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| << | < | > | >> |IndiceLa scoperta dell'universo 9 Introduzione 13 1. Ridondanza 29 2. Demoni 65 3. Informazione 97 4. Vita 127 5. Più veloce della luce 160 6. Paradosso 187 7. Informazione quantistica 224 8. Conflitto 248 9. Cosmo APPENDICI 275 A. Il logaritmo 277 B. Entropia e informazione 283 Bibliografia 295 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 9Introduzione
Tutto è composto da un'unica sostanza nascosta.
Ralph Waldo Emerson
Il destino della civiltà è segnato. Probabilmente non è la prima cosa che vorreste leggere nel prendere in mano un libro, ma è così. Il genere umano - e con esso tutte le forme di vita nell'universo - verrà spazzato via. Non importa quanto progredirà la nostra civiltà, e non importa se riusciremo a sviluppare una tecnologia che ci permetta di saltare da una stella all'altra, o di vivere seicento anni: un intervallo di tempo finito ci separa dalla morte dell'ultimo essere vivente dell'universo visibile. Le leggi dell'informazione hanno suggellato il nostro destino, così come hanno suggellato quello dell'universo stesso. La parola informazione evoca visioni di calcolatori, hard disk e superautostrade di Internet; dopo tutto, l'introduzione e la diffusione dei computer ha preso il nome di rivoluzione informatica. L'informatica, però, non è che un aspetto piccolissimo di un'idea più generale nota come teoria dell'informazione. Si tratta, in effetti, di una teoria che detta le regole cui obbediscono i computer, ma che fa molto, molto di più. Governa il comportamento di oggetti su scale di grandezza molto diverse. Dice in che modo gli atomi interagiscono tra di loro, e come fanno i buchi neri a inghiottire le stelle. Le sue leggi descrivono come morirà l'universo, e gettano luce sull'intera struttura del cosmo. Anche se non esistessero i computer, la teoria dell'informazione rimarrebbe sempre la terza grande rivoluzione della fisica del XX secolo. Le leggi della termodinamica - le regole che governano il moto degli atomi in un pezzo di materia - sono, in ultima analisi, leggi sull'informazione. La teoria della relatività, che descrive il comporlamento degli oggetti che si muovono a velocità altissime e sotto l'effetto della forza di gravità, è in realtà una teoria dell'informazione. La teoria quantistica, che governa il regno dell'infinitamente piccolo, è anch'essa una teoria dell'informazione. Il concetto di informazione, che va ben oltre il semplice contenuto di un disco rigido, lega tutte queste teorie in un'unica idea incredibilmente potente. La teoria dell'informazione è così potente perché la natura dell'informazione è fisica. L'informazione non è solo un concetto astratto, e non si limita a fatti, cifre, date o nomi. È una proprietà concreta della materia e dell'energia, ed è quantificabile e misurabile. È reale esattamente come il peso di un pezzo di piombo o l'energia contenuta in una testata atomica, ed è soggetta, proprio come la massa e l'energia, a un insieme di leggi che ne governano il comportamento - in che modo l'informazione può essere manipolata, trasferita, duplicata, cancellata o distrutta. E ogni cosa, nell'universo, deve obbedire alle leggi dell'informazione, poiché ogni cosa, nell'universo, è plasmata dall'informazione che contiene. L'idea di informazione nasce dall'antica arte della creazione e decifrazione di codici. I cifrari che servivano a nascondere i segreti di stato erano, di fatto, sistemi per occultare l'informazione e trasportarla da un luogo all'altro. Quando l'arte della decifrazione si combinò con la scienza della termodinamica - quella branca della fisica che descrive il comportamento dei motori, lo scambio di calore e la produzione di lavoro - il risultato fu la teoria dell'informazione. La nuova teoria era un'idea rivoluzionaria dello stesso calibro della teoria dei quanti e della relatività; trasformò all'istante il campo delle comunicazioni, e preparò la strada verso l'era dei computer, ma quello non fu che l'inizio. Nell'arco di un decennio, i fisici e i biologi cominciarono a capire che le idee della teoria dell'informazione governano molto di più dei bit e dei byte dei computer, o dei codici di comunicazione: esse descrivono il comportamento del mondo subatomico, tutte le forme di vita sulla Terra, e persino l'universo preso nel suo insieme. Ogni essere vivente sulla Terra è una creatura fatta di informazione; l'informazione sta nel centro delle nostre cellule, e si aggira rumorosamente nel nostro cervello. Non sono solo gli esseri viventi, però, a maneggiare e a elaborare l'informazione. Ogni particella dell'universo, ogni elettrone, ogni atomo, ogni particella che non è ancora stata scoperta è piena di informazione - informazione cui spesso non possiamo accedere, ma che resta comunque informazione, informazione che può essere trasferita, elaborata e dissipata. Ogni stella nell'universo, ognuna delle innumerevoli galassie che popolano la volta celeste è piena zeppa di informazione, informazione che può sfuggire e mettersi in viaggio. L'informazione scorre sempre, muovendosi da un luogo all'altro e diffondendosi in tutto il cosmo. Si direbbe che l'informazione plasmi, quasi in senso letterale, il nostro universo. Il moto dell'informazione potrebbe anche determinare la struttura fisica del cosmo. Ed è l'informazione che sembra annidarsi nel cuore dei più misteriosi paradossi della scienza - i misteri della relatività e della meccanica quantistica, l'origine e il destino della vita dell'universo, la natura dell'enorme potere distruttivo dei buchi neri, e l'ordine che si cela in un cosmo all'apparenza caotico. Le leggi dell'informazione stanno cominciando a rivelare le risposte ad alcune delle più importanti domande della scienza, ma le risposte sono, in un certo senso, più bizzarre e destabilizzanti dei paradossi che risolvono. L'informazione porta a immaginare un universo che si precipita verso la propria morte, esseri viventi ridotti in schiavitù dai parassiti che li abitano, e un cosmo incredibilmente bizantino, composto da una collezione sconfinata di universi paralleli. Le leggi dell'informazione stanno dando ai fisici un modo per comprendere i misteri più oscuri sui quali l'umanità abbia mai riflettuto. Eppure quelle stesse leggi stanno dipingendo un quadro macabro e surreale al tempo stesso. | << | < | > | >> |Pagina 