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| << | < | > | >> |IndiceCapitolo 1. Ludoni 7 Capitolo 2. Scirsk 13 Capitolo 3. Chredino 15 Capitolo 4. Zalazy 19 Capitolo 5. Pavy 26 Capitolo 6. Driazzinka 33 Capitolo 7. Uza 35 Capitolo 8. Porchov 37 Capitolo 9. Karacunicy 44 Capitolo 10. C๋rnorec'e 49 Capitolo 11. Logovino 51 Capitolo 12. Maksakov Bor 54 Capitolo 13. Lileevo 59 Capitolo 14. Zagorody 73 Capitolo 15. Jamok 78 Capitolo 16. Bubrovka 93 Capitolo 17. Pozerevicy 105 Capitolo 18. Abonezka 111 Capitolo 19. Krivcy 115 Capitolo 20. Sorokino 120 Capitolo 21. Jam 129 Capitolo 22. Mjasovo 134 Capitolo 23. Ador'e 145 Capitolo 24. Karuzy 150 Capitolo 25. Bol'soe Kivalovo 167 |
| << | < | > | >> |Pagina 7CAPITOLO 1. LUDONI
All'altezza di Ludoni imbocco l'uscita per Porchov lasciando la
trafficata autostrada federale Pietroburgo-Pskov-Kiev e improvvisamente finisco
in un altro mondo: qui inizia il vero territorio della
regione di Pskov. Un autunno di tanti anni fa, passando a tarda ora
fuori Ludoni, uscimmo dalla carreggiata illuminata e ci fermammo
sul ciglio per una breve sosta. Davanti a noi la pianura si spalancava
nel silenzio senza una sola luce digradando nera come pece. Da
questo versante della periferia di Ludoni ci saremmo immersi nell'oscurità
dell'ampia vallata. Sapevo benissimo che prima e dopo
Porchov, per centinaia e centinaia di verste fino alla destinazione
del nostro viaggio il paesino di Bol'soe Kivalovo non avremmo
più trovato distributori di benzina né meccanici, tanto meno negozi, ospedali o
lampioni stradali se non in un unico paesino. Ci
attendeva una strada brutta, anzi bruttissima; di lì a cinque chilometri il
segnale di roaming sarebbe sceso a una sola minuscola tacca fino a quando il
cellulare non avrebbe più dato segni di vita (la radio già da un pezzo sibilava
come olio bollente in una padella),
ma nonostante tutto nell'animo regnavano pace e tranquillità assoluta. In quel
momento nel sud del paese imperversava la guerra cecena, le città rimbombavano
di esplosioni, la vita febbrile e spasmodica delle megalopoli non si fermava,
mentre qui c'era un silenzio che placava l'anima. Per dirla con Nekrasov:
Nelle capitali c'è rumore, tuonano gli oratori, Ribolle la guerra delle parole, Mentre lì, nel cuore della Russia, Regna un silenzio secolare.
Nel portabagagli una tanica di benzina, due ruote di scorta, una
bottiglia di vodka e una corda, perché non si sa mai... cos'altro poteva
servirci per attraversare la vallata in qualche ora?
In fin dei conti, immersa nella luce fioca della sera autunnale, la vallata
non era né morta né deserta. Sotto la coltre dell'oscurità autunnale ferveva la
vita, qui la storia millenaria proseguiva il suo corso, la
memoria del passato era rimasta impigliata nelle tortuosità delle strade e dei
fiumi, riaffiorava nei nomi dei paesini e delle cittadine; qui
erano accadute vicende sorprendenti, misteriose, terribili e divertenti,
da raccontare con piacere al compagno di viaggio perché non si addormenti
cullato dal rombo regolare del motore e dallo stridore degli
pneumatici... A patto che non venga a chiedermi da dove le ho tirate fuori o in
quali annali le ho lette. Il mio racconto non è meno attendibile delle
informazioni contenute nelle cronache medievali o in
qualsiasi monografia corredata di note su quelle stesse leggendarie
fonti. E comunque, come ebbe a scrivere il padre della storiografia
russa Vasilij Tatiscev: "Non si impedisca ad alcuno di concepir avvenimento
inserendovi qualche piccola circostanza di non troppo conto se ciò potrà
indiscutibilmente servire al maggior onore della Patria." Forti, quindi, dei tre
capisaldi della filosofia russa ("Fa niente", "Fa lo stesso", "Di riffa o di
raffa"), tuffiamoci nella notte dei secoli...
