Copertina
Autore Giovanni Sartori
Titolo Il paese degli struzzi
SottotitoloClima, ambiente, sovrappopolazione
EdizioneAmbiente, Milano, 2011, , pag. 272, cop.fle., dim. 13,3x21,2x1,8 cm , Isbn 978-88-96238-98-1
LettoreCorrado Leonardo, 2011
Classe ecologia , globalizzazione , economia
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Indice

PREFAZIONE                                            7


SANTA FINIMOLA. IL MIO SOGNO DI FERRAGOSTO           11
POLITICA DEMOGRAFICA E LIBERTÀ DI DISSENTIRE         15
LA VERGOGNA DEGLI INCENDI                            19
SIAMO INCOSCIENTI E SIAMO IN TROPPI                  25
L'ALTRA FACCIA DELLA CRESCITA.                       31
    LA MALATTIA È LA SOVRAPPOPOLAZIONE

LA TECNOLOGIA CI PUÒ SALVARE?                        35
IL TEXANO TOSSICO CHE AFFONDA KYOTO                  39
RIFLESSIONI SULLA FAME E SUI POPOLI DI SEATTLE       43
LA FAO CI INGANNA                                    47
UNA CORSA INSENSATA E PERDENTE                       51

LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON SI FERMA DA SOLA         55
L'ACQUA MANCA COME SI SAPEVA                         59
IL RISCALDAMENTO DELLA TERRA SCONVOLGE IL CLIMA      63
TUTTI A JOHANNESBURG TRANNE IL BUONSENSO             67
SMETTIAMOLA DI VENDERE PANZANE                       71

IL PROBLEMA È LA BOMBA DEMOGRAFICA                   75
I CATTIVI ALIBI DELLO SVILUPPISMO                    83
LA TESTA SOTTO LA SABBIA                             89
HOMO STUPIDUS STUPIDUS                               93
IL NEMICO NON È IL CONTADINO RICCO                   97

INQUINAMENTO DA IGNORANZA                           101
CRICHTON, KYOTO E I LIETOPENSANTI                   105
IL MERCATO NON CI SALVERÀ                           109
L'ENERGIA DIMENTICATA                               113
PIÙ ENERGIA E PIÙ COERENZA                          117

L'INTELLIGENZA CRESCE O DECRESCE?                   121
EFFETTO SERRA E CONTEGGI FAO                        125
I GLOBALISTI SONNAMBULI                             129
UNO SVILUPPO NON SOSTENIBILE                        133
INCENDI: RIMEDI ESTREMI PER MALI ESTREMI            139

CRISI ENERGETICA. L'IMPREPARAZIONE AL POTERE        143
DEMOCRAZIA AL VERDE                                 147
IL MERCATO NON SALVERÀ LA TERRA                     153
LA COPERTA È CORTA                                  159
AMBIENTALISMO SENZA POLITICA                        163

MALTHUS E IL CLUB DI ROMA                           167
VERDI FASULLI, GOVERNO SORDO                        171
EVVIVA NOI CREPI IL MONDO                           175
COSÌ NON POSSIAMO DURARE                            179
IL POZZO SENZA FONDO                                183

LA SALUTE DELL'AMBIENTE.                            187
    I CONFRONTI SBAGLIATI CON IL PASSATO
SALUTE DELL'AMBIENTE: DIBATTITO                     191
LA CONFERENZA DI COPENAGHEN SUL CLIMA               195
HIMALAYA BENE IL RESTO MALE                         199
ECONOMIA CARTACEA E I LIMITI ALLO SVILUPPO          203
LA CRESCITA DEMOGRAFICA NON FA BENE ALL'ECONOMIA    207
LA POLITICA DELLO STRUZZO È LA PEGGIORE             211


APPENDICE
NON CRESCETE. NON MOLTIPLICATEVI

L'INFLUENZA DELLA CHIESA                            217
VITA, VITA UMANA E ANIMA                            223
LA VITA UMANA SECONDO RAGIONE                       231
C'È VITA E VITA                                     235
QUANDO ARRIVA L'ANIMA                               241
L'EMBRIONE E LA PERSONA                             249
LA PERSONA CHE NON C'È                              253
VITA ARTIFICIALE E LIBERTÀ DI SCELTA                261
LA CHIESA E IL DIRITTO DI MORIRE                    265

FONTI                                               269

 

 

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Pagina 11

SANTA FINIMOLA. IL MIO SOGNO DI FERRAGOSTO


Siamo troppi. Lo sappiamo dalle statistiche. Tra non molto saremo, sul nostro modestissimo pianeta, sei miliardi. Quando nascevo, se ricordo bene, eravamo sui due miliardi. Per sopravvivere stiamo sempre più distruggendo la natura che ci consente di vivere. Abbattiamo foreste, desertifichiamo terre fertili, sciupiamo l'aria, inquiniamo fiumi, laghi e mari, e l'acqua dolce già non basta. Queste sono cose che sappiamo in astratto, appunto dalle statistiche. Ma l'agosto è, quantomeno per gli italiani, il mese nel quale ci accorgiamo in concreto, toccandolo con mano, di essere troppi. Le autostrade si ingorgano, dei treni è meglio non parlare, e gli aeroporti, Fiumicino in testa, sono bolge dantesche. E per scalare, e anche morire, sul Monte Bianco si fa la coda. Quando poi il grosso dei "troppi" arriva alla meta più agognata, al mare, allora i troppi davvero si contano. Sulle spiagge roventi gli ombrelloni fanno a gomitate e, non potendo invadere la strada retrostante, entrano quasi in acqua. E anche il mare, quando non infetta, brulica. Se ti provi a nuotare in bello stile picchi subito nella ciccia circostante; e se cerchi scampo al largo rischi di essere affettato dalle eliche che ti ronzano attorno e addosso. Il bagno di folla, e anche di folla in bagno, davvero ci piace? Visto che i nostri bagnanti ferragostani non sono comandati, visto che non sono obbligati a "spiaggificarsi", forse ai nostri ferragostani il bagno di folla – stare tutti appiccicati, sudati, unti, insabbiati – forse piace davvero. Ma forse no. Perché i forzati delle vacanze all'italiana un po' "forzati" sono.

