Copertina
Autore Andrea Seki
Titolo L'arpa celtica del Sidhe
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007 , pag. 192, cd, ill., cop.fle., dim. 15x21x1,3 cm , Isbn 978-88-7226-993-0
LettoreElisabetta Cavalli, 2007
Classe musica , viaggi
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Indice

Inizio del viaggio                        5

Finistère                                 7
Autunno "quimperoise"                     9
Battesimo bretone                        11
Una vita in Bretagna                     18
Kenavo                                   19
Il primo incontro                        21
L'arpa nel mondo antico                  30
L'arpa gaelica                           36
L'arpa leggendaria di Tara               40
La musica vedica indiana                 45
La musica celtica                        53
La musica irlandese                      56
La musisa scozzese                       59
La musica bretone                        63
Una realtà "sommersa"                    66
La leggenda della città di Ys            68
L'arpa di Ys                             72
Il Bardo degli argonauti                 77
I popoli del mare                        79
Le "tracce" di Dan                       84
L'eredità "atlantidea"                   88
Percorsi bardici                         92
Il sogno perduto                         97
Arpa strumento di ri-evoluzione         103
Verso nuovi sentieri                    109
Il mistero dei Bardi                    112
Il grande viaggio                       116
La musica del Sidhe                     120
La pratica dell'arpa celtica            121
L'arpa del terzo millennio              127
Il mondo eterno di Taliesin             129
La renaissance de l'harpe celtique      134
Le tre musiche                          136
Il Triskell dell'arpa                   138
La terapia                              142
Alcune applicazioni                     145
Le piante magiche                       151
Druidi, arpisti e guerrieri             155
I Bardi del nostro tempo                159

La mitologia dell'arpa celtica
    (di Myrdhin)                        163

Tempo di andare                         184
L'avventura continua                    185

Ringraziamenti                          189


 

 

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Pagina 18

una vita in Bretagna

Da quel primo giorno sulle scogliere a Douarnenez, e il mio battesimo di Bretagna, iniziò la mia vera vita bretone.

Quell'emblematico giorno, infatti, mi aprì un periodo nuovo di vita a Quimper, Annaick divenne la mia compagna e mi introdusse all'ambiente musicale del posto. Grazie a lei incontrai molti dei miei nuovi amici e compagni di viaggio: iniziai a suonare da "Ceilì" con George e un altro Stefan, che divenne subito un fratello per me. Stefan è un ragazzo di colore nato in Bretagna, con lui e George, il tedesco, anch'egli arrivato in Bretagna per destino, iniziai le prime session musicali con il mio liuto.

Poi Stefan partì per alcune settimane, lasciandomi le chiavi del suo flat, che divenne la mia nuova casa. Ero arrivato da poco in Bretagna e una vita bretone, di cui non avevo idea, si realizzava. Avevo tutto: la casa, una compagna folle e coraggiosa, schietta e sincera, luoghi e persone con cui suonare e lavorare, imparare e condividere una nuova esistenza.

Così passarono le settimane: raccontare ciò che accadde mi è quasi impossibile. Molte furono le avventure e gli incontri di quei giorni, molti gli amici e gli incredibili personaggi che ritrovai su quel cammino. Visitai luoghi di valore mitico e naturalistico di enorme forza e magnetismo.

Un giorno con Annaick ce ne andammo in autostop verso la punta di Finistère (Point du Raz).

Quello fu un altro luogo in cui ho lasciato una parte di me e che porto sempre nel cuore. Forse era dentro la mia anima e il mio spirito irrequieti: l'emblematica Punta del Raggio, la fine fisica della terra della Bretagna e dell'Europa continentale stessa, all'estremità del "Cap Sizun".

