Copertina
Autore Enrique Serna
Titolo La paura degli animali
EdizioneVoland, Roma, 2006, Intrecci 49 , pag. 272, cop.fle., dim. 145x204x15 mm , Isbn 978-88-88700-65-6
OriginaleEl miedo a los animales [1995]
TraduttoreRaul Schenardi
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe narrativa messicana
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Smaltire la sbornia dormendo in ufficio era un'abitudine che Evaristo aveva perfezionato al massimo. Poteva russare a pieni polmoni, con i piedi sulla scrivania e il giornale sulla faccia per proteggersi dal sole e dalle mosche, senza spezzare i legami con la realtà. Un meccanismo di autodifesa lo avvertiva se qualcuno si aggirava intorno al suo cubicolo, perciò non era mai del tutto incosciente, neanche quando sognava a sprazzi. Il sogno di quella mattina era lusinghiero fino all'ebbrezza. In una sala conferenze gremita all'inverosimile la comunità culturale si era riunita per rendergli un meritato tributo. Dubbioso circa il proprio valore, malgrado la fama e i premi, non poteva evitare di arrossire di fronte alla valanga di elogi che gli prodigava lo stato maggiore dell'intellettualità: "maestro della prosa polemica", "talento indiscutibile che si è messo in luce in tutti i generi", "esempio della vocazione e dell'amore per le lettere", "straordinario affabulatore della quotidianità". Una volta terminate le allocuzioni in suo onore, che accoglieva con commenti scherzosi per alleggerire la carica emotiva della celebrazione, i giornalisti di radio, stampa e televisione lo circondavano sul palco, disputandosi un'intervista: Maestro, come si è reso conto di essere nato per scrivere? Chi crede l'abbia maggiormente influenzata? Ritiene che uno scrittore dovrebbe essere impegnato politicamente? Per tutti aveva una risposta intelligente e immediata, accompagnata da un sorriso che rivelava timidezza, bonomia e una radicale indifferenza per i riflettori: "Credo che nello scrittore l'impegno debba nascere spontaneamente per reazione agli orrori e alle miserie della realtà quotidiana. Io ho cominciato come voi, nel giornalismo, poi ho fatto il salto verso la letteratura, che per me non è un'arte pura, bensì una forma di resistenza civile."

Una studentessa di modeste origini, con cartella e camicetta di cotone, si fa largo fra il nugolo di reporter per chiedergli un autografo. Mentre firma, Evaristo è al settimo cielo: per uno scrittore non c'è niente di più stimolante dell'apprezzamento della gioventù sana che ama lo studio e il lavoro. Dietro la ragazza un drappello di universitari, tutti con una copia del suo libro in mano, scansano i giornalisti e li spingono contro il tavolo d'onore. Malgrado la scomodità e la mancanza d'ossigeno, lui si gode intensamente la situazione. È come se avesse un'enorme famiglia, come se condividesse un figlio con ciascun lettore. Ignorando quelli del notiziario culturale e le signore agghindate venute da San Francisco per intervistarlo sulle violazioni dei diritti umani in Messico, Evaristo presta tutta la sua attenzione ai ragazzi, ai quali non lesina dediche affettuose: Per Javier e Marilú, compagni, alleati, complici, con l'affetto di un umile lottatore della parola. Il calore che gli trasmettono i giovani vale più di mille premi. Mi amano perché sono onesto, pensa, perché spiattello ai quattro venti le malefatte del potere. D'improvviso, però, l'incantesimo si spezza: un ammiratore lo strattona bruscamente per il braccio, un altro gli dà un pizzicotto sul culo, lui si volta per protestare, come osate trattare così una gloria nazionale, ma la sala adesso è completamente deserta, la sua gloria svanita, e capisce che al di là del sogno il suo angelo custode lo sta richiamando all'ordine. È ora di tornare all'iniquità, alla frustrazione e ai postumi della sbronza: qualcuno si avvicinava al suo ufficio e stava per aprire la porta.