Andarsene per Ferragosto per noi è un dovere. Chi resta in città, a casa, disonora il casato: è un poveraccio che porta scritto in fronte di essere un morto di fame. Insomma, schiuma della terra. Comunque, anche se ci piace essere troppi, il fatto resta che davvero troppi siamo. Il biblico "Crescete e moltiplicatevi" è un'esortazione di altri tempi che andava bene sin quando sulle carte geografiche si scriveva hic sunt leones, qui stanno i leoni. Va ancora bene? Per Papa Wojtyla, sì; ma per le persone sensate non può andar bene. Il cupio multiplicandi è oramai una folle voluttà di autodistruzione, un cupio mortis.

A che serve e a chi serve la nostra dissennata corsa alla moltiplicazione incessante? In Africa serve a far crescere il numero dei morti per denutrizione o in eccidi tribali; in America Latina e molte altre parti povere del mondo per cancellare la crescita economica con una ancor maggiore crescita di bocche da sfamare. Non sono mai stato in Cina (il solo paese intelligente che cerca davvero di limitare le nascite); ma sono stato in India, e il formicaio umano di esseri scheletrici che ho visto nel Gange e dintorni mi ha terrorizzato. Perché crescere? Perché moltiplicarsi? Per mal vivere e, alla fine, mal morire in un pianeta brucato sino all'ultimo cespuglio da miliardi e miliardi di uomini-capra?

Torniamo al Ferragosto. La Chiesa ha ritenuto di solennizzare il mezzo-mese sacro degli italiani facendone una festa della Madonna. Ma, dico la verità, non vedo il nesso. L'Assunzione della Madonna può essere celebrata in qualsiasi giorno dell'anno (tanto non si sa). E sprecare il Ferragosto a questo modo mi sembra proprio peccato. Volendone fare una festa religiosa io la dedicherei – pensando ai "troppi" — a San Troppone, o ancor meglio a San Popoloso (inventato), un santo che immagino seduto, sempre più grosso e grasso, su una Terra sempre più piccola. E volendone fare una festa utile, una festa benefica, proporrei che venga chiamata la Festa di Finimola. Finimola era il nome, nelle famiglie contadine toscane del passato, appioppato, mi pare, alla settima femmina; un nome che stava appunto per dire "ora basta" (finimola è il dialettale di finiamola, di facciamola finita). Gran saggezza dei contadini antichi. E sarebbe gran saggezza nostra se oggi dedicassimo il Ferragosto a Finimola chiamandola affettuosamente Santa Finimola. Perché no? I santi assegnati al 15 agosto sono tutti di poca fama: San Alipio, San Altfredo, San Arduino, Santa Limbania, San Neapulo, San Tarcisio. Una Santa Finimola in più non stonerebbe affatto. Anche io, in vacanza, ho un sogno: di poter tornare al mare nell'anno di grazia 2100 trovandolo pulito e visibile (dalla spiaggia dove siedo). Le probabilità che quel mare sia proprio io a vederlo sono infinitamente basse; ma anche le probabilità che quel sogno si avveri per i miei pronipoti tanto buone al momento non sono. A meno che non intervenga, si diceva, Santa Finimola.

15 agosto 1997

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Pagina 109

IL MERCATO NON CI SALVERÀ


Il terribile uragano che ha distrutto New Orleans ha anche colpito le piattaforme di estrazione del petrolio del Golfo del Messico facendone schizzare il prezzo a 70 dollari. Ma era già arrivato a 65-67, dai 25-30 dollari degli anni scorsi.

E sotto Ferragosto ricordavo che il campanello di allarme sui costi e sulla scarsità del greggio risale a 25 anni fa (se non addirittura al 1973) e che da allora non si è fatto nulla, quasi nulla, per rimediare. Perché? Siamo soltanto stupidi e miopi? Non si sbaglia mai a rispondere che lo siamo.

Ma questa miopia e il nostro non-fare sono giustificati da un alibi: il mercato. È il mercato – ci viene spiegato da mattina a sera – che con i suoi automatismi provvede a tutto. Guai a far intervenire la nostra "mano visibile". Dobbiamo invece lasciar fare alla "mano invisibile", appunto San Mercato (oppure, per i laici, a Sua Maestà il Mercato).

Qualche mese fa l' Economist dava larga evidenza e credito a un saggio di due americani che si intitola "Morte dell'ambientalismo", la cui tesi è che un ambientalismo antiquato (nei suoi concetti e metodi) va rilanciato, appunto, dal mercato e dall'ottimismo. Sì, anche dall'ottimismo. "Pensate – scrivono – se Martin Luther King invece di dire "ho un sogno" avesse detto "ho un incubo". Pensa e ripensa, io non ci arrivo. Anche io (da ambientalista) ho il sogno di salvare l'ambiente; e ce l'ho proprio perché sono assillato dall'incubo di vederlo distrutto. Il sogno non sostituisce l'incubo; lo presuppone. Sciocchezzaio ottimistico a parte, il punto è quanto possa fare, in questa partita, il mercato. Sia chiaro: la concorrenza di mercato è uno strumento insostituibile per la determinazione dei costi e dei prezzi. Senza mercato (vedi la pianificazione sovietica) un sistema economico diventa anti-economico. Ciò detto, Sua Maestà il Mercato non è un meccanismo salvatutto. Il caso del petrolio è esemplare. Oggi come oggi il petrolio fornisce il 70 per cento dell'energia usata nei trasporti. Domanda: benzina e diesel derivati dal petrolio sono sostituibili? La risposta è: in non piccola misura, sì. Sono sostituibili con l'etanolo ed equivalenti ricavati da piante zuccherine (anche barbabietola, girasole, mais); prodotti che hanno l'ulteriore pregio di essere "puliti". Però a tutt'oggi il solo paese che produce olio combustibile e benzina da vegetali è il Brasile. Altrove niente. Niente perché il mercato decreta così, perché ai prezzi di ieri il petrolio costava meno. Ma ai prezzi di oggi, e peggio ancora, di domani? A questo effetto San Mercato ci lascia pericolosamente a terra.