Alle porte di Ludoni, a sinistra, si estendeva per centinaia di chilometri
quadrati (su un'area pari alla metà del Lussemburgo) una palude chiamata "Laguna
della Ripassata": un vero e proprio acquitrino, luogo spaventoso e
impraticabile, impercorribile, impenetrabile, imp...
A questo punto farò una piccola digressione toponomastica. Si sa che
nel XVIII secolo nelle attività investigative a sfondo politico l'eufemismo
"ripassare" era di norma utilizzato per sostituire un altro ben più
noto verbo che indicava una presunta (o vagheggiata) intimità sessuale
tra l'inquisito e l'imperatrice. Non appena il futuro criminale lo proclamava
pubblicamente e a gran voce veniva acciuffato e, come si legge
nelle cronache del tempo, "buttato" nel fondo di una cella nota con l'assai
eloquente denominazione di "disgrazia" (da qui l'espressione "cadere in
disgrazia') e successivamente trascinato di forza nel "torturatoio"
o camera di tortura. Durante l'inchiesta, i protocollisti annotavano su
un documento a parte la sconveniente parolina originaria, in seguito il
suddetto vergognoso documento veniva distrutto. Nel testo della sentenza
l'espressione "in causa" (vale a dire che aveva costituito capo d'imputazione)
veniva sostituita con l'eufemismo suddetto e un'integrazione: "... profferendolo
senz'ombra di vergogna." Dagli antichi atti si
evince persino l'esistenza di una specifica scala di eufemismi. Per i termini
convenzionalmente designati con gli eufemismi "ripassare", "penetrare" e
"infilare" (ad esempio: "... e proferì senz'ombra di vergogna:
la vostra sovrana mi son ripassato") era prevista una pena che per i
tempi che correvano poteva dirsi sufficientemente umana: dopo avergli
mozzato la lingua, il reo veniva battuto con la verga e spedito al confino nella
città di Nercinsk. La pena capitale spettava invece allo spudorato che nei
confronti della sovrana avesse utilizzato un verbo rimasto
a noi ignoto e che solitamente era celato dietro l'eufemismo "straripassare".
Sono convinto che ora, forti di questa parentesi chiarificatrice,
il reale significato del nome della palude di Ludoni apparirà limpido
come l'acqua anche al più verecondo dei lettori.
Vale poi la pena di dire che in questo "Lussemburgo del Nord" esiste un gran
numero di luoghi sconosciuti e inesplorati su cui mai si
è posato piede umano (o sarebbe meglio dire "immerso"?), che è
pur arrivato a posarsi, come tutti sanno, sull'Everest e sulla Luna...
Così nel corso dei secoli, il giorno del solstizio d'estate, gli abitanti
dei villaggi limitrofi hanno udito un agghiacciante barrito di tromba giungere
dall'alto dei cieli e all'imbrunire hanno scorto tenui bagliori di fuoco
aleggianti sulle paludi. Non appena echeggiava quel
terrificante suono, tutti i contadini del circondario cadevano a terra
come spighe falciate nel punto esatto in cui quella voce celeste li
aveva sorpresi, sentivano le forze andarsene e in preda a un'angoscia
mortale piangevano rimanendo a terra immobili, impietriti dall'inattesa
sciagura. Oggi gli scienziati si riferiscono a questo raro fenomeno chiamandolo
"acciacco degli ulati": in epoche lontanissime
esso affliggeva l'antichissimo popolo dei megaliti che abitava la parte
orientale dei paesi baltici. I familiari di quei poveri disgraziati
erano poi costretti a riportarli a casa trascinandoli per mani e piedi
o in groppa di cavallo. Sorprende alquanto che su donne e bambini
quel lamento celeste non avesse alcun effetto, ragion per cui gli uomini
venivano ingiustamente accusati di abuso di bevande alcoliche. Il fatto che tra
gli uomini rimasti d'improvviso senza forze nei
giorni più caldi del periodo della fienagione vi fosse effettivamente
un gran numero di ubriachi alterava in modo considerevole il quadro della
situazione. Alla fine la gente iniziò ad abbandonare gradualmente quei luoghi
pericolosi cosicché oggi, nei dintorni della Laguna della Ripassata, non rimane
più un solo villaggio.