Come un drago la cui testa si affaccia sull'oceano aperto, la punta del "raggio" fu luogo commovente e drammatico, tra i più significativi per la mia poetica compositiva musicale ed emotiva. Molte delle mie composizioni ancora oggi raccontano ed esprimono la forza struggente di quel luogo eterno e sperduto del mondo, dove la terra irrimediabilmente finisce, lasciando l'unica parola, l'unica poesia, all'infinità implacabile del mare, lasciando a quell'orizzonte, a ovest, dove il sole al tramonto declama l'ultima parola, l'unico sentiero possibile verso una nuova dimensione.

Quel luogo mi invitò a seguirlo, sin dal primo istante, quando vi arrivai con Annaick e l'amico Gael, che ci diede il passaggio in quel giorno glorioso. "Le Point" segna una strada, un sentiero verso un'altra vita. Così "Point du Raz" divenne un luogo maestro per la mia musica e più tardi anche per la mia nuova compagna e sposa nel regno della musica: l'Arpa celtica.


kenavo

In questi anni molti mi hanno chiesto, durante concerti e in altre occasioni, il come e il perché avessi scelto l'arpa celtica come strumento principale del mio percorso sonoro, e la mia risposta più sincera rimane la stessa: che in realtà era stata l'arpa celtica a scegliere me e trovarmi. Un regalo della vita, del destino, degli dèi? Chissà?

Infatti, dopo un paio di mesi di vita in Bretagna, quella esperienza mi aveva dato moltissimo.

Sentii che era tempo di tornare in Italia, tutto era stato così spontaneo e diretto e io non avevo stabilito di fermarmi a vivere in Bretagna, così un giorno decisi di ripartire.

In Italia mi attendevano alcuni progetti: mesi prima avevo ricevuto delle interessanti proposte di lavoro in ambito musicale a Bologna e sentivo di dover tornare e mettere in pratica le nuove idee, di proporre, in quello che era il mio paese di nascita, le mie nuove ispirazioni musicali.

Così, dopo un paio di giorni passati a Lorient, con Annaick e Jean Marc, un altro dei miei nuovi e cari amici di Quimper, mi feci lasciare sulla strada nazionale per Nantes, deciso a ritornare in "patria". Fu allora, in quelle "ultime ore", che un'altra domanda mi colse durante quella poetica, lunga passeggiata sulla spiaggia e il porto di Lorient, con Jean Marc, e Annaick: quale era la mia vera patria? Di certo ero italiano all'anagrafe, ma nel profondo, nel mio cuore e nel mio spirito, era l'Italia la mia vera terra? La risposta me la donarono quelle ultime e intense ore.

No! non era così! Non mi ero mai sentito tale, mai veramente! Sin da bambino avevo avuto un richiamo verso altre terre, le terre del cuore, le terre della mia anima, quelle terre erano pure la mia vera patria e la Bretagna era una di quelle terre ritrovate; quella fu la risposta del mio cuore.

Così, con quella gioia e malinconia al tempo stesso, con quella chiarezza che mi donava forza e nuovo coraggio per il ritorno, mi feci lasciare dal mio amico Jean Marc sulla strada, pronto ad affrontare in autostop (non avevo i soldi per il treno) un nuovo avventuroso viaggio per l'Italia.

Il momento del saluto era giunto e Annaick mi disse che non amava i commiati, da vera bretone preferiva un "Ciao" e un "Arrivederci", o un "Addio" senza sentimentalismi, senza sdolcinati e tristi formalismi, e io, come lei, sentivo la stessa cosa. Ma quando ci trovammo faccia a faccia, a guardarci negli occhi, non fu facile per entrambi. Fu davvero un momento intenso. Quando infatti mi resi conto che stavo per lasciare quella storia, una sofferenza lancinante mi trafisse il cuore. Chissà se avrei mai piu rivisto quella bella compagna bretone, lei, figlia dell'Oceano, nata sull'"Ile de Sein" mi era stata cara come una sorella, era stata la mia accompagnatrice magica e leale, lei pure, capii, provò lo stesso sentimento. Il tempo trascorso insieme era stato così intenso che mi sembrava di aver trascorso con lei un attimo e una vita al tempo stesso... Poco più di due mesi mi avevano fatto vivere esperienze che tanta gente non vive in una vita. La scena, come in un film, aveva dell'irreale ed era invece più vera di tante realtà vissute da me in precedenza.

