, il figlio di Giuseppe ha fame. Adesso, sì, sente davvero la mancanza dei soldi che gli hanno rubato quei malvagi, perché la vita della città non è mica come vagabondare per la campagna, fischiettando in cerca di quello che potrebbero aver lasciato i contadini che osservano le leggi del Signore, verbi gratia, Quando, mietendo il tuo campo, dimenticherai qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo, quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami, quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare, lo lascerai per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto. Orbene, essendo una grande città, e benché Dio vi abbia fatto erigere la sua dimora terrena, a Gerusalemme non arrivano questi precetti umanitari, ragion per cui, per chi non abbia quattrini in saccoccia, l'unico rimedio è chiedere, con il probabile rischio di vedersi respingere perché importuno, oppure rubare, con il pericolo certissimo di dover subire il castigo della flagellazione e del carcere, se non addirittura qualcosa di peggio. Rubare, questo ragazzo non può, chiedere, questo ragazzo non vuole, si limita a sfiorare con lo sguardo le pile di pane, le piramidi di frutta, i cibi cucinati esposti sui banconi lungo le strade, e quasi sviene, come se tutte le carenze nutritive di questi tre giorni, scontando la mensa del samaritano, si fossero riunite in quest'ora dolorosa, è vero che la sua meta è il Tempio, ma il corpo, per quanto affermino il contrario i sostenitori del digiuno mistico, meglio accoglierà la parola di Dio se il cibo gli avrà rinforzato le facoltà dell'intelletto. Per fortuna, un fariseo che stava passando si accorse del giovane e se ne impietosì, l'ingiusto futuro s'incaricherà di forgiare una pessima reputazione a questa gente, ma in fondo erano brave persone, come si evince in questo caso, Chi sei, gli domandò, e Gesù rispose, Sono di Nazaret, in Galilea, Hai fame, il ragazzo abbassò gli occhi, non c'era bisogno di parlare, glielo si leggeva in faccia, Non hai famiglia, Sì, ma sono venuto solo, Sei fuggito da casa, No, e infatti non era scappato, ricordiamo come la madre e i fratelli lo avessero salutato con tanto amore sulla soglia di casa, il fatto che lui non si fosse girato una sola volta non stava a significare che era fuggito, sono così le nostre parole, pronunciare un sì o un no è la cosa più semplice di tutte e, di norma, la più convincente, ma per la verità bisognerebbe cominciare col dare una risposta un po' esitante. Be', scappare, scappare nel senso stretto del termine, non sono scappato, eppure, e a questo punto dovremmo risentire tutta la storia, ma tranquillizziamoci, non succederà, primo, perché il fariseo non ha bisogno di conoscerla e, secondo, perché noi la sappiamo meglio di chiunque altro, basti pensare a quel poco che i personaggi più importanti di questo vangelo sanno gli uni degli altri, Gesù che non sa tutto della madre e del padre, Maria che non conosce ogni cosa del marito e del figlio, e Giuseppe che non sa niente di niente, perché è morto. Noi, al contrario, conosciamo tutto quanto fino a oggi è stato fatto, detto e pensato, sia da loro sia dagli altri, anche se siamo costretti a procedere come se lo ignorassimo, in un certo senso siamo quel fariseo che ha domandato, Hai fame, quando la faccia pallida e smagrita di Gesù, già di per sé, voleva dire, Non domandarmelo, dammi da mangiare. Fu quanto fece, infine, quell'uomo impietosito, comprò due pani ancora caldi di forno e una ciotola di latte, e senza una parola li porse a Gesù, ma nel passaggio dall'uno all'altro un po' di liquido gli si versò sulle mani, e allora tutt'e due, contemporaneamente con lo stesso gesto, portarono la mano umida alla bocca per lambire il latte, un gesto simile a quello di baciare il pane quando cade per terra, peccato che non si ritroveranno più insieme, questi due, visto che sembrava che avessero firmato un patto così bello e simbolico. Se ne tornò il fariseo alla sua vita, ma prima trasse dalla borsa due monete, dicendo, Prendi questo denaro e torna a casa, il mondo è ancora troppo grande per te. Il figlio del falegname teneva fra le mani la scodella e il pane, all'improvviso gli era passata la fame o, meglio, ce l'aveva ancora, ma non l'avvertiva più, guardava il fariseo allontanarsi e solo allora lo ringraziò, ma a voce così bassa che l'altro non avrebbe potuto sentirlo, se fosse stato un tipo che si aspettava di essere ringraziato, avrebbe pensato di aver fatto del bene a un monello ingrato e senza educazione. In quello stesso luogo, nel mezzo della strada, Gesù, cui l'appetito era tornato di colpo, mangiò il pane e bevve il latte, poi andò a riconsegnare la scodella vuota al venditore, che gli disse, È pagata, tienila, È un'usanza di Gerusalemme comprare il latte con le scodelle, No, ma quel fariseo ha voluto acquistarla, non si sa mai quello che passa per la testa di un fariseo, Allora posso tenerla, Te l'ho già detto, è pagata. Gesù avvolse la scodella nella coperta e la infilò nella bisaccia mentre pensava che, d'ora in avanti, sarebbe dovuto stare attento al modo in cui l'avrebbe maneggiata, sono cocci fragili, delicati, non sono che una manciata di terra cui la fortuna, precariamente, ha dato consistenza, come all'uomo in fondo. Nutrito il corpo, risvegliato lo spirito, Gesù diresse i propri passi verso il Tempio.

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