77Prima di esplorare il contenuto di informazione del linguaggio, riesaminiamo un caso molto semplice: una sequenza di cifre binarie. Come abbiamo visto, ogni cifra della sequenza può trasportare, almeno potenzialmente, un bit di informazione. Tuttavia non è sempre così. Immaginate che qualcuno vi invii una sequenza di 1000 bit - un messaggio che potrebbe contenere 1000 bit di informazione - forse l'equivalente di un paragrafo di testo codificato in cifre binarie. Quando ricevete il messaggio, però, restate sorpresi nel leggere: 1111111111... Intuitivamente, vi rendete conto che una sequenza del genere non contiene molta informazione, e in effetti, in termini di teoria dell'informazione, è probabile che non ne contenga affatto.Non vi ho fornito tutta la sequenza. In effetti, vi ho dato solo dieci degli 1 e voi siete stati capaci di dedurne che il resto della sequenza di 1000 bit non conteneva altro che 1. Vi ho dato appena l'un per cento delle cifre, e, senza pensarci tanto, siete stati in grado di generare il rimanente 99 per cento. Quindi, in soli 10 bit, sono riuscito a mandarvi tutto il messaggio - e probabilmente avrei potuto usarne anche di meno. Se avessi detto che la sequenza era 1111...111... o addirittura 1... , probabilmente avreste intuito la composizione di tutto il messaggio. In altre parole, ho compresso un messaggio di 1000 cifre un un'unica cifra binaria; è bastato un bit per farvi conoscere tutto il messaggio. Ma se un messaggio può essere compresso in un singolo bit, allora può portare al più un singolo bit di informazione. Analogamente, il messaggio 010101... può essere compresso più o meno in due bit; probabilmente non conterrà più di due bit di informazione. E il messaggio 0110011001100110... ha solo quattro bit o giù di lì, anche se l'intera sequenza di 1000 bit, in teoria, potrebbe contenere molta, molta informazione in più. Se le sequenze sono prevedibili, sono comprimibili. Potete elaborare poche semplici regole che genereranno la sequenza completa. E se una cifra viene alterata dalla trasmissione - forse la 750esima cifra nella sequenza 1111... è 0 anziché 1 - quelle stesse regole vi permettono di sapere che probabilmente lo 0 è un errore. Le regole che vi consentono di generare tutto il messaggio a partire da pochi bit vi permettono di correggere la sequenza nel caso in cui si verifichi un errore di stampa. Le regole rendono la sequenza ridondante. Così siamo tornati al punto di partenza. Il primo capitolo ha presentato l'informazione come ciò che resta quando si rimuove tutta la ridondanza da una sequenza di simboli. Questo capitolo è iniziato con una definizione formale dell'informazione, e ne ha derivato la ridondanza - e anche se non abbiamo definito formalmente la ridondanza dal punto di vista della teoria dell'informazione, è esattamente ciò di cui si parlava nel primo capitolo. La ridondanza è la roba di troppo in una sequenza di simboli, la parte prevedibile che vi permette di ricostruire l'informazione mancante. Grazie alle regole non scritte, alle regolarità nelle sequenze di simboli, possiamo ignorare gran parte del messaggio e addirittura toglierne dei pezzi. Nella sequenza 11111... , possiamo sbarazzarci di quasi tutte le cifre e riuscire ugualmente a ricostruire tutto il messaggio. Ciò è possibile perché il messaggio è semplice e altamente ridondante. La ridondanza in una sequenza di bit e di byte è ben nota agli informatici soprattutto per due ragioni. La prima è la correzione degli errori. Nel comporre sequenze di numeri molto lunghe, gli esseri umani commettono errori, e quindi le carte di credito, i numeri di serie, i codici a barre e molti altri numeri contengono una ridondanza, affinchè un computer possa accorgersi se qualcuno ha commesso un errore durante l'immissione dei dati. Più importante ancora è il fatto che i computer, proprio come gli esseri umani, non sono infallibili. Nell'eseguire addizioni e moltiplicazioni, le CPU possono commettere errori; gli indirizzi di memoria possono perdere un bit, o corrompersi completamente; gli hard disk perdono i dati. Nonostante tutti questi errori i computer devono essere accurati, ed è per questo che nei loro protocolli è stata inserita della ridondanza, che il computer può sfruttare per individuare e correggere gli eventuali errori commessi (la correzione degli errori è assolutamente fondamentale per il funzionamento dei computer). La seconda ragione per la quale gli informatici conoscono la ridondanza è che i files contenuti nei computer non sono altro che un insieme di 1 e di 0 scritti sul rivestimento magnetico di un disco fisso o di un altro dispositivo simile, in modo tale che rimuovendo la ridondanza e lasciando l'informazione gli ingegneri possono comprimere un file per fargli occupare meno spazio sul disco. Un file di testo sul mio hard disk - il capitolo iniziale del mio primo libro, Zero - contiene 581 parole, e occupa circa 27500 bit di spazio. Una volta compresso con un programma commerciale, occupa più o meno 14000 bit, e contiene ancora la stessa quantità di informazione. Il fatto che un file possa essere compresso drasticamente senza perdita di informazione non dovrebbe stupire. Abbiamo già visto come l'inglese e le altre lingue umane contengano naturalmente una ridondanza considerevole. Le regole non scritte che si nascondono dietro la grammatica, l'ortografia e l'uso corretto della lingua inglese vi introducono una grande ridondanza; spesso, data una sequenza incompleta di lettere inglesi, riusciamo a completarla senza molti sforzi. Le lettere inglesi sono simboli che non hanno nulla di speciale, e dunque, in linea di principio, l'inglese scritto - una sequenza di quei simboli - non è diverso da una sequenza di 1 e di 0. Come ogni altra sequenza di simboli fortemente ridondante, l'inglese può essere compresso notevolmente senza alcuna perdita di informazione. Si tratta di una compressione decisamente forte. Sebbene ci vogliano cinque bit per specificare un carattere in un testo - ancora di più se si distinguono le maiuscole dalle minuscole - in media ogni lettera dell'alfabeto inglese porta in realtà solo uno o due bit di informazione. Uno dei successi maggiori della teoria dell'informazione di Shannon è l'aver dato una definizione formale della ridondanza e l'aver capito esattamente quanta informazione può essere