Autore Giuliana Sgrena
Titolo Dio odia le donne
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2016, Piccola Cultura 71 , pag. 208, cop.fle., dim. 13,6x19x1,8 cm , Isbn 978-88-428-2216-5
LettoreGiorgia Pezzali, 2016
Classe religione , femminismo , movimenti , storia sociale , storia criminale












 

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Indice


Introduzione                                  9


1.  Fantasmi                                 13

2.  Adamo                                    21

3.  Isole Vergini                            33

4.  Donna immonda                            53

5.  Invisibili o svergognate                 63

6.  Figlie di Cleopatra                      83

7.  «Crescete e moltiplicatevi!»            103

    Mogli ripudiate                         103
    Ciò che Dio ha unito                    107
    La buona moglie                         112
    Matrimoni misti                         117
    Un marito, molte mogli                  121
    Per dovere... e 'per piacere'           127
    Conversioni e matrimoni forzati         129

8.  L'utero è mio                           131

    Utero in affitto                        142

9.  Eredi a metà                            145

10. Donne senza potere                      155

    Il caso valdese                         171
    Il caso Regina Jonas                    173
    Il mondo islamico                       179


Conclusione                                 187

Note                                        191
Glossario                                   197
Bibliografia                                205


 

 

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Pagina 9

Introduzione


                                «Si possono fondare imperi gloriosi sul crimine,
                                e nobili religioni sull'impostura.»

                                                              CHARLES BAUDELAIRE



Dio, Allah, Buddha. Comunque lo si chiami, è in suo nome che gli uomini scatenano il loro odio contro le donne.

La Bibbia, la Torah o il Corano sono gli strumenti di questa aggressione, spesso utilizzati a sproposito. E quando non bastano le Sacre Scritture vengono in soccorso i santi per chi li venera, i miracoli per chi ci crede, gli hadith del Profeta (veri e falsi), i dogmi. Le religioni costituiscono l'alibi per il patriarcato. Che esisteva anche prima dell'avvento delle religioni monoteiste e che, secondo la studiosa lituana Marija Gimbutas , sarebbe succeduto a un'organizzazione sociale matriarcale, diffusa in Europa tra il 7000 e il 3500 a.C. Il matriarcato è però incompatibile con le religioni monoteiste, e la discendenza matrilineare non è sufficiente a garantirlo. Anzi, alla discendenza matrilineare - che tradizionalmente trasmette l'appartenenza all'ebraismo - corrisponde spesso un potere maschile.

Dio odia le donne non vuole essere un pamphlet, né ha la pretesa di offrire una nuova 'esegesi' delle fonti; vuole invece presentare al lettore i risultati di una ricerca personale - non facile, ma per certi versi liberatoria - sulle ragioni alla base dei comportamenti adottati o imposti dalle religioni monoteiste e sulle evoluzioni che hanno consentito loro di adeguarsi ai cambiamenti culturali e sociali. Evoluzioni, quando ci sono state, assolutamente inadeguate alle domande e alle necessità di progresso della società, tanto che oggi, talvolta, si assiste a un vero e proprio ritorno alle origini, alimentato da un fanatismo che si accanisce particolarmente contro il sesso femminile.

Dio odia le donne è lo sguardo di una donna atea - atea lo sono diventata, come potrete scoprire leggendo il libro - ma, almeno nelle intenzioni, vuole essere uno sguardo il più possibile 'neutrale' rispetto alle diverse religioni prese in considerazione. Mi sono limitata a quelle monoteiste, perché hanno un'origine comune, sono le più diffuse e segnano pesantemente le vicende politiche e umane dei nostri tempi, come di quelli passati; quanto al cristianesimo, mi sono soffermata soprattutto sul cattolicesimo, con brevi cenni al protestantesimo.