Ricordo che lei mi disse che saremmo rimasti insieme in un posto nel nostro cuore. "Ne sono sicuro!" le risposi, e poi le dissi dal profondo di continuare così, che lei era bella così, di non lasciarsi incatenare, cambiare, di rimanere per sempre libera come l'avevo conosciuta.

Allora mi venne naturale dirle: "Hey, you remember! One dream, one way, one love", che era un nostro motto, nato spontaneamente in quei mesi. Lei ne fu felice, Jean Marc era più commosso di noi due, e mi disse che avrebbe voluto seguirmi, ma le nostre strade si dividevano e ne era triste... ci rimaneva un ultimo sguardo e un Kenavo (saluto di addio, arrivederci...) che risuonò dentro di noi, e risuonò nell'aria di Loriant.

Kenavo, my friend, Kenavo...

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Pagina 30

l'arpa nel mondo antico

All'origine della musica furono soprattutto tre le famiglie di strumenti, in uso tra le prime civiltà della terra: le percussioni, i fiati (flauti) e i cordofoni.

A quest'ultima famiglia appartiene l'arpa, la cui pratica è molto antica e si perde nella notte dei tempi.

La sua natura è primordiale e deriva dall' arco musicale, una prima forma di arpa in uso tra le società tribali di Africa e Asia. È la Madre degli antichi strumenti a corde e la sua vibrazione ha viaggiato attraverso i millenni per arrivare fino a noi.

Oggi, davanti a un futuro che ci è ignoto, il suo suono segue una linea di continuità atemporale, capace di proiettarci ancora, come nei tempi arcaici, verso la stessa dimensione ancestrale. L'arpa, nel suo viaggio nel tempo, proprio grazie alla sua natura sonora e vibratoria, terapeutica e "magica", è capace di farci compiere questo viaggio e farci rivisitare luoghi diversi, alla riscoperta di uno spirito, un'entità universale che ci appartiene ancora e che l'uomo oggi ha solo dimenticato. Ebbene l'arpa, nel suo suono e nella sua musica, contiene questo "mistero", questa capacità di farci ricordare chi siamo, di ridonare vita all'immaginazione. Essa era ed è ancora un veicolo per "viaggiare" verso un mondo ancora sorprendente e ancora incantato.

Grazie alle fonti storiche e iconografiche, attraverso una moltitudine di ritrovamenti archeologici, possiamo far risalire le prime arpe conosciute alla grande linea culturale delle civiltà egizio-mesopotamiche, civiltà depositarie di una tradizione musicale millenaria. L' arpa arcuata, che deriva direttamente dall'arco musicale, era suonata a partire dal 2800-3000 a.C., presso l'antico Egitto e la civiltà di Sumer.

Tra le più antiche testimonianze di arpe, oltre a quelle della Mesopotamia e dell'antico Egitto, vanno citate alcune emblematiche statuette di marmo, ritrovate in siti funerari presso le isole Cicladi nella regione dell'Egeo, risalenti al 2500 a.C.. Esse rappresentano musicisti seduti con un tipo di arpa a testa circolare. Non è chiaro che tipo di arpe o lire fossero questi strumenti, ma il fatto che gli arpisti avessero delle apposite sedie suggerisce l'importanza di queste figure. Non essendo tali oggetti di uso comune in quel periodo nel Mediterraneo, tali statuette testimoniano l'uso dell'arpa tra antiche popolazioni ioniche di probabile origine pelasgica, cioè di genti appartenenti alle antiche stirpi dei cosiddetti "popoli del mare" che abitarono le isole del mare Egeo.