trasportata da una sequenza di simboli - ridondante o meno. Tutto ciò è diventato il famoso teorema di Shannon sulla capacità di un canale. Concepito per aiutare gli ingegneri a valutare quanta roba potesse essere inviata su un canale di comunicazione (per intenderci, quante chiamate telefoniche potessero coesistere su una stessa linea telefonica), il teorema finì col trasformare per sempre il modo in cui gli scienziati consideravano l'informazione. La potenza del teorema deriva dal fatto che Shannon analizzò le sorgenti di informazione con uno strumento sorprendente: l'entropia. | << | < | > | >> |Pagina 127Più veloce della luceC'era una donna di nome Rita Che della luce andava più spedita; Partì un giorno, relativamente, E fece ritorno la notte precedente. A. H. Reginald Buller, Relatività Così come la fine dell'era classica coincise con la caduta di Roma verso la fine del V secolo, anche l'era della fisica «classica» ebbe fine con lo sviluppo delle teorie della meccanica quantistica e della relatività, agli inizi del XX secolo. A prima vista, nessuna di queste due rivoluzioni - che coinvolsero entrambe un giovane scienziato di nome Albert Einstein - ha a che vedere con l'informazione. Ma le apparenze ingannano. La relatività e la meccanica quantistica videro la luce prima della teoria di Shannon, ma entrambe sono, in realtà, teorie dell'informazione. A prima vista la cosa può lasciare perplessi, ma, dietro le apparenze superficiali, le due teorie nascondono le basi della teoria dell'informazione. È proprio la teoria dell'informazione potrebbe essere la chiave per svelare i misteri della relatività e della meccanica quantistica e per fare luce sull'inquietante conflitto che le oppone. Se così sarà, assisteremo alla consacrazione trionfante della fisica moderna; gli scienziati potrebbero finalmente entrare in possesso di una «teoria del tutto», un insieme di equazioni che descrivano il comportamento di tutti gli oggetti dell'universo, dalle particelle subatomiche più piccole agli ammassi di galassie più grandi. La rivoluzione che ebbe inizio nel tentativo di calcolare quante conversazioni telefoniche possono coesistere su un filo di rame potrebbe portare addirittura a una comprensione, al livello più fondamentale, di ogni oggetto presente nel cosmo. Per capire in che modo l'informazione possa avere un'importanza così vasta e profonda dobbiamo andare al di là della termodinamica e della teoria dell'informazione «classica» di Shannon. Esplorando il regno della relatività e quello della meccanica quantistica scopriremo le conoscenze attuali degli scienziati sull'informazione e su come quest'ultima modelli l'universo. Sia la relatività che la teoria dei quanti sono intimamente connesse all'entropia e all'informazione. Albert Einstein, che diede il via a entrambe le rivoluzioni, lo fece anche perché mosso dall'interesse che aveva nutrito in passato per l'entropia, la termodinamica e la meccanica statistica. In effetti, la prima delle rivoluzioni scatenate da Einstein, la teoria della relatività, ha a che fare direttamente con lo scambio di informazione: l'idea centrale è che l'informazione non può viaggiare più veloce della luce. Questo, però, non ha impedito ai fisici di mettere a punto dispositivi più veloci della luce, e macchine del tempo. E alcuni di questi funzionano veramente. [...] Nell'esperimento allestito da Raymond Chiao, della University of California, alcuni fotoni venivano inviati contro una barriera relativamente spessa, costituita da una fetta di silicio. Di tanto in tanto un fotone passava al di là della barriera. Misurando la velocità con la quale i fotoni attraversavano la barriera, Chiao, manco a dirlo, scoprì che in effetti i fotoni si muovevano con una velocità maggiore di quella della luce. Chiao, però, capì che quei fotoni non potevano essere utilizzati per trasmettere informazione a velocità super luminale. Come nel caso della cavità piena di gas, l'attraversamento della barriera altera la «forma» del fotone. Nella visione quantistica del mondo, un fotone non è diverso da un impulso; un fotone si comporta come un pacchetto d'onde e, al tempo stesso, come una particella. Ed è il pacchetto d'onde che viene sfasato e deformato nell'attraversare la barriera. In realtà solo il fronte del pacchetto d'onda fotonico riesce a oltrepassare la barriera: dall'altra parte dell'ostacolo il pacchetto d'onde è molto più piccolo, e il suo fronte è stato alterato a tal punto che qualsiasi bit sia stato codificato in quell'impulso luminoso si trova spinto indietro dal processo di deformazione. Ancora una volta Einstein avrebbe provato un gran sollievo. L'informazione non viaggia più velocemente della luce, anche se il fotone lo fa. La teoria della relatività ha resistito a tutti i tentativi di trasmettere l'informazione a una velocità superiore a quella della luce. Esiste un'altra minaccia, però, che proviene dalle leggi della meccanica quantistica. Venne scoperta dallo stesso Einstein, che a causa sua finì per rifiutare la teoria che aveva contribuito a creare. Anche in questo caso, la chiave per capire tutto è l'informazione. | << | < | > | >> |Pagina 1606. ParadossoNatura non facit saltus. (La natura non procede per salti.) Gottfried Wilhelm Leibniz La teoria della relatività ha a che fare con l'informazione. Le equazioni di Einstein impongono un limite di velocità al trasferimento di informazione nello spazio: questo limite è la velocità della luce. Le equazioni spiegano inoltre perché osservatori diversi otterranno risposte apparentemente contraddittorie alla stessa domanda - anche nel caso in cui tutti quanti stiano acquisendo un'informazione relativa agli stessi eventi. Con la relatività, gli scienziati hanno cambiato modo di osservare l'universo e di studiare come interagiscono tra di loro oggetti dotati di velocità altissime, separati da grandi distanze e sottoposti a campi gravitazionali molto intensi. È stato il più grande trionfo di Einstein. Ma non è quello che gli ha fatto conquistare il Premio Nobel. Il Nobel di Einstein giunse nonostante il suo lavoro sulla teoria della relatività: quest'ultima, sebbene fosse stata accettata immediatamente da alcuni dei massimi pensatori dell'epoca, fu respinta dai membri più rigidi e conservatori del comitato per l'assegnazione del premio. Einstein vinse comunque il Nobel nel 1921 per