Il guaio è che il mercato "vede corto", che non ha progettualità. Il che lo rende inidoneo, e controproducente, nel fronteggiare il futuro. Il mercato ha anche altri limiti. Ma, restando al tema, l'idea di affidare le nostre speranze – il "sogno" degli scemotti che citavo – un'analisi (di mercato) di costi-benefici è davvero peregrina. Perché il mercato non calcola e non sa calcolare il danno ecologico. Se abbatto alberi, il mercato contabilizza soltanto il costo di tagliarli, non il danno prodotto dall'abbattimento delle foreste. Se surriscaldiamo l'atmosfera, il mercato registra, tutto giulivo, solo un boom di condizionatori d'aria. Per questo rispetto, Dio ci liberi da San Mercato. Il nostro pianeta non sarà salvato "a costi di mercato"; dovrà essere salvato costi quel che costi.

3 settembre 2005

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Pagina 133

UNO SVILUPPO NON SOSTENIBILE


La Terra è ammalata, il clima è impazzito, le risorse si assottigliano. Pian piano (troppo piano) se ne stanno accorgendo un po' tutti. Ma la gente non vuole sapere; vuole sperare. E così la gente "rimuove" le cattive notizie. Chi ne dà notizia è un catastrofico, un apocalittico, e magari anche un uccello di malaugurio. Ma se una cattiva notizia è vera, allora è vera. Ed è purtroppo vero — la scienza è pressoché unanime nel certificarlo - che siamo al cospetto di una catastrofe ecologica che andrà a rendere invivibile anche la vita dell'uomo. Comincio dalla notizia più sconfortante: che i più indifferenti al loro stesso destino sono i giovani. Gli spregiati anziani si battono, in definitiva, per le generazioni future (al momento della resa dei conti loro, gli anziani del Duemila, non ci saranno più). Ma i giovani se ne sbattono, non gliene frega niente.

Il documentario americano di Al Gore, Una verità scomoda, sul riscaldamento globale è stato visto da molta gente; ma, a quanto pare, da un pubblico tutto al di sopra dei 40 anni, nessuno, o quasi, sotto. Il cosiddetto popolo di Seattle gira il mondo diffondendo sciocchezze sul capitalismo e sulla globalizzazione, senza capire che la loro causa dovrebbe essere di salvare la Terra e, con essa, se stessi. Però anche tra i quarantenni in su l'istinto è di "struzzeggiare". Anche se l'evidenza scientifica sul collasso ecologico è ormai schiacciante, per il grosso pubblico ogni pretesto è buono per non crederci. Il dibattito si svolge su tre fronti: 1) la fallibilità delle previsioni, 2) l'incertezza sulle cause, e quindi sulle "colpe", 3) l'efficacia dei rimedi. Se queste tre indagini vengono pasticciate, allora "l'ambientalista scettico" ha buon gioco nel far confusione. Ma se vengono separate, allora si vede subito che bara al gioco.

1. Nelle previsioni bisogna distinguere tra prevedere un trend, una linea di tendenza, e prevedere una scadenza. Le previsioni sbagliate sono quasi sempre le seconde. Il che non vuol dire che siano sbagliate per eccesso di pessimismo. Al momento risultano semmai sbagliate per ottimismo. Per esempio, la Terra si sta scaldando più rapidamente del previsto. E lo stesso vale per l'esaurimento del petrolio, che potrebbe avvenire anzitempo. Invece la previsione di un trend è raramente sbagliata. Perché in questo caso non anticipiamo il "quando" di un evento, ma che avverrà. E il punto è che lo sbaglio cronologico (di date) non scredita la credibilità di un andamento.

2. In materia di spiegazione causale, l'ambientalista scettico ci racconta che le oscillazioni climatiche ci sono sempre state, e quindi che sono causate da fattori naturali e astronomici che sfuggono al nostro controllo. Se così fosse, saremmo impotenti. Ma per fortuna non è così. Nell'ultimo milione di anni i cicli glaciali sulla Terra si sono ripetuti per durate medie di 100.000 anni; e la più recente "piccola era glaciale" copre un periodo di circa 500 anni con un massimo di raffreddamento tra il 1645 e il 1750. E questi richiami fanno già intravedere radicali differenze tra quei passati e il nostro presente. Il nostro cambiamento è velocissimo e cumulativo, il che induce a sospettare uno sviluppo lineare "senza ritorno", e cioè senza ciclicità.

