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| << | < | > | >> |Pagina 91.Il vecchio cammina lento, strisciando le ciabatte sul marciapiede. I capelli bianchi insistono sulla nuca e sopra le orecchie. Qualcuno si diverte a resistere in cima, fiero e solitario. Il suo corpo nervoso sorpassa le vetrine e non risponde agli sguardi curiosi delle persone. Ha la bocca aperta e osserva un punto lì di fronte, che come un'utopia lo spinge ad avanzare. Il vecchio prende una strada ombreggiata, sulla fronte ha delle gocce di sudore e i suoi occhi patiscono quei riflessi bianchi, violenti. Il marciapiede adesso non c'è, così deve camminare rasente le automobili parcheggiate, una dietro l'altra, attaccate al muro. Un motorino gli passa di fianco, regalandogli un soffio caldo, ma piacevole. Sostituito subito dopo dal rutto della marmitta. Un automobilista suona il clacson, prima debolmente, poi più deciso. Ce l'ha con lui. Non riceve risposta o gesto di intesa. Allora piano, ma nemmeno troppo, gli si avvicina. Dal finestrino chiuso osserva quella figura spigolosa, fragile e, attento a non colpirla, la sorpassa sbuffando, e preme il piede sull'acceleratore riconquistando il tempo perduto nella delicata manovra. Il vecchio raggiunge un incrocio, si ferma vicino a un bidone della spazzatura. Raccolta carta. A terra sono depositate delle buste piene di riviste, cartoni della pizza, giornali. Interroga l'aria. «Ho comprato il giornale?» Chiede al suo cervello pigro di dargli una risposta. Il vuoto. Rimane a riflettere, con un pensiero che si avvita su se stesso per qualche minuto. Passano altre automobili, senza dover rallentare, perché il vecchio è quasi appoggiato al muro, occupa poco spazio, e le braccia stanno ordinate di fianco al busto, come specchietti richiusi. Adesso la via è larga e un portico protegge i suoi passi. Un ragazzo cammina svaccato venendogli incontro, anticipato di qualche metro da un cane nero, massiccio, dal muso schiacciato. Fuma, e come un'attrice del muto compie il gesto di portarsi la sigaretta alla bocca in maniera vistosa. «Le sigarette!» Il vecchio adesso ricorda perché è sceso di casa. Si ferma a cercare una T grande. In lontananza gli pare di vederne una, così ricomincia a camminare, rumorosamente, la bocca sempre aperta in un'espressione ebete. Ogni tanto infila la mano in tasca, controllando di avere ancora quella banconota che ha preso dal comodino. C'è. Arriva di fronte al bar tabacchi Maracaibo. In vetrina sono appesi cartelli, fotocopie grossolane di biglietti della lotteria che lì, proprio al bar tabacchi Maracaibo, hanno reso felici delle persone. Un pennarello, ora blu ora rosso, ne sottolinea l'importanza. QUI VINTI 5000 EURO! QUI VINTI 10.000 EURO! Il vecchio entrando viene investito dal getto di aria condizionata che separa il mondo esterno da quello, confortevole, fresco, quasi freddo, interno. Alcune persone stanno sedute su sgabelli traballanti di fronte alle macchinette del poker. Una di loro tiene una birra appoggiata sopra la macchinetta e ogni tanto, prima o dopo una bestemmia, ne beve un piccolo sorso, per farsela bastare a lungo. Due osservatori alle loro spalle attendono l'evolversi della fortuna su quei monitor. Dietro il bancone del bar, sotto la mensola delle grappe, un ragazzo muscoloso segue una trasmissione televisiva su uno schermo montato in un angolo, sopra il frigo dei gelati. Scambia una battuta con un uomo tarchiato, che indossa una maglietta nera con su scritto SCEMO CHI GUARDA. Il vecchio arriva di fronte alla cassa e aspetta di essere servito. Dalla foresta di schedine appese, indicazioni sulle scommesse, tabulati statistici, ritagli di giornale, spunta la grossa testa di una donna, troppo truccata, che mastica un chewing-gum. Posa la rivista che stava leggendo sul ripiano, dove fa capolino anche una striscia rotonda di pancia. «Dica.» «Diana