Senza nessuna pretesa di esaurire un tema così vasto, spero che questo libro possa contribuire al dibattito, in un momento in cui la crisi dei valori porta a un diffuso bisogno di spiritualismo, che vede prevalere - credo non a caso - le forze più aggressive e fondamentaliste a scapito delle più 'moderate' (ammesso che si possa parlare di moderazione in questo campo). Così avviene in Medio Oriente tra sunniti, sciiti ed ebrei, in Birmania con i buddhisti, in India con gli indù, in Occidente con i cristiani. E le vittime dei fondamentalismi sono principalmente le donne: una ragazza viene lapidata perché accusata di aver bruciato una copia del Corano in Afghanistan; negli Stati Uniti si spara contro le cliniche che praticano l'aborto; nei conflitti le donne sono considerate bottino di guerra. Nella notte di Capodanno del 2015, a Colonia e in altre città tedesche, un attacco di violenza inaudita, anche sessuale, scatenato contro le donne che si trovavano in piazza da parte di una massa incontrollabile di maschi - di origine arabo-musulmana, ma anche occidentale - ha reso evidente qual è il nemico delle culture misogine e patriarcali.

Non si può essere tolleranti con le religioni; altrimenti, proprio qui in Europa, un giorno ci troveremo sedute in fondo all'autobus, come succede non solo in Iran ma anche in Israele, isolate su spiagge riservate a sole donne - in Italia sono già state avanzate richieste del genere, anche per le piscine - e segregate nelle scuole. Sono questioni su cui i fondamentalisti delle varie fedi si mettono facilmente d'accordo. Non lo sono forse già sul considerare le donne un oggetto sessuale di proprietà del maschio? Non importa che le vogliano nude o completamente velate. Forse la miglior rappresentazione di questo 'oggetto sessuale' la dà l'opera di Magritte Lo stupro, in cui il viso è trasformato nell'oggetto del desiderio: «Gli occhi sono diventati seni, il naso è rappresentato dall'ombelico e i genitali sostituiscono la bocca», così descrive la sua opera lo stesso pittore.

Nell'islam la sessualità non occupa solo la vita terrena, ma anche l'aldilà. «L'islam alimenta un immaginario fuori dal comune facendo appello a qualcosa di ancor più straordinario: la houri [vergine del paradiso]. La nozione di paradiso è fondata su questo piacere senza limiti [...] Il cielo, come la terra, è fondato sulla sessualità» afferma il poeta siriano Adonis, sostenitore dei diritti delle donne e della laicità. Ma in Occidente il termine 'laico' è sempre più spesso sostituito con il dispregiativo 'laicista', come se non fosse possibile sostenere i valori della Rivoluzione francese senza assumere atteggiamenti fondamentalisti. La laicità è presentata dagli oscurantisti come sinonimo di permissività e depravazione. Non a caso, proprio i simboli della laicità sono entrati nel mirino dei jihadisti, mentre è solo la laicità a poter garantire l'uguaglianza tra le varie confessioni, che non devono minimamente interferire con la politica.

La Rivoluzione francese ha dato origine alla modernità con l'abolizione della monarchia assoluta, che fondeva potere politico e religioso. Sono nati così la nozione di cittadino e il principio della sovranità popolare. Ma solo dopo un secolo e numerosi rivolgimenti la Francia ha definitivamente sancito il principio della laicità dello stato. Gli altri paesi europei, come l'Italia, che basa i propri rapporti con la Chiesa su un concordato, garantiscono alle istituzioni ecclesiastiche l'autonomia dallo stato. Le gerarchie religiose - come vedremo - rispettano la sovranità popolare solo quando non entra in conflitto con i loro principi. Questo si è verificato e si verifica in Italia proprio per quanto riguarda i diritti delle donne, con continue ingerenze della Chiesa su temi come il divorzio, l'aborto, la procreazione assistita e, di recente, le unioni civili.