Tra l'altro l'epos spiega quale sia la reale causa dell'"acciacco degli
ulati": sembra infatti che una volta l'anno, tra le nuvole, a incredibile
altezza dal suolo, abbia luogo una lotta (anzi, più semplicemente, una
zuffa) tra due draghi per il dominio della località descritta. L'ipotesi
sarebbe stata confermata anche da misteriosi reperti rinvenuti nelle
paludi limitrofe: enormi brandelli di carne puzzolente con resti di ruvida pelle
simile a quella dei serpenti. I pezzi di questi Fafnir avrebbero fatto pensare
ai rottami dell'aereo spia americano U2 abbattuto alla metà del secolo scorso
dai prodi soldati delle nostre truppe missilistiche, se poco lontano da lì non
fosse stata ritrovata una testa simile a una mostruosa cavalletta con gli occhi
sporgenti.
Che negli abissi della Laguna della Ripassata esistessero davvero dei
draghi suscitando nell'uomo un
horror draco
è fatto assolutamente dimostrabile. Oggi, seppur a piccoli passi, la scienza
inizia a riconoscere che alcune specie di animali anfibi potevano avere (già in
epoca storica) oltre alle ali membrane di pelle simili a quelle di cui
erano dotati i vari pterosauri, pterodattili, pteranodonti e ranforinchi
preistorici anche particolari ghiandole in grado di produrre
un gas infiammabile o una particolare miscela liquida (probabilmente acido
solfidrico): tale sostanza si incendiava quando l'animale era oltremodo irritato
e la temperatura corporea si innalzava.
Negli annali russi sono frequenti i riferimenti a queste terrificanti
creature celesti. Negli annali del 1091 ad esempio si legge che durante una
battuta di caccia del Gran Principe Vsevolod "dall'etra
precipitò un serpe gigantesco che ogni gente fece inorridir e in quel
mentre la terra fu scossa da un gran boato che tutti udirono". Un'altra cronaca
riferisce che sul far della sera dell'otto di dicembre dell'anno 1411 "i cieli
furono solcati da un serpe alato gigantesco e di
assai terrificante aspetto che dalle fauci soffiava fuoco. Volava da
Oriente a Occidente e riluceva come un sole al sorgere. E lo videro
il principe Vasilij Michailovic e i boiari e le genti tutte di ogni villaggio...
e lo videro nello stesso momento". Infine, in epoca più
tarda, nel 1719, da Arzamas giunse una denunzia in cui il commissario
distrettuale Vasilij Stykov informava che durante una violenta
tempesta "dai cieli, effondendo orribile lezzo, cadde un serpe che
ardeva per prodigio divino". Ogni tentativo di portar il serpe alla
Kunstkamera di Pietroburgo si era rivelato vano perché a causa della calura il
cadavere del mostro si era velocemente putrefatto.