A conferma basta la logica, l'argomento che i fattori scatenanti dell'inquinamento dell'atmosfera e anche del suolo non esistevano in passato. L'inquinamento industriale, l'inquinamento da automobili, l'inquinamento da produzione di energia, e così via, sono una novità assoluta. Inoltre il problema non è soltanto un inquinamento riscaldante, ma anche un rapido esaurimento delle risorse, ivi incluse le risorse rinnovabili. Il nostro è ormai uno "sviluppo insostenibile", tale perché l'uomo consuma le risorse rinnovabili della Terra - specialmente l'acqua e il cibo – a un ritmo che già supera del 20 per cento la capacità che ha la Terra di rigenerarle. Un ritmo che ha tutte le minacciose sembianze di una crescita esponenziale (come nella sequenza aritmetica 1, 2, 4, 6, 16,...). Dunque che la nostra catastrofe ecologica sia causata da fattori cosmici non è soltanto smentito da tutta la scienza seria e dai milioni di dati che ha raccolto, ma risulta anche una tesi del tutto implausibile a lume di logica.

3. Veniamo ai rimedi. Ovviamente i rimedi dipendono dalle cause, e cioè dalla malattia che li richiede. Altrettanto ovviamente molti rimedi non rimediano: sono sbagliati o comunque insufficienti. L'aspirina non cura la polmonite. L'acqua è un rimedio per la sete ma non per la fame. In gergo tecnico le cause sono chiamate variabili indipendenti, che possono essere tantissime (multicausalità). Inoltre una variabile indipendente può risultare dipendente da una variabile che la precede. Ma niente paura. Il groviglio viene semplificato se ci chiediamo: qual è la variabile, primaria che sta a monte di tutte le altre? E cioè la variabile che più e meglio fa variare tutte le altre? A mio avviso è la variabile demografica, la "bomba demografica", e cioè l'esplosione della popolazione. In un solo secolo la popolazione si è più che triplicata. Sono passate diecimila generazioni per farci arrivare a 2 miliardi di essere umani. Oggi siamo 6 miliardi e mezzo; e tra 50 anni potremmo essere 9 miliardi. Follia. Si risponde che ci salverà la tecnologia. Forse. Ma forse no. Perché un effetto collaterale della tecnologia è di aggravare il danno.

L'uomo dell'età tecnologica ha, rimetto ai suoi antenati, un potere cento volte superiore (dico a caso) di danneggiare il suo habitat. Oggi ogni persona in più dei paesi sviluppati o in rapido sviluppo (Cina inclusa) inquina ed esaurisce le risorse naturali (mettiamo) 50 volte di più di un uomo di cinquecento anni fa. Comunque, ammettiamo — ottimisticamente — che la tecnologia ci possa salvare. Ma questa speranza è sottoposta a una condizione tassativa: fermare, e anzi fare retromarcia, sulla crescita della popolazione. Volendo, è l'intervento più facile e indolore: basta promuovere con risolutezza l'uso dei contraccettivi. Già, volendo. Senonché la Chiesa cattolica (non le altre religioni) non vuole, il piissimo Presidente Bush non vuole, e i demografi (assieme a molti economisti) vogliono sempre più bambini per alimentare le pensioni. Si può essere più irresponsabili e dissennati di così?

Non volere i contraccettivi equivale a condannare, nei prossimi decenni, due miliardi di persone a morire di sete, e un altro miliardo a morire dì fame. Anche se queste sono stime all'ingrosso, sono stime attendibili. A fronte delle quali non ci dovrebbero essere tabù (religiosi o emotivi) che tengano. Invece tengono. Ci siamo fregiati del titolo di Homo sapiens sapiens. Ma un'umanità che non sa salvare se stessa da se stessa merita semmai il titolo di Homo stupidus stupidus. A proposito: buon Ferragosto. Oggi siate lieti e spensierati. Se poi vi interessis il futuro, allora mi potete ancora leggere e "male dire" domani

15 agosto 2007

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Pagina 203

ECONOMIA CARTACEA E I LIMITI ALLO SVILUPPO


L'ultima stima di qualche anno fa che ho sott'occhio contabilizza il Pil, il Prodotto interno lordo, del mondo in 54 trilioni di dollari, mentre gli attivi finanziari globali risultano quattro volte tanto, di addirittura 240 trilioni di dollari. Oggi, con i derivati e altre furbate del genere, questa sproporzione è ancora cresciuta di chissà quanto. E questa sproporzione non solo è di per sé malsana ma modifica la nozione stessa di sistema economico, di economia. Semplificando al massimo, da un lato abbiamo una economia produttiva che produce beni, che crea "cose", e i servizi richiesti da questo produrre, e dall'altro lato abbiamo una economia finanziaria essenzialmente cartacea fondata su vorticose compravendite di pezzi di carta. Questa economia cartacea non è da condannare perché tale, e nessuno nega che debba esistere. Il problema è la sproporzione; una sproporzione che trasforma l'economia finanziaria in un gigantesco parassita speculativo la cui mira è soltanto di "fare soldi", di arricchirsi presto e molto, a volte nello spazio di un secondo. Gli economisti "classici" facevano capo alla economia produttiva; oggi i giovani sono passati in massa all'economia finanziaria. È lì, hanno capito, che si fanno i soldi, ed è in quel contesto che l'economia come disciplina che dovrebbe prevedere, e perciò stesso prevenire e bloccare gli errori, si trasforma in una miriade dispersa di economisti "complici" che partecipano anch'essi alla pacchia. È chiaro che in futuro tutta la materia dell'economia finanziaria dovrà essere rigorosamente regolata e controllata. Ma anche l'economia produttiva si deve riorientare e deve cominciare a includere nei propri conti le cosiddette esternalità.

Per esempio, chi inquina l'aria, l'acqua, il suolo, deve pagare. Vale a dire, tutto il sistema di incentivi va modificato. La dissennata esplosione demografica degli ultimi decenni mette a nudo che la Terra è troppo piccola per una popolazione che è troppo grande. Ma anche su questa sproporzione gli economisti non hanno battuto ciglio. Anzi, per loro stiamo andando di bene in meglio, perché tanti più bambini tanti più consumatori e tanti più soldi. Il loro "far finta di non ricevere", di non vedere, è così clamoroso da indurre Mario Pirani a chiedersi (su Repubblica) se gli economisti abitino sulla Terra o sulla Luna. Io direi su una Luna che è due volte più grande della Terra.