– Ti dài alla bella vita eh, coglione? Sfigato d'un intellettuale! Basta vedere i tuoi occhi cisposi. Uno si fa il mazzo in strada fin dal mattino presto, e tu qui stravaccato.

Il comandante Maytorena si issò con un balzo sulla scrivania. Ormai andava per i sessanta, ma era sorprendentemente agile per la sua età. Evaristo indietreggiò sulla sedia girevole e sbatté contro le persiane. L'energia del comandante sembrava emanare dalla volgarità dipinta sul suo volto verdastro e bucherellato dal vaiolo, dove un paio di occhietti castani brillavano fra gli zigomi gonfi. Aveva il naso rincagnato, una bocca meschina, quasi una fessura senza labbra, e parlando la apriva solo l'indispensabile. Dieci anni prima aveva sostituito i completi con i jeans, che gli davano un'aria più giovanile, e quella mattina portava una tuta sportiva giallo canarino e un berretto da baseball.

– Io la credevo a Pachuca – si difese Evaristo. – Mi hanno detto che oggi sarebbe stato lì per la faccenda delle auto rubate.

– Sono già andato e tornato – Maytorena sputò uno scaracchio scuro nel cestino della carta straccia vicino alla scrivania. – Il vantaggio di non essere coglioni è che la giornata rende molto. Io e il Chamula siamo usciti prima dell'alba, la strada era deserta e in due ore eravamo a Pachuca. Il gestore dell'agenzia non voleva aprirci perché non avevamo il mandato di perquisizione. Povero fesso, a quest'ora sarà all'ospedale con un paio di costole rotte. Con una revolverata ho fatto saltare la serratura e gli abbiamo sequestrato tutte le macchine che c'erano in garage: dodici Cutlass e una Lincoln di quest'anno. Il Chamula venderà le Cutlass a uno sfasciacarrozze, ma la Lincoln me la sono tenuta io per regalarla a mia figlia Laurita, che l'anno prossimo si laurea. Pensa un po' a quante cose abbiamo fatto mentre tu te ne stavi qui stravaccato.

– Deve scusarmi, comandante, è che ieri ho tirato l'alba per mettere in bella il rapporto che mi ha chiesto.

– Non mi fai mica fesso – Maytorena lo afferrò per la cravatta e gli diede uno strattone. – La sbronza che hai preso si sente fin da qui. Sei andato a ubriacarti allo Sherry's, sicuro come la morte – Evaristo non rispose. – Parla, imbecille! L'hai presa bella grossa, eh?

- Sono stato un po' allo Sherry's, ma all'una sono andato via.

– All'una i miei coglioni. Basta che bevi il primo e non riesci più a fermarti. Devi smaltire una bella sbornia, ti si legge in faccia. Prendi, così resusciti – il comandante gli gettò una bustina di coca. — Devi rimetterti in sesto perché voglio affidarti un lavoro molto importante.

Con il polso tremante, Evaristo versò la cocaina sulla scrivania: due strisce parallele che aspirò con entusiasmo. Gli tornarono i colori sul viso, il sangue riprese a irrorargli il cervello in letargo, e per un istante vide Maytorena come un angelo benefattore.

— Mi dica, capo...

Il comandante estrasse dal portafoglio un ritaglio di giornale ingiallito.

— Leggi cosa c'è scritto qui, ma fai molta attenzione.

A prima vista sembrava qualcosa d'inoffensivo: un pezzo di critica d'arte pubblicato sulle pagine culturali del giornale "El Matutino". Il redattore elogiava con misura il lavoro di un giovane pittore di Oaxaca che aveva esposto le proprie opere in una galleria della Zona Rosa: Chacón modella con gesti risoluti, a volte tellurici, il genio occulto di una razza che si mantiene fedele ai propri misteri ancestrali, a un codice preciso di colori e di forme, dove la volontà d'innovazione preserva un equilibrio con la tradizione... L'articolo continuava sullo stesso tono fino al quarto capoverso, dove un curioso sproposito interrompeva la sequenza logica delle frasi: ... e benché la serena trasparenza della serie Bianco su blu costituisca un esito, preferiamo i dipinti d'impronta espressionista come Vada a fottere sua madre, Jiménez del Solar, dove si avverte una maggiore padronanza delle texture cromatiche, Muoia Jiménez, traditore del Messico, e un'influenza ben assimilata della scuola fiamminga...

— E che cazzo, questo stronzo sta sfottendo il signor Presidente.

— Oltre a sfotterlo, gli dà pure del frocio. Leggi appena sotto — Maytorena gli indicò il punto dell'insulto, accanto alla firma dell'autore, un certo Roberto Lima.

— E chi è questo matto? — domandò Evaristo.

— Questo devi scoprirlo tu. Hai un paio di giorni per trovarmi l'indirizzo, ma prima voglio sapere se firma con il suo nome o se usa uno pseudonimo. Lo chiedo a te perché si presume che conosci l'ambiente. Sei stato giornalista, no?

Il commento ferì Evaristo più dello strattone alla cravatta: Maytorena aveva frugato nel suo passato, l'unica cosa pulita che gli restava.

— E come si è imbattuto nell'articolo? Quel giornale non lo legge nessuno.

— Neanch'io avevo intenzione di leggerlo. Andavamo alla raffineria di Tula, d'improvviso mi è venuta voglia di cagare e ho detto al Chamula di fermarsi al primo benzinaio. Il bagno era schifosissimo, merda imbrattata fin sulle pareti, ma mi sono detto: niente da fare, da queste parti non troverai cessi d'oro, e l'ho fatta come i cani. Non sono mica un intellettuale come te, però mentre cago mi piace leggere, e in quel bagno non c'erano riviste o roba del genere, solo qualche ritaglio di giornale infilato in un fil di ferro. Ne ho preso uno per passare il tempo, e siccome non ci capivo niente stavo per pulirmici il culo. Per fortuna sono arrivato al punto in cui sfotte, perché lì, vedi, questo foglietto vale oro.

Sorridendo trionfalmente Maytorena rivelò che intendeva sfruttare la sua scoperta ed Evaristo volle verificare come.

— Be', capo, ma lei cosa ci guadagna con quel ritaglio? Se non sono indiscreto...

— Non ti è ancora passata la sbornia, tarantolato che non sei altro. A me questo pezzo di carta non serve a niente, ma il signore che sta lassù farà salti di gioia quando lo vedrà — Maytorena indicò il soffitto, alludendo al procuratore Tapia, che aveva l'ufficio all'ultimo piano del palazzo. — Secondo te, dov'è che controllano tutti i giornali, sorvegliando che non pubblichino attacchi contro il Presidente?

- Al Ministero dell'Interno?

— Esatto. A quanto pare ti stai svegliando. Un'altra sniffatina e sarai come nuovo... Da quando sono cominciati i sei anni di mandato dell'avvocato, il segretario del ministero, che è suo nemico, non ha mai smesso di complottare. Chi credi abbia ordinato la campagna contro di lui quando il tenente Gardufio ha tolto di mezzo il maestrino della Normale? A Bucareli, il Ministero dell'Interno, hanno fatto di tutto per affossare Tapia e rimpiazzarlo con un amico del segretario, perché quello stronzo fa le cose in grande e vuole avere suoi uomini in tutti i posti importanti, cominci a capire? – Evaristo assentì, anche se non ci capiva niente. – Lui e la sua gente vogliono danneggiare la reputazione del procuratore, ma se lo piglieranno nel didietro, perché adesso l'avvocato può andare dal Presidente e dirgli: Ha visto, capo, come controllano bene la stampa quei fessi del Ministero dell'Interno? Guardi cosa stanno dicendo di lei. E Jiménez del Solar è così vanitoso che gli prende di sicuro la cacarella. Il segretario del ministero sarà il capro espiatorio, con un po' di fortuna me lo spediscono in Cina come ambasciatore. Grazie a me, Tapia si sbarazzerà di un nemico e, anche se non sono fra i suoi protetti, come minimo mi promuove vicecommissario. Vedrai quanta grana ci pioverà addosso quando avrò quell'incarico, soltanto con le briciole diventi putrimilionario. E tutto grazie a chi? A tuo padre, che è bravo perfino a cagare.

La sghignazzata di Maytorena fece tremare le sottili pareti dell'ufficio. La sua euforia degenerò in una tosse convulsa da affogato che Evaristo calmò dandogli manate sulla schiena. Quando ebbe ripreso fiato, Maytorena gli domandò cosa pensava del piano. "Non è una furbata?" Evaristo assentì fingendosi entusiasta. Soddisfatto come un domatore di circo che ottiene dal suo leone sdentato la reazione prevista dal copione, nel salutarlo il comandante lo ammonì di non bere neanche un goccio finché non avesse trovato Roberto Lima.

- Certo, capo, le prometto che sarò sobrio.

Appena fuori dalla sua visuale, prese dalla scrivania una bottiglia di Old Parr e buttò giù un goccio che gli consentì di riordinare le idee. Il piano di Maytorena era talmente contorto che sarebbe stato senz'altro un successo. Quando si trattava di intrighi burocratici, il comandante non faceva un passo senza prendere precauzioni. E nonostante Tapia evitasse qualsiasi contatto con i torbidi bassifondi dell'apparato giudiziario, come la maggior parte dei procuratori che Evaristo aveva visto sfilare in quel posto, questa volta si sarebbe dovuto mischiare con la feccia e stringere la mano a Maytorena, salvo poi disinfettarsi con alcol. Il legame fra i due sarebbe stato il cadavere del giornalista: il comandante, infatti, per fare bella figura con Tapia non si sarebbe accontentato di dargli una lezione. Evaristo era abituato a coprire i crimini di Maytorena, che fino ad allora però si era limitato a eliminare informatori, trafficanti, tenutarie di bordello, o poliziotti della sua stessa risma che gli contendevano qualche bottino. Questa volta era diverso. Si trattava di un uomo onesto che forse aveva perso la testa in un attimo di offuscamento. I giornalisti indipendenti e gli scrittori polemici occupavano un posto privilegiato nella stima di Evaristo: li ammirava fino alla cecità, ma nello stesso tempo gli faceva male paragonarsi a loro, poiché gli dimostravano che il suo destino sarebbe potuto essere diverso se non avesse tradito gli ideali di gioventù, quando raccoglieva le dichiarazioni della polizia per un quotidiano della sera e battagliava per descrivere nelle sue cronache il contesto sociale della delinquenza.

A quarantacinque anni, stremato dagli eccessi, avvilito dalla frequentazione quotidiana della malavita istituzionale, Evaristo aveva bisogno di ricordare che un tempo era stato un giornalista onesto. Ne aveva bisogno per vedersi dal passato con incredulità, e verificare giorno per giorno, con rinnovato stupore, come stesse sprofondando gradualmente nel marciume. Così evitava, perlomeno, di abituarsi al degrado, che per Maytorena e i suoi era la norma, un modo di essere. Fino a un certo punto era riuscito a mantenere le distanze con il suo capo, ma questo non lo assolveva dalle colpe. Come segretario di Maytorena sbrigava soltanto lavori d'ufficio e non partecipava mai ad arresti o sparatorie. Ma se gli spettava una piccola fetta dei suoi guadagni, gli toccava anche uno schizzo di sangue quando c'era di mezzo qualche cadavere. E stavolta il rimorso non sarebbe stato passeggero: gli sudavano già le mani, quasi un presentimento del suicidio morale che avrebbe significato per lui l'assassinio di Roberto Lima.

Con le braccia conserte, gli occhi semichiusi e la testa china sulla scrivania, aspettava un'illuminazione che gli indicasse la via da prendere. Disubbidire a Maytorena poteva costargli il posto, forse la vita. Ubbidirgli significava mandare al macello un giornalista coraggioso per il quale già provava simpatia. Più ci girava intorno, più la faccenda gli sembrava complicata: impossibile andare d'accordo con Dio e con il diavolo. Sollevò la testa e vide il proprio riflesso sul vetro della porta: un'ombra, la brutta copia di un uomo. Da un giorno all'altro erano comparse nuove crepe sul suo volto. Si passò una mano tra i capelli irsuti e castani che cominciavano a imbiancarsi all'altezza delle tempie. Le macchie violacee sulle guance, segno di cattiva circolazione, gli davano un'aria da barbone potenziale. I dottori l'avevano avvisato: o si scordava le bevute o nel giro di breve tempo gli sarebbe venuta una cirrosi. Ma non poteva affrontare la vita senza un whisky in mano finché viveva in totale contraddizione con se stesso.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 58

Fuori, nei corridoi dell'impresa di pompe funebri, confuso con i partecipanti di altre veglie, si sentì al sicuro e forte, ma anche colpevole, come se in qualche modo avesse indirettamente contribuito ad ammazzare Lima. Fece gli scalini a due a due fino al parcheggio e nel salire sull'auto si allentò la cravatta, affaticato e ansante. Il cruscotto era aperto, i documenti sottosopra, e sul parabrezza trovò un messaggio: Considerati già morto, fottuto sbirro di merda. So dove vivi e non ho paura degli animali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 59

Nella camera da letto di Dora Elsa il tempo si era congelato in una nuvola di zucchero filato. La spontaneità infantile della padrona di casa si rifletteva nella tappezzeria rosa con arabeschi dorati, nella moquette, nel comò carico di bambole, orsetti di peluche e pupazzetti di Hello Kitty. L'arredamento sarebbe risultato un po' pacchiano perfino per una quindicenne, ma si accordava a meraviglia con l'indole di Dora Elsa, che conservava intatta l'innocenza dell'infanzia, pur vivendo e lavorando in un ambiente sordido, canagliesco, incompatibile con la tenerezza. Mentre si rasava nel bagno della camera da letto, Evaristo la vedeva attraverso lo specchio del lavabo, e ringraziava Dio per averla incontrata. "Potrebbe diventare la donna della mia vita," pensò "se esco vivo da questo romanzo poliziesco." Su un materassino, nuda dalla vita in giù, Dora Elsa stringeva eroicamente i glutei durante la quotidiana seduta di esercizi per imparare a fumare con la fica.

– Non credere che mi piaccia sorbirmi questa seccatura tutte le mattine – spiegò a Evaristo con il volto deformato dallo sforzo. – Lo faccio per necessità: la concorrenza delle ballerine di table dance è durissima. Ormai i clienti non pagano più per vedere uno show. Preferiscono tenersi sulle ginocchia una ragazzina di diciassette anni. Io ne ho trentadue e non posso competere. Devo fare qualcosa per attirare l'attenzione. Credi che piacerà il numero della sigaretta?

Evaristo uscì dal bagno con la schiuma da barba ancora sulla faccia e prese Dora Elsa per il mento.

– Non mi piace che tu faccia questi numeri da circo – le tolse la sigaretta dall'inguine. – Voglio farti smettere di lavorare e sposarti.

– Dimentichi che ho una figlia.

– E qual è il problema? Le vorrò bene come se fosse mia.

– Senti, smilzo, a me non devi promettere niente – Dora gli baciò la mano. – Credi davvero che mi importi di un sudicio pezzo di carta? Ti ho dato il mio telefono perché mi piaci.

– Se fosse per me, ti sposerei domani – Evaristo le carezzò i capelli. – Ma probabilmente resteresti vedova.

– Perché? – Dora lo guardò negli occhi, inquieta. – Da ieri mi sono accorta che sei molto strano, hai anche parlato nel sonno. Hai problemi con il capo, quel Maytorena?

– Con lui e con molte altre persone, ma adesso non posso raccontarti niente. Meno sai, meno pericoli corri.

– La faccenda è tanto brutta? Raccontami di cosa si tratta, magari posso aiutarti in qualche modo.

– Mi stai già aiutando. Sei la mia principale ragione di vita. Ti pare poco?

Commossa, Dora Elsa lo baciò sulla bocca. Evaristo chiuse gli occhi e cercò di non pensare a niente, ma la paura pensava per lui, come una seconda coscienza. Se l'assassino di Lima voleva spaventarlo, il suo piano funzionava, visto che lui era andato a nascondersi sotto la gonna di Dora Elsa per timore di trascorrere la notte nel proprio appartamento. E adesso, invece di cercarlo fra gli amici del morto presenti alla veglia, desiderava soltanto protezione e affetto, come un neonato spaventato dai tuoni di un temporale. Mentre Dora Elsa preparava la colazione, lui finì di vestirsi e ricordò lo strano senso di potere che aveva provato la mattina precedente mentre interrogava il giornalista dell'"Universal". La compulsione sadica di schiacciare i deboli, che tanto detestava nel comportamento degli agenti, d'improvviso gli si rivelò come un attributo del proprio carattere. O si trattava di un difetto comune al genere umano? Il biglietto anonimo sul parabrezza non era un insulto, ma una diagnosi azzeccata. In effetti era un animale, poiché approfittava della propria autorità per umiliare un essere indifeso, come era stato un animale la notte in cui aveva aggredito a tradimento il vecchio della bettola. Ma non poteva incolpare solo l'istinto: in entrambi i casi aveva mantenuto i nervi saldi, quasi si fosse sdoppiato nel momento di scatenare l'aggressività per vedere in azione la sua metà selvaggia. Era quella bestialità cerebrale e compiaciuta che l'assassino aveva scoperto in lui, come si riconosce un fratello di latte? O era molto tronfio della propria cultura e lo aveva insultato chiamandolo animale solo per sottolineare la loro diversità? Il biglietto anonimo era una prova che l'assassino apparteneva al ghetto culturale nel quale si era destreggiato Lima, ma saperlo non dava alcun vantaggio a Evaristo nella guerra di nervi che stavano conducendo.

Insieme al caffè e alle focacce di mais Dora Elsa portò in tavola "La Jornada". Erano passate le tre del pomeriggio, ma la notte prima erano usciti dallo Sherry's alle cinque, e la colazione veniva a coincidere con il pranzo. Sfogliando il giornale Evaristo si imbatté nell'esposto degli amici di Lima, che chiedevano alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani di chiarire le circostanze della morte: In quanto lavoratori della cultura e membri della società civile, non possiamo starcene a braccia conserte di fronte al crudele assassinio dello scrittore e giornalista Roberto Lima, perpetrato da elementi di un corpo di polizia non ancora identificati con l'evidente intenzione di mettere a tacere una voce critica indipendente. Siamo i primi a condannare gli sfoghi viscerali a cui si è abbandonato il nostro collega come responsabile della pagina culturale del quotidiano "El Matutino", ma se Roberto aveva commesso il reato di diffamazione le autorità avrebbero dovuto procedere contro di lui in maniera legale, e non giustiziarlo con metodi che ricordano la Gestapo. Con la morte del nostro collega e amico si restaura in Messico un clima d'intolleranza e di barbarie che credevamo superato. Esigiamo una punizione esemplare per i responsabili di questo attentato contro la libertà di stampa, che cerca di intimidire tutto il giornalismo critico. È necessario indagare a fondo sull'assassinio di Roberto Lima per il bene della salute pubblica, per il bene della stampa libera, per il bene dei messicani...

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 90

— Si dice che l'omicidio di Lima sia stato un delitto passionale.

— Be', facciano dire una messa — Fabiola impallidì. — Non sprecherò il mio tempo a smentire i pettegolezzi.

— Cosa le costa rispondere a qualche domandina?

— Sono davvero stanca, non insista.

Fabiola tirò fuori le chiavi dalla borsetta e aprì la porta del condominio. Evaristo vi infilò il piede destro per evitare che la richiudesse sbattendola.

— Lei lo amava molto, vero?

— Non si intrometta in cose che non la riguardano — Fabiola spinse la porta, furiosa.

— Sto indagando su chi lo ha ammazzato. Credevo che le interessasse conoscere la verità — Evaristo riuscì a far passare un braccio nello spiraglio della porta.

— So già la verità: lo hanno ammazzato per i suoi articoli.

— Gli articoli erano inoffensivi. Lei li leggeva? — Fabiola negò con la testa, imbarazzata. — Cosa ci guadagnava il governo ad ammazzare uno sventato che non veniva letto neanche dalla sua fidanzata? Lima non costituiva affatto un pericolo per il potere. Il vero movente del delitto è un altro, mi aiuti a scoprirlo.

Ancora seccata, ma con un'ombra di dubbio sul volto, Fabiola si ammorbidì e lo lasciò entrare nell'atrio.

— E va bene, però non la tiri per le lunghe con le domande. Alle cinque ho lezione di espressione corporea.

In ascensore, Evaristo s'innervosì per la vicinanza di Fabiola, che indossava una camicetta leggerissima senza reggiseno. La tonalità ambrata della pelle era un invito a darle un morso vampiresco sul collo. Aveva i seni all'insù, gambe lunghe e affusolate, labbra provocanti e uno sguardo abrasivo che trapassava il cuore. Evaristo si chiese perché mai prendesse lezioni di espressione corporea, visto che il suo corpo parlava quattordici lingue, e in tutte quante diceva la stessa cosa: "Prendimi".

— Mi scusi per il disordine — si giustificò quando entrarono nell'appartamento. — Si serva da bere, per favore, nel mobiletto ci sono le bottiglie. Sono subito da lei: vado a cambiarmi, sto soffocando di caldo.

Il piccolo alloggio, con tappeti beige, mobili moderni dal design raffinato e dipinti originali, suggeriva che, se Fabiola non era ricca, godeva comunque di una situazione economica agiata. Cosa ci faceva con un paria della letteratura come Roberto Lima? Ammirazione letteraria, dipendenza psicologica o semplice masochismo? Dalla libreria, varia e caotica, dedusse che si era proposta di studiare contemporaneamente filosofia, storia delle religioni, scienze politiche e letteratura inglese, senza approfondire niente. Osservando i libri da vicino, vide che parecchi erano intonsi: forse li comprava un tanto al chilo. Un manifesto di Notre Dame des Fleurs nella versione teatrale di Lindsay Kemp dava un tocco di eleganza all'angolo cottura: la mistica del sordido trasformata in oggetto decorativo. Lima le avrà spiegato chi era Genet? Non voleva giudicarla a priori, ma tutto lasciava pensare che per lei la cultura non fosse un nutrimento bensì un abito. Magari era una di quelle ragazze di buona famiglia stufe dei genitori, dello yacht e dei viaggi in Europa, che adottavano la maschera da intellettuale come una seconda personalità, come un profumo evanescente che si fermava alla superficie delle loro anime. O stava prendendo lucciole per lanterne perché non poteva ammettere che lei, così appetitosa, fosse allo stesso tempo colta e sensibile? Si servì un'etichetta nera, andò in cucina per il ghiaccio e tornando trovò Fabiola in sala, con i capelli umidi e provocanti short di jeans.

— Me ne versi uno come il suo, per favore — allungò il bicchiere a Evaristo. — Lei mi ha incuriosito. Cos'è questa faccenda del delitto passionale?

– È una voce che circola fra i giornalisti, e magari è già arrivata alle orecchie della polizia. Meglio che lei sia preparata, nel caso venissero a interrogarla gli agenti.

– Non mi tenga sulle spine, arrivi al dunque.

– Qualche mese prima di morire Lima ha avuto un diverbio con Claudio Vilchis nei bagni di Belle Arti, e si mormora che il motivo del litigio fosse lei.

– È vero solo a metà – protestò Fabiola. – Si odiavano già da prima...

– Lei però aveva rotto con Lima e stava uscendo con Vilchis. Per questo i due si beccavano, non è vero? – Fabiola assentì. – Nell'ambiente letterario Vilchis ha fama di uno che porta rancore, e Lima lo ha umiliato davanti a parecchia gente, perciò non è assurdo pensare a una vendetta. Lei sa dove ha trascorso la notte del delitto?

– A letto con la sua mogliettina, di sicuro. Claudio non passava mai una notte fuori casa.

– Ma qualche volta ha manifestato il proposito di vendicarsi?

– Non mi costringa a parlare di quel rettile – Fabiola storse la bocca in un'espressione di disgusto. – Per me, è morto e sepolto.

– Credevo che foste...

– Amanti? – Fabiola diede un lungo sorso al suo whisky. – Non abbia paura delle parole. Bisogna dire le cose come stanno. Sì, siamo stati amanti, e lei non può immaginare quanto mi pento di essere stata così cieca. Sono caduta nelle sue braccia per ammirazione. Lo vedevo come le ragazzine delle medie vedono i loro professori. Pensavo che fosse un gigante, un figo, e mi inorgogliva che si fosse innamorato di me. Poi ho scoperto che voleva soltanto usarmi, ma è meglio se cambiamo argomento. Ci sono cose di cui non vale la pena parlare.

Fabiola fissava il fondo del bicchiere, sforzandosi di trattenere le lacrime. Evaristo rimase in silenzio mentre lei recuperava la padronanza di sé.

– La sua ipotesi ha un neo – proseguì Fabiola fra i singhiozzi. – Roberto sì che avrebbe ammazzato qualcuno per me, Claudio mai.

– Scusi se mi intrometto nella sua vita privata, ma c'è una cosa che non capisco: perché ha chiuso con Lima?

– Questa è un'altra storia. Roberto era dolcissimo, un pazzo meraviglioso, ma aveva un difetto molto grave: il maschilismo. L'ho conosciuto un paio d'anni fa a un corso di scrittura che teneva al Museo Carrillo Gil, e mi è piaciuto per il suo ardore. Si metteva a parlare di letteratura ed era come un vulcano che sputa fuoco. Non ti convinceva con i ragionamenti, ti contagiava con il suo entusiasmo per i libri che secondo lui gli avevano cambiato la vita. Non leggete tanto per leggere, ci diceva, vivete il vostro romanzo personale. Io mi ero iscritta al corso per vedere se la cosa mi prendeva, ma lui mi ha incoraggiato a fare sul serio: hai immaginazione, mi diceva, hai solo bisogno d'impadronirti un po' del mestiere. A quell'epoca la mia carriera di attrice cominciava a venirmi a noia. Il Teatro Universitario è pieno di froci che odiano le donne. I registi mi affidavano soltanto ruoli di albero parlante in rappresentazioni per bambini. Non sono particolarmente ambiziosa, ma era frustrante non poter lavorare in qualcosa che mi desse soddisfazione. Grazie a Roberto ho scoperto la mia vera vocazione e, chissà come, abbiamo iniziato a innamorarci. La letteratura è stata il nostro Cupido: invece di sussurrarci amore mio o tesoro, parlavamo di libri fino a restare afoni. Un giorno mi è passato per la testa di scrivergli una lettera d'amore, e quando gliel'ho fatta leggere mi ha corretto, un capoverso dopo l'altro, tutti gli errori di redazione.

Fu interrotta da una crisi di pianto. Imbarazzato per averle riaperto una ferita non ancora cicatrizzata, Evaristo osò soltanto riempirle un'altra volta il bicchiere di whisky, che Fabiola aveva buttato giù come acqua, e offrirle una sigaretta, senza sapere cosa dire. Il telefono venne in suo aiuto.

| << |  <  |