Sebbene la Costituzione garantisca la libertà di culto, non c'è dubbio che in Italia la religione cattolica eserciti una sorta di supremazia. Lo si vede nella vita, ma anche nella morte: a Roma esiste un bellissimo cimitero all'ombra della Piramide Cestia che ospita circa quattromila tombe, in gran parte di stranieri - alcuni famosi come Keats e Shelley -, ma anche di qualche italiano - come Antonio Gramsci. Fra i sepolti, dunque, ci sono nazionalità diverse e fedi diverse, oltre a non credenti, eppure il cimitero è conosciuto come l' 'acattolico' per stranieri e non è citato tra i cimiteri 'ufficiali' di Roma. Per un italiano trovarvi posto è un'impresa quasi impossibile. Laicità, quindi, come urgenza necessaria; e «libera scienza in libero stato», come diceva Margherita Hack : sono questi i principi fondamentali per un nuovo Rinascimento, che possa finalmente superare tutte le false credenze.

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Sebbene l'escissione non sia una prescrizione religiosa - viene praticata sia da musulmani che da cristiani, da animisti come da ebrei (falasha etiopi) -, alcuni religiosi l'hanno identificata con un ordine divino. In Egitto alcuni sunniti studiosi dell'islam sostengono questa posizione basandosi su hadith del Profeta. Il più citato è quello ricordato dall'imam Ahmad che riporta un colloquio tra Muhammad e Um Habibah. Questa donna, che fa parte di un gruppo di donne immigrate insieme a Muhammad, è conosciuta come una che pratica l'escissione alle schiave. Quando la incontra, Muhammad le chiede se continua a esercitare la sua professione; lei risponde di sì, e aggiunge: «Finché non sarà proibita e tu mi ordinerai di smettere». Muhammad risponde: «Sì, è permessa. Vieni più vicino così ti posso insegnare: se tagli, non esagerare, perché rende più radioso il viso ed è più piacevole per il marito». In un altro hadith Muhammad dice: «La circoncisione è una sunna [tradizione] per l'uomo e makruma [atto d'onore] per la donna». Ma, come è noto, molti 'detti' del Profeta sono contestati in quanto ritenuti non veri, e così altri studiosi dell'islam sostengono che l'infibulazione non abbia nulla a che vedere con la loro religione.

In effetti si tratta di una pratica preislamica e precristiana. Il grande storico greco Erodoto (v secolo a.C.) racconta come fosse compiuta da fenici, ittiti, egizi ed etiopi. Anche ad Atene e Roma la si praticava: si chiudeva la vagina con una spilla (fibula) alle mogli dei soldati che partivano per la guerra, raccontano Strabone (I secolo a.C.) e Sorano di Efeso (I-II secolo d.C.).

C'è chi sostiene che persino Cleopatra fosse stata infibulata; del resto, una delle forme più devastanti di mutilazione si chiama 'faraonica' e risale evidentemente ai tempi dei faraoni. Non a caso, uno dei paesi più colpiti da questa piaga è proprio l'Egitto, dove la pratica continua a esistere anche dopo la messa al bando del 2008 in seguito alla reazione provocata dalla morte di una bambina di dodici anni sotto i ferri della mammana, avvenuta ad al-Minya il 14 giugno del 2007. Da allora il 14 giugno è stato proclamato Giornata contro le Mutilazioni genitali. La campagna contro le mutilazioni ha rischiato uno stop con l'arrivo al potere dei Fratelli musulmani (2012), che volevano depenalizzare le Mgf - e probabilmente l'avrebbero fatto, se non fosse stato sciolto il parlamento -; anzi, i salafiti ne volevano la legalizzazione. Nel gennaio del 2015 per la prima volta è stata emessa una sentenza di condanna contro un medico che aveva provocato la morte di una ragazza di tredici anni, Soheir al-Bataa, nel giugno del 2013: il medico è stato condannato a due anni di reclusione e a un'ammenda di 500 lire egiziane (55 euro); anche il padre è stato condannato a tre mesi di reclusione, ma se l'è cavata con la condizionale.

Il cristianesimo considera le mutilazioni un peccato contro la santità del corpo, e quindi le proibisce. Ma, come nell'islam, essendo l'infibulazione legata a culture precedenti la cristianizzazione, tale pratica si è conservata, soprattutto tra i copti (ortodossi e cattolici) d'Egitto e del Corno d'Africa, in Eritrea ed Etiopia.