Ma qui cedo la parola a Serge Latouche, professore alla Università di Parigi, economista eretico ma anche lungimirante. Latouche ha calcolato che lo spazio "bioproduttivo" (utile, utilizzabile) del pianeta Terra è di 12 miliardi di ettari. Divisa per la popolazione mondiale attuale questa superficie assegna 1,8 ettari a persona. Invece lo spazio bioproduttivo attualmente consumato pro capite è già, in media, di 2,2 ettari. E questa media nasconde disparità enormi. Se tutti vivessero come i francesi ci vorrebbero tre pianeti; e se tutti vivessero come gli americani ce ne vorrebbero sei. La morale di questa storia è che già da troppo tempo siamo infognati in uno sviluppo non-sostenibile, e che dobbiamo perciò fare marcia indietro. Latouche la chiama "decrescita serena". Serena o no, il punto è che la crescita continua, infinita, non è obbligatoria. Oramai è soltanto suicida.

25 giugno 2010

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Pagina 211

LA POLITICA DELLO STRUZZO È LA PEGGIORE


Estate rovente o piogge torrenziali, siccità o diluvi un po' dappertutto. In Italia il caldo è stato soffocante per gran parte di giugno e di luglio. Ed è stato aggravato, nelle grandi città, dall'ozono troposferico, che ha impoverito l'ossigenazione dell'aria che respiriamo. Ma l'estate è stata torrida in tutta Europa, negli Stati Uniti, Cina, Russia. Soprattutto, e per la prima volta, in Russia, colpita da un'ondata di calore mai raggiunta nei 130 anni di registrazioni ufficiali. Gli incendi spontanei dei boschi che lambiscono anche Mosca non hanno precedenti. Altrove, invece, abbiamo avuto alluvioni devastanti, inedite soprattutto in Pakistan.

Allora, è proprio vero che il clima sta cambiando? Io credo di sì; ma di per sé il gran caldo così come i grandi freddi non costituiscono prova sufficiente di niente. Anche se una frequenza crescente di oscillazioni climatiche estreme rafforza i nostri sospetti. Ma molti governi, Italia in testa, non fanno nulla per creare un'opinione "verde" né per affrontare seriamente il problema del collasso ecologico. La crisi economica è e resta grave, ma il problema della crescente invivibilità del nostro pianeta è molto, molto più grave. Eppure da noi è fiorita soltanto l'industria dell'eolico, dei mulini a vento. Ed è fiorita quasi soltanto perché fonte di tangenti e di intrallazzi. Perché l'energia prodotta dal vento è largamente un imbroglio, visto che la nostra penisola non ha abbastanza vento per giustificarla.

Anni fa il portavoce per eccellenza, di fatto, degli interessi petroliferi e di gran parte della grande industria è stato il danese Bjorn Lomborg, che con il suo molto reclamizzato libro L'ambientalista scettico negava la stessa esistenza del problema ecologico e anche la crescente scarsità delle risorse energetiche e dell'acqua. Ma Lomborg ora dichiara che "il riscaldamento globale esiste, è provocato dall'uomo, e che l'uomo deve fare qualcosa per porvi rimedio". Bene. Alla buon'ora. Lomborg soggiunge, però, che "la tattica consistente nell'incutere timore, per quanto abbia buone intenzioni, non è la soluzione giusta". D'accordo. Ma quale è la soluzione giusta?

Gli scienziati che oggi studiano il clima, la rarefazione delle risorse naturali e, in ultima analisi, il problema della nostra sopravvivenza, sono migliaia. S'intende che possono sbagliare. Ma la scienza procede provando e riprovando. E noi già disponiamo di un enorme patrimonio di dati e di conoscenze che però vengono bellamente ignorate dai più. Il fatto è che gli esseri umani non si muovono "a freddo" guidati dalle ragioni della ragione. Gli umani si attivano "a caldo", se hanno paura o se mossi da passioni (ivi incluse la passione per il potere e per il denaro). E così la scienza ricorre, per farsi ascoltare, a proiezioni con date ravvicinate di scadenza. Ma noi siamo in grado di prevedere un percorso, dei trends, non il "quando". Dunque predire scadenze è sbagliato; ma non farlo rende la predizione inefficace. Come uscire da questo circolo vizioso? Non lo so. Ma so che la politica dello struzzo dei nostri governanti è la politica peggiore.