un'altra delle sue grandi intuizioni: la teoria quantistica della luce. Per ironia della sorte, nonostante il Nobel, Einstein finì per rinnegare la teoria quantistica che aveva contribuito a far nascere. E per ottime ragioni. Le sfide più veloci della luce alla teoria della relatività sono un gioco da ragazzi se paragonate a quelle che provengono direttamente dalle leggi della teoria dei quanti. Fu lo stesso Einstein a scoprire una delle minacce più serie - un trucco quantistico che sembrava aprire una falla nella sua tanto amata teoria della relatività: si accorse con orrore dell'esistenza, nella meccanica quantistica, di un'apparente scappatoia logica; a prima vista, sembrava che i fisici avrebbero potuto sfruttarla per far viaggiare l'informazione a una velocità maggiore di quella della luce. Se fosse stato vero, gli ingegneri avrebbero potuto costruire l'equivalente di una macchina del tempo. Sembrava che le leggi della meccanica quantistica dessero agli scienziati la possibilità di alterare il passato e cambiare il futuro. Einstein riteneva che questa lacuna, questo misterioso sistema di comunicazione cosmica da lui scoperto, avrebbe dimostrato che la teoria del mondo quantistico era assurda e andava accantonata. Si sbagliava. I fisici hanno osservato un'infinità di volte la correlazione tra due particelle che nasce dalla misteriosa «fantomatica azione» quantistica di Einstein. Se particelle di quel tipo possono comunicare, in un modo o in un altro, devono farlo migliaia di volte più veloci della luce. L'incubo di Einstein era reale. Gli scherzi bizzarri che la Natura mette in atto con gli oggetti quantistici sono stati osservati, e le predizioni più strambe della teoria dei quanti sono state verificate. I paradossi informazionali allontanarono Einstein dalla meccanica quantistica, ed egli morì senza vederli risolti. Quei paradossi sono ancora oggi l'aspetto più sconcertante della teoria dei quanti, e solo ora, dopo quasi un secolo, gli scienziati stanno cominciando a comprenderli, grazie alla teoria dell'informazione. Sebbene Einstein amasse la relatività e detestasse la teoria dei quanti, entrambe sono figlie sue. L'origine delle due sorelle è comune: tutte e due sono legate alla termodinamica e all'informazione, e tutte e due nacquero dalla luce. Analogamente alla relatività, la storia della teoria dei quanti risale all'esperimento condotto da Young nel 1801, che sembrò porre fine al dibattito sulla natura corpuscolare o ondulatoria della luce. Young dimostrò che quando un fascio luminoso passa simultaneamente attraverso due fenditure si forma una figura di interferenza. Questo è ciò che fanno le onde. Non è quello che fanno le particelle. Nell'esperimento di Young si può diminuire quanto si vuole l'intensità del fascio di luce, ma per quanto lo si faccia la figura di interferenza rimane. In effetti, se la luce fosse composta da particelle, a un certo punto - quando il fascio è abbastanza debole - le particelle sarebbero attraversate da una particella di luce alla volta. | << | < | > | >> |Pagina 1877. Informazione quantisticaChe liberazione sarebbe mai, abbandonare un'assurdità logica e coerente per abbracciarne un'altra, illogica e incoerente? James Joyce, Ritratto dell'artista da giovane Il nome Waterloo evoca le immagini di una grande battaglia. Nel 1815, nei pressi di Waterloo, in Belgio, il duca di Wellington sconfisse le forze di Napoleone Bonaparte. Quasi due secoli dopo, in tutt'altra Waterloo - questa volta in Canada - è in corso un'altra battaglia. È una battaglia per capire. Ray Laflamme e i suoi colleghi stanno lottando per sconfiggere i misteri del mondo quantistico. Nei laboratori della sua università, a circa un'ora e mezza da Toronto, Laflamme possiede due cilindri bianchi, alti come una persona, che poggiano al suolo su un treppiede. Non sono belli da vedere. Sembrerebbero più adatti a una raffineria, o a un sito industriale, che a un laboratorio di punta della ricerca quantistica. Eppure quei cilindri sono strumenti necessari per la comprensione del mondo quantistico, e lo sono più di qualsiasi altro microscopio convenzionale. Prima di potervi avvicinare a uno dei cilindri, dovete togliervi di tasca il portafoglio. Avvicinatevi troppo, e i cilindri, che sono magneti incredibilmente potenti, lobotomizzeranno all'istante le vostre carte di credito. A una distanza di più di un metro, l'influenza invisibile del loro campo magnetico fa incollare tra di loro graffette metalliche e spiccioli canadesi. Questi magneti obbligano gli atomi a danzare. I campi magnetici, molto intensi, li allineano, orientandone gli spin verso l'alto e costringendoli a mulinare vorticosamente in un complesso balletto logico. Negli spin di quegli atomi si annida l'informazione - informazione quantistica - e quella danza complicata è un programma rudimentale. I magneti, e gli atomi che ne sono guidati, formano un primitivo computer quantistico. Così come i computer lavorano sull'informazione, i computer quantistici lavorano sull'informazione quantistica - un'estensione dell'idea di Shannon che tiene conto delle sottigliezze misteriose delle leggi quantistiche. L'informazione quantistica è molto più potente dell'informazione ordinaria; un bit quantistico possiede proprietà inaccessibili ai classici 1 e 0 dell'informazione di Shannon: può essere suddivisa in più parti, può essere teletrasportata da un capo all'altro di una stanza, può effettuare simultaneamente più operazioni contraddittorie e realizzare altre imprese apparentemente miracolose. L'informazione quantistica attinge a una risorsa naturale inaccessibile alla semplice informazione classica; le proprietà addizionali di cui gode l'informazione quantistica consentirebbero a un computer quantistico abbastanza grande di violare tutti i codici crittografici utilizzati per la sicurezza su Internet, e di effettuare prodezze di calcolo semplicemente impensabili per i computer ordinari. Fatto ancora più importante, l'informazione quantistica è la chiave per svelare i misteri del mondo quantistico, e i computer quantistici stanno permettendo agli scienziati di penetrare in un regno finora inesplorato. Grazie ai computer quantistici, sperimentatori e teorici stanno cominciando a intuire i segreti dell'informazione quantistica. E si stanno rendendo conto che l'informazione quantistica è legata alle