Copertina
Autore Frediano Sessi
Titolo Il segreto di Barbiana
SottotitoloLa storia di don Lorenzo Milani, sacerdote e maestro
EdizioneMarsilio, Venezia, 2008, Gli specchi , pag. 192, cop.fle., dim. 13,4x21,2x1,7 cm , Isbn 978-88-317-9574-6
LettoreGiovanna Bacci, 2009
Classe religione , scuola
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Pagina 9

PRIMA PARTE
LETTERE A MATILDE E NICOLA
(24 SETTEMBRE - 13 DICEMBRE 2007)



1.
Mantova, 24 settembre 2007. Prime ore del pomeriggio

«Oggi la voce di don Lorenzo Milani ha raggiunto il mio cuore e così ho sentito il bisogno urgente di salire a Barbiana.

«Sono trascorsi quarant'anni da che è morto, eppure ai piedi del monte Giovi niente sembra cambiato. La strada per arrivare dal comune di Vicchio alla chiesa di Sant'Andrea è ripida e sassosa come un tempo; quattro chilometri tra boschi e pascoli fino al piccolo cimitero e poi ancora su per raggiungere la canonica e la casa colonica che insieme alla piccola chiesa costituiscono il nucleo abitativo più popoloso di Barbiana. Non ci sono negozi, non una piazza, non ci sono strade e case, lampioni, rumori di motori: per arrivarci con la macchina, dalla casa in collina dell'americano, si percorre la stessa strada ripida che fece costruire don Milani quando fu nominato parroco di Barbiana ai primi di dicembre del 1954.

«Barbiana è tutta qui: una chiesa, una casa colonica, la canonica, il cimitero e poi a distanza e isolate nei boschi le ventitré case delle famiglie contadine. Non più di cento anime allora, tanto che la Curia fiorentina aveva deciso da tempo di inviarci un prete saltuariamente, solo per la messa della domenica...»


Cari Matilde e Nicola, eravamo a tavola insieme con la nonna mentre raccontavo queste cose. Voi due non sembravate ascoltare, impegnati com'eravate a mangiare una torta di panna e cioccolata.

Poi nel pomeriggio, mentre io ero nello studio a scrivere, come tutti i giorni, siete venuti a farmi un sacco di domande su quel prete. E mi sono accorto che non avevate perso niente delle poche parole dette tra me e la nonna. Sul momento, ricorderete, mi sono seduto insieme a voi sul divano e vi ho fatto vedere qualche fotografia dei luoghi: la piccola chiesa, la casa parrocchiale, la piscina angusta e ormai senza acqua dove i ragazzi di don Milani imparavano a nuotare, il pergolato usato per le lezioni all'aperto e la stanza dove si faceva scuola, il laboratorio artigiano per imparare un mestiere, il cimitero piccolo piccolo e i boschi intorno.

E, dopo uno scambio di baci, siete corsi in cortile dove vi aspettavano mamma e papà per rientrare a casa.

Tornerete a trovarci tra quindici giorni? Alla vostra età, venire dai nonni può già sembrare un sacrificio: il viaggio lungo e noioso, la lontananza dai divertimenti quotidiani e dagli amici, il papà e la mamma che si prendono più libertà, perché tanto ci siamo noi! Ma qui si possono fare e ottenere cose straordinarie, impensabili nella vita di tutti i giorni e voi lo sapete, per esperienza. Cose straordinarie ed eccezionali per voi ma anche per noi nonni, si intende.

Così nell'attesa di rivedervi (io e nonna abbiamo già preparato alcune sorprese, per ora segrete) ho ripensato a quella domanda di Matilde su don Lorenzo: «Come ha fatto a raggiungere il tuo cuore se non l'hai mai visto e nemmeno conosciuto?» E da qui provo a raccontarvi quello che ho capito di lui e del suo essere sacerdote in questo nostro mondo, per i pochi anni che gli è stato concesso di vivere. Non vi ho detto, infatti, che don Lorenzo Milani morì poco più che quarantenne (un ragazzo in confronto al nonno e alla nonna!).

Ma andiamo per gradi, perché a partire da oggi vi scriverò delle lettere, lunghe quel che basta per raccontarvi la sua vita e per portare la mia voce fino a rimboccarvi le coperte prima del sonno (anche se alla vostra età non ne avreste più bisogno!).

E adesso dopo le chiacchiere e i baci (di carta, ma pur sempre caldi e ripetuti) «si dia inizio alla storia» come gridava il saltimbanco del luna park che ci ha tanto fatto ridere.


Tutto comincia quando Lorenzo, studente diciottenne di un liceo di Milano, decide di abbandonare gli studi e di fare il pittore (per lo meno io ho deciso di raccontare da qui). A scuola andava piuttosto male: cinque in storia, greco e latino scritto, quattro in filosofia e scarso in religione. In casa continuava a ripetere che voleva smettere di perdere tempo e annoiarsi in una classe, dove, tra l'altro, durante le interrogazioni si stava immersi «nell'ozio e nel terrore». Poi per insistenza dei suoi genitori accetta di continuare, ma a una condizione: passare dalla prima liceo alla terza, saltando con un balzo (dopo aver sostenuto i necessari esami) la seconda. La famiglia Milani è ricca e oltre all'abitazione di città possiede una villa sul mare a Castiglioncello e una bella casa di campagna in località Gigliola nei pressi di Montespertoli. È qui che Lorenzo trasforma il laboratorio di falegnameria della tenuta nel suo studio; si costruisce un tavolo, lo riempie di libri e manuali, poi si lascia alle spalle i giorni e le ore spensierate dell'estate e dalla mattina alla sera si prepara per l'esame di ottobre. Quando si presenta al liceo Berchet di Milano per sostenere le prove scritte e orali, il professore di italiano lo rimprovera senza mezzi termini: «Ci vuole proprio una bella faccia tosta per provare a saltare una classe dopo una prima liceo come quella che hai fatto!» Ma Lorenzo scrive un tema definito «geniale» e supera in modo sufficiente tutte le altre prove. Così quella volontà dichiarata di bocciarlo per costringerlo a frequentare la seconda classe come tutti si trasforma in una promozione, «senza infamia né lode» con tutti sei in pagella. Il 21 maggio del 1941, le scuole italiane chiudono i battenti in anticipo per via della guerra e Lorenzo, pur con un «otto in condotta», a pochi giorni dai suoi diciotto anni, sulla base dei voti del terzo trimestre, viene dichiarato maturo.

(Sulla guerra del 1939-45 le cose da raccontare sarebbero tante. Per ora, vi basti sapere che il regime fascista italiano vi entra a fianco della Germania di Hitler il 10 giugno del 1940 e che nel maggio dell'anno successivo i giovani soldati morti sui vari fronti sono già centinaia di migliaia. Mai nessuna guerra della storia farà tante vittime, ben oltre i 45 milioni di morti, per lo più civili!)

Lorenzo che, nonostante le insistenze della madre Alice Weiss e del padre Adriano Milani Comparetti (proprio così, Lorenzo aveva un secondo cognome che non utilizzò mai nel corso del suo apostolato), è deciso a non frequentare corsi universitari, viene affidato alle cure del pittore Hans Joachim Staude. Da maggio a settembre il ragazzo disegna, dipinge e ascolta le parole e gli insegnamenti del maestro. Lo segue sul lago Maggiore per alcune settimane e poi, d'improvviso, decide di lasciare Firenze e di dipingere per conto suo in uno studio che il padre gli prende in affitto a Milano. A Firenze con Staube gli mancano gli amici, il clima culturale e artistico della capitale lombarda.

Comincia una vita di bohème, tra i corsi dell'Accademia di Brera, le modelle che frequentano il suo scantinato in un palazzo storico di piazzale Fiume (oggi piazza della Repubblica), le latterie per artisti squattrinati, i locali notturni e gli amici. Ma Lorenzo non è affatto un giovane che vive alla giornata, dipingendo al freddo e al gelo d'inverno o nella morsa bollente dell'afa estiva, sempre affamato: la sua famiglia è ricca e non gli mancano i soldi per pagare le ragazze che si prestano alla sua arte. Molte si innamorano di lui, dei suoi colori, della freschezza del suo entusiasmo. E lui si innamora della natura, della «tavolozza di Dio», di tutte quelle sfumature che le stagioni creano in un filo d'erba, in una foglia d'albero, nel colore del cielo, delle nuvole, della terra. Forse è anche qui, a contatto con tanti ragazzi e ragazze di cui studia e dipinge le forme e il corpo nudo, con i colori della natura, che comincia il suo cammino verso la conversione.

Per ora, sappiamo che si ribella allo stile di vita della borghesia fascista, rompendo con ogni convenzione e proferendo o scrivendo parolacce: per provocare, non per insultare (una caratteristica, questa, che rimarrà costante nel suo modo di reagire o di affrontare questioni spinose e persone anche amiche). Pure la filosofia del pittore Staube lo aveva colpito: «In tutte le cose — gli aveva detto — cerca l'essenziale, l'unità, per la quale ogni parte dipende dall'altra, ed è in perfetta armonia. E non cercare questo solo nei colori, ma nella vita, nelle persone che incontri, nel mondo...»

In realtà, per lui la pittura non doveva avere come scopo soltanto la bellezza; per questo si appassiona all'arte della decorazione e in particolare all'affresco delle chiese. Poi nella cappella della casa di campagna della famiglia, a Gigliola, scopre un messale, il grande libro della messa, e si immerge nella lettura. A un amico scriverà che lo trovava più avvincente e interessante di un'opera teatrale di Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore.

Fu così che decise di applicare la sua arte pittorica per affrescare la cappella di famiglia: e per fare questo, per cercare di costruire uno stretto legame tra i colori e i fedeli in preghiera, studia a lungo il rito sacro della messa, e il cristianesimo. Studia e prende appunti. Forse addirittura pensa di ricavarne un libro. In realtà, contro tutti e tutto prende la decisione di entrare in seminario e farsi prete.

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6.
Martedì mattina 4 dicembre. Ore 6,15, giornata umida e di nebbia

Cari nipoti,

eccomi a voi per continuare la nostra storia di vita. Oggi riprendo le lezioni universitarie e per la prima volta vedrò i trenta studenti che hanno scelto il mio corso per futuri "educatori professionali". Ogni anno, quando comincio a preparare le mie lezioni, mi dico: «è l'ultima volta, troppo faticoso...» Preferirei leggere, fare ricerca, studiare.

E per restare in argomento, così non era mai per don Lorenzo Milani. Fin da subito, da quando entrò a far parte della comunità di San Donato di Calenzano, maturò l'idea di rinunciare ai suoi interessi per dedicarsi totalmente ai suoi studenti e parrocchiani.

In verità, quando comincia a scrivere il catechismo questa scelta è solo abbozzata. Sappiamo infatti che proprio per appassionare i ragazzi con il racconto della Bibbia e della vita di Gesù aveva intrapreso una serie di studi che lo avevano portato a procurarsi i catechismi utilizzati in molti paesi d'Europa, sia cattolici che protestanti e ortodossi: Svizzera, Austria, Germania, Belgio, Francia, Inghilterra, Russia ecc. Inoltre, si era disegnato da sé due cartine molto grandi di Gerusalemme e della Palestina che aveva attaccato a una colonna della chiesa e che usava, scendendo dall'altare, durante la spiegazione del Vangelo. Altre tre cartine più piccole che comprendevano oltre alle prime due anche l'area geografica dell'Egitto-Mesopotamia le teneva in serbo per il catechismo vero e proprio. Ricorderete la sua esperienza passata di pittore: è proprio a quella che attinge in questo lavoro di ricostruzione geografica del contesto in cui prende corpo la parola di Dio e di Gesù; arte pittorica unita a tutte le conoscenze che acquisisce studiando, mediate dall'intuizione di trasformare tutto il racconto del catechismo in qualcosa di vivo e appassionante, per far uscire i ragazzi e il suo popolo da formule vuote e il più delle volte imparate a memoria senza idea del senso.

A dire il vero, questo catechismo su cui ho portato di nuovo la vostra attenzione non dovrebbe esistere: don Lorenzo, già nel dicembre del 1954 abbandona l'idea di scriverlo e pubblicarlo, anzi negli ultimi giorni della sua vita, dichiarandolo un lavoro immaturo e superato come metodo, lo selezionò tra le altre carte perché finisse nella stufa. A Barbiana già non si usava più il catechismo, ma il testo dei quattro Vangeli, ricorrendo al lavoro di confronto e di sintesi fatto dal padre domenicano francese Marie-Joseph Lagrange in un libro (il cui titolo in italiano sarebbe Il Vangelo di Gesù Cristo, del 1928) che era tutto pieno di annotazioni e appunti scritti di suo pugno.

Quindi se stessimo alle sue ultime volontà non dovremmo nemmeno parlarne, ma siccome ci interessa capire l'uomo e il sacerdote, per comprendere meglio la sua storia e le sue scelte, allora non la smetteremo mai di ringraziare chi ci ha conservato un testo, pur incompleto, che aiuta la nostra comprensione del modo in cui don Lorenzo si avvicina alla professione di maestro, partendo da quella del sacerdote.

Per don Milani, il catechismo in uso faceva troppo ricorso alle definizioni che, non supportate da spiegazioni sufficienti, limitavano l'apprendimento della dottrina della fede a brani di frasi imparate a memoria, senza che i ragazzi e le ragazze ne cogliessero appieno il significato. Per esempio, il tentativo «di definire Dio è destinato a fallire miseramente» (Il catechismo di don Lorenzo Milani, anche per le citazioni che seguono). E altrettanto si potrebbe dire per gli altri vocaboli che attraversano l'insegnamento della dottrina e ne rappresentano passaggi irrinunciabili e insostituibili: grazia, sacrificio, fede, resurrezione, immacolata concezione ecc. E questo perché don Lorenzo capisce subito come sia difficile «fare acquisire a un bambino un concetto non noto per mezzo di vocaboli noti», vale a dire che per lui hanno un senso. «Figuriamoci quando non gli sono noti nemmeno i vocaboli!» Scrive ancora don Milani: «Finché saremo coperti da questo velo di carne, tutto quel che ci arriva da Dio ha da passare per questi sensi di carne». E la difficoltà di capire attraverso formule vale per i bambini come per gli adulti. Ma che cosa è che ci fa legare le parole alle cose? Se si guarda in natura a come un neonato crescendo apprende a parlare, continua don Milani, ci accorgeremo ben presto che è l'uso ripetuto del vocabolo, in più e diverse situazioni, e non la sua definizione che ce ne fa acquisire il senso. Per attuare anche nell'insegnamento del catechismo quello che in natura favorisce il nostro apprendimento, allora, è bene ritornare agli apostoli, quando per istruire il popolo nella fede non si faceva altro che raccontare la storia della vita di Gesù. Così, il catechismo dovrà essere un racconto di storia sacra, in successione cronologica, con carte geografiche dettagliate, per far vedere a tutti dove, oltre che quando, sono accaduti i fatti. Dio in tutta la sua rivelazione al popolo (con il racconto dell'Antico Testamento), poi la breve vita di Gesù riproposta dai Vangeli e, infine, la Chiesa come istituzione e luogo che raccoglie la parola e il messaggio del figlio di Dio e li porta in tutto il mondo. Le formule da imparare a memoria, del catechismo tradizionale, potrebbero essere «sintetizzate in fondo ai capitoli» come riassunti schematici di quei racconti di fatti di vita che possono più facilmente entrare nel cuore e nella mente dei fedeli, di qualsiasi età. Nella consueta predica della domenica, spiega un suo parrocchiano, «descriveva l'ambiente sociale in cui Gesù era vissuto, per spiegare quanto era successo anche dal punto di vista storico. E parlava dei fatti della parrocchia solo quando capitava qualcosa di grosso, come quando si verificava uno sfratto, un incidente sul lavoro...» E in ogni caso anche parlando dei fatti di ogni giorno «faceva ancora lezione di Vangelo: il Vangelo applicato alla vita» (N. Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani, p. 118). Ecco cosa scrive, ancora nel 1956, al suo amico don Ezio Palombo: «Credo che meriti sempre far la vita di Gesù alla Messa [...]. Merita farne ogni giorno un pezzetto piccolissimo per due ragioni: primo perché così il Vangelo dura diversi anni, e secondo perché così c'è qualche speranza di più che la gente si ricordi di qualcosa. Attualmente sono a mezzo del Discorso della Montagna e ne parlo già da una decina di domeniche a dir poco. Da quando cominciai la vita di Gesù quassù [nel 1956 don Lorenzo è già a Barbiana], son già passati due anni [...]. A dir poco resterà negli uditori l'idea di quel che è il Vangelo e di come ci sia caro e di quanta attenzione si meriti e di come sia lontano dall'essere una qualsiasi fiaba, ma come invece sia una materia di studio interminabile e appassionato» (Lettere di don Lorenzo Milani, p. 92). Ma lasciamo per un po' quel "quassù", vale a dire Barbiana, e ritorniamo al paese operaio di Calenzano. Devo dirvi che don Lorenzo, impegnato a insegnare religione nella scuola elementare, dà esempi del suo insegnamento ai bambini e alle bambine. Ma come abbiamo visto, il metodo è pensato per tutti. Si aggiunga che dopo ogni sua lezione, nelle quinte elementari del comune di Calenzano, il nostro chiede una verifica scritta di ciò che i suoi alunni hanno capito (e di come lo hanno capito) mettendo in rilievo assai bene che cosa hanno trascurato e che cosa hanno frainteso o addirittura dimenticato. In questo modo, ci consegna un quaderno a più voci nel quale vengono assemblate le frasi dei "vincitori" di un concorso interno alla classe che probabilmente (ma non ci sono certezze in merito) premiava anche con un libro chi meglio aveva saputo esprimere quello che aveva sentito raccontare. È curioso notare come in questo modo il testo che ne risulta sia il prodotto di una elaborazione collettiva, in cui don Lorenzo appare essere solo il "montatore" come per i film e ovviamente l'ideatore della "sceneggiatura", se è dalle sue parole che scaturisce poi la spiegazione del racconto della storia sacra. Da qui, probabilmente, prende inizio quel modo di scrittura che renderà famosa la scuola di Barbiana. Ma non anticipiamo troppo i tempi.

Perché dopo tanto impegno (se a distanza di quattro anni dall'inizio del suo sacerdozio ancora lavorava a scrivere delle lezioni di catechismo) don Lorenzo abbandona l'idea e mette in un cassetto il suo libro? Che cosa è successo nel frattempo? Questo cambio di rotta lo si deve soltanto a una sua scelta o a qualcosa che accade tra quello che lui chiama il suo popolo? Eppure aveva lavorato tanto su questo testo, scrivendo e riscrivendo ogni lezione, inviando in via sperimentale i capitoli che avevano una forma quasi definitiva, se non ancora perfetta, ai suoi amici sacerdoti perché li sperimentassero e gli scrivessero osservazioni e note. Perché allora buttare via quattro anni di studio e scrittura?

Cari ragazzi, forse è proprio in questi interrogativi, semplici e molto ovvi, la risposta alla svolta nel suo essere insieme sacerdote e maestro: quella svolta che cambierà la sua vita già a Calenzano e che lo spingerà a fare di Barbiana un "laboratorio" sperimentale di idee e amore, di cultura e ribellione, di obbedienza e innovazione.

È vero, per spiegarvi meglio quel che io stesso ho capito di don Milani, in questi anni di lettura e di frequentazione della sua opera e di quanto hanno scritto altri su di lui, mi sono fatto una sorta di "linea" cronologica che descrive un passo dopo l'altro il concatenarsi delle scelte della sua vita. Ma sappiamo che non è così. La vita procede per avanzamenti conseguenti (un passo dopo l'altro) ma ci sono anche cadute, risalite, e momenti di stasi o di ozio, illuminazioni fulminanti e rotture, come forme di noiosa continuità in cui sembra che tutto si spenga, fino all'apparire di un'idea o di un sentimento, o all'ascolto di una chiamata interiore alla quale non avevamo dato peso e seguito.

Ma sarebbe impossibile spiegarvi don Lorenzo Milani in questo modo: preferisco mettervi nell'orecchio una pulce di dubbio circa la linearità dei suoi passi, ma continuare a raccontare i fatti della sua vita in sequenza lineare. Poi vedremo, perché tanto non tutto riusciremo a spiegare e capire. Rimarrà sempre una zona d'ombra imperscrutabile e inspiegabile, come accade in ogni storia e in ogni vita. E in quella zona d'ombra metteremo anche il suo modo di amare il mondo e i suoi ragazzi, la fede e la Chiesa, Barbiana e il male che lo uccide, Dio e insieme tutti coloro che non lo capivano e chiedevano di ridurlo al silenzio (il vescovo di Firenze, alcuni suoi confratelli sacerdoti, cattolici di varia estrazione ecc.).

Da questa storia del catechismo si capisce comunque che don Lorenzo voleva portare Dio nella carne e nel cuore del suo popolo, fare in modo che non fosse un concetto astratto ma una presenza viva, una voce e un segno che si manifestava quotidianamente e in ogni luogo, magari assumendo le sembianze di un uomo o di una donna sofferenti e bisognosi, l'aspetto di un famigliare in lacrime o felice: umanizzare Dio per elevarlo al cielo ancor più.

In ogni caso, come sappiamo, mentre lavora al catechismo il giovane sacerdote si è reso conto che quasi la totalità del suo popolo ha un insufficiente livello di istruzione: è quasi analfabeta, sia sul piano grammaticale e lessicale sia sul piano civile, vale a dire dei doveri e dei diritti che regolano la vita di ogni cittadino e lavoratore. Con la scuola, don Lorenzo sa bene che non può «far cristiani» i suoi fedeli, ma almeno li «farà uomini» che è il primo passo per essere in seguito dei buoni credenti.

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9.
19 dicembre 2007. Cinque giorni e potrò abbracciarvi di nuovo!

Carissimi Matilde e Nicola,

sono ormai cominciati i preparativi della cena della Vigilia e del pranzo di Natale. I menu sono pronti e anche gli inviti alle persone che saranno con noi a tavola, per trascorrere insieme questo momento di festa e di preghiera, per quanti credono in un giorno speciale: la nascita di Gesù.

Come sarà stato il primo Natale di don Lorenzo Milani a Barbiana?

Cinquanta chilometri lo dividono dalla sua precedente parrocchia a Calenzano, ma alcuni giovani della scuola popolare lo aiutano nel trasloco dei mobili e delle masserizie. Con lui ci sono anche Eda Pelagatti e Giulia Lastrucci vedova Pelagatti e madre della Eda. Dopo la morte di don Pugi le due donne hanno deciso di seguire don Lorenzo «per fare la volontà di Dio». Ma ancora, a tre settimane dall'arrivo nella nuova casa parrocchiale, «si adattano poco e non fanno che piangere» (Lettere di don Lorenzo Milani, 29 dicembre 1954). Che cosa sta succedendo?

Innanzitutto la pioggia a dirotto del 6 dicembre, un lunedì veramente inadatto a un trasloco. Non c'è, in ogni caso, possibilità di scelta: all'arrivo del nuovo parroco a San Donato, don Lorenzo se ne deve andare. Ancora in novembre, quando aveva saputo della sua nomina a Barbiana, con alcuni ragazzi della scuola popolare era andato a Legri, dal nuovo parroco designato, don Antonio Santacatterina, per chiedergli, come ricorda Mario Rosi, un po' di tempo «per sistemare le cose con i ragazzi». Ma don Antonio gli aveva risposto secco che se ne doveva andare subito: «Tu vai via e non se ne parla più!» A San Donato lui doveva «riportare la fede!» e ripristinare regole e riti. Come se don Lorenzo avesse distrutto ogni traccia di religiosità nel popolo della parrocchia!

Così il 6 dicembre, nonostante il maltempo, il trasloco è d'obbligo. Con la squadra che è corsa in aiuto a don Milani c'è anche Giorgio Pelagatti, un omone di ventisette anni che faceva l'operaio tessile, militante della Democrazia cristiana. Nonostante le tante braccia e la volontà di raggiungere al più presto un tetto per mettere al riparo mobili e materassi, oltre alle altre poche cose necessarie a far funzionare una casa, l'unica strada transitabile si fermava in mezzo al bosco qualche chilometro più a valle. Per salire occorreva fare uso di tregge, carri speciali senza ruote trascinati da buoi. Il sentiero impervio e sassoso impedì così di portare al riparo tutto quel che don Lorenzo, la signora Eda e la "nonna" si erano portati da Calenzano. Ecco cosa ricorda di quei momenti Ferruccio Francioni, un altro ragazzo della scuola popolare: «Ci toccò scaricare il camion su un prato, poco più su del bivio di San Martino, venendo da Vicchio. Pioveva come Cristo la sapeva mandare. Si coprì il mobilio alla meglio, ma si può capire come si ridusse tra l'acqua e il fango. Quello che non si era ancora rotto e sporcato durante il viaggio si scheggiò e si insudiciò tra i sassi e la melma del sentiero. Ci volle una giornata intera per portare la roba in canonica» (N. Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani, p. 200).

E poiché, quando si poté riprendere il trasloco, i mobili arrivavano un po' per volta senza troppo badare ai pezzi, era un problema rimontarli: «Si cominciava a montare un armadio e mancava la fiancata; si cominciava a montare un comodino e dopo essersi applicati per una buona mezz'ora ci si accorgeva di avere tra le mani i pezzi di due comodini differenti. L'Eda che è una donna molto precisa e ordinata in mezzo a quella confusione e a quello sporco pareva davvero un'anima in pena. Non si dava pace a vedere come si erano sporcati i materassi e com'erano ridotti i mobili. Era giù di morale... e diceva: "Ma avete visto dove ci hanno buttato... dove ci siamo ritrovati?" Arrivare in pieno inverno in una casa buia perché mancava l'elettricità, senza acqua corrente, con un gabinetto da far pietà e misericordia... poi la canonica era proprio tenuta alla contadina: coi polli che zampettavano dentro casa».

Don Lorenzo, lo sappiamo, non appena raggiunse Barbiana entrò in chiesa, «pregò e pianse». Ma quella era la sua parrocchia, anche se il vecchio don Torquato Mugnaini e la sua famiglia se ne andarono qualche giorno dopo, il 15 dicembre. Solo in questa data don Lorenzo scrive alla madre: «Mi spiace di non averti scritto prima, ma non eravamo ancora riusciti neanche a trovare un pezzo di carta. Anche ora la casa è tutta all'aria». Dopo la disperazione del primo giorno e forse dei giorni seguenti, nella lettera alla madre, probabilmente anche per rasserenarla, don Lorenzo scrive una frase di speranza e fiducia nel futuro: «Stasera c'era già la casa piena di giovanotti. Per ora li ho messi al lavoro per riordinarci la casa, ma aspettano ansiosamente la scuola». Già, i giovani e i vecchi che «pensano sempre a emigrare e per questo vogliono istruirsi e non badano a sacrifici [...]. Due famiglie non avevano ancora mai visto la chiesa, ma a scuola son venuti subito» (lettera alla marchesa Lina Farina Cini in Trigona, amica della madre, del 28 dicembre 1954). L'affetto dei sandonatesi è continuo e costante nonostante i tanti chilometri di distanza, ma anche l'accoglienza della gente che abita intorno al borgo. Don Lorenzo deve farsi conoscere e amare. Le chiacchiere che hanno accompagnato il suo arrivo a Barbiana sono tante e spesso non buone. Così, e non solo per conoscere i suoi parrocchiani e la loro condizione di vita, andrà di casa in casa, per contrastare con i fatti e la presenza quelle voci che lo volevano "punito" in esilio tra i montanari: giovane, intelligente, colto e ricco di famiglia, che ci faceva un prete così tra gli ultimi?

Ma torniamo al primo Natale di don Lorenzo, fatto di presepe, preghiera e solitudine, tra pochi parrocchiani che ancora non conoscono il loro parroco. Certo la sua Vigilia sarà stata semplice e senza eccessi di cibo e dolci, diversamente da come si usa oggi; al lume di candela, perché volenti o nolenti a Barbiana non c'era la corrente elettrica.

E quei pastori e le montagne del presepe, con i corsi d'acqua e i sentieri impervi che conducono alla capanna, dove Giuseppe e Maria aspettano la nascita di Gesù, gli saranno sembrati molto reali, nel suo Mugello. Una bizzarria del destino doversi mettere a fare un presepe quasi a imitazione del paesaggio d'intorno! Preghiera e disperazione, solitudine e silenzio e un desiderio interiore di assecondare la volontà di Dio. Non lo sappiamo, ma forse questi erano i sentimenti di don Lorenzo in quella notte di Natale; sentimenti che rafforzano il suo amore per il popolo che gli è stato affidato e per il sacerdozio. Ne troviamo conferma anche nella lettera alla madre, piena di entusiasmo: «È due giorni che lavoro per rendere accogliente la cucina per vedere di consolare un po' la nonna [la madre di Eda]. Ho riverniciato di celeste armadio, tavolo e finestre, ho messo la luce a gas, il fornello a gas, la cucina a legna, ho ordinato l'acquaio (che arriverà domani). Nell'armadio poi c'è ogni ben di Dio. Tra quel che ci hanno regalato prima di partire e quello che ci hanno portato via via venendo a trovarci [...]. Non ho bisogno di soldi perché il popolo di S. Donato mi ha regalato 80.000 lire in contanti» (15 dicembre 1954). Ma si è fatto molto di più: «La nonna ha già comprato il bestiame (6 bestie per 450 mila lire). Io ho comprato grano (3 quintali), conigli (30), polli (non so quanti). L'olio comprerò quello del priore vecchio al momento del raccolto. La capra invece gliel'ho fatta vendere perché faceva a fatica due tazze di latte al giorno e l'Eda non sapeva mungerla. Spero di potere avere il latte da qualche contadino. Alla peggio comprerò una mucca» (15 dicembre 1954).

Don Lorenzo è dunque arrivato a casa: Barbiana è la sua parrocchia e, nonostante tutti lo credano lì in modo provvisorio, lui sa bene che non può pensare ad altro luogo per sé se non quella piccola chiesa tra i monti del Mugello. Il 7 dicembre, prima ancora di sistemare i mobili e la casa e di prendere contatto con i nuovi parrocchiani, all'insaputa di tutti scende a Vicchio e con l'aiuto del suo amico don Renzo Rossi va in comune e compra uno spazio nel minuscolo cimitero sotto la chiesa. «Quella tomba» dice don Rossi «lo avrebbe fatto sentire totalmente legato alla sua nuova gente nella vita e nella morte». Cominciava ad accettare l'esilio a Barbiana «con giovanile entusiasmo e immutata serenità», nonostante, scrivendo all'amico Meucci due anni dopo, gli confidasse come «fosse assai palese a chiunque che vi fossi confinato come finocchio e demagogo ereticheggiante e forse anche confesso visto che non avevo reagito», perché «ultimamente i preti di Calenzano s'erano specializzati a dire che corrompevo i ragazzi» (N. Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani, p. 204).

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14.
24 gennaio. Primo pomeriggio, nebbia fitta

E ora, cari Matilde e Nicola,

impariamo a scrivere.

L'antefatto è semplice da raccontare: nel giugno del 1963, il giornalista e amico di don Milani, Giorgio Pecorini, accompagna a Barbiana Mario Lodi, un maestro delle scuole elementari di un paesino, Vho di Piadena, della pianura padana, tra Cremona e Mantova (la provincia è comunque quella di Cremona). Mario appartiene da tempo al gruppo di Cooperazione educativa che sviluppa un'esperienza di insegnamento, promossa in Francia dal pedagogista Célestin Freinet, che punta sul coinvolgimento attivo dei bambini, valorizzandone le potenzialità e le competenze nel loro stesso apprendimento.

Mario Lodi e don Lorenzo si mettono d'accordo per uno scambio di lettere tra le due scuole e in data 1° novembre i ragazzi di Barbiana scrivono agli scolari di Vho, sul tema: «Perché vengo a scuola». Il lavoro collettivo di elaborazione e scrittura del testo dura nove giorni (quindi è cominciato assai prima della data impressa sulla testata della lettera) ed è un modo eccellente, come ricorda don Milani a Mario Lodi nella sua lettera datata il giorno dopo che accompagna quella dei ragazzi, per «studiare l'arte dello scrivere» tutti insieme. In sintesi, succede questo: il primo giorno, un pomeriggio intero di scuola, tutti scrivono liberamente, poi il secondo pomeriggio leggono ad alta voce e si appuntano su «dei foglietti» idee, frasi ed espressioni «particolarmente felici». La mattina successiva, ancora tutti insieme al lavoro per riordinare i foglietti, secondo uno schema in base al quale ciascuno nel quarto giorno (5 ore di un pomeriggio) si mette al lavoro per rifare da solo la lettera seguendo lo schema comune.

Il quinto giorno (per intero questa volta), ogni ragazzo legge ad alta voce ciò che ha scritto intorno al primo punto dello schema e così di seguito per gli altri sette punti. Ne nasce un testo collettivo, scrive don Milani, che è il risultato delle migliori espressioni e che misura 1.128 vocaboli!

Il sesto giorno il testo collettivo viene trascritto da tutti sotto dettatura su una colonna del foglio, perché sull'altra colonna ciascuno scriverà le proprie correzioni, tagli, aggiunte, semplificazioni, concetti trascurati ecc.

Il settimo e l'ottavo giorno, frase per frase, il testo viene passato al setaccio e ogni ragazzo dice ad alta voce le correzioni che propone. Il lavoro prosegue anche la mattina del nono giorno. «Il testo che risulta da questo lavoro è composto da 823 parole — scrive don Lorenzo a Mario Lodi — è perciò diminuito di ben 305 parole pur essendo arricchito di molti concetti nuovi».

Ecco, Matilde e Nicola, una frase su cui soffermarci: meno parole e molti concetti nuovi, il che vuol dire che spesso si parla e si scrive a vanvera (che se gli mettete un accento sulla "e" sembra una località turistica, Vanvéra, dove tutti danno aria ai denti!), abbondando nelle parole vuote e senza significati. Dandola a intendere e ripetendo sempre le stesse cose.

«Il lavoro di questi ultimi tre giorni — scrive don Milani — è stato entusiasmante per me e per i ragazzi». Come a dire che trovare la parola giusta al posto giusto, la parola che dice veramente quel che pensi, i tuoi sentimenti e le tue ragioni e riassume in sé i significati che girano nella tua testa, che in breve comunica tutto, ma tutto quel che vuoi dire all'altro che ti ascolta è una gioia. «In questa fase [gli ultimi tre giorni di correzioni comuni ad alta voce], si possono studiare insieme tutti i problemi dell'arte dello scrivere: completare e semplificare. Finir di cercare quel che non si è ancora detto, cercare di dire col minimo dei mezzi. Cercare di indovinare la reazione del lettore, eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative non restrittivi, i periodi troppo lunghi ridomandandosi all'infinito se un dato concetto è vero, se è nel suo giusto valore gerarchico, se è essenziale, se il destinatario avrà gli elementi per comprenderlo, se provocherà malintesi. A questo punto c'è venuto fatto di cercare di eliminare anche le frasi che suonavano troppo vanitose. Ma ci siamo imposti di non farlo. L'arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarsi in migliori noi stessi».

Scrivere come un "sacro" atto di comunicazione, come un'esperienza di messa a disposizione del sé all'altro; ancora, come un atto di altruismo. Un modo per farsi comprendere e per comprendere l'altro che ci legge e ascolta. Ecco, mia Matilde e mio Nicola, qui provo a sviluppare un'idea che se è troppo difficile vi spiegherò meglio quando ci vediamo (oppure potranno farlo i vostri genitori, lettera alla mano!). La relazione con gli altri (coloro che vivono accanto a noi o che sono lontani, altre culture, in senso geografico o storico; sono altro da noi gli albanesi o i nigeriani, ma anche i greci antichi o gli uomini e le donne del medioevo) può spingerci ad agire in vario modo. Per semplicità, facciamo quattro esempi, prendendoli da uno studio di Tzvetan Todorov. Nel primo, per comprendere e relazionarmi con l'altro attivo meccanismi di assimilazione. Mi interessano gli altri, le culture lontane ecc., solo se sono tutte identiche o simili a me e alla mia esperienza di vita. In questo caso, anche se la relazione è tra un io e un altro, esisto solo io, proprio perché l'altro può esserci esclusivamente se si rende uguale a me. Nel secondo esempio, mettendomi in relazione con l'altro cancello me stesso e faccio prevalere a svantaggio mio l'altro. Anche qui, non c'è un rapporto a due, ma persiste una sola identità, quella dell'altro da me. Posso tuttavia pensare che sia bello relazionarmi con l'altro e mantenere nel contempo la sua e la mia identità. Qui la dualità prende il posto dell'unità e l'io rimane distinto dall'altro, ma spesso senza compromissione, vale a dire: io capisco l'altro, l'altro capisce me, ma tutti e due rimaniamo sulle nostre posizioni, separati e spesso in difesa. Avrete capito che questo era il terzo esempio. E veniamo allora all'ultima possibilità che è quella che viene attuata a Barbiana e alla quale io aspiro: la relazione e la conoscenza dell'altro dipende dalla mia identità, ma proprio questa relazione determina in me e nell'altro un cambiamento, per cui grazie all'altro io faccio un nuovo passo verso la conoscenza di me stesso e così accade all'altro. Nuova conoscenza di sé, nuova conoscenza dell'altro e così all'infinito, in un processo di trasformazione che tende a ritrovare una condivisione forte nella diversità. È la condizione del dialogo e della crescita. E a Barbiana è la via maestra per diventare veri uomini, prima ancora che buoni cristiani. Ecco tutto. Anche i ragazzi che scrivono agli scolari di Mario Lodi lo dicono: «Anche amare il sapere può essere egoismo. Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo».

Che ne dite voi, Matilde e Nicola? Sarà mai possibile vivere pienamente la propria vita al servizio del prossimo, sapendo che così si arriverà a una maggiore ricchezza interiore e a una vera completezza umana?

Molto rapidamente, constato, e l'abbiamo fatto più volte insieme quando eravamo tutti uniti a tavola, che la tendenza culturale predominante oggi ci spinge a essere sempre più "centrati" su noi stessi; e così l'egoismo diventa un fatto sociale, tanto che alcuni studiosi guardando all'oggi hanno coniato per noi la definizione un po' inquietante di "società del narcisismo"; come se tutti noi insieme, alla stessa stregua di Narciso, specchiandoci negli altri non sapessimo vedere che noi stessi. Ma certo, oggi l'altruismo disinteressato è una moneta rara. E forse occorre proprio prepararci, formarci come suggerisce don Lorenzo, a diffonderla sempre più, prima di tutto con la nostra azione e la nostra testimonianza. Così possiamo sperare di realizzare il sogno di una umanità più giusta e in pace.

Ora però lasciamo in sospeso la storia e quelle idee, di una scrittura che si fa non solo portatrice di senso ma che ci aiuta a comunicare e conoscere gli altri, per tornare un attimo alla vita di tutti i giorni a Barbiana, sempre «ricca di nuovi avvenimenti».

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