15 agosto 2010

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L'INFLUENZA DELLA CHIESA


La Chiesa di Roma è responsabile delle troppe nascite? I suoi difensori lo negano adducendo la prova che l'esplosione demografica è avvenuta soprattutto in aree non cattoliche. Al che si può aggiungere che in materia sessuale i cattolici obbediscono sempre meno, specie in Europa, alle ingiunzioni ecclesiastiche. L'Europa oramai non si moltiplica. Questi dati di fatto sono innegabili. Ma chi "colpevolizza" la Chiesa vede un altro aspetto del problema, e cioè ne vede il potere bloccante. Un potere bloccante che si riconduce al fatto che il Papa controlla voti – a livello mondiale – che sono voti strategici. Tanto per cominciare, controlla voti decisivi negli Stati Uniti. Tantovero che il primo provvedimento del Presidente Bush appena insediato alla Casa Bianca è stato di ripristinare la cosiddetta global gag rule, e cioè di bloccare la educazione contraccettiva nel mondo (che dipende per il suo finanziamento quasi esclusivamente da soldi Usa). Ha anche bloccato, aggiungo, il piccolo ma importante finanziamento stanziato dal Congresso americano a favore del fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) una organizzazione che ha operato molto efficacemente negli ultimi venti anni nei paesi in via di sviluppo. Cosi facendo Bush pagava il suo debito all'elettorato cattolico che gli aveva consentito di vincere le elezioni. Come volevasi dimostrare. Del pari la Chiesa è riuscita a paralizzare le Nazioni Unite. Alla conferenza sulla popolazione del Cairo del 1994 Papa Wojtyla ha scatenato tutte le sue artiglierie, si è alleato con il mondo islamico (in precedenza il Vaticano si era anche alleato con Mao) ed è riuscito a bloccare tutte le proposte di controllo delle nascite. Da allora le Nazioni Unite sono mute, ammutolite dal veto dei paesi cattolici o comunque condizionati dal voto cattolico. Come si è visto di recente al vertice della Fao di Roma del giugno 2002, dove nessuno ha osato dire che la fame sarebbe più facile da ridurre se il numero dei mangianti venisse ridotto. E come si vedrà di nuovo (è una previsione scontata) a fine agosto al mega-summit di Johannesburg.

Le immagini dei bambini sottonutriti si sprecano. Ma nessuno ricorda le donne che muoiono per aborti clandestini, e cioè perché il divieto religioso le costringe a ricorrere a rozze "mammane" (soltanto in Brasile la World Health Organization stima che ne muoiano mezzo milione all'anno). Poi c'è l'Aids. L'Africa "nera" ne è appestata. E in Africa la Chiesa conta, i missionari contano. Ma hanno le mani legate: la Chiesa di Roma combatte l'Aids raccomandando la castità. Figurarsi. Papa Wojtyla si è rivolto ai malati di Aids nel 1981 così: "Dio vi ama tutti senza distinzioni... ama anche coloro che soffrono di Aids". Da allora non ha detto niente di più. Scrive Corrado Augias su Repubblica che oggi i malati di Aids nel mondo sono 40 milioni (con altri 15 milioni in arrivo entro il 2010), e che soltanto in Africa gli infetti sono 28 milioni. E commenta: "Davanti alle dimensioni del massacro ostacolare o impedire l'uso di massa dei preservativi... a me pare francamente delittuoso. Altro termine non trovo". Nemmeno io.

L'enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI è del 1968. Allora la popolazione del mondo era di 3 miliardi e mezzo. Oggi, appena trentacinque anni dopo, è di 6 miliardi, che diventeranno 7 miliardi tra poco più di 10 anni. Di fronte a questo allucinante crescendo la Cina, l'India e da ultimo il grosso degli Stati islamici hanno aperto gli occhi e si sono impegnati nel controllo e nella riduzione delle nascite. Con il successo, davvero non piccolo, dimostrato dai dati di Massimo Livi Bacci.

Lo cito (da Repubblica del 5 giugno 2002). "Nella società islamica ancora verso il 1970 il controllo delle nascite era praticamente sconosciuto... il numero medio dei figli per donna era tra 6 e 7. Trent'anni più tardi il quadro è estremamente variegato... In Indonesia il tragitto verso la bassa natalità è stato pressoché completato (2,06 figli per donna nel 2001)... Turchia e Egitto si avvicinano, rispettivamente con 2,3 e 3 figli per donna... In Iran il primo programma di pianificazione familiare fu cancellato dalla Rivoluzione khomeinista. Ma nel 1989 il governo invertì la rotta... Il cambiamento è stato sorprendente e la fecondità media delle donne iraniane, che era ancora attorno ai 6,5 figli alla metà degli anni '80 è sceso velocemente a 2,1 nel 2001." Anche nei paesi del Magreb il calo è stato rapido e importante: l'indice di fecondità delle donne tunisine è oggi di 2, e di quelle marocchine e algerine è sceso, si stima, a 2,5 o meno. Invece il Pakistan resta altamente prolifico, e "il Bangladesh, uno dei paesi più poveri del mondo è a metà del guado".

Aggiungi che è falso (anche se è una falsità largamente ripetuta) che le politiche contraccettive siano fallite in Cina e in India. In India la riduzione delle nascite è ancora insufficiente: tuttavia (cito dal libro di Antonio Golini su La popolazione del pianeta) in India il risultato di "un diffuso e accettato controllo delle nascite" è stato che "il numero medio dei figli per donna è sceso dal valore di 6,0 nel 1950-55 a 3,1 nel 1995-2000". E in Cina la fecondità "è stimata per il 1995-2000 in 1,8 figli per donna". Lasciati a moltiplicarsi secondo natura i cinesi sarebbero oggi 200 milioni in più. Si potrà protestare sulla crudeltà delle norme sulla procreazione imposte in Cina dal 1971 in poi. Ma in precedenza, a cavallo degli anni '50-60, tra i 15 e i 30 milioni di cinesi erano morti di fame e di epidemie. È più crudele imporre l'aborto o lasciar fare alle carestie?