leggi fisiche fondamentali più di quanto lo sia l'informazione classica. L'informazione quantistica potrebbe realmente essere la chiave per capire le regole del mondo subatomico e di quello macroscopico - le regole che governano il comportamento dei quark e delle stelle, delle galassie e dell'intero universo. Proprio come l'era della fisica classica ebbe fine con la nascita della teoria della relatività e della meccanica quantistica, anche l'era dell'informazione classica ha ceduto il passo a una teoria più profonda, nota come teoria dell'informazione quantistica. Lo studio dell'informazione quantistica non è che agli inizi. Dal momento che le regole che governano il comportamento degli atomi, degli elettroni e dei fotoni sono molto diverse dalle leggi classiche, newtoniane, cui obbediscono lanterne, bandiere, palline e altri oggetti macroscopici, l'informazione trasportata da un oggetto quantistico, come un elettrone, è diversa dai semplici bit memorizzabili in un oggetto classico. I teorici classici parlano dell'informazione in termini di bit, mentre i teorici quantistici parlano dell'informazione in termini di bit quantistici, o qubit. Nella teoria dell'informazione classica, qualsiasi domanda di tipo binario ammette sempre una risposta, diciamo, un sì o un no - un 1 o uno 0. Con la teoria quantistica, invece, la bella e facile distinzione tra sì e no non c'è più. Gli oggetti quantistici possono essere due cose contemporaneamente: a sinistra e a destra dell'interferometro, spin verso l'alto e verso il basso, nello stesso istante. Mentre un oggetto classico non può trovarsi mai in una sovrapposizione ambigua di due stati - deve essere sempre in uno stato o nell'altro, acceso o spento, a sinistra o a destra, 1 o 0 , ma mai simultaneamente in entrambi - a un oggetto quantistico ciò è concesso. Così, anche nel caso di una domanda chiara, sì o no (Il gatto di Schrödinger è vivo?), spesso non vi è modo di rispondere con un semplice 1 o 0 : un gatto può (teoricamente) essere vivo e morto al tempo stesso, un elettrone può andare simultaneamente a sinistra e a destra, e la luce può essere sia un'onda che una particella. Dei puri 1 e 0 non sono in grado di catturare la dualità o la sovrapposizione; il regno dell'oggetto quantistico non ha le dicotomie nette del mondo classico. Come abbiamo visto, però, la teoria dei quanti (e, sotto questo aspetto, anche la relatività) è una teoria che ha a che fare con il trasferimento di informazione. E allora come fanno gli scienziati a parlare di informazione per un oggetto quantistico se gli 1 e gli 0 della teoria dell'informazione classica non bastano a descrivere quel che sta succedendo? È qui che entrano in gioco i qubit. A differenza di quelli classici, i bit quantistici possono contemporaneamente assumere due (o più) valori contraddittori. Possono essere nello stesso istante 0 e 1. Non siete in grado di descrivere lo stato vivo e morto del gattino di Schrödinger con un bit classico, ma potete farlo con un qubit. Per cogliere la natura dell'informazione quantistica, tuttavia, devo introdurre per i qubit una nuova notazione, capace di esprimere la natura quantistica dell'informazione quantistica. Un gatto classico può essere solamente vivo, 0, o morto, 1. Un gatto di Schrödinger ideale, invece, può essere contemporaneamente sia vivo che morto: (0&1). Ecco cos'è un qubit: 0 e 1 al tempo stesso. Il gatto nello stato sovrapposto può, in teoria, permanere nello stato vivo e morto - può memorizzare questo qubit (0&1) - finché nessuno guarda nella scatola, ma non appena qualcuno prova a determinare se il gatto è morto o è sopravvissuto, la sovrapposizione collassa. Lo stato (0&1) si trasforma all'istante in un bit classico. Il gatto «sceglie» uno stato 0 - il gatto vive - o uno stato 1 - il gatto muore. La notazione scelta per i qubit è un po' scomoda, ma è necessaria. Un qubit non equivale a uno o due bit classici; (0&1) è molto diverso da uno 0 o da un 1 , come vedremo tra poco. Così come non conta il mezzo in cui risiede un bit classico - potete memorizzarlo in una torcia, o in una bandiera, o ancora in una scheda perforata o in un pezzo di nastro magnetico - non importa neanche il mezzo sul quale è scritto un qubit. Il qubit può rappresentare la posizione di un elettrone in un interferometro: la sinistra è (0) , la destra è (1) , e la sovrapposizione di sinistra e destra è (0&1). Può rappresentare l'orientazione dell'atomo di uno spin: su, giù, o su e giù. Può rappresentare la polarizzazione di un fotone: verticale, orizzontale o verticale e orizzontale. Quel che è importante non è il mezzo sul quale si trova il qubit, ma l'informazione quantistica rappresentata da quest'ultimo. Il paradosso del gatto di Schrödinger è imperniato sulla differenza tra qubit e bit ordinari. Un atomo, un elettrone, o qualunque altro oggetto quantistico, può essere messo in uno stato di sovrapposizione, nel quale il cammino di sinistra e quello di destra vengono imboccati contemporaneamente. | << | < | > | >> |Pagina 206Di fatto, è possibile riformulare interamente il processo fisico del decadimento nucleare nel linguaggio dell'informazione quantistica. Anche in assenza di un osservatore umano, potete pensare alla scissione spontanea di un nucleo atomico come a un trasferimento di informazione. Il nucleo parte da uno stato puro, integro, ed evolve in una sovrapposizione di stati, quello in cui resta integro e quello in cui decade; come il gatto di Schrödinger, è contemporaneamente integro e scisso. Dopo di che, accade qualcosa. Qualcosa acquisisce informazione sul nucleo; qualcosa misura lo stato dell'atomo. Qualcosa trasferisce l'informazione sullo stato del nucleo all'ambiente circostante. Il trasferimento dell'informazione provoca il collasso della sovrapposizione; a seconda del testa o croce cosmico, il nucleo «sceglie» se esistere in uno stato di integrità puro, (0) , o in uno stato di decadimento puro, (1). Nel primo caso, il processo ricomincia da capo; nel secondo caso, il nucleo decade spontaneamente, proprio come ci si aspetta che capiti di tanto in tanto agli atomi radioattivi. Una simile descrizione del decadimento radioattivo è assolutamente consistente; potete usarla per predire quanti atomi decadranno in un certo lasso di tempo, e ottenere la risposta esatta. Potete vedere il decadimento di un nucleo come un processo