Ai giorni nostri i terrificanti lamenti sono ormai cessati (o forse non c'è più nessuno che possa udirli in quelle località remote e deserte?) e dai sereni cieli estivi di tanto in tanto risuona solamente il botto di un aereo che rompe la barriera del suono... Ma ovviamente non di U2 si tratta. | << | < | > | >> |Pagina 26CAPITOLO 5. PAVY
Località bizzarra e poco conosciuta. Gli automobilisti solitamente
attraversano il paesino alla velocità di ottanta chilometri orari,
contravvenendo a tutte le norme del codice della strada: il fatto è che
chi siede al volante, senza volerlo, viene colto da un vago timore,
via via più intenso soprattutto nelle ore serali, dopo il calar del sole. Gli
abitanti dei dintorni hanno più volte raccontato che il paesino, assolutamente
deserto di giorno, sul far della sera si rianima sinistramente e per la strada
iniziano a saettare strane ombre, a rilucere occhi nel buio, e dai finestrini
socchiusi delle macchine entra un odore di umido e marcio. Al limitar del
paesino solitamente
non illuminato, poco distante dal cimitero, si trova l'unico negozio
di tutto il circondario con una grossa insegna luminosa che emana
una specie di chiarore o fosforescenza soprannaturale con la scritta
"L'eterno riposo. Onoranze funebri". E quando capita di passarci
accanto nella semioscurità, la schiena è percorsa da brividi e la
fronte si riga di sudore freddo, come succede ai famosi eroi del film
Dal tramonto all'alba.
Si dice che nei pressi del negozio, sotto la luce tremolante dell'insegna, si
affollino cadaveri nudi che litigano, si strappano l'un l'altro le corone di
fiori, i lenzuoli funebri e altri articoli mortuari...
ศ possibile che si tratti solamente di voci poco attendibili o delle
allucinazioni di un automobilista stanco, oppure può anche darsi che
non si tratti né di voci né di allucinazioni. Il quotidiano locale, il
"Corriere di Porchov", il 15 settembre 1994 è uscito con un articolo
su un episodio accaduto nella zona agli inizi dello stesso mese di settembre,
nel giorno di "Santa Teodora alessandrina, l'autunno s'avvicina", intitolato
OSCENA SFILATA. "Una coppia di individui completamente nudi si è fatta strada
tra i fischi e le urla dei passanti. Gli
agenti di polizia di pattuglia, però, li hanno arrestati prima che potessero
guadagnare la porta di casa. Giunti al commissariato, coperti alla meno peggio,
i due fermati hanno spiegato di essere diventati nudisti contro la propria
volontà. Sembra che quella stessa mattina, di buon'ora, l'affiatata coppia
originaria del paese di Cervisci
fosse uscita di casa munita di zappa per andare a raccogliere patate
in un orto altrui. E lì era stata colta con le mani nel sacco dal padrone del
terreno, il magazziniere Bibikov-Skal'skij. Puntando il fucile contro i due
ladri, l'uomo aveva ordinato loro di spogliarsi, di
buttare abiti e zappa nel fiume e li aveva mandati a casa di Dio."
C'è chi sostiene che tutta questa storia altro non sia che la classica
fandonia di facciata. In realtà, le autorità hanno tenuto nascosti all'opinione
pubblica alcuni spaventosi particolari riguardanti l'accaduto: quando furono
fermati l'uomo e la donna, nudi, parlavano
con una bizzarra voce rauca, e giunti al commissariato nei locali si
era fatto improvvisamente freddo, tanto che all'agente intento a
stendere il verbale si era addirittura congelato l'inchiostro della penna (ed
era appena l'inizio di settembre!). La cosa più impressionante, però, era che
sul corpo dei due arrestati fossero apparse inconfondibili macchie cadaveriche
(che alcuni, tuttavia, ritengono ematomi comuni per questa specie di umanoidi).
Oltretutto dai cadaveri emanava un lezzo talmente ripugnante che persino i
poliziotti, ormai abituati a tutto, si erano adoperati per farli uscire quanto
prima dal commissariato con il pretesto della non sussistenza di reato.
Al che la coppia era andata a nascondersi nell'oscurità proprio sul
retro del negozio L'eterno riposo. Onoranze funebri.
Appena fuori Pavy, a destra della strada che porta a Zaborov'e, si
apre un campo di papaveri di straordinaria bellezza. Il luogo è noto
come Kozjul'kiny Gorby. A dire il vero, nell'era dell'Ente federale
per il controllo sul traffico della droga e delle sostanze stupefacenti
non c'è più nessuno così sconsiderato da mettersi impudentemente
a coltivare papavero (tanto che le brioche ai semi di papavero sono
diventate una vera e propria rarità). In questo caso però le cose
stanno diversamente: nonostante le alterne vicende del sistema politico ed
economico, il sovchoz post-sovietico sopravvissuto da
quelle parti, anno dopo anno, si ostina a coltivare i campi a segale e
ogni volta la segale sparisce tra la rigogliosa macchia di papaveri
rosso fuoco. Per questo motivo, dalla strada si ha quasi l'illusione di
penetrare in una remota provincia afgana. I tentativi di alcuni cittadini
particolarmente solerti che percorrono la strada che costeggia il campo di
denunciare via cellulare, a chi di dovere, i narcotrafficanti locali non hanno
portato a nulla. Interpellati dal Comitato
statale di Cerkesov, i minacciosi investigatori del reparto speciale
dell'OMON sono giunti a volto coperto, sono sbarcati dalle loro lussuose
autovetture sul ciglio della strada e scesi nel campo, contrariati, sono poi
prontamente ripartiti. A quanto sembra, sul suddetto terreno non è affatto il
papavero a crescere rigoglioso. Ossia, tecnicamente parlando, si tratta in
effetti di papavero, ma di una strana specie...
La storia di questo luogo è permeata di leggende popolari. Si può
affermare con certezza che all'ambito dello scandalo è legata una
parabola pskovese sull'utilità della buona creanza.
Anticamente il popolo di Pskov si distingueva per particolari
caratteristiche di onestà, schiettezza e spontaneità, sconosciute alle genti
limitrofe. Inoltre gli pskovesi erano religiosi e istruiti e avevano usi e
costumi raffinati. Esattamente in questi termini li descriveva nel XVI secolo il
viaggiatore Siegmund von Herberstein. Lui stesso sottolineava che tale
raffinatezza aveva subìto una degenerazione nel momento in cui Pskov
era stata annessa a Mosca, la quale aveva introdotto sul territorio della
repubblica i propri usi e costumi rozzi e viziosi, per giunta mettendo
tutti a stecchetto: gli archeologi, infatti, hanno potuto testimoniare, in
base ai ritrovamenti ossei, che il numero degli animali domestici che i
ceti alti erano soliti tenere in casa nella Pskov medievale, dall'inizio del
XVI secolo allorché Pskov era finita nelle grinfie di Mosca era
drasticamente diminuito. Noi di Pietroburgo ne sappiamo qualcosa, sebbene, come
sta venendo fuori adesso, anche i pietroburghesi non sono
stati un gran regalo per Mosca e la patria! Per questo a tutt'oggi tra la
popolazione pskovese non sono poche le persone di grande educazione,
generosità e benevolenza che si sono meritate l'affettuoso nomignolo di
villici pskovesi, ma non sono pochi anche i cafoni che racchiudono in sé
tutte le caratteristiche morali degli antichi invasori moscoviti.
Insomma, in tempi antichissimi (comunque successivi all'occupazione della libertaria terra di Pskov) due contadini di terreni confinanti, un giorno di autunno, stavano seminando a grano vernino i rispettivi appezzamenti di terra. A un certo punto furono avvicinati da un vecchio viandante di umile aspetto con in mano una bisaccia e un martello che chiese loro cosa stessero seminando. Tutti sanno che nei confronti dei vecchi storpi e vagabondi è buona norma usare particolare cautela, anzi meglio forse mostrarsi quanto più premurosi e compassionevoli giacché è risaputo che sotto le mentite spoglie di innocui vecchietti possono talvolta celarsi straordinari esseri umani e talaltra addirittura non umani, basti ricordare: Fédor Kuz'mic, un angelo, un diavolo, San Nicola taumaturgo. Può anche capitare che ti faccia visita un ispettore del fisco o addirittura il presidente in persona. Le conseguenze di parole poco gentili rivolte a un nonnetto del genere possono essere le più inattese. Cosa che avvenne proprio nel caso di cui narriamo. Uno dei due uomini era un villico pskovese autentico e rispose cortese al vecchietto: "Semino segale, buonuomo." Al che il vecchietto aveva replicato: "E allora che Dio t'aiuti: che la segale ti cresca alta e ricca di chicchi." L'altro contadino, invece, un villano d'ascendenza moscovita, alla domanda del vecchietto rispose da cafone quale era (a pesci in faccia, insomma) dicendo: "Di che t'impicci, vecchia larva che non sei altro, pianto caz... io! Levati di mezzo!" Al che il vecchietto, volendo più o meno essere gentile aveva ribattuto: "E allora che Dio t'aiuti e ti faccia venir su caz... rigogliosi" proseguendo poi per la polverosa strada maestra in direzione di Pavy. E nessuno lo vide più. In quel momento molti sentirono il fragoroso rombo di un tuono a ciel sereno. Evidentemente dai due contadini era sceso il dio Thor in persona con il suo martello tonante: è risaputo che quel dio era uno sfacciato, furbo e briccone, e per farsi quattro risate amava giocare brutti scherzi, mutandosi d'aspetto... A primavera i contadini arrivarono nei campi sulle Kozjul'kiny Gorby e videro che al primo dei due era spuntata una segale rigogliosa, un raccolto da quasi quaranta volte la semente (paragonabile a quello della moderna Danimarca), mentre l'altro, a guardar da lontano, pareva avesse l'intero campo seminato a papavero erano spuntati i famosi caz... promessi dal vecchietto impalpabili teste rosse dondolate dal vento, disseminate su un'intera desjatina di terra, una tale distesa da non saper neanche dove mettere i piedi. E cosa poteva fare il disgraziato contadino? Si precipitò in paese, prese una falce e via a mietere il campo. Ma li cascò l'asino perché un giorno lui finiva di mietere e il mattino seguente era da capo a dodici: ritti stavano quei maledetti, e si allungavano, inumiditi dalla rugiada e illuminati dal primo sole del mattino. Insomma, il contadino diventò lo zimbello del circondario, attaccò gli attrezzi al chiodo, cacciò tutti di casa e cominciò a darci dentro col bicchiere. In autunno inoltrato, sulle Kozjul'kiny Gorby, tra gli altri campi vuoti continuò a essere visibile solo la sua striscetta di terreno non falciato, fino a quando non fu interamente ricoperta dalle prime nevicate. | << | < | > | >> |Pagina 44CAPITOLO 9. KARACUNICY
Luogo anticamente abitato dai Brevi, popolo di bassa statura sulla cui
estinzione ancora non si è fatta chiarezza. Si ipotizza che i Brevi fossero un
gruppo separatosi dal popolo dei megaliti per sfuggire all'avanzata delle tribù
ugrofinniche, trovando rifugio negli impenetrabili
boschi di Porchov. Secondo la leggenda i Brevi si distinguevano per la
statura estremamente bassa (meno di un metro: da qui il nomignolo
di "Brevi") di origine genetica nonché legata all'eccessivo apporto
proteico nella loro alimentazione (si nutrivano principalmente di insetti e
vermi). I Brevi vivevano in grossi carri ricoperti da un tendone.
In epoca successiva l'intera tribù emigrò in Africa in groppa a cicogne
grigie e non si esclude possano essere proprio loro gli antenati dei
moderni Pigmei dell'Africa Centrale. La scienza rifiuta risolutamente
e integralmente l'ipotesi avanzata dal famigerato cronologo Fomenko
secondo cui il re dei Franchi, Pipino il Breve, e il re polacco riunificatore
della Polonia, Ladislao il Breve, fossero entrambi discendenti della tribù dei
Brevi. L'opinione della maggioranza degli storici è unanime e si fonda sul
generale sviluppo delle conoscenze storiche: una cosa del genere non avrebbe mai
potuto essere perché non avrebbe mai
potuto essere. Sconfessato l'impudente, procediamo.
