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Pagina 13
Uno
1.1
Salve Musa, per cominciare è meglio
esser leggeri. O caro lettore,
tanto tempo fa, era il primo abbaglio
degli anni '80, viveva un signore
di nome John. Un uomo realizzato:
giovane, solitario, rispettato.
Una sera attraversando il giardino
accanto al Golden Gate, il suo cammino
s'andò a incrociare con un frisbee rosso
che quasi l'uccideva: "Chi farei
disperare", pensò, "chi renderei
felice con la mia morte?". Fu scosso,
ma da tali quesiti deprimenti
si rivolse a meno estremi argomenti.
1.2
Per quietarsi, sintonizzò i pensieri
sull'elettronica, e sui circuiti;
accantonando gli umori più neri
nonché i sentimentalismi gratuiti.
Si concentrò sugli "or-gates" e gli "and-gates",
sui CDROM, su "nor-gates" e "nand-gates",
sui bit, i megabyte, nanosecondi,
nanoquarti... ma mentre varie rondini
e uccelli stilizzati più diversi
strepitano in un cielo merlettato
di pini, di colpo John vien strappato
alla sua tana: i suoi pensieri spersi
verso il largo, dove lui, trattenuto
dalla solitudine, grida aiuto.
1.3
Θ bello John, e veste un po' formale.
Parla piano, è sveglio d'intelletto,
al lavoro tiene un ritmo abnormale,
e a mo' di ex-voto gli pende sul petto
il nome su una targa plasticata.
Guadagna sì, ma non è scapestrato,
paga l'affitto, fa una vita sana:
mai sigarette, poca marijuana.
Si astiene dagli alcolici e dai preti,
coltiva il giardinaggio e la lettura,
da Thomas Mann a San Bonaventura
(un modo come un altro per star lieti).
Degli amici quasi evita il contatto,
ma il suo capoccia è molto soddisfatto.
1.4
Biondo, gli occhi grigi, aristocratico
per il cipiglio, l'altezza, lo sguardo,
selettivo, eppure non dogmatico,
e anche fragile dietro un baluardo
di abitudini e gusti raffinati,
anche se i suoi future sono schizzati
alle stelle... ed è abbigliato a puntino...
John sente che la sua vita è in declino.
Θ un uomo appassionato, attraente,
e respingente insieme: senza quasi
volerlo, ha avuto un sacco di spasi-
manti attratte dal suo temperamento
di fuoco. Ma tutto ciò precedeva
l'attuale fase "castità & carrierà".
1.5
John guarda i fiori autunnali sui rami,
osserva come le piogge a settembre
han rinverdito l'intero fogliame
sulle colline. Ed è stato sempre
così, anche quand'era ragazzino:
San Francisco e il suo inquieto destino
gli accendevano dentro una scintilla
che in questo stesso giardino ora brilla
di nuovo. E la spinta delle falde
tettoniche è come se lo slanciasse
dalle vecchie dune verso le masse
oceaniche. Ma a questo punto è tardi,
gli uccelli al tramonto tornano al nido,
e scende la notte su ogni respiro.
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Pagina 51
2.34
A Liz scriver la lettera costò.
Sfogliò il giornale e poi quasi incurante
vide l'annuncio infelice di John.
La parola che trovò più allettante
fu "quadrato". Aveva meditato
spesso sulla sua geometria, dato
indispensabile se vuoi trovare
con chi sei congruente: non le appare
un doppio senso, in questo pensiero?
Insomma, anche se non l'ha mai fatto,
con penna impudente e priva di tatto,
con le guance arrossate come il siero
e il cuore che le martella impazzito,
scrive un biglietto, e l'ha già spedito.
2.35
Domenica mattina, Cafè Trieste,
John sta seduto in attesa elegante:
uno scaltro veterano di queste
sceneggiate. Non sarà più probante
incontrarsi di giorno? Θ più tranquillo,
neutrale; e se non scatta l'idillio,
ci si può salutar senza tormento.
Mezzogiorno, ecco l'appuntamento:
Θ lei! Alta, bionda, acqua e sapone,
scorge John da lontano ben vestito
e con fare dubbioso e un po' spigo-
loso, gli dice: "Scusa, per favore...
Ma sei tu, John?". Lui sorride: "L'hai detto.
E tu saresti Elizabeth, sospetto".
2.36
"Deliziosa", pensa (è già incantato?).
Si presenta, e ha un moto d'incertezza.
"Carina... il suo stile misurato
dice che è appena uscita dalla messa...
Sana, solida, pratica e attiva."
E Liz pensa: "Ha una certa attrattiva.
Magari...". Ma tutto questo è dedotto
prima che sia pronunciato un sol motto.
John ordina un croissant con un espresso,
e lei tè con una fetta di torta.
Dopo che: la conversazione è morta,
ognuno sta sulle sue un po' perplesso.
Finché entrambi contemporaneamente
spezzano il silenzio: "Beh, ecco, niente".
2.37
Si bloccano e poi riprendono insieme:
"Mi spiace... e ognun s'azzitta di nuovo.
Si ride. "Per me comunque va bene.
Parlo io o parli tu?", fa John: "Io provo...
allora a dire... che sono contento...
d'esser qui." Liz non fa nessun commento,
ma sorride. John dice: "Θ scorretto
far la timida dopo quel che ho detto.
Una confidenza ne chiama un'altra".
"Non c'è bisogno", dice Liz. "Avrei
solo confermato che i tuoi e i miei
pensieri collimano." E l'un l'altra
si guardano strani, come per dire:
"Non so perché parlo con quest'ardire".
2.38
Dentro il locale le arie di Rossini
si spandono da parete a parete.
Un ubriacone reclama Puccini.
Ebbri tra gli habitué si compete
in cori stile Domingo e Pavarotti,
e si ciancia con toni pseudodotti
sui dilemmi del pianeta, si sfogliano
i giornali, l'attenzione si convoglia
sulle news e lo sport, o meglio ancora,
sul foglio centrale con le vignette,
nel quale ogni giorno Garfield si mette
pancia all'aria e s'ingrassa. Si colora
di polemica qualche discussione,
ma sulla birra non c'è divisione.
2.39
Eccoli i due, rapiti dal flusso
delle parole. Jan entra, li coglie,
ma cosa sente? Potrebbe esser russo
la lingua in cui parlano. Lei distoglie
lo sguardo, resta lontana e contempla:
John è gioviale ed euforico; sembra
stare anche a suo agio. Liz (ma chi è?),
tutta esuberante in un macramè
di spiegazioni e racconti, appare
raggiante. Jan riflette: "Come dire,
mi sa che non mi va di interferire...
E poi ecco! Dovrei dar da mangiare
ai miei piccoli dèi che aspettano a casa.
Tornerò quando sarò più persuasa".
2.40
Senza esser vista, Jan esce, privata
della sua abituale pausa caffè.
Dentro, nel bar, Liz rimane incantata
a guardare John che sorseggia il caffè,
assaggia le torte, la sua corazza
depone. Lei ride e pensa: "Che razza
d'uomo prezioso! Ha stile, mi attira,
e io gli piaccio. La fortuna gira?".
(O usignoli! Luna! Rose fiorite!)
Il discorso è etereo come champagne.
Lei gli parla del suo gatto: "Charlemagne!
Una bestia speciale!", John sorride,
e un brindisi propone: "Lunga vita
alla Francia e alla Britannia Unita!
2.41
Che fioriscano e prosperino insieme".
Felice (giusto un'ombra di tristezza),
lui finisce il caffè: "Ma la mia speme
adesso è di ottener la sicurezza
di rincontrarti. Giovedì? Di sera?
Che ne dici? Non porre una barriera.
Facciamo al Paradiso, è nell'Haight,
oppure un film dopo cena, all right?".
Liz pensa: "Oddio, il gruppo di Gestalt!
Ho già saltato la volta passata:
M'hanno detto che se non fossi andata
stavolta...". Ma il suo pensiero si arresta,
e accetta. "John, grazie", e son fuori.
Si dan la mano... si toccano i cuori.
2.42
Passano i giorni in un picosecondo.
O scorrono lenti, sembrano eterni.
Il tempo è fermo o vola, a seconda.
Ma fluttuando Liz tra miraggi alterni,
lascia le ore a sfilare via in fretta;
John si tortura a guardar la lancetta
che espande il tempo che lui e Liz separa
dal giovedì... è un'attesa amara
fatta di grigie giornate. Ma arriva
alla fine l'agognato appuntamento.
John sta lì prima, e l'arredamento
contempla. Liz fa un'entrata da diva:
un vestito bluette mette in gran risalto
lo zaffiro dei suoi occhi cobalto.
2.43
I suoi capelli biondi in una crocchia
soffice tien raccolti. Una perla,
appesa a un filo d'oro, grazia agli occhi
aggiunge. John non riesce, sarà per la
meraviglia, o per la confusione,
a emettere suono: un'illusione
divina? Sto sognando? Si rià
giusto per farfugliare: "Come va?
Spero... Liz... non sia poi stato un casino
arrivare...". Gli manca il fiato. Siede.
Liz gli dice: "Mister Brown, si dia requie.
Son nervosa anch'io. Se m'avvicino,
la folgoro". Ma con un inatteso
moto d'affetto, la mano ha già preso.
2.44
John abbassa lo sguardo, ma poi lento
rialza la testa, sospira. Si guardan
l'un l'altra, tra seduzione e sgomento,
occhi negli occhi. Il maξtre, con la barba
folta, e un bel fisicaccio da macho,
dice: "Anche se fa freddo, il gazpacho
è il piatto ch'io raccomando. D'agnello
delle noisettes, o magari vitello,
vol-au-vent, a seguire...". Sono inutili
i suoi suggerimenti. E le parole
gli scivolano addosso. "Beh. L'amore
passa sopra a ogni cosa. Son perduti
tra desideri infiniti, gli amanti,
ma almeno lasciano mance abbondanti..."
2.45
Liz, sballottata nella confusione
mentale, prende quindi la parola:
"Oggi avevo una causa... Collusione...",
e John le dice: "Non so che dire, ora.
Da quando ci siamo visti, non riesco
a pensare a nient'altro è bambinesco!
credevo fosse un gioco, però quando
ci incontriamo, mi sento nello sbando
più totale è come se il mio cuore
cedesse dei dolori così forti
che non riesci a guarirli né a opporti.
Resti schiacciato. Lo stesso dolore
questa domenica s'è riaffacciato
nel momento in cui tu m'hai salutato".
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Tre
3.1
Mentre Liz e John vanno fuori fuoco,
avvolti da una amorosa foschia,
caro Lettore, verso un altro luogo
volgiamo ora l'obiettivo; ossia
alla profonda fenditura del suolo:
i rustici indigeni, e lo stuolo
di chi respira quest'aria e si bea,
qui, lungo la Faglia di Sant'Andrea.
Gli scambi, il governo, la natura
nel suo splendore, le follie d'amore,
si susseguono senza alcun timore;
sotto di loro giace la frattura,
spaventosa autrice di quelle scosse
che apron le rocce come niente fosse.
3.2
Un bimbo biondo, con suo padre siede
in vetta a una collina, sopra un sasso.
Il figlio, Paul, con gli occhi un bruco segue,
Phil, il padre, seduto un po' più in basso,
(intimo amico del John succitato)
mentre Paul s'acciglia, è rilassato.
Paul ha solo sei anni, Phil ventotto;
nasce un battibecco, così, di botto,
e Phil con il braccio cinge suo figlio.
Phil ricorda: "Vedi, alla tua età,
rapido, l'umore del tuo papà
mutava, come per te...". Con cipiglio,
Paul lo interrompe: "Pa', sei quasi calvo".
"Lo so", dice Phil, mettendosi in salvo.
3.3
Phil considera la sua condizione:
"Se è pur vero che il nostro patrimonio
genetico fissa la propensione
a perdere capelli... questo demonio!?...
(Stritola una foglia secca, si gratta
con le dita la pelata ultrapiatta,
in esplorazione, si sfrega il naso,
e si toglie gli occhiali.) Metti il caso...
(aggrotta le ciglia in meditazione)
...se invece di perder tutti i capelli,
ci si coprisse la fronte di velli
che poi si spandessero in migrazione
agli occhi e alle guance, e poi alla bocca...
Meglio diventare calvi, se tocca!".
3.4
Sollevato da quest'idea bislacca
Phil indirizza ora le sue attenzioni
alla fredda stagione e a tutti i suoi acca-
dimenti: le querce di dimensioni
difformi, alcuni passeri in volo,
o l'avanzare dei licheni al suolo,
e sul macigno dove Paul cantando
siede, la collina col suo rimando
dorato, il cardo che inaridisce,
e i rovi, e l'aria fredda e lucente
presagio di un temporale imminente;
il tordo beffeggiatore garrisce,
volando liquidamente attraverso
il cielo californiano azzurro terso.
3.5
Due sottili querce, nel freddo oscuro,
i rami nudi, ornano la vetta.
Sopra la roccia, in volo sicuro
la ghiandaia verso il nido s'affretta,
uno scatto improvviso dove il verde
riverbero del vischio si disperde
nell'intrico di generose fronde
del suo ospite; e le mandrie errabonde
si spargono lungo gli umidi fossi,
vibrano d'intento, ansanti e pronte,
per arrivare alla cresta del monte,
severe d'aspetto, come colossi,
battendo la terra con colpi netti
di zoccoli: sono atleti perfetti.
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Pagina 110
Cinque
5.1
Una settimana fa, terminato
il capitolo che avete appena letto,
e, con desiderio sempre immutato,
create altre rime, per diletto,
un editore a una festa elegante
(con buon vino, cibo, chiacchiere tante)
ospitata da (viva!) Thomas Cook,
dove fu celebrata e forse più
la mia guida del Tibet mi fa: "Senti,
che ci prepari?". "Un romanzo..." "Bene!
Speriamo che tu, mio caro Seth me ne..."
"...in versi." Si fa giallo. Mostra i denti.
"Che meravigliosa... eccentricità!"
E fingendo distacco, se ne va.
5.2
Critici e editori... tutti hanno
storto il naso. Non ero più nel giusto.
Un autore è un artritico in affanno
tra questi Dèi muscolari del Gusto.
Per il biancomangiare si è poeta?
Il mondo è duro. Non lo sa, l'asceta?
Sbavare rime può esser divertente,
ma la domanda è: lo sputo vende?
Cincischiando in casa, in depressione,
la volontà è esausta. Il cuore pesto.
La mia lira ormai è muta. Ho per questo,
per aver conforto, una riunione
indetto con amici o presunti tali
per spiegar i miei traguardi finali.
5.3
Come giustificare questa stanza?
Le rime molli? La musa indolente?
L'assurdità di questa stravaganza
démodé? Come usare, indifferente
al tempo, la struttura dell'Onegin
nella desolata terra di Reagan?
Questi pani non lieviteranno?
Davanti ai miei occhi avvizziranno?
Dei miei versi non so dare ragione.
Ma poiché nessun sudario di termini
potrà salvare il mio corpo dai vermi,
dovrò imbarcarmi nell'operazione.
Se non va, una giustificazione
non rinvierà la sua tumulazione.
5.4
Chiedono perché ho usato il tetrametro.
Perché un tempo era nobile, eppure
stenta di fronte al fiero pentametro,
maestà dell'inglese. A malincuore
vedo queste meravigliose strofe
svilirsi (negli Hudibrastic Poems;
d'ogni genere di trucco cosparsi,
irregolari e artefatti), disfarsi.
Perché prendere tutto così male?
Be', non sarebbe così se io potessi
curare il valore e il ritmo stessi,
considerai, ma (ed è fatale!)
un giorno non ci sarà più per me
tempo d'aspettare. Ecco perché.
5.5
Lettore, basta con l'apologia;
ascoltami se credi conveniente
prima di arrestar questa litania
fissare una strofa in modo suadente,
perché tu spenda del tempo in riposo
con questa fonte di gusto corposo:
chiara, dolce, gaia, fluente, colta.
L'omaggio lo devo a ciò che una volta
mi ha regalato, in ispirazione
e in delizia. Per me vale un memento
di quanto io debba a Puskin, all'immensa
opera di Johnston sulla traduzione
dell'Evgenij Onegin come spumante,
la sua effervescenza è quasi accecante.
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Pagina 171
7.26
In difesa della democrazia
un Cesare rinuncia al suo regime?
Un padrone alla schiavocrazia?
Quale gatto rifiuta il suo mangime?
Chi si aspetta un pronunciamento
disinteressato del Parlamento,
dell'esercito o della Casa Bianca,
vive nella favoletta di Bianca-
neve. Non si può aspettare la legge.
Ma dobbiamo affidarci ai nostri mentori,
Thoreau, Martin Luther King, Susan Anthony,
la vecchia memoria di chi protegge
i principi della nostra nazione
che fu "fuori-legge" dalla fondazione.
7.27
Non c'è più tempo quando l'escalation
riempirà gli arsenali di potere
distruttivo, e l'ultimo rovescio
della ragione indurrà le alte sfere
delle nazioni a schiudere i boccioli
di morte, e far germinare stuoli
di scheletri in nome del benessere!
Noi dobbiam sconfiggere le accortezze,
e pregare, agire in ogni modo
pacifico, non servono eroismi
che possa evitare i cataclismi.
I test nucleari non hanno altro scopo
se non una futura guerra: questo
deve pensare ogni singolo terrestre.
7.28
Gente di Lungless, in punto di morte
sarete lieti che il vostro lavoro
sarà servito per dare manforte
agli obiettivi di tutti coloro
che attaccano il cuore dell'esistenza?
L'avete fatto anche se la coscienza
vi avvertiva di questi scopi. Quale
scrupolo vi siete fatti? Il male
per la sua banalità è famoso.
Quelli che ad Auschwitz han costruito i forni,
che Dio posson pregare? Tutti i giorni
timbravano il cartellino luttuoso,
scherzavano, giocavano coi figli,
la vergogna non gli dava consigli.
7.29
Uccidere è morire. L'equazione
non ha niente di mistico. Θ vera
in tutti i sensi. La nostra nazione
ha creduto a lungo che la guerra era
uno sport. Non ha visto morti e bombe,
mentre "dall'altra parte" si soccombe-
va sotto le granate. Che sentore
possiamo mai avere noi del terrore
russo della guerra, l'immensità
dei loro morti? Ci esalta la corsa
alle armi, anche adesso che la morsa
del nucleare, tutto, annienterà.
Eppure parliamo di "attacchi mirati",
"danni collaterali limitati".
7.30
Non c'è salvezza e non c'è vittoria.
Non c'è difesa, non c'è alcun confine.
Non ci sono limiti, non c'è storia.
Non ci sono più nemici alla fine
di questo fratricidio. Creperemo
tutti, sì. A dispetto del supremo
orgoglio onnisciente dei nostri leader.
Quando tutto sarà compiuto, ridere
sarà assurdo. Che stramba ortodossia!
Dicono, l'America è superiore
dato che in Russia chi protesta muore!
Ma questo vuol dire che noi, ossia,
quelli contrari a questa guerra atroce,
dobbiamo essere i loro portavoce.
7.31
"Dieci ostaggi" vuol dire terrorismo;
un "milione" ed è una strategia.
Censurare dei libri è fanatismo,
distruggere del tutto e spazzar via
la cultura, la civiltà, l'intero
consorzio umano, l'antico mistero
del creato, è un atto di dignità
che richiede gran forza e volontà.
Ci vuole un po' di chiarezza morale
per pensar che è giusto sterminare ogni
famiglia russa, solo perché i sogni
di gloria dei loro leader è uguale
per i nostri minacciano l'orgoglio
della nostra Patria e del dio petrolio.
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