di trasferimento dell'informazione, ma c'è comunque un elemento controverso: il «qualcosa» che sta effettuando la misura. Cos'è che raccoglie informazione sull'atomo e la dissemina nell'ambiente circostante?Quel qualcosa è la Natura. È la stessa Natura che misura senza sosta. Ed è questa la chiave per risolvere il paradosso del gatto di Schrödinger. Di solito, gli scienziati non pensano alla Natura come a un essere di qualche tipo. La stragrande maggioranza non crede che l'universo abbia una coscienza, né che un essere soprannaturale se ne vada in giro brandendo un minuscolo calibro. Però sono fermamente convinti che, in un certo senso, la Natura - l'universo stesso - misuri tutto in continuazione. L'universo brulica di particelle. La Terra è bombardata dai fotoni che arrivano dal Sole, ed è grazie a loro che la vostra percezione dell'ambiente che vi circonda è cosi buona. Quando guardate un albero, fuori dalla finestra, il vostro cervello elabora l'informazione che la Natura ha raccolto per voi. Un fotone proveniente dal Sole rimbalza su una foglia e raggiunge il vostro occhio; l'informazione su quell'albero si troverebbe lì, a prescindere dal fatto che la vostra retina riceva o meno quell'informazione. La luce solare che si posa sull'albero è, in sostanza, una misura naturale: prende l'informazione relativa all'albero - l'albero è alto diciotto metri, è verde e ondeggia nella brezza - e la invia nell'ambiente circostante. Anche se chiudete gli occhi e ignorate l'informazione contenuta in quei fotoni è possibile che riusciate ugualmente a percepire la presenza dell'albero. Potete udire il fruscio delle fronde attraversate dal vento; potete sentire il moto delle molecole d'aria che rimbalzano contro l'albero e l'una contro l'altra. Sono loro, la causa delle onde sonore. La brezza preleva un'informazione relativa all'albero e la spedisce tutt'intorno. Anche se il vostro orecchio non è lì a percepire lo stormire delle fronde, un'informazione è stata disseminata nell'ambiente. Certo, potete misurare l'albero voi stessi. Potete avvicinarvi, toccarlo, sentire la pressione esercitata dalle molecole della sua corteccia su quelle della vostra mano, anche se non avete bisogno di fare tutto questo per sapere che l'albero è lì; potete limitarvi a elaborare l'informazione che la Natura ha già raccolto per voi a proposito dell'albero, sotto forma di luce e suono. Le particelle di luce e quelle d'aria sono le sonde della Natura, i suoi strumenti di misura. Quello che voi fate non è altro che ricevere l'informazione che è già stata depositata su quelle particelle. Spegnete il Sole e private la Terra della propria atmosfera, e quelle fonti di informazione non saranno più a vostra disposizione. (Anche se è evidente che la perdita delle vostre percezioni sarebbe difficilmente la vostra prima preoccupazione, se il Sole e l'atmosfera sparissero d'incanto!) Non sarete più in grado di percepire l'albero attraverso la luce riflessa o le onde sonore, perché la Terra sarebbe nera come la pece e priva d'aria. Nessun essere umano potrebbe sentire la presenza dell'albero da una certa distanza, perché gli ingressi principali che la Natura ci ha dato per raccogliere l'informazione - gli occhi e le orecchie - non riceverebbero più alcun segnale. Il semplice fatto che gli esseri umani non ricevano alcun segnale, però, non vuol dire che la Natura abbia smesso di compiere le proprie misure. Tutt'altro. Per misurare un albero, la Natura non ha bisogno del Sole, né del vento. Anche i fotoni provenienti dalle stelle più lontane bombardano la Terra, e per quanto i nostri occhi siano troppo deboli per vedere un albero grazie alla sola luce delle stelle, uno scienziato in gamba armato di un fotorivelatore potrebbe dedurre la sagoma dell'albero - l'informazione continua a riversarsi nell'ambiente. La Terra stessa, essendo più calda dello zero assoluto, irraggia fotoni. Una macchina fotografica a infrarossi potrebbe misurare tale radiazione: anche questa, rimbalzando sull'albero, ne rivela la forma (anche l'albero emette radiazione infrarossa; l'unico modo che abbiamo per bloccarla consiste nel portare l'albero allo zero assoluto). Anche se l'albero fosse congelato, fluttuante nelle profondità dello spazio, isolato dal tepore terrestre e dalla luce pallida delle stelle, la Natura continuerebbe a misurarlo. L'universo pullula di fotoni nati pochi istanti dopo il big bang, e anch'essi colpiscono incessantemente l'albero, acquisendo informazione su quest'ultimo e inviandola nell'ambiente circostante. Verificare che l'informazione è effettivamente li è un gioco da ragazzi: un osservatore munito di un rivelatore regolato opportunamente potrebbe identificare i fotoni che rimbalzano sull'albero. Anche senza quei fotoni, la Natura è comunque in grado di misurare l'albero. Lo spazio è pieno di raggi cosmici provenienti da galassie lontane, e di neutrini - particelle piccolissime, quasi prive di massa, che interagiscono assai debolmente con la materia - che arrivano dagli angoli più remoti della galassia. Anche queste particelle possono arrivare fino all'albero e rimbalzarci contro, e, per quanto le difficoltà tecniche siano notevoli, uno scienziato armato di un rivelatore adeguato potrebbe misurare in che modo la presenza dell'albero influenza le particelle che passano di lì. Ancora una volta, l'informazione viene disseminata nell'ambiente. Cosa capiterebbe se isolassimo totalmente l'albero da tutte le particelle che permeano l'universo? Cosa accadrebbe se chiudessimo l'albero nel vuoto, in un contenitore allo zero assoluto - in modo che non irraggi luce - un contenitore capace di schermarlo da neutrini, raggi cosmici, fotoni, elettroni, neutroni e da tutte le sonde di cui la Natura si serve per raccogliere informazione? Saremmo capaci di impedire alla Natura di ottenere informazioni sull'albero? Sorprendentemente, la risposta è no. La Natura trova sempre un modo per acquisire informazioni sull'albero. Sempre - anche nel vuoto più spinto, e anche allo zero assoluto. Anche se schermassimo l'albero da qualsiasi particella - da tutti i mezzi utilizzati dalla Natura per raccogliere informazioni - la Natura è in grado di creare le proprie particelle in ogni punto dello spazio. Su scala microscopica, ci sono particelle che si materializzano e svaniscono in continuazione. Appaiono, acquisiscono