In Occidente le Mgf erano diffuse fino all'Ottocento, poi sono andate scomparendo. Ma non sono state completamente debellate; anzi, per via dei flussi migratori hanno subito una nuova impennata, a partire dagli Stati Uniti, dove dal 1997 le donne infibulate o a rischio di infibulazione sono triplicate, passando da 168000 a 513000, secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention. Una legge federale proibisce le mutilazioni dal 1996, ma solo ventidue stati hanno varato una propria legge in questo senso. Nel 2014, attraverso il Girls Protection Act, il Congresso ha chiuso la scappatoia delle 'vacanze per la mutilazione', organizzate perché le bambine tornassero (e probabilmente tornano ancora) nel paese d'origine per essere mutilate; ma solo sei stati hanno recepito questo 'atto protettivo'.

La stessa tendenza si registra in Europa. In Gran Bretagna l'infibulazione è illegale dal 1985. Per la prima volta da quando esiste la legge, il 15 maggio del 2014 sono stati avviati due processi penali contro due medici musulmani, Dhanuson Dharmasena e Hasan Mohammed, di trentuno e quarant'anni, che nel 2012, presso il Whittington Hospital di Londra, avrebbero praticato a una donna la reinfibulazione dopo il parto. I medici rischiavano fino a quattordici anni di carcere, ma il 4 febbraio 2015 il processo si è concluso con l'assoluzione per entrambi. Negli ultimi trent'anni ben centosessanta casi sono arrivati in tribunale, ma le persone accusate sono state prosciolte senza che si arrivasse al processo. A condizionare la giustizia sono le pressioni delle comunità musulmane e il timore di reazioni negative. Si calcola che in Gran Bretagna vivano 66000 donne infibulate, 4000 delle quali dal 2009 sono state ricoverate per «effetti collaterali»; 20000 giovani sarebbero a rischio di infibulazione ogni anno.

Se il primato in Europa tocca alla Gran Bretagna, al secondo posto si colloca l'Italia, con circa 40000 donne infibulate. In Italia la donna è tutelata contro l'escissione, almeno sulla carta, dalla legge n. 7 del 9 gennaio 2006: per chi provoca una mutilazione degli organi genitali femminili senza esigenze terapeutiche è prevista la reclusione da quattro a dodici anni; la condanna di un medico comporta anche l'interdizione dall'esercizio della professione da tre a dieci anni. Questa legge ha fatto seguito a una polemica che si era scatenata presso l'opinione pubblica ed era continuata in parlamento sulla 'medicalizzazione' dell'infibulazione, ovvero sulla possibilità di praticare in ospedale un tipo di circoncisione 'soft'. A proporla era stato, nel gennaio del 2004, il medico somalo Ornar Abdulcadir dell'ospedale Gareggi di Firenze, che aveva ottenuto il parere positivo del Comitato bioetico della Toscana; la regione era anche disposta a finanziare il progetto per la realizzazione. A denunciare la pratica dell'infibulazione medicalizzata era stata innanzitutto l'associazione di donne immigrate - provenienti da trenta paesi - Nosotras, nata nel 1998 e impegnata proprio in Toscana con una campagna per la sensibilizzazione contro le mutilazioni genitali. Laila Abi Ahmed, presidente dell'associazione, è somala, come altre 'Nosotras', e ben conosce la drammaticità di una pratica che occorre combattere, e non accettare praticandola con metodi meno invasivi e meno pericolosi. Tuttavia, il progetto del medico somalo fu difeso anche da femministe e antropologhe come Carla Pasquinelli, in quanto la mutilazione simbolicamente costituisce «il segno di una doppia appartenenza: alla comunità e al genere»:

Le Mgf provvedono ad asportare la parte 'maschile' dell'apparato genitale femminile, la clitoride assimilata a un piccolo pene, cancellando la bisessualità originaria fondata sulla presenza in entrambi i sessi di rudimentali organi genitali dell'altro sesso: nel maschio è il prepuzio a essere asportato con la circoncisione perché considerato un residuo di femminilità per il suo aspetto di guaina. Di fatto si tratta di due operazioni complementari, da una parte si nasconde l'organo genitale femminile e dall'altra si scopre l'organo maschile.

Questa posizione non tiene conto dell'inviolabilità del corpo, un valore universale che non può essere mercanteggiato in nome della riduzione del danno, che non è solo fisico ma anche psicologico. Proprio l'inviolabilità del corpo è stata sancita dalla Conferenza di Pechino (1995) e da quella del Cairo (2003), le quali si sono espresse per l'abolizione delle Mgf. Una campagna a livello internazionale contro le Mgf, che ha visto molto impegnata la leader radicale italiana Emma Bonino insieme a diverse rappresentanti africane, ha esercitato una forte pressione sull'Onu, finché il 20 dicembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per la messa al bando delle Mgf. Molto resta da fare, ma un passo importante è stato compiuto.

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8. L'utero è mio


Una stanza un po' nascosta, affollatissima di donne, piena di fumo, in un quartiere popolare di Milano, dove allora vivevo, è il ricordo che mi rimane, confuso ma indelebile, delle riunioni per il self-help. Era l'inizio degli anni settanta, in piena contestazione, quando il dibattito sulla sessualità imponeva di affrontare anche uno dei drammi più dolorosi vissuti dalle donne: l'aborto. Soprattutto, quando l'aborto era clandestino perché reato e la scelta di interrompere la gravidanza era spesso vissuta in solitudine.

Nella prima metà degli anni settanta la rottura del silenzio su questo tema è stato un fatto dirompente. La spinta è arrivata in Italia dall'esempio di quanto stava avvenendo negli Stati Uniti. Il manuale Noi e il nostro corpo, uscito prima in inglese e poi tradotto, è diventato il testo più diffuso tra i gruppi di donne che avrebbero costituito collettivi e consultori e che si stavano appropriando delle conoscenze necessarie per gestire il proprio corpo - non si trattava solo di aborto, ma anche della contraccezione che l'avrebbe evitato.

«L'utero è mio e lo gestisco io» ha preceduto l'altrettanto celebre slogan «Io sono mia». Approfittando dell'esempio di self-help che veniva dal Boston Women Health's Collective e poi dal francese Mouvement pour la liberté de l'avortement et de la contraception (Mlac), le donne italiane hanno appreso la tecnica per praticare aborti clandestinamente con il metodo dell'aspirazione Karman. Siccome era utilizzabile senza troppi rischi solo nelle prime settimane di gravidanza, negli altri casi (e per le donne che potevano permetterselo) si organizzavano viaggi a Londra.

Al dramma rappresentato dal fatto di essere incinta e di non poter portare avanti una gravidanza, al dolore per la scelta di abortire, si aggiungeva la paura, perché l'aborto avveniva in clandestinità e con seri rischi, dato che era realizzato senza un'assistenza sanitaria adeguata - nonostante fra chi lo praticava ci fossero infermiere di professione, a volte ostetriche, che erano anche in grado di fare gli esami necessari prima dell'intervento ed erano preparate per la prima assistenza. Certo, non c'era nessuna sicurezza.

Questa rete coinvolgeva donne di tutti i ceti sociali. C'erano donne che mettevano a disposizione la loro casa, correndo molti rischi; l'aborto si praticava sul tavolo della cucina. Spesso erano case di periferia, dove non si notava il viavai. Era una catena di solidarietà che andava oltre l'impegno politico, anche se un grande aiuto era garantito dal Partito radicale. E infatti nel 1973 a Milano era entrato in funzione il Cisa (Centro per l'informazione sulla sterilizzazione e l'aborto) diretto da Adele Faccio ed Emma Bonino. Il successivo arresto di Faccio, Spadaccia e del ginecologo Conciani e le incriminazioni delle donne che avevano usufruito del Cisa fecero esplodere la protesta in tutta Italia.