Tra i molti tipi di arpe mesopotamiche, è difficile fare una classificazione, poiché esse subirono una continua serie di mutamenti ed evoluzioni nella prassi esecutiva e nella costruzione (e quindi nella qualità sonora), ma sappiamo che i tipi principali furono due: la prima, e più antica, arpa arcuata e l' arpa angolare.

Esistono due tipi di arpe arcuate. Quelle verticali, la cui forma è molto simile a quella dell' arco musicale, da cui provengono direttamente, furono le prime nel tempo a essere suonate. Quelle orizzontali, di cui conosciamo degli esemplari (alcuni rappresentati nel vaso babilonese di Bysmia, ca. 3000 a.C.), differiscono molto dalle prime nella forma e nel modo in cui erano suonate.

Presso la civilta assiro–babilonese e sumera, le arpe vengono raffigurate ampiamente per 3000 anni e le vivaci rappresentazioni ci lasciano scoprire dettagli esecutivi preziosi, anche per capire il tipo di musiche e danze che venivano eseguite. Tra queste compaiono gruppi di sette arpe, suonate da rispettivi arpisti che eseguono parti orchestrate, creando un "ensemble" di polifonia arcaica.

Presso l'antico Egitto la musica era già molto sviluppata, nei suoi aspetti teorici e pratici, già dal 2700 a.C.. Durante quello che noi chiamiamo Antico Impero, tra la terza e la quarta Dinastia, si stabilirono le basi della teoria musicale, coeve delle grandi costruzione in pietra che segnano l'apogeo del culto solare (2707-2216 a.C.), quando la musica deteneva un ruolo ben lontano da quello di semplice passatempo e si inseriva in un quadro di pensiero assai elevato, della cosmologia e della religione: essa si integrava in un sistema di proporzioni, di cicli, ritmi e misure.

Qui l'arpa assume un ruolo preferenziale tra gli strumenti e il suo uso rituale, all'interno del culto e nella musica di corte presso l'Antico Regno, è testimoniato da dettagliati dipinti e testi.

Grazie a ritrovamenti di strumenti ancora intatti e sopravvissuti nei millenni, oggi abbiamo anche la possibilità di conoscere le sonorità di queste antiche arpe egizie, oltre che molte informazioni che ci fanno comprendere anche la prassi e la teoria, quindi la musica che veniva realmente suonata dagli arpisti egizi.

Essendo la musica un'arte non tangibile, l'ordine che la definisce presso gli Egizi, come pure tra i Mesopotamici, era considerato lo stesso che regolava le leggi e l'ordine dell'universo e questa visione, consolidata nella cultura dei faraoni fino alla fine del loro regno, diviene il punto di partenza della teoria musicale greca.

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Pagina 136

le tre musiche

Il Triskell è un simbolo universale antichissimo, che si ritrova in diverse forme presso molte civiltà differenti. I druidi lo adottarono e lo introdussero nella società celtica: rappresenta l'azione delle tre forze che creano il movimento. È un simbolo di evoluzione e rappresenta il perpetuo ruotare dei cicli cosmici, delle trasformazioni delle forze della vita e degli elementi che agiscono nell'universo.

Nella filosofia dei druidi, la triade ha un'importanza determinante: tre principi formano una triade e la conoscenza viene stigmatizzata e racchiusa in tre fasi. Tre frasi bastavano a comunicare i concetti fondamentali. La Dea viene rappresentata con tre volti e solo comprendendo la sua triplice natura si può accedere ai suoi grandi misteri.

Proprio in base alla capacità di infondere nell'ascoltatore i tre effetti fondamentali generati dalla musica, si distinguevano la capacità, il talento e il potere di un arpista bardo.

È fantastico come si possano racchiudere enormi possibilità espressive in tre soli stati emotivi e in tre scale o modi musicali.