informazione, la disperdono nell'ambiente e spariscono nel nulla da dove sono arrivate. Queste particelle evanescenti sono le fluttuazioni del vuoto di cui si è parlato nel capitolo 2, che avvengono in ogni regione dell'universo, anche nel vuoto più spinto e più freddo. Le fluttuazioni del vuoto rendono impossibile sottrarre completamente un oggetto alle misure effettuate dalla Natura. La loro esistenza fu teorizzata (e, in seguito, verificata sperimentalmente) come conseguenza del principio di indeterminazione di Heisenberg. Come ho spiegato nel capitolo precedente, il principio di indeterminazione di Heisenberg impone alcune restrizioni sull'informazione. Nessun osservatore potrà mai conoscere contemporaneamente e con precisione assoluta due attributi complementari di un oggetto. Ad esempio, è impossibile avere simultaneamente un'informazione perfetta sulla posizione e sulla quantità di moto di una particella. | << | < | > | >> |Pagina 2489 CosmoPensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, cosi da restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli (...) Che strana visione mi hai offerto, e che strani prigionieri. Simili a noi (...) per questi uomini la verità non può essere altro che ombre. Platone, La Repubblica L'universo va avanti a informazione. Su scala microscopica, la Natura effettua senza sosta delle misure, raccogliendo l'informazione e disseminandola nell'ambiente. Le stelle nascono, brillano e muoiono, e la loro informazione viene dispersa in tutta la galassia; divorando tutta la materia e l'energia che si avvicina troppo, i buchi neri divorano informazione - diventando forse, in un certo senso, l'ultimo dei computer. La nostra visione dell'universo, però, è tutt'altro che completa. Gli scienziati non capiscono la struttura dell'universo sul piano filosofico - o fisico. Non sanno se il nostro è l'unico universo o se ce ne sono altri, a noi inaccessibili. Non capiscono i meccanismi che rendono così strana la meccanica quantistica; non sanno realmente in che modo l' entanglement permetta alle particelle di cospirare tra di loro anche senza scambiarsi informazione. Non capiscono la struttura dello spazio alle scale più piccole, così come non capiscono la natura dell'universo a quelle più grandi. La teoria dell'informazione non ha ancora risposto a queste domande, ma sta fornendo degli indizi per ognuna di esse. L'informazione non si limita a farci dare un rapido sguardo a una regione di spazio totalmente inaccessibile agli esperimenti - l'interno di un buco nero - ma ci rivela anche la struttura dello spazio e del tempo. Nel farlo, suggerisce l'esistenza di interi universi paralleli al nostro, mai visti e che mai vedremo. Questi universi paralleli mettono a dura prova persino la buona fede dei loro sostenitori, ma permettono di spiegare i grandi paradossi della meccanica quantistica. Gli universi paralleli ci rivelano come funziona la sovrapposizione, e come fanno le particelle entangled a «comunicare» istantaneamente tra di loro su grandi distanze. I misteri della meccanica quantistica diventano molto meno misteriosi - una volta che vi siete convinti che l'informazione crea la struttura dello spazio e del tempo. È un'idea che mette a disagio. Le frontiere della teoria dell'informazione stanno fornendo un'immagine molto, molto inquietante del nostro universo - e del destino finale della vita nel cosmo. In un certo senso, un buco nero è un universo ripiegato su se stesso. Ricordate quella sonda che abbiamo spedito nel buco nero nel capitolo 8? E se vi scoprisse delle forme di vita? Una creatura capace di vivere all'interno dell'orizzonte degli eventi riuscirebbe a vedere tutte le stelle e le galassie del cielo sovrastante. Forse riuscirebbe anche a scorgere il piccolo pianeta azzurrino che ci ospita. La creatura, però, sarebbe assolutamente incapace di mandarci un messaggio, neanche provando e riprovando. Qualsiasi informazione cercasse di mandare, qualunque messaggio volesse trasmettere, non riuscirebbe mai a farle oltrepassare l'orizzonte degli eventi. L'attrazione del buco nero è troppo forte. Anche se ci fosse un'intera popolazione di queste creature, tutte intente a inviare segnali e a urlare più forte che possono mentre volteggiano intorno al buco nero, la Terra non riceverebbe mai un solo bit o qubit di informazione su di loro. La loro informazione ci è semplicemente inaccessibile. Per quel che ne sappiamo, dietro l'orizzonte degli eventi di un buco nero si cela un intero universo - un universo di cui non siamo consapevoli perché non siamo capaci di acquisire informazione su di esso. Certo, si tratta di un ragionamento puramente ipotetico. È improbabile che dall'altra parte dell'orizzonte degli eventi ci siano abitanti di buchi neri, o altri universi. Eppure, l'orizzonte degli eventi dimostra la possibilità che là fuori esistano delle cose reali che non fanno realmente parte del nostro universo. Potrebbero addirittura esserci stelle, galassie e creature separate dal nostro mondo da qualche sorta di barriera che blocca l'informazione; nel nostro cosmo potrebbero esserci oggetti che conducono un'esistenza totalmente separata dalla nostra. Non potremmo instaurare un dialogo con le creature che vivono in un posto del genere, nemmeno in teoria. In un certo senso, mettendo una barriera che impedisca lo scambio di informazione tra due regioni di spazio, queste, in sostanza, diventano due universi differenti. È un'idea strana. L'universo, dopo tutto, include per definizione tutto ciò che esiste... beh, nell'universo. Gli scienziati, però, hanno cominciato a prendere in considerazione l'idea che esistano universi alternativi, distinti dal nostro. In realtà i fisici che hanno preso sul serio l'idea sono già un certo numero. Alcuni di loro credono addirittura che gli universi alternativi debbano esistere, che possano essere una conseguenza inevitabile delle leggi dell'informazione e della fisica dei buchi neri. | << | < | > | >> |Pagina 268Anche la vita è plasmata dall'informazione. Tutte le creature viventi sono, in qualche misura, macchine per l'elaborazione dell'informazione; le creature intelligenti, dotate di coscienza, elaborano l'informazione nella propria mente così come nelle proprie cellule. Le leggi dell'informazione, però, pongono dei limiti alla sua elaborazione. Esiste un numero finito (per quanto