Tornando ai paesi nei quali la religione influisce o può influire sulla politica demografica, oggi come oggi l'Islam ha largamente aperto gli occhi, e le vistose eccezioni del Pakistan e del Bangladesh non sono basate su divieti religiosi. Nel 2000 chi si rifiuta ancora di vedere e di provvedere è soltanto la Chiesa di Papa Wojtyla (non il Cristianesimo protestante). Con una voce in capitolo diretta o indiretta (non solo in sede Onu ma anche su un molteplice volontariato) che inficia l'argomento che il Vaticano conta soltanto nelle zone cattoliche. Se la Chiesa non può fermare il Pakistan, potrebbe però fermare la crescita demografica della Nigeria (attualmente del 3,1), del Congo (che è in maggioranza cristiano), e dell'Etiopia (di religione prevalentemente cristiano-copta) che oggi conta tanti abitanti quanti l'Italia, ma che è in lizza tra cinquant'anni per averne 110 milioni. E lo stesso vale per le Filippine in Asia e per gran parte dell'America Latina. Si crede ancora che i maggiori paesi cattolici siano in Europa. Non più. Il Messico aveva, nel 1940, 19 milioni di abitanti; oggi ne ha 100 milioni. E un lettore messicano mi scrive cosi: "Tenete il vostro Papa in Italia per una ventina d'anni e noi risolveremo la maggior parte dei nostri problemi. Invece ogni 4/5 anni viene qui in visita pastorale e scatena la campagna in favore della famiglia che altro non è che una esortazione a fare figli... Di conseguenza assistiamo a un'altra invasione di disperati dalle campagne che vanno a ingrossare le bidonvilles. E tutti i nostri sforzi per creare nuovi posti di lavoro e migliori condizioni di vita vengono regolarmente vanificati. Stessa situazione in Brasile". Sì, stessa situazione in Brasile. Nel 1900 i brasiliani erano 17 milioni, oggi sono più di dieci volte tanto, superano i 170 milioni. E così nemmeno il Brasile riesce a uscire dalla spirale della povertà.

Il Papa non conta? Ammettiamo che la sua influenza sia da me sovrastimata. Resta che una politica non deve essere giudicata soltanto dal suo successo, ma anche dalle sue intenzioni. E l'intenzione di combattere qualsiasi intervento di limitazione delle nascite a me sembra altamente irresponsabile. E poi il Papa conta. In una lettera al Corriere (del 3 luglio 2001) padre Gheddo scrive: "Non c'è al mondo alcuna catastrofe demografica alle viste. Vent'anni fa si parlava di 'bomba demografica', oggi non se ne parla più". Il problema c'è, eccome. Ma, appunto, non se ne parla più. Papa Wojtyla (chi altro?) è riuscito a silenziarlo urbi et orbi.

16 giugno 2002

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VITA, VITA UMANA E ANIMA


Vita non è "vita umana". Anche le zanzare, i pidocchi, i tafani sono animaletti viventi. Ma li ammazziamo volentieri e nessuno ritiene che ammazzarli sia male, sia peccato. Invece la vita umana è inviolabile, è sacra. Perché? Quale è la differenza?

La filosofia — che è il nostro migliore sapere sulle cose umane — risponde che la vita umana è diversa dalla vita animale perché l'uomo è un essere capace di riflettere su se stesso, e quindi caratterizzato da autoconsapevolezza. L'animale non sa di dover morire; l'uomo sì, l'uomo lo sa. L'animale soffre solo fisicamente; l'uomo soffre anche psicologicamente, anche spiritualmente. E da questa risposta risulta che l'uomo non è diverso dall'animale finché non diventa autoconsapevole, finché non diventa un "animale pensante". Il bambino appena nato non lo è ancora. Se muore nascendo non si rende conto di morire e non soffre "mentalmente" la propria morte più di qualsiasi animale. Diciamo, allora, che la vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa, dalla vita di ogni altro essere vivente quando il bambino comincia a "rendersi conto". Non certo quando è ancora nell'utero della madre.

Ovviamente questa è una risposta laica. Non è, pertanto, una risposta che vincola la Chiesa. La Chiesa — siamo oramai soliti dire — poggia sulla fede, non sulla scienza. Ma è importante ricordare, a questo proposito, che l'antitesi tra fede e scienza è relativamente recente, che risale a non più di quattro secoli fa. Prima la Chiesa era contrastata nella sua egemonia soltanto dalla filosofia; e il filosofo non la poteva contrastare più di tanto se voleva evitare una condanna di eresia. Questa egemonia finisce con Galileo. Dopo Galileo la Chiesa non ha più potuto imporre una cosmologia (la cosmologia tolemaica) che faceva ruotare l'universo attorno alla Terra, né sostenere che Dio sta nei cieli esplorati dagli astronomi. Dal 1600 in poi la Chiesa è sempre più delimitata e fermata dalla scienza. Questo arretramento fa sì che anche una parte dell'uomo, il suo corpo, viene lasciato alla medicina e alla biologia. Alla Chiesa resta però l'incorporeo, resta l'anima.

La nozione di anima è antica, è platonica. Scrive Umberto Galimberti: "Anima in greco significa vento (anemos) soffio, respiro (psiche)". La parola anima è soltanto la traduzione latina di questi e altri concetti greci (tra i quali pneuma, per noi spirito). Ma perciò "anima" caratterizza e traversa tutta la dottrina cristiana che scriveva in latino. Cito ancora dalle finissime pagine di Galimberti: la tradizione patristica e poi Agostino "insegnano che l'anima determina l'essere dell'uomo in quanto essa, e non il corpo, è parte della stessa vita divina". Dunque, per la Chiesa l'uomo è tale e la sua vita è sacra perché è all'uomo, e soltanto all'uomo, che Dio ha dato l'anima. Ma perciò la domanda decisiva diventa quando è che arriva l'anima, quando è che l'anima entra nel corpo (per così dire). Prima siamo al cospetto di una vita qualsiasi, come la vita della zanzara o, più in grande, di un coccodrillo! È solo dopo che l'anima si insedia nel corpo che la vita diventa umana, la vita dell'essere privilegiato da Dio. Il clero medievale e anche post-medievale si regolava più che altro sulle necessità di sopravvivenza. Al cospetto delle carestie l'anima veniva fatta entrare tardi; talvolta non prima della comunione, o addirittura della cresima. Altrimenti poteva arrivare presto, addirittura al battesimo. E fino alla fine del Seicento l'opinione prevalente era che il feto nel grembo materno non fosse dotato di "anima razionale". Dal che conseguiva che almeno fino al battesimo abortire, o uccidere un bambino di troppo, non era peccato. In ogni caso il principio era che l'anima sopraggiunge "dopo un certo tempo" perché la materia non è subito pronta ad accoglierla.

Possibile che queste cose la Chiesa di Papa Wojtyla non le sappia? Certo dà mostra di averle dimenticate. Perché la crociata contro la contraccezione non è proclamata in nome dell'anima. Paradossal- mente, e assurdamente, è proclamata in nome della scienza. Alla giornata per la vita del 3 febbraio 2002 Papa Wojtyla ha asserito che "la scienza ha oramai dimostrato che l'embrione è un individuo umano che possiede fin dalla fecondazione la propria identità". Tesi infondata, perché la scienza può soltanto attestare che l'embrione è programmato per diventare, dopo sette-nove mesi, un individuo umano; ma non che lo è già sub specie di embrione.

La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esattamente quel che uccido. Non posso uccidere un futuro, qualcosa che ancora non esiste, qualcosa che verrà. Se uccido un girino, uccido un girino e non una rana. Se il girino mangia una larva di zanzara uccide una larva, non una zanzara. Se io bevo un uovo di gallina, io non uccido una gallina. E così via. E dunque non ha alcun senso sostenere che una interruzione di gravidanza è assassinio di un essere umano. Sia che l'essere umano sia definito come un animale autoconsapevole o, in termini puramente corporei, come un corpo uscito dall'utero di una madre che comincia a respirare, in entrambi i casi l'essere umano, al momento di un aborto, ancora non c'è.

Inoltre, una cosa è prevenire una gravidanza, e tutt'altra cosa è interrompere una gravidanza. A tal punto che le due cose stanno tra loro in relazione inversa: tanto più si riesce a prevenire una gravidanza e tantomeno si deve ricorrere alla sua interruzione. Ammettiamo che, per ragioni di principio, l'aborto ci ripugni. Resta che la contraccezione non è aborto, e anzi che lo previene e cancella ex ante. Bloccare la fertilità risolve il problema prima che si apra. Pertanto, la Chiesa non si può opporre ai contraccettivi (ivi includendo la cosiddetta pillola del giorno dopo, la pillola che impedisce l'attecchimento dell'ovulo fecondato nell'utero) con l'argomento che usa contro l'aborto, e cioè che si compie un assassinio. E allora in nome di che cosa, di quale altro argomento? L'impressione è che la Chiesa faccia oggi di ogni erba un fascio. Certo è che il divieto di pratiche contraccettive non trova nessun sostegno (è la conclusione di una commissione convocata da Papa Paolo VI all'inizio degli anni '60) nelle Sacre Scritture, nella tradizione, nella teologia, legge naturale e filosofia: insomma, in niente. Pertanto quando Papa Wojtyla dichiara che la posizione della Chiesa in materia di contraccezione è stata scritta "dalla mano creatrice di Dio", è sicuro che questa sua asserzione va "oltre ciò che è scritto".

S'intende che la Chiesa può convincere lo scienziato cattolico credente e osservante a sottoscrivere le sue tesi. Ma chi le sottoscrive lo fa come uomo di fede, non come uomo di scienza. Se firma e si firma come "professore", la sua è falsa testimonianza, è abuso di credenziali. La Chiesa può anche convincere il giurista cattolico a dichiarare che il feto è persona e che deve quindi essere protetto dal diritto così come viene protetta la persona. Il che equivale a sostenere che l'interruzione della gravidanza è un reato penale. Ma anche qui il giurista parla da credente, non da giurista.

Anche se il diritto conosce la fictio iuris, il "fingere" del diritto deve essere giustificato da una ragion d'essere giuridica, che in genere è quella di rendere applicabile una norma. Nel classico esempio della fictio legis Corneliae si presumeva che una persona catturata dal nemico fosse morta; e la ratio di quella finzione era di consentire successioni che sarebbero altrimenti restate bloccate. Ma non ci sarebbe nessuna logica giuridica nel far finta che l'uomo sia un quadrupede. Alla stessa stregua, non c'è nessuna logica giuridica nel ritenere che la intenzione di uccidere sia la stessa cosa che uccidere, o nel far finta che uccidere un feto sia come uccidere una persona.

Ma perché la Chiesa di oggi si rivolge alla scienza per sostenere la fede? Non è un controsenso, una contraddizione in termini? La scienza è materialità, è corporeità, è fisicità. E dunque perché la Chiesa non si ricorda dell'anima? È davvero una domanda alla quale non so rispondere.

Sia come sia, il punto è che in tutta questa questione il Papa non si pronuncia ex cathedra. L'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (che nel 1968 cadde praticamente nel nulla e che fu anche contestata da una ampia fascia di teologi) non è mai stata dichiarata un pronunciamento infallibile. Pertanto in materia genetica il Papa è "fallibile", e non c'è nessuna offesa, nemmeno religiosa, nel ritenere che il Papa sbaglia e si sbaglia. Quando, nella Genesi (I:28), Dio istruisce Adamo ed Eva a "essere fecondi, moltiplicarsi e riempire la Terra", Dio si rivolge a due soli esseri umani. Oramai la Terra è riempitissima. Ma un vescovo americano ha dichiarato - senza ombra di prova – che la Terra può nutrire 40 miliardi di persone. Poveri noi! E al cospetto di una Chiesa che non sa distinguere tra vita e vita umana, e nemmeno tra prevenzione e interruzione di gravidanza, io non sono per niente tranquillo. Solo io?

gennaio 2003

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