Molte melodie celtiche celano veri e propri incantesimi e dimostrano una conoscenza profonda da parte dei musicisti, che le elaborarono da millenni, sin da tempi che risalgono al regno di Sumer. Alcune di esse sembrano possedere qualità "speciali" all'interno del flusso dei ritmi e delle melodie. Da musicista e bardo, ho sperimentato molto la terapia e la trance delle melodie celtiche e posso tranquillamente affermare che molte di esse sono di impatto immediato ed efficace e possono curare la mente e le energie di molta gente: basta ascoltarle veramente e viverle. Da questo ascolto vissuto scaturisce la musica della danza e la voglia di parteciparvi.

Nelle musiche bretoni o irlandesi, per esempio, spesso le parti di una danza sono due ma, nel suonare le due sezioni e nel ripetere l'intera struttura, si attua una magia circolare, un "Triskell sonoro": le due parti, suonate consecutivamente in cerchio, diventano una terza cosa. Il due diventa un tre, e questa struttura ricorre in molte musiche etniche di antiche origini. Il patrimonio musicale celtico ci tramanda un'enorme quantità di melodie di questo tipo, che oggi compongono un patrimonio di musiche etniche e sonorità appartenenti a una origine culturale comune a tutta l'Europa.


il triskell dell'arpa

Le arpe celtiche ci permettono ancora oggi di ascoltare un suono puro, dinamico ed evocativo, che riconduce a un mondo magico incontaminato, che costituisce un'importante eredità per l'intera cultura occidentale. Esso crea un ponte tra sogno e realtà, tra Oriente e Occidente, tra dimensioni interiori mitiche e simboliche e la realtà quotidiana esterna che ci circonda.

L'arpa celtica si rivela uno strumento chiave per aprire uno spiraglio, da cui filtra un barlume di luce ancestrale. Un semplice ascolto dal vivo dell'arpa, privo di contaminazione mentale e aperto al suono, può testimoniare l'esistenza reale di questo mondo invisibile.

L'antica tradizione mitica dei Tuatha Dé Danann, come si è già detto, attribuisce al Dagda l'uso della prima arpa magica, chiamata Una e molte leggende testimoniano i poteri nella musica dell'arpa del Dagda. Si narra che il capo dei Tuatha avesse un suo personale bardo e maestro nell'arte del suonare l'arpa: il suo nome era Uaithne. Egli era sposato con Boand, la dea del fiume (il sacro fiume d'Irlanda, Boyne).

Boand ebbe tre figli, il primo dei quali nacque da un parto difficile e doloroso, così che Uaithne, per sedare il dolore del parto della sua sposa, suonò la magica arpa del Dagda. Il figlio che nacque da quel primo doloroso parto fu chiamato Goltraì e la musica malinconica che Uaithne suonò in quell'evento venne pure chiamata Goltraì: la musica del pianto.

Alla nascita del suo secondo figlio, Boand non provò dolore, ma quel parto fu gioioso e facile e al figlio che ne nacque fu dato il nome Geantraì, così la musica festosa di gioia che Uaithnè suonò in quel secondo parto fu per sempre conosciuta con il nome di Geantraì: la musica del sorriso.

La nascita del terzo figlio di Boand fu la più facile di tutte. Ella cadde in un sonno profondo, al suonare di Uaithnè, dando alla luce l'ultimo figlio, chiamò Suantraì, così questa musica fu chiamata, come il terzo figlio, Suantraì: la musica del sonno.

La leggenda ci dice che tutti e tre i figli divennero i più grandi arpisti nel loro tempo, che fu da loro che ebbe inizio la tradizione dell'arpa in Irlanda e Scozia. Dalla sua triplice natura, questa musica fu chiamata: Tri Fuìnn o Trì Struthan. Le tre musiche: del pianto e della tristezza; del riso e della gioia; del sonno incantato e visionario.

Nella tradizione, l'arpa era usata dai bardi celti anche a scopo terapeutico per curare gli squilibri della mente e dello spirito, per dare coraggio ai guerrieri, per ipnotizzare i malati, per il parto indolore e in molte altre applicazioni.

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