Non che fossero le prime a praticare l'aborto clandestinamente: gli aborti ci sono sempre stati. Molte donne sono morte per essere finite nelle mani di mammane senza scrupoli, altre per le conseguenze dell'intervento, altre invece, ancora più disperate, si bucavano l'utero con un ferro da calza, oppure si avvelenavano con intrugli.

Nel 1978 finalmente è stata approvata la legge n. 194: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»; la normativa prevede che si possa abortire entro i primi novanta giorni dal concepimento. Il ricorso a questa pratica non può mai essere mezzo di controllo delle nascite, ma può avvenire solo quando il proseguimento della gravidanza rappresenti un rischio per la salute fisica o psichica della donna. Tra le cause che possono mettere in pericolo la gestante sono annoverate quelle che riguardano non solo il suo stato clinico, ma anche le sue condizioni economiche, sociali o familiari, le circostanze in cui è avvenuto il concepimento o la previsione di malformazioni del nascituro.

Nonostante l'opposizione della Chiesa, che lo considera un «abominevole crimine», e la sua discesa in campo con tutte le forze e i mezzi di cui dispone (tra cui immagini per l'appunto abominevoli), la legge è stata confermata con il referendum del 17 maggio 1981 (68 per cento contro l'abolizione e 32 per cento a favore).

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Tra il XII e XIII secolo nacquero gruppi eretici favorevoli a una Chiesa dei poveri, che si appellavano a un giudizio di Dio sui potenti della Terra; avevano un largo seguito tra le donne perché garantivano loro maggiore libertà. Proprio nel XII secolo sorse e si sviluppò in Provenza il movimento dei valdesi al seguito di Paolo Valdo, un ricco mercante che aveva distribuito le sue ricchezze ai poveri per dedicarsi alla predicazione. Insieme ai suoi seguaci, tra i quali molte donne, Paolo predicava nelle strade e nelle piazze la sua visione religiosa. I valdesi studiavano la Bibbia e i Vangeli insieme - uomini e donne - e ne imparavano brani a memoria, ma rifiutavano qualsiasi autorità ecclesiastica e patristica e per questo furono perseguitati dalla Chiesa. A essere condannata era soprattutto la predicazione delle donne: «Non mancano anche delle miserabili donnicciole cariche di peccati che penetrano nelle case degli altri, curiose e chiacchierone, sfacciate, malvagie, impudenti» commentava il circense Goffredo di Auxerre in Super Apocalypsim. Per i padri della Chiesa il ruolo della donna - e la sua salvezza - era il lavoro in famiglia, insieme alle buone opere e alla penitenza, o il convento, ma certo non la predicazione pubblica. L'equiparazione tra uomini e donne all'interno del movimento valdese, considerata come una grazia derivante direttamente da Dio, portò alla loro persecuzione da parte dell'Inquisizione. In Italia, a Pinerolo, nel 1313 il primo martirio fu proprio quello di una donna, condannata al rogo. La prima cui seguirono molte altre.

L'Inquisizione contro le 'streghe' e gli 'eretici' iniziò nel 1227 con una serie di decreti di diversi papi: Innocenzo IV, Alessandro IV, Innocenzo VII e altri, che autorizzavano la tortura per estorcere 'confessioni', l'uccisione e la persecuzione sistematica. Nella 'caccia alle streghe' si combinavano due elementi: la feroce aggressività nei confronti delle donne e la credenza nell'esistenza dei diavoli. Secondo le accuse, le 'streghe' erano donne che avevano rapporti con il diavolo, si dedicavano a riti satanici e si abbandonavano a folli orge. In realtà si trattava di donne esperte in medicina naturale, per lo più contadine che conoscevano le proprietà curative delle erbe, usate ancora oggi. Ma queste donne, accrescendo le loro conoscenze e capacità di aiutare la gente, che le apprezzava, si affrancavano dalla dipendenza da Dio e dalla Chiesa. Secondo la Chiesa si trattava senz'altro dell'intervento del demonio.