I reperti rinvenuti da archeologi dilettanti sia in fosse funerarie che
in discariche suscitano non poche perplessità anche tra gli specialisti più
autorevoli, in particolar modo le rarissime ceramiche "premi
e allunga": una grande quantità di pentole con manici a forma di
pigna (tipiche della civiltà centro-africana degli Nyam-Nyam), decorazioni a
motivi bitorzoluti, frammenti di uova di struzzo dipinte
e infine anche cauri, conchiglie utilizzate come moneta in alcune
zone tropicali. La scoperta più sorprendente degli archeologi, però,
rimane il ritrovamento di un incredibile numero di zucche svuotate
e usate ancora oggi dalle popolazioni africane come contenitori per
acqua e bevande alcoliche. Sono state rinvenute così tante zucche di
forma varia con all'interno tracce di distillato di maracuja che la loro elevata
concentrazione ha riportato alla memoria le montagne di
bottiglie di vino sull'isola di Sachalin. Come molti sapranno, anche
in epoca sovietica, quando vigeva la legge fondamentale dell'economia secondo la
quale "in economia bisogna fare economia", riportare in Russia dall'isola
bottiglie di vodka e birra vuote non era
granché redditizio e pertanto il detto "bottiglia restituita, sbornia
smaltita", con grande sorpresa di tutto il paese, era assolutamente
sconosciuto agli abitanti di Sachalin e ogni volta era necessario ricominciare a
spiegar loro tutto da capo, quasi fossero una manica di
senzadio stranieri e astemi.
ศ curioso che la passione per l'alcol si sia radicata tanto profondamente
nella nostra mentalità da mantenere viva nel XX secolo un'articolata
gamma di espressioni folcloristiche che fanno riferimento ai vari gradi
di alcolismo "professionale": magari vi sarà capitato di sentir dire che i
pompieri bevono fino ad avere il fumo negli occhi, i calzolai fino a
stendersi come una suola, i pretini fino a farsi benedire, i falegnami
tanto da sposarsi una persiana, i cacciatori fino a perdere colpi, i filosofi
fino a perdere coscienza, e persino gli infermieri bevono fino a sbarellare. E
se ne possono scoprire molte altre sfogliando le pagine di testi
specializzati: un direttore di zoo beve fino a prendersi una scimmia, il
marinaio tanto da perdere la bussola, il sarto il filo del discorso, il
musicista fino a ritrovarsi suonato, il principe fino a perdere la corona, il
venditore di stoffe fino a non avere più sete, l'oste fino a vendere fischi
per fiaschi, il fornaio fino a impastarsi la lingua, il boia fino a non saper
più come ammazzare il tempo, il fantino fino a perdere le staffe e
via dicendo. Buona parte di un piccolo manuale di conversazione russo-giapponese
a uso dei marinai è dedicato proprio all'argomento:
Otsugi shimashouka?
(Le verso da bere?),
Sukoshi dakeni shite kudasai
(Giusto per gradire),
Kanpai shimase!
(Su, beviamo.),
Goshujin no tame ni!
(Alla salute del padrone di casa.),
Watashi osakewa nomemasen
(Io non bevo),
Isha ni tomerarete imasu
(Io non posso, me l'ha proibito il medico),
Mou yotte imasu
(Per me basta) e via dicendo...
