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| << | < | > | >> |IndicePREFAZIONE 7 IL COLOSSO DI BRUGHELLO Il Colosso di Brughello 11 Una conferenza sull'intelligenza artificiale 16 Paese d'Appennino 21 News 33 La strada per Damasco 39 Quando a Brughello atterrò un'astronave 42 La vendetta 50 Il segreto del canone infinito 57 Universi paralleli 64 Qohelet galeotto 70 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Da parecchie notti il sindaco di Brughello non chiudeva occhio. Si girava e rigirava nel letto, parlava tra sé, rideva e bestemmiava senza logica e se la moglie gli chiedeva, stanca di quel comportamento insopportabile, cosa avesse, rispondeva nervosamente che erano pensieri suoi e non la riguardavano, che lo lasciasse in pace, e la sollecitava a riaddormentarsi, visto che lei poteva. La donna tuttavia non si sentiva tranquilla: non sapeva se attribuire gli sproloqui del marito a problemi di salute oppure a lotte politiche nelle quali poteva essere coinvolto, anche se in realtà lei un'idea l'aveva. | << | < | > | >> |Pagina 21Perché avesse preso quella strada Corrado proprio non sapeva spiegarselo. Clara avrebbe detto che era stata la sua solita dabbenaggine. E indubbiamente questa volta avrebbe avuto ragione. [...] Con Clara i rapporti erano diventati difficili. Erano passati i tempi del grande amore. I figli erano diventati grandi e Clara si era fatta sempre più intrattabile. Da quanto non facevano all'amore? Non avrebbe saputo dirlo. Nulla di quanto lui faceva le andava a genio, aveva sempre qualcosa da ridire nei suoi confronti. A volte pareva che si vergognasse di lui o che si divertisse a punzecchiarlo e a metterlo in difficoltà di fronte agli altri. «Su, Corrado dì la tua, cosa ne pensi di...», e citava artisti o titoli di libri pur sapendoli estranei al suo interesse. Oppure diventava offensiva ai limiti della volgarità. «Ma non dire cazzate!» era una sua frequente interiezione alle sue osservazioni. E ancora: «Su, su, spiegati, cosa vuoi dire? Non si capisce mai un cazzo di quello che dici». Sempre più frequenti erano diventati i paragoni con altri che a suo giudizio erano più brillanti e avevano avuto maggior successo o le pareva che sapessero meglio godersi la vita. «Guarda il Marini», insisteva spesso, «lui sì che sa vivere, hai visto? Ha comperato una casa in Umbria e ne ha una anche in Sardegna e adesso pensa di prendere una tenuta nelle Langhe con vigneti e piante da frutta». Ma non diceva questo per invidia né per avidità. Non sopportava discorsi sul denaro e a sentirne parlare alzava le spalle infastidita. «Uff, soldi, soldi, a parlarne mi viene il vomito», sentenziava con aria di disgusto. Il fatto è che vivendo in città avrebbe voluto vivere nella natura, ma poi vivendo nella natura desiderava ardentemente i concerti, il teatro, le mostre, le ricerche di oggetti insoliti in negozietti reconditi, insomma tutto ciò che la città può offrire. «Ecco, è qui», diceva estasiata di fronte alle cime dei monti, «è qui, tra queste montagne che desidero siano sparse le mie ceneri». Ma altre volte, respirando a pieni polmoni la vibrante aria marina: «È qui, ricordatelo, qui tra queste onde, in questo mare, che le mie ceneri dovranno essere disperse». E guardando i fiori di cui amava circondarsi, affermava ispirata: «Io sono come un fiore e avrei bisogno di un giardiniere che lo coltivi, non di uno che lo recida». E questa battuta letta chissà dove, fatta propria e ripetuta per scherzo o con ironia, conteneva forse, e almeno in parte, il suo vero sentire. Di fronte a quelle frasi e a quelle contraddizioni Corrado si chiudeva in se stesso e la lasciava parlare, ma tutto ciò aveva cominciato a fargli crescere dentro un muro di indifferenza. Ormai doveva accontentarsi dei rari momenti in cui Clara pareva in buona. Infatti, quando voleva, Clara era piacevole e brillante. Specie in presenza di altri, diventava amabile ed effervescente, trascinantè a volte nel suo desiderio di stupire, di provare e far provare cose nuove che lei sapeva individuare con l'abilità di un rabdomante. Gli era riconosciuta una curiosità appassionata, anche se di breve durata, per ogni argomento, il che l'aveva portata a frequentare, per poi presto abbandonarli, corsi di pittura, di fotografia, di chitarra, di inglese, di pianoforte, di ceramica, di batik, di zen, di letteratura araba, di astrologia e altro ancora, e il suo spirito irrequieto ed estroso lo manifestava nell'abilità incredibile con la quale sapeva pescare in qualsiasi luogo, anche il più sperduto al mondo, oggetti e monili originali e bellissimi che poi mostrava con orgoglio. Chi l'aveva conosciuta nei suoi numerosi viaggi intorno al mondo raccontava di lei come di uno spirito che vegliava senza mai stancarsi, una donna attenta e curiosa ad ogni particolare, ad un viso, un gioiello, una storia, un tempio, una strada, un paese, un fiore, a qualsiasi cosa insomma, e che girava leggera per ogni luogo senza mai mostrare i segni della fatica, come procedesse sospesa sopra una nuvola. Ecco, questa donna, Corrado lo sapeva bene, non era più per lui, era solo per gli altri. | << | < | > | >> |Pagina 64Conosco Gilberto da una vita e ho sempre invidiato la sua immensa memoria. Basta che lui veda o legga qualcosa e la sua mente, come un disco fisso di calcolatore, registra e memorizza con tale precisione che poi, anche a distanza di anni, gli è possibile riprendere i dati o i fatti nei dettagli, con tanto di date, di nomi, di argomentazioni. Gilberto è l'essenza stessa della memoria di Brughello, il depositario di tutti gli eventi, le trasformazioni, le lotte, le grandezze e le sconfitte; conosce e cita le famiglie che hanno reso notevole la città sin dalle origini, le miserie che pure, nei secoli, hanno punteggiato la sua dinamica vita cittadina. Niente di ciò che accade a Brughello sfugge a Gilberto. Della città conosce l'anima e il corpo, ciò che appare all'esterno e ciò che è racchiuso tra le viscere e nei suoi meandri più intimi e segreti. E questo, badate bene, non rappresenta che una piccