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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione al macellum 5 Dalla meditazione oracolante: figure scelte 21 Misura e dismisura 59 Discesa agli inferi senza resurrezione 93 Prima cella del frigidarium: la Gran Madre 129 Seconda cella del frigidarium: l'ermafrodito 153 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Il museoMia difficoltà di comprare tutto. Qualsiasi cosa. A volte scendi e i negozi sono chiusi. È agosto. Il danaro sembra poterti sostituire ma mai fino in fondo, se fino in fondo agevolmente non ti costituisci tu stessa danaro. Da dentro, il danaro lavora morbido. Ma gli economisti non lo sanno. Talvolta ancora le vetrine, dai negozi spalancati, suggeriscono la sospensione del desiderio che si pone da fuori, in un gioco a rimpiattino, e sollecita quello soggettivo, di chi guarda, senza riuscirvi fino in fondo. A volte i «due» desideri si incontrano ma è come se si costituissero rispetto a «valori» separati, che l' assenza del danaro non può ricongiungere. La mediazione dei desideri. Faticosissimo ponte. Tutto si compra. È già stato comprato da tempo. È già stato anche detto. E poi? In quale mercato questo sia avvenuto è difficile da stabilire. Macellum si chiamava, in certi luoghi. Non è forse un caso. Difficoltà enorme, comunque, di costituirsi in polito diamante. Chi ha detto che la «bellezza» è la strada che conduce al mondo delle idee e della verità aveva già, in qualche modo, introdotto la «bellezza» nel macellum, l'aveva, in qualche modo, sottratta a degli individui, acquistata (Amore è figlio di Povertà e di Acquisto, in Platone): ne aveva fatto un commensurabile. Di lì, poi, la aveva rinchiusa nei templi dell'astrazione, che gli avevano permesso di misurarla. Di lì ancora, padrone dei commensurabili, ne aveva fatto un incommensurabile. Il macellum è il luogo della valutazione già avvenuta. Al centro ha una grande bilancia con pesi e misure. Pesa dentro di me come un ricordo le cui tracce mnemoniche abituali sono quasi nulle. Si profilano piuttosto in sensazioni oscure, talvolta dolorose, in un senso di espropriazione, che la parola, troppo ripetuta, malamente traduce. È difficile ripercorrere da questi punti il cammino che mi riporti più nitidamente le tracce degli scambi cui fui sottoposta. Ma è sempre un po' come se dei lividi sparsi sul corpo mi dessero - essi soli - il segno di una qualche percossa di cui avessi perduto memoria. Talvolta mi si configurano dei momenti più chiari, voglio dire, più concreti. Quando vedo certe mummie. Voglio dire aspetti, realtà mummificate. In qualche modo statiche. I musei, ad esempio, le rovine. Certo, questo costituisce un mio limite, lo so. Servirsi di riferimenti relativamente così vicini a noi, così moderni rispetto all'antichità inscavata che mi sta dentro. Lo so. Ma non so costruirmi altri riferimenti. La Grecia. La Magna Graecia. Roma. Come vicine. Eppure, l'[...] dentro di me, la [...] trova risonanze insospettate in quelle forme ora mortificanti, ora mortificate, ora limpidamente sottratte al macellum: ma quanto in bilico, quanto trapassanti in stati più precari di palpitazione impietrata. Ma è un'intuizione. Sono lampi che brevemente traducono, atteggiano internamente questi pesi di ricordo inesplorato. E subito, infatti, non mi ritrovo più in questi visi di donne che cerco di interrogare nelle gallerie dei musei, come se per esse fosse, in una qualche maniera, più chiaro il ricordo della discesa al mercato. Ma la stessa Diana cacciatrice, le Veneri romanamente copiate, le colossali Demetre e le potenti Giunoni sembrano avere sepolto lontano queste tracce. Ma forse no. Ogni tanto. Un piccolo lume. Una rigidità, una sfumatura, una malinconia impercettibilmente diversa, una tracotanza marcata, una mano in aria esitante, che si copre un seno. Una quasi impercettibile sollevazione di moti interni rimasti, appunto, in aria. Solo per proteggersi.
Mi pare allora di cogliere un legame sottile con quelle statue
impietrate, con le mummie. Mi pare che si sciolgano e sciolgano in me una
notizia di conoscenza. Il
macellum
sembra allora venire innanzi più chiaramente dalle rovine, non solo
come me lo hanno descritto gli archeologi dopo gli scavi, con la nitida piantina
riportata scrupolosamente a pié di pagina, ma animato dall'interno: da un
percorso sotterraneo, da una sedimentazione limacciosa che lo costituiscono
quello che è. In cui si compra e si vende ed in cui, per una qualche strada, noi
siamo introdotte dentro un cerchio di colonne, magico, precedente, dove giriamo
giriamo in un girotondo che fa pensare a soavi giochi di fanciulle, ed invece è
la conseguenza di qualcosa, per cui oggi girare
qui
non è più solo
girare.
Il girotondo è andato oltre il girotondo. Un bell'anello logico? Il «suo»
dono? Sì, una cerimonia sacrificale. Un matrimonio.
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