rosse morbide.» La donna lentamente si alza, e prende il pacchetto dallo scaffale alle sue spalle. La schiena è sudata, la gonna aderisce al suo sedere. Il vecchio appoggia una banconota da dieci euro attraverso il buco del vetro, e per un breve attimo pensa di essere in banca. «Il resto lo vuole in Gratta e Vinci?» Inserendosi nel momento di indecisione, la tabaccaia prende due Gratta e Vinci, stacca una schedina del SuperEnalotto dal vetro, aggiunge una moneta da venti centesimi e ritorna a leggere la sua rivista. Il vecchio infila sigarette, schedina e moneta in tasca. Recupera nella sua mente le informazioni riguardo i Gratta e Vinci. Vogliono dire soldi, significano soldi. «Li gratto qui?» La donna si sporge, lievemente infastidita, e indica con il mento un punto alla sua destra. Il vecchio raccoglie i tre biglietti e si sposta sulla mensola di fianco al vetro. Gratta il primo biglietto. Tenta di capire il regolamento ma, vergognandosene, non ci riesce. Tende il braccio verso la donna. «Ho vinto?» Quella, senza alzarsi, lo squadra. «Quante banane ha trovato?» «Mi pare due.» «Allora non ha vinto.» Gratta anche il secondo biglietto, trovando altre due banane. Quindi li butta nel portaombrelli appoggiato a terra, che fa da cestino dei rifiuti. Con la mano a conca raccoglie le briciole dalla mensola, depositando pure queste nel portaombrelli. Prendendo in mano la schedina del SuperEnalotto domanda: «Che giorno è oggi?». La donna solleva il mento dalla rivista, cercando conforto nello sguardo del barista, suo figlio. Quello sorride mentre, insieme al tizio della maglietta con su scritto SCEMO CHI GUARDA, è costretto a distogliere l'attenzione dallo schermo. Per qualche secondo anche i due che stanno giocando alle macchinette mangiasoldi si voltano, e ora dieci occhi sono rivolti verso il vecchio, che aspetta una risposta. Intuendo il motivo della domanda, il barista prende parola: «L'estrazione è stasera. Alle otto e mezza». Il vecchio piega in due il biglietto del SuperEnalotto e lo mette in tasca. Saluta ed esce. Appena è fuori, il tizio con la scritta sulla maglietta lascia il suo bicchiere di amaro sul bancone e ingoia un'oliva. Lentamente, si avvicina alla mensola delle grattate. Nel frattempo anche la tabaccaia si è alzata per seguire i movimenti del cliente. Il barista osserva il tutto con le braccia incrociate. I due giocatori di poker non girano il collo, ma ascoltano. «Erano due banane?» «Sì, due.»
Getta i biglietti nel portaombrelli.
Il vecchio cammina di nuovo sotto il portico. Adesso il caldo lo aggredisce, perché quei pochi minuti immerso nell'aria condizionata lo hanno abituato a un clima ben diverso. Invece di tornare verso casa sbaglia e prende la direzione opposta, così dopo mezz'ora è fermo a un semaforo, aspettando il verde. Controlla con la mano se nella tasca ha ancora la banconota con cui è uscito. Viene preso dal panico, nel palmo ha soltanto un pacchetto di sigarette e una ricevuta del SuperEnalotto. «Ho perso i soldi!» Il verde di fronte a lui è diventato giallo, e ora rosso. Il vecchio segue gli spostamenti delle automobili. Una ragazza lo osserva fino a che i due incrociano i rispettivi sguardi. «Si sente bene?» «Dove sono?» «Lei dove deve andare?» «Ero sceso di casa per... Dovevo andare...» «Doveva comprare qualcosa? Aveva un impegno?» «Le sigarette! Devo comprare le sigarette!» «Ah, bene. Ha visto, si è ricordato! Se prosegue dritto per questa strada troverà un tabaccaio.» Il vecchio mette le mani in tasca e cerca il contatto con la banconota che ha preso da sopra il comodino, poco prima di uscire. Trova un pacchetto di sigarette e un foglietto. La ragazza scruta i suoi movimenti. «Ma le sigarette ce la ha già! Il pacchetto è nuovo. Guardi.» Così dicendo toglie il pacchetto dal palmo del vecchio e lo agita di fronte al suo viso. «Anche lei fuma Diana rosse, signorina? Come me.» La ragazza è perplessa. Non sa cosa fare. Come ci si comporta in questi casi? Si chiama la polizia? Oppure il vecchio avrà addosso l'indirizzo di casa, in una busta, e i recapiti telefonici per le emergenze? «Dove abita?» «In via Leopardi, al 37.» «La accompagno?» «Perché? Io non ho bisogno di niente.» Fissa un'ultima volta quell'impicciona, le strappa di mano le sigarette e riprende a camminare, questa volta sapendo come arrivare a casa. Entrato nel suo appartamento sente piombargli addosso tutta la stanchezza della giornata. Sono le sei di sera. Cosa ho fatto tutto il giorno? Che stupido! Invece di starmene qui al fresco, al buio, con le persiane chiuse, sono stato in giro al caldo. E cosa voleva quella lì? Fregarmi le sigarette? O vendermi qualcosa, di sicuro! Forse voleva sapere il mio indirizzo per venire qui a rubare. Pensa che io sia un cretino. «E le ho anche detto dove abito!» Stupido. Il vecchio torna nell'ingresso. Chiude a doppia mandata la porta. Accosta il viso allo spioncino, controllando che non ci sia nessuno sul pianerottolo. Vede soltanto la porta dell'appartamento di fronte. Va in bagno e si getta dell'acqua sul viso, più volte. Passa la mano bagnata sulla fronte, poi si strofina tutta la testa massaggiando la nuca. In cucina apre il pacchetto di sigarette. Ne accende una. Tossisce. Rimane fermo per qualche minuto in mezzo alla stanza, senza un pensiero che riesca ad avere la meglio sull'altro. Lo sguardo si sposta sulla libreria. La mente dedica a ogni titolo una scheggia di memoria, ad alcuni nemmeno quella. Sul ripiano ad altezza occhi riposa un cofanetto contenente Don Chisciotte. Uno degli angoli del contenitore di cartone è tutto ammuffito, ma il vecchio non lo vede, o non lo ricorda, e ignora pure che manca pagina settantadue del primo volume. La pagina fu strappata trent'anni prima da un suo amico, di nascosto, per regalarla (con il numero di telefono appuntato sopra) a una ragazza durante una festa in casa. Di fianco a Cervantes vigila un Moravia, indifferente, seguito da Süskind e un piccolo Steinbeck. Improvvisamente lo sguardo incontra un volume. Randagio è l'eroe. Il vecchio soppesa il libro. Lo apre, cercandovi un ricordo. Percepisce un aroma, un sentore, ma non riesce a collegarlo a nulla di concreto. Decide di leggere qualche pagina. Inforca gli occhiali e siede al tavolo della cucina. | << | < | > | >> |Pagina 368.Alle undici non è entrato ancora un cliente. Un ragazzo ha chiesto un'informazione. Una vecchietta si è affacciata per sapere se lì si vendono i francobolli. Un tizio voleva le ricariche per il telefono. Il libraio guarda di fronte a sé. Lo scaffale delle novità. Si alza e ne prende in mano una. Consulta la quarta di copertina. Poi apre e legge le prime righe. Decide che gli basta così. A mezzogiorno e dieci entra una ragazzina con una lista in mano. «Ce l'ha Se questo è un uomo?» «Sì.» Lo prende e glielo porge. «È bello?» Si può definire Se questo è un uomo bello? E se adesso le rispondo stizzito, o tento di spiegarle che "bello" non è il termine giusto, che quel libro rappresenta altro, che bisogna leggerlo, pensare, leggere ancora, pensare... lei potrebbe indispettirsi e andarsene, allontanarsi dalla lettura, convincersi che gli adulti sono tutti noiosi e chi legge è uno sfigato e solitario. E si veste male. Mentre il libraio è perso nei suoi pensieri la ragazzina lo interrompe. «No, eh?» «No cosa?» «Non è bello.» «Fammi vedere cos'altro hai nella lista.» Scorre i titoli proposti dall'insegnante. Non trova sorprese, e questo tutto sommato lo considera un buon segno. La settimana scorsa in una lista di libri per la scuola ha scovato il libro dei Guinness dei primati. La cosa lo ha prima stupito e poi depresso. «Perché c'è questo libro?» «Non lo so.» «Puoi chiedere al tuo insegnante perché lo ha proposto? Me lo vieni a dire?» Il ragazzino non è più tornato, si è limitato ad acquistare Il ritratto di Dorian Gray. Pensandoci, avrebbe fatto bene ad appuntarsi il nome della scuola e tentare di parlarci lui, con l'insegnante. La ragazzina aspetta, masticando un chewing-gum. Osserva gli adesivi di Hello Kitty di fianco alla cassa. «Quanto costano?» «Due euro.» Ne prende tre. «Allora?» «Quanti libri hai letto finora?» «Un paio.» «Cosa?» Infastidita, prova a ricordarne i titoli. «Robinson Crusoe e...» «Robinson Crusoe? Ma quando?» «L'anno scorso. No, due anni fa. E poi uno strano, un libro di avventure... di lui che va anche sulla luna.» «Il Barone di Münchhausen?» «Esatto, sì. Bravo.» «Ti è piaciuto?» «Un po'.» «E hai letto altro?» «No. Ho letto i riassunti.» Il che nel vocabolario libraio-resto del mondo equivale a un: "No, ma ho visto il film". Tenendo la lista in mano cammina verso la sala grande e torna con L'interprete dei malanni e La signora Dalloway. «Scegli tra questi due.» Lei soppesa i volumi, trovandoli un po' troppo spessi. Così scarta le scelte del libraio e decide di comprare il libro di Primo Levi. «Prendo questo.» «Ma guarda che...» «Sì, ma è corto.» Paga ed esce. Il libraio ripone i romanzi al loro posto. Anni prima non avrebbe tentato quella manovra. Adesso ha paura di aver perso per strada una lettrice. «Chissà. Poi, magari, invece...» Si trova davanti allo scaffale H-L della narrativa. «Smettila di parlare da solo. Hai visto qui?» Dalla porta è entrato Ettore. Ha in mano il giornale. «Ho già capito cos'è.» «Senti qua: "Per la prima volta la vendita del libro elettronico ha superato quella del formato cartaceo. È l'inizio della fine?".» «L'ho letto poco fa, su internet. Oggi ne parlano tutti. Prima al telefono un rappresentante stava per mettersi a piangere. Cosa dobbiamo fare? Cosa devo fare? A chiudere ci stavo già pensando. Oggi ho venduto un libro! Da nove euro e ottanta!» «Accidenti.» «Guarda, la scorsa settimana è venuto a trovarmi un cliente che non vedevo da un po' di tempo, si chiama Samuele. Ha cambiato casa e ha deciso di non comprare più libri di carta.» «Addirittura. E perché?» «È passato al formato elettronico. Altri libri non gli stanno più in casa, e poi dice che la fatica di trasportare gli scatoloni lungo le scale non vuole farla mai più. Sta tutto qui dentro! mi ha detto.» «Come dargli torto.» «Già, forse. Però era un buon cliente, peccato.» «Quando incontri i proprietari?» «La settimana prossima.» «E se dicono di no?» «Se dicono di no mangio il panettone, forse, e vado a casa.» «Così la prossima estate possiamo andare in vacanza insieme.» «Perché, chiudi anche tu?» «Magari. Apriamo un baretto sulla spiaggia, io e te. Tu fai da mangiare...» Ettore fa un passo indietro e si pone in atteggiamento di attesa. Come spettatore. Il libraio sbuffa, ma compiaciuto si mette a recitare. «Va bene. Ma è l'ultima volta: Prima o poi mi piacerebbe vivere con un paio di amici su una piccola isola, non necessariamente delle Bahamas. Magari gestire un bar, niente di mondano, un posticino fresco sul porto, con le barche che si vedono fuori dalla finestra. Forse un paio di sedie fuori, sotto la tettoia, per i turisti. Un piatto del giorno, per il resto solo panini e bibite, ma i migliori della zona. Si potrebbe pescare, ogni tanto andare sull'isola vicina, dove c'è un casinò. Ognuno fa quello che vuole in tutta tranquillità. Una volta alla settimana andrei al bordello con il viceconsole, il romanziere inglese e il contrabbandiere di liquori, a caccia di storie...» «Ah! Mi piace sempre quando me la reciti!» «A forza di farmela raccontare l'ho imparata a memoria. E non sopporto quelli che citano a memoria.» «Ti viene meglio al bar, comunque.» «Non ti darò la soddisfazione di continuare questo discorso.» «Torno di là. Passi dopo?» «Non rinuncerei mai ai tuoi tramezzini.» | << | < | > | >> |Pagina 7218.Era il ventiquattro dicembre. Il libraio aveva appena chiuso la cassa, e le vendite del periodo natalizio trasmettono sempre l'idea che si stia facendo qualcosa di buono, che non si sia lì soltanto a levigare il pavimento. Quell'ossigeno basta a rimandare di qualche tempo, fosse anche qualche giorno, la disamina della reale situazione economica. «Non arriveremo al prossimo.» «Ma come, abbiamo versato trentamila euro questo mese!» «Non bastano.» Non bastano mai, e la dose necessita sempre di essere aumentata perché il paziente è di quelli gravi. Quella sera Caterina si era fermata di fronte alla vetrina e preparava una sigaretta. Lavorava con lui da due mesi. «Non prendere freddo. Fuma dentro.» Lei gli si era avvicinata. «Che fai stasera?» «Sono invitato a casa di Ettore. Amici. Cena, mangiare, bere, brindisi. Solite robe.» Caterina rimaneva in silenzio. «Tu? Cena romantica?» «A casa, da sola.» «Scherzi? E il tuo fidanzato? Tua sorella? Ma che stai dicendo.» «Ho voglia di starmene qui da sola, in casa. Mi guarderò un paio di film.» «Scorgo ombre scure.» «Scorgi bene.» «Tu non ti puoi permettere una tristezza simile.» «E perché mai?» «Perché hai ventitré anni! E i tuoi genitori?» «Ho raccontato che andavo in montagna con le mie amiche.» «E loro che fanno?» «A casa. Con lo zio Luciano, la moglie e il figlio tonto.» «Non hai voglia di vederli?» «Poca.» «Nemmeno domani? Nemmeno un giorno?» «Forse un giorno, sì. Domani lì si mangia parecchio bene. Magari.» «Allora?» «Tanto ormai è tardi, l'ultimo treno utile partiva alle sei. E poi ho pochi soldi.» «Cazzate!» Il libraio e Caterina si erano quindi fumati una canna di fianco al bancone della cassa, in silenzio. Lei intanto aveva preso due scatoloni e ci si era appoggiata sopra. «Stanca?» Aveva mosso la testa, con gli occhi chiusi. «Non sto dormendo molto ultimamente.» Il libraio le aveva tolto la canna dalla bocca e se l'era finita. «Preparane un'altra.» «Un'altra?» Mentre la ragazza era rimasta seduta, il libraio era andato con una busta nella sala grande e aveva preso di corsa tre libri, senza pensarci troppo: Agnes Browne mamma, Il migliore amico dell'orso e un Simenon. Chiusa la libreria erano usciti sulla strada, schiacciando i piedi nella neve che iniziava a sciogliersi, sporcata dalla pioggia. Aveva raggiunto la sua vecchia automobile e, tolte dal vetro le foglie, la neve e un paio di pubblicità di finanziarie (PRESTITI FINO A 5000 EURO PER PENSIONATI E DISOCCUPATI!), si erano seduti in quel freddo insopportabile. Il libraio aveva preso poi dai sedili posteriori una coperta, pregna di umidità, ma pesante, e l'aveva messa a protezione delle spalle di Caterina. «Dove mi porti?» «A fare un giro.» Lui aveva messo in moto, sorridendo al ruggito salubre della sua Saab 900. «Bentrovata.» Il riscaldamento pompava aria calda sui loro visi, tanto che dopo qualche minuto lui, guance rosse, lo aveva spento. Caterina teneva la testa inclinata, guardava fuori dal finestrino. La canna penzolava pesante dalle sue dita. Ogni volta che gliela passava, il libraio la reggeva qualche secondo per poi riconsegnarla intatta alla ragazza. Dopo mezz'ora Caterina dormiva. Lui allora aveva telefonato a Ettore. «Non vengo. Un'emergenza.» «Problemi?» «No. Ci vediamo domani sera per un brindisi.» «Hai bisogno?» «No, stai tranquillo.» «Io tengo il telefono a portata di mano. Domani mi spieghi.» La radio quel ventiquattro dicembre non trasmetteva granché, così nel cassetto aveva trovato una manciata di cd, finendo con l'arrivare a Livorno accompagnato dalla voce di Frank Sinatra. A ogni cambio di strofa si era chiesto come quell'uomo riuscisse a non prendere mai fiato tra una parola e l'altra. ... I planned each charted course, each careful step along the byway... L'indirizzo di Caterina lo conosceva per averlo letto sulla busta paga. Come spesso fanno gli studenti, non aveva cambiato la residenza. Aveva mantenuto quella di casa dei genitori. Si era fermato a chiedere indicazioni a una coppia che camminava abbracciata. Sotto il portone aveva svegliato Caterina. «Sei arrivata.» Lei, stravolta, aveva guardato il portone, girato la testa verso il libraio e imprecando era scesa dall'auto. Aveva rovistato nella borsa in cerca delle chiavi. C'erano. Perché quelle chiavi hanno vita lunga nelle tasche e nelle borse dei figli non ancora del tutto emancipati. Lui allora si era ricordato della busta con i libri. «Aspetta, prendi questi. I pacchetti li fai domattina.» «Cosa sono?» «Libri, che altro? Li ho scelti di corsa, spero possano andare bene.» Caterina come risposta era scivolata verso il finestrino di lui, stampandogli un bacio sulla fronte. Il libraio aveva poi virato verso il mare. Lì aveva atteso la telefonata di sua figlia, puntuale. E lì era rimasto a patire il freddo dell'alba, temperato poi dal sole nascente, aspettando la voglia e la forza di riprendere la strada del ritorno. Adesso Caterina è parte integrante della libreria. L'ha assunta perché la sua presenza trasmette atmosfera positiva, in cassa o in sala. Sorride spesso, sorride come si deve. Non come le commesse delle profumerie. Caterina è sinceramente contenta quando qualcuno entra in libreria, e intanto la curiosità, il suo impegno per conoscere i libri, l'hanno resa un'ottima commessa di libreria. Non una libraia. Per quello c'è ancora da aspettare. | << | < | > | >> |Pagina 7619.Il libraio è contento di aver trovato la persona giusta senza mettere annunci, senza dover chiedere in giro, senza esaminare un curriculum. «Il mio sogno è sempre stato quello di lavorare in una libreria!» «Io leggo tantissimo!» «In camera mia tutte le settimane sistemo i libri in ordine alfabetico!» Caterina invece, un pomeriggio, mentre si accingeva a pagare I viaggi di Gulliver, sette euro e ottanta, gli aveva domandato dove fosse Attilio. «Abbiamo deciso di non lavorare più insieme.» «L'hai licenziato?» «Se la vuoi vedere così.» Attilio era il commesso precedente, nipote di Ettore, che avevo fatto da sponsor presso l'amico. «Ha appena finito l'università e sta svolgendo il dottorato. Lo vedo un po' fuori dal mondo.» «In che senso?» «Gli occorrerebbe stare in mezzo alle persone, lavorare. Conosce un sacco di libri, sai?» Il libraio aveva raccolto quell'ultima frase con sospetto. Ma in effetti un commesso gli serviva, e così aveva sottoposto il ragazzo a un breve colloquio. Un ventottenne posato e dall'italiano forbito. Due occhiaie troppo marcate gli segnavano l'espressione. Riccioli ben curati e golfino d'ordinanza. Facendosi rapinare dall'ottimismo, aveva deciso di assumerlo. Ben presto aveva scoperto che provava un sincero disprezzo verso coloro che non possedevano la sua cultura, e che non conoscevano i libri "che si dovevano leggere", come diceva lui. Il libraio l'aveva trovato anacronistico. Dopo un primo periodo in cui il ragazzo era riuscito a nascondere la sua natura di vecchio trombone, si era lasciato andare a un atteggiamento che rasentava la macchietta. Così ogni tanto, quando entrava in negozio, il libraio per pochi istanti non lo riconosceva. Musica classica ostentata, atmosfera da presepe. E il commesso silenzioso alla cassa, che dedicava un'occhiata fugace al cliente, ritornando subito a leggere il suo libro indispensabile. Poi si permetteva troppo spesso di fare le vetrine, pur non essendone capace. «Non devi metterci i libri che piacciono a te. Non quelli e basta, almeno. Questa non è una libreria per soli illuminati!» «Perdonami se non ho messo l'ultimo di Dan Brown.» «Cazzone!» «Cazzone?» «Esatto.» E gli toccava rifare la vetrina, spiegandogli volume per volume il perché della sua collocazione. «Questo può piacere a un ragazzino.» «Uhm.» «Immagino tu non l'abbia letto, giusto? Non gli hai dato nemmeno uno sguardo? Male. La libreria, se non te ne sei accorto, non è una miniera d'oro, e non c'è lo scivolo da cui cadono i clienti.» «Capisco che tipo di clienti tu tenda a inseguire.» Dopo quattro mesi era sicuro di essersi messo in casa un mostro. Così, quando una mattina Attilio gli aveva comunicato che in quel periodo avrebbe dovuto seguire un seminario impegnativo, il libraio aveva colto la palla al balzo per confessargli il suo disagio. «Intendiamoci. Io ti auguro di aprire una tua libreria con dentro solo libri che piacciono a te. E nello stereo mettere solo musica che piace a te. E far entrare solo persone che piacciono a te. Ma questa non è la libreria giusta. Inoltre, perdonami la schiettezza, non è la tua libreria.» Attilio si era tolto gli occhiali, ed estraendo dalla tasca un piccolo panno ripiegato in quattro parti li aveva puliti. «Mi pare proprio che siamo giunti a un punto di non ritorno.» «Ti pare bene.» «Lasciamoci senza rancore.» «D'accordo.» Si erano stretti la mano. Il giovane aveva preso dallo sgabuzzino il suo borsello e una busta con dentro una decina di volumi. «Devo ancora pagare questi.» «Dammeli, mi segno i titoli.» Li aveva appuntati tra i titoli da riordinare. «Te li regalo.» Qualche ora dopo era entrato Ettore. «Ma lo hai licenziato?» «Lo sapevo.» Attilio era subito andato dallo zio e gli aveva testimoniato tutta l'amarezza per il trattamento ricevuto. Poi gli erano bastate poche parole del libraio per capire come era andata. Da tempo aveva intuito che i due non erano diventati amici del cuore. Allora aveva preso il telefono, davanti alla cassa, e chiamato il nipote. «Sei un cazzone.» E così era terminata quella vicenda. Caterina aveva appoggiato dieci euro sul bancone e si accingeva a pagare I viaggi di Gulliver. «Stai cercando un sostituto?» «Senza fretta. Sì, comunque.» «Anche donna?» «Perché no, conosci qualcuno?» «Sì. E una mia compagna di corso. Sai, i genitori le mandano settecento euro al mese. Lei arrotonda facendo la baby sitter. Però hanno appena messo il padre in cassa integrazione. Così lei si vergogna a farsi mantenere. E vorrebbe trovare un lavoro che le permetta di studiare, continuare la sera a badare ai puffi, insomma vivere senza sentirsi in colpa.» «E, dimmi, la tua amica sarebbe disposta a rinunciare, anche mettendolo per iscritto, a masticare chewing-gum mentre è sul posto di lavoro?» «Credo proprio di sì.» Il primo giorno di lavoro Caterina lo aveva passato a spolverare l'intera libreria, magazzino compreso. «Non accarezzarli. Prendili in mano, controllali, guarda se sono collocati bene.» Nel frattempo erano arrivate delle novità, e il libraio apriva le scatole, anagrafando i titoli nuovi, valutandoli, decidendo la sistemazione giusta. Lei era comparsa dalla sala grande, leggermente sudata, e lo aveva guardato ticchettare sulla tastiera, placido. Ogni tanto lui si fermava, apriva un libro, ne leggeva alcune pagine. Altri li metteva da parte, o li impilava su uno sgabello lì di fianco. «Che fai?» «Apro le novità.» «C'è roba buona?» «Qualcosa di buono arriva sempre.» «Posso aiutarti?» «No. Finisci di spolverare.» Caterina è diventata brava. Ha inoltre portato con sé dei clienti nuovi, i genitori di qualche bambino cui bada la sera. «Venga a trovarmi!» «Ce li avete i gialli? Io leggo solo gialli.» «Certo, quattro metri di scaffali pieni.» Anche un paio di suoi compagni dell'università, recalcitranti, hanno finito per comprare qualche libro ogni tanto. In generale la sua presenza è percepita piacevolmente. Il libraio le ha lasciato servire qualche cliente medio. Quelli importanti ancora no, quelli bisogna mantenerli come pietre preziose. | << | < | > | >> |Pagina 13835.Mentre sta servendo un cliente vede un'ombra sulla porta. È Tzu Gambadilegno. Gli fa cenno di entrare. Il gigante si posiziona di fianco ai due uomini, curioso, osservando in silenzio la scena. Il cliente ha in mano un tascabile di Elmore Leonard, Il centravanti è stato assassinato verso sera e una raccolta di poesie di Raboni. «Me ne dia altri due. Devo stare via un mese. Se ho tanto tempo libero poi me li brucio subito, questi.» Il libraio, che lo conosce da anni, non ha bisogno di chiedergli cosa gli piace. Di libri hanno parlato spesso. Quello di Vàzquez Montalbàn lo ha scelto perché è tanto tempo, dice, che non lo rilegge. «L'avrò letto più di vent'anni fa!» Invece quello di Leonard è l'unico che gli manca. «Uno dei migliori, le piacerà. Grande scrittore.» «Nei dialoghi, il migliore che conosca.» «Già. Anche Richard Ford però non è niente male.» «Ah, ci prova sempre. Le ho già detto che non mi convince.» «Non sa cosa si perde. Ma rispetto la sua scelta. Ogni libro e ogni scrittore hanno un loro percorso in ciascuno di noi.» «E comunque sui dialoghi anche un certo Ernest non scherzava.» «Il vecchio Ernest ha insegnato a tanti. Ancora oggi talvolta ci sbatto contro, ed è sempre un piacere. Come prendere una sbronza con un amico.» Raboni invece lo ha preso perché non vuole portarsi dietro le sue edizioni. Questa potrà anche rovinarsi, nel viaggio. «Prima di partire magari lo regalo a qualcuno di meritevole.» «Sono i regali più belli.» «Non sempre vengono apprezzati. Pensi che l'anno scorso, in Liguria, volevo lasciare un pensiero al personale dell'albergo. Un libro. Solo due hanno accettato. Due! Gli altri non hanno avuto remore nel confessare che non leggono.» «Succede. Statisticamente non fa una piega. Anzi, è stato anche fortunato. I non lettori paiono orgogliosi della loro condizione. Ed è più facile perdere un lettore che conquistarlo.» «Avrebbero potuto almeno fare finta! Accontentare un povero vecchio.» «La gioventù è spietata.» «Il mondo è ingiusto.» «Oggi è la seconda persona che me lo dice. Finirò per crederci.» «Che vecchi babbioni che siamo.» E scoppiano a ridere. Anche Tzu, pur non capendo, ha un moto di riso. Il libraio saluta il cliente ed è anche tentato di metterlo al corrente delle novità sulla libreria, ma non vuole rovinargli la vacanza. Così si limita ad aggiungere nella borsa Il mondo è un teatro e Ho servito il re d'Inghilterra. «Mi saluti la Scozia, allora.» Si volta verso il ragazzo. «Sono contento che tu sia venuto a trovarmi.» «Ha comprato tanto, lui!» «Uno dei pochi.» «Niente affari?» «Non quanto dovrei.» «Voglio leggere un libro.» «Bene. Che cosa hai letto in italiano? Hai letto?» «No. Ne ho iniziato uno, ma è difficile.» «Che cos'è?» Tzu Gambadilegno capisce che rischia di farsi scoprire. Guarda lo scaffale alla sua destra e vede un libro. Decide di mentire. «Quello.» «Camilleri?» «Sì, questo qui.» Lo prende in mano, mostrandolo al libraio che, sorpreso, lo rimprovera. «Ma è ovvio che fai fatica. Sai a malapena l'italiano!» Cammina verso la sala grande e torna con una copia del Vecchio e il mare. Lo tiene stretto tra le mani, osservandolo. «Pensaci tu, Ernest.» Poi si rivolge di nuovo al ragazzo. «Leggi questo. Non ci sono troppe parole difficili.» «È bello?» «È bello.» «Non ho soldi.» «Cominciamo bene. Ecco perché state conquistando il mondo...» «Cosa?» «Lascia perdere.» Il libraio raggiunge lo scaffale dei dizionari e ne prende uno piccolo, cinese-italiano. Poi scende in magazzino e trova un vocabolario d'italiano rovinato, ma ancora utilizzabile. «Ora hai tutto quello che ti serve.» Tzu Gambadilegno legge i prezzi. «Sono tanti soldi.» «Non c'è fretta. Non preoccuparti. Ma a lavoro non ti pagano?» Capisce di avere posto una domanda problematica, e che il ragazzo non ha voglia di rispondere. Dalla sua espressione si possono dedurre molte cose, ma il libraio non si sente in diritto di incalzarlo. La curiosità sta per avere il sopravvento quando Tzu lo saluta, gli dice ancora grazie ed esce.
«Fammi sapere se ti è piaciuto.»
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