Per meglio indirizzare i persecutori, nel 1486 fu pubblicato il Malleus Maleficarum, scritto dai frati domenicani Jakob Sprenger, inquisitore nella diocesi di Magonza e Salisburgo, e Heinrich Institor Kramer, inquisitore in Germania. Il manuale per 'cacciatori di streghe' rimase in vigore fino al XVIII secolo; vi erano elencate le malefatte delle streghe:

Uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e delle greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l'uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi e altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare e morire le piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire.

Queste accuse erano riprese alla lettera dalla bolla papale di Innocenzo VIII Summis desiderantes affectibus (1484).

La stregoneria era intrecciata alla questione della fertilità. Durante il paganesimo era credenza popolare che le streghe favorissero la fertilità, mentre la Chiesa le condannava perché la distruggevano. In un'epistola di Adriano VI (1521) si legge che le streghe sono «una setta che devia dalla fede cattolica, rinnega il battesimo e disprezza i sacramenti della Chiesa, calpesta le croci e, prendendo il diavolo come suo signore, distrugge i frutti della terra con i suoi incantesimi, stregonerie e superstizioni». L'appoggio fornito da Adriano VI con la bolla papale Dudum, uti nobis (1523) fece del frate domenicano Modesto Scrofeo da Vicenza uno dei più spietati inquisitori. Frate Modesto operò a Como negli anni venti del Cinquecento, proprio nel momento in cui la caccia alle streghe raggiunse il suo apice. La vasta diocesi di Como, insieme alla Repubblica di Venezia, fu uno dei luoghi in cui si bruciarono più streghe. Tuttavia, di frate Modesto ci si era un po' dimenticati finché, nel 2013, è stato ritrovato a Roma da Matteo Duni, professore di Storia alla Syracuse University di Firenze, un manuale inedito per cacciatori di streghe intitolato Formularium, datato 1523 e scritto dal frate domenicano. Dal testo, una guida per gli inquisitori analizzata dal professor Duni, si può «ricostruire il profilo personale e dottrinale di un ecclesiastico convinto che lo sterminio delle complici di Satana fosse la priorità assoluta». Il Formularium e un altro testo contenuto nel volume conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma sono una testimonianza preziosa dell'intensa caccia alle streghe che insanguinò la Valtellina tra l'estate e l'autunno del 1523. Il frate vicentino, Bernardo Rategno, Silvestro Mazzolini e Bartolomeo Spina furono i più spietati persecutori di streghe di quel periodo. Secondo Bernardo Rategno, frate domenicano autore del trattato De Strigiis, la Chiesa non riconosceva alle streghe un'anima, in quanto le riteneva «strumento del demonio» per la dannazione degli uomini. L'Inquisizione godeva dell'ampio appoggio delle istituzioni; infatti, mentre il tribunale ecclesiastico conduceva l'istruttoria processuale, quello civile stabiliva la pena e ne curava l'esecuzione. La pena classica per una strega - condivisa sia dalla Chiesa che dallo stato - era il rogo. Rategno non si limitava a condannare le streghe al rogo, ma perseguitava anche i pensatori e bruciava i libri che potevano aprire la mente a chi li leggeva.

Alcune streghe erano sottoposte alla prova della pietra al collo: la presunta colpevole veniva gettata in acqua legata a una pietra. Se annegava era innocente, se invece restava a galla era una strega. In ogni caso moriva. Se 'confessava' era dichiarata colpevole di stregoneria, se invece 'non confessava' era considerata eretica, quindi arsa sul rogo. Le donne, oltre che torturate, prima di morire erano anche violentate.

L'Inquisizione durò cinque secoli (dal 1257 al 1816), durante i quali milioni di persone innocenti furono seviziate e arse vive, con la benedizione di almeno settanta papi. L'80 per cento delle vittime erano donne e bambine. Quelle donne che per il ruolo esercitato naturalmente nella comunità minacciavano il potere maschile.

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