I ritrovamenti nell'antica capitale dei Brevi hanno permesso agli
sienziati di ipotizzare l'esistenza di contatti attivi tra la cultura di
Karacunicy e il tradizionale stile di vita delle popolazioni dell'Africa
Centrale già prima che i Brevi prendessero il volo. Approfittando
probabilmente degli annuali flussi migratori delle cicogne alcuni
emissari dei Brevi avevano effettuato voli in Africa, andata e ritorno, per
piccoli scambi commerciali, avviando così nella regione di
Pskov una fornitura ininterrotta di ornamenti, conchiglie cauri e,
soprattutto, di zucche svuotate e riempite di quel distillato di maracuja che
per chissà quale motivo i Brevi avevano iniziato ad amare
tanto. In sostanza è verosimile che i Brevi fossero saliti in groppa alle
cicogne e fossero volati in Africa proprio perché desiderosi di arrivare alla
fonte stessa della magica vodka alla maracuja. Le cose, però, non furono così
semplici. Di lì a poco, all'interno della tribù si
crearono attriti: forse un gruppo di Brevi voleva fare ritorno nella
fresca Patria, che però non stava proprio dietro l'angolo. Nel folclore dei
moderni Pigmei si sono conservati numerosi miti sull'ancestrale inimicizia tra
Pigmei e cicogne. Una leggenda racconta confusamente di come le cicogne, dopo
aver condotto i Brevi in Africa
Centrale in autunno, si fossero categoricamente rifiutate di ricondurli a Pskov
la primavera successiva a causa, sembrerebbe, dell'eccessivo peso dei bagagli (i
Brevi, come è comprensibile, si erano caricati a più non posso di zucche colme
di vodka alla maracuja). In
poche parole, con questo ridicolo pretesto le cicogne lasciarono a
piedi i Brevi facendo così scoppiare l'antica inimicizia. E così la nostra tribù
pskovese fu costretta a rimanere in Africa e lì, sotto il sole
dei Tropici, dall'oggi al domani, divenne scura di pelle, crebbe ancora un
pochino in altezza nutrendosi di piante e si trasformò nei
Pigmei che conosciamo tutti, i quali, tra l'altro, sono comunque
notevolmente più chiari delle altre etnie africane.
Nelle vicinanze di Karacunicy si trova la proprietà di Krasnyj Bor, la
Pineta Rossa, casa natia dell'ultima
protegée
dell'imperatore Paolo I
di Russia, Anna Petrovna Lopuchina. E proprio da lì la donna partì
alla volta di Mosca per partecipare all'incoronazione di Paolo, spostandosi poi
a Pietroburgo dove il sovrano come pudicamente
scrive lo storico di palazzo Michajlovskij era solito "distrarsi da
impegni e preoccupazioni con la di lei compagnia". Si ritiene che i
muri del castello Michajlovskij siano stati dipinti del colore del corpo della
donna: personalmente mi permetto di pensare al colore del
suo sedere sebbene la maggioranza degli storici, solo ed esclusivamente in virtù
della bigotteria tipica della professione, parli dei
guanti che, in occasione di un ballo, il sovrano avrebbe ottenuto da
Anna dopo ripetute istanze giacché, innamoratosi del loro colore,
aveva deciso di farne dipingere i muri del castello. La sola idea che a
un ballo il monarca, nonché Imperatore nonché Gran Maestro dell'Ordine di Malta,
abbia implorato un paio di guanti da una dama
per la scelta della tinta di un'opera architettonica appare quantomeno strana e
in contraddizione con l'etichetta e la pratica edile dell'epoca. In poche
parole, questi famigerati "guanti" sono stati tirati in
ballo dalla poco fantasiosa storiografia sovietica basandosi
sull'interpretazione di una sola e unica frase scoperta nella notifica di un
inviato sassone: "...Il palazzo aveva il nome dell'arcangelo Michele
e il colore dell'amante." Mi si conceda allora una domanda: "Ma
cosa c'entrano in tutto questo i guanti?" A quale altro "colore dell'amante"
avrebbe potuto riferirsi l'informante se non a quello del
corpo? Parliamoci chiaro: non devo certo illuminarvi io sui metodi
di alterazione della verità in nome del falso moralismo. A mo' di
esempio basti ricordare che nel
Naso
di Gogol', come sappiamo, non un naso finì cotto in una pagnotta dal geloso
fornaio pietroburghese, iniziando poi ad andarsene in giro per i viali di
Pietroburgo, bensì tutt'altra appendice del corpo del maggiore Kovalev.
Io questi individui li incontro ancora oggi per le strade cittadine e li
vedo come se ne vanno lesti lesti sulle Volvo ai loro vari dipartimenti. Come
ebbe a scrivere qualcuno due secoli or sono: "Che non ci impediscano, però, di
ammirare la perfezione dell'arte con il
pretesto di una casta pudicizia."
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