enorme) di modi per immagazzinare l'informazione nella nostra bolla di Hubble, e dunque esiste un numero finito (e minore, per quanto sempre enorme) di modi per immagazzinare ed elaborare l'informazione nelle nostre teste. Sarà pur vero che gli esseri umani possono contemplare l'infinito, ma lo sanno fare solo in un numero finito di modi. L'universo potrebbe essere infinito, ma noi non lo siamo.In realtà, tutte le forme di vita presenti nell'universo devono essere finite. Man mano che l'universo si espande ed evolve, l'entropia del cosmo aumenta. Le stelle si spengono e muoiono, e l'energia diventa sempre più difficile da trovare. Le galassie si raffreddano, avvicinandosi inesorabilmente a un equilibrio gelido. E in un universo che va verso l'equilibrio diventa difficile trovare energia e spargere entropia; diventa sempre più difficile conservare e duplicare l'informazione in vostro possesso. Diventa sempre più difficile trovare forme di sostentamento per la vita. La vita è forse destinata a scomparire? Nel 1997, il fisico Freeman Dyson escogitò un sistema ingegnoso per mantenere in vita una civiltà anche in caso di morte dell'universo: l'ibernazione. Dyson affermava che gli abitanti di una galassia morente potrebbero costruire delle macchine che accumulano energia (diffondendo entropia) mentre essi giacciono privi di coscienza in uno stato di ibernazione. Quando le macchine hanno raccolto abbastanza energia, allontanando a sufficienza dall'equilibrio l'ambiente che circonda quella civiltà, le creature si risvegliano, e vivono per qualche tempo utilizzando l'energia raccolta, liberando l'entropia nell'ambiente circostante e riparando i danni fatti dalla Natura all'informazione che avevano immagazzinato. Quando l'energia disponibile finisce e l'ambiente raggiunge nuovamente l'equilibrio, le creature tornano a dormire fino a quando le macchine non avranno ristabilito le condizioni adatte per un nuovo risveglio. Nel 1999, tuttavia, Lawrence Krauss, un fisico della Case Western Reserve University, dimostrò che l'idea dell'ibernazione avrebbe finito per rivelarsi fallimentare. Man mano che l'universo si avvicina all'equilibrio, le macchine per l'accumulo di energia e la dispersione di entropia ci mettono sempre più tempo a svolgere il proprio lavoro - raccogliere l'energia necessaria e disperdere l'energia necessaria per far risvegliare le creature. I periodi di ibernazione si allungano drammaticamente, e i periodi di veglia si accorciano altrettanto drammaticamente, mentre l'universo si espande e muore. Man mano che l'universo raggiunge l'equilibrio, si arriverà a un punto oltre il quale le macchine potranno sbuffare in eterno senza mai riuscire a raccogliere energia e a disperdere entropia in quantità sufficiente a dare alla civiltà un solo secondo di coscienza in più. L'elaborazione dell'informazione si arresta una volta per tutte; l'informazione accumulata con tanta cura dalla civiltà nel corso dei millenni si disperde lentamente nell'ambiente, mentre l'equilibrio e l'entropia spingono l'ultima civiltà vivente nell'oscurità. La vita si è estinta. È un quadro fosco, ma i fisici sono arrivati a una conclusione simile per un'altra via. Il nostro universo (o multiverso) è in continua agitazione. L'informazione va e viene, e l'ambiente (conscio o no) l'elabora e la dissipa. In un certo senso, l'universo nel suo insieme si comporta come un gigantesco elaboratore di informazione - un computer. Dunque, se l'universo può essere considerato un computer, anche se solo in linea di principio, quante operazioni ha fatto finora? Quante operazioni potrà ancora fare? Grazie alle leggi dell'informazione, gli scienziati hanno risposto a entrambe le domande. Nel 2001, Seth Lloyd, il fisico che identificò nel buco nero l'ultima frontiera dei computer, seguì una logica simile per dedurre quante operazioni potrebbe aver fatto l'universo visibile, la nostra bolla di Hubble, dal big bang ad oggi. La quantità di materia e di energia presente nell'universo determina, attraverso la relazione energia-tempo, la velocità cui possono essere eseguiti i calcoli - e il risultato è un'enormità, 10^120 operazioni dall'inizio dei tempi ad oggi. Nel 2004 Krauss fece l'altra metà del calcolo - la quantità di calcoli realizzabile in futuro. In un universo in espansione perpetua, all'interno della nostra bolla di Hubble tale numero è finito, e risulta essere di poco superiore a 10^120 operazioni - quasi identico al numero massimo di operazioni effettuate nel passato, 10^120 è un numero enorme - ma è finito. Alla nostra bolla di Hubble resta un numero limitato di operazioni di elaborazione dell'informazione. La vita si basa sull'elaborazione dell'informazione, e dunque non può che essere finita. La vita non può andare avanti per sempre. Le restano al più 10^120 operazioni, dopo di che tutte le forme di vita dell'universo visibile si estingueranno. L'informazione immagazzinata e conservata da quelle creature viventi verrà dispersa in maniera irreversibile. Anche se non potrà mai essere veramente distrutta, l'informazione sarà dispersa, inutilizzabile, nel cosmo buio e senza vita. È l'ultima ironia delle leggi dell'informazione. I fisici stanno utilizzando l'informazione per trovare una risposta agli interrogativi più profondi di tutto l'universo. Quali sono le leggi fondamentali della fisica? Come si giustifica la stranezza della relatività e della meccanica quantistica? Che cosa c'è nel centro di un buco nero? Il nostro universo è unico, o ce ne sono altri? Qual è la struttura dell'universo? Cos'è la vita? Servendosi degli strumenti della teoria dell'informazione, gli scienziati stanno cominciando a trovare le risposte a tutte queste domande. Al tempo stesso, però, quegli stessi strumenti hanno rivelato il destino che ci attende. Moriremo, e con noi le risposte a tutte queste domande - tutta l'informazione raccolta dalla nostra civiltà. La vita è destinata a finire, e con lei morirà ogni forma di coscienza, ogni capacità di capire l'universo. Utilizzando l'informazione, possiamo trovare le risposte definitive, ma quelle stesse risposte perderanno qualunque senso a causa delle leggi dell'informazione.
Quest'informazione così preziosa, capace di illuminare i misteri più oscuri
dell'universo, porta in sé i semi della propria distruzione.
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