Copertina
Autore Eric-Emmanuel Schmitt
Titolo L'amore invisibile
Edizioneedizioni eo, Roma, 2013, Dal mondo Francia , pag. 206, cop.fle., dim. 13,5x21x1,6 cm , Isbn 978-88-6632-302-0
OriginaleLes deux messieurs de Bruxelles
EdizioneAlbin Michel, Paris, 2012
TraduttoreAlberto Bracci Testasecca
LettoreAngela Razzini, 2013
Classe narrativa francese
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Indice


I DUE SIGNORI DI BRUXELLES - 9
IL CANE - 53
TRIANGOLO - 99
UN CUORE SOTTO LA CENERE - 117
IL FIGLIO FANTASMA - 169
GIORNALE DI BORDO - 181
NOTA SULL'AUTORE - 203
 

 

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Pagina 9

I DUE SIGNORI DI BRUXELLES



Il giorno in cui un trentenne in blu si presentò sul pianerottolo e le domandò se fosse la signora Geneviève Grenier nata Piastre che cinquantacinque anni prima, esattamente il pomeriggio del 13 aprile, aveva sposato Edouard Grenier nella cattedrale di Sainte-Gudule, Geneviève fu lì lì per rispondergli che non aveva intenzione di partecipare ad alcun gioco televisivo e sbattergli la porta in faccia. Ma, come sempre attenta a non ferire nessuno, trattenne quel che le passava per la testa e si limitò a mormorare:

«Sì».

Soddisfatto della risposta, il tizio in blu si presentò come notaio Demeulemeester e le comunicò che era l'unica erede di Jean Daemens.

«Eh?».

Gli occhi sgranati sottolineavano lo stupore della donna.

Il pubblico ufficiale temé di aver commesso una gaffe.

«Non sapeva che fosse morto?».

Peggio: Geneviève ne ignorava l'esistenza! Quel nome non le suscitava alcun ricordo. Jean Daemens? Forse, oltre alle gambe le stava andando in pappa anche il cervello... Niente dunque funzionava più? Jean Daemens? Jean Daemens? Si sentiva confusa e in colpa.

«Temo di... avere un vuoto di memoria. Mi dica qualcos'altro. Quanti anni aveva?».

«Siete nati nello stesso anno».

«E poi?».

«Il signor Daemens abitava a Bruxelles, al 22 di avenue Lepoutre».

«Non conosco nessuno in quel quartiere».

«Ha avuto per molto tempo una gioielleria nella Galerie de la Reine. Si chiamava L'Atout Coeur».

«Ah sì, ho presente quel negozio. Molto chic».

«L'ha chiuso cinque anni fa».

«Mi è capitato spesso di fermarmi davanti alla vetrina, ma non ci sono mai entrata».

«In che senso?».

«Non ne avevo i mezzi... No, temo di non conoscere questo signore».

Il notaio si grattò la testa.

Geneviève Grenier si sentì in dovere di aggiungere:

«Mi dispiace».

A quelle parole l'uomo sollevò il viso e articolò con chiarezza:

«I suoi segreti appartengono a lei, signora. Non sono qui per fare commenti sui rapporti che intratteneva col signor Daemens, ma per eseguire le sue ultime volontà, dal momento che l'ha nominata sua erede universale».

Geneviève, che non aveva affatto apprezzato i pungenti sottintesi del notaio, stava per ribattere piccata quando quest'ultimo continuò:

«Ho una sola domanda da farle, signora Grenier: accetta il lascito o lo rifiuta? Si prenda qualche giorno per riflettere. Ma non dimentichi che accettando l'eredità dovrà farsi carico anche di eventuali debiti».

«Che vuol dire?».

«Per legge, il legatario che accoglie il testamento è autorizzato a entrare in possesso degli attivi, ma anche obbligato a saldare i passivi, se ce ne sono».

«E ce ne sono?».

«Certe volte ci sono solo quelli».

«In questo caso?».

«La legge mi vieta di risponderle, signora».

«Ma lei lo sa! Me lo dica!».

«La legge è legge. Ho prestato giuramento».

«Senta, ho l'età di sua madre: lei permetterebbe che la sua anziana mamma finisse in una brutta trappola?».

«Non le posso dire niente, signora. Questo è il mio biglietto da visita. Venga al mio studio quando avrà preso una decisione».

L'uomo batté i tacchi e si congedò.

Nei giorni successivi Geneviève rimuginò la questione in tutti i sensi.

Si consultò al telefono con la sua amica Simone, parlandogliene come se la cosa riguardasse una vicina.

«Prima di pronunciarsi, la tua vicina dovrebbe informarsi» disse subito Simone. «Che mestiere faceva il tipo?».

«Gioielliere».

«Questo vuol dire poco. Poteva essere ricco quanto pieno di debiti».

«Aveva chiuso la gioielleria cinque anni fa».

«Lo vedi? Fallimento!».

«Ma dài, Simone, alla nostra età è legittimo che uno abbia voglia di smettere di lavorare».

«Cos'altro?».

«Abitava in avenue Lepoutre».

«Casa di proprietà?».

«Credo di sì».

«Non basta... Se gli affari gli andavano male, potrebbe aver ipotecato l'appartamento».

«Se l'avesse fatto, chi ne sarebbe al corrente?».

«La sua banca, ma non daranno mai l'informazione. Di che è morto?».

«Eh?».

«Voglio dire, se l'amico della tua vicina è morto di malattia è un buon segno. Mentre se si è suicidato mi preoccuperei. Significherebbe che era coperto di debiti».

«Non necessariamente. Potrebbe essersi suicidato dopo aver ricevuto una notizia tremenda. Magari gli avevano detto che aveva un cancro».

«Mmm...».

«O che i figli erano morti in un disastro aereo».

«Aveva figli?».

«No. Non figurano nel testamento».

«Mmm... Il suicidio rimane sempre una cosa sospetta».

«Lei non ha parlato di suicidio».

«Non sarà stata la tua vicina ad ammazzarlo? Viene a sapere che l'amante l'ha nominata erede universale e lo fa fuori».

«Simone, noi non sappiamo di cosa è morto».

«Il che dimostra che lei è in malafede».

«Ma non era la sua amante!».

«Non essere tonta, Geneviève! Ti pare che avrebbe beccato il malloppo se non fosse stata la sua amante? Ma quando mai!».

Il dilemma se accettare o rifiutare portava sempre a domande tipo "chi è questo tizio?" e "che legame c'è tra donante e donatario?". Così, dopo aver ricevuto un secondo parere negativo da un cugino che intrallazzava con le assicurazioni, Geneviève rinunciò a fare altri sondaggi.

Nell'arco della giornata oscillava da un impulso all'altro. Prendere? Rinunciare? Lascia o raddoppia! Pur perdendoci il sonno, si gustava quell'agitazione mentale: finalmente nella sua vita aleggiava un profumo d'avventura... Non faceva altro che valutare e soppesare.

Dopo sessantadue ore, fece la sua scelta.

Al notaio Demeulemeester si presentò una giocatrice d'azzardo: visto che la prudenza suggeriva di declinare l'offerta, Geneviève la accettava! Il fatto è che detestava la moderazione; per tutta la vita si era rimproverata il suo timorato ritegno. Per giunta, a ottant'anni correva ben pochi pericoli... Se ereditava insolvenze non avrebbe potuto pagarle, visto che percepiva solo il sussidio minimo. Se anche avesse avuto debiti per svariati milioni, nessuno le avrebbe tolto la sua ridicola pensione. Tuttavia non sviluppò ulteriormente l'ipotesi, consapevole che, se ci avesse ragionato sopra, la sua pretesa temerarietà si sarebbe rivelata il calcolo migliore, dato che non rischiava niente a rischiare...

La scelta si rivelò azzeccata. In un colpo solo, a Geneviève piovve addosso una fortuna: un cospicuo conto in banca, tre appartamenti a Bruxelles di cui due affittati, mobili, quadri e opere d'arte presenti al 22 di avenue Lepoutre, e persino un mas nel sud della Francia. Quasi a confermare quell'inopinato salto di qualità, il notaio le propose di gestirle il patrimonio.

«Ci penserò. Il testamento è accompagnato da una lettera?».

«No».

«Qualche documento che mi riguardi?».

«No».

«In base a quale stravaganza quell'individuo ha scelto me?».

«Non aveva famiglia».

«Ho capito, ma perché io?».

Il notaio la fissò in silenzio. Cominciava ad avere qualche dubbio. O, come pensava lui, la signora era stata l'amante del commerciante e voleva verificare il tatto del pubblico ufficiale, oppure diceva la verità, e allora si trovava di fronte al caso più strano che gli fosse mai capitato...

«Lei lo conosceva bene?» insisté Geneviève.

«No, ho rilevato la pratica insieme allo studio notarile che ho comprato dal mio predecessore».

«Dov'è sepolto?».

Intuendo che se voleva tenersi Geneviève come cliente doveva mostrarsi collaborativo, il notaio sparì, dette qualche ordine ai suoi impiegati e cinque minuti dopo tornò con un foglietto in mano.

«Cimitero di Ixelles, viale numero uno, secondo prato, quinto lotto a sinistra».

Geneviève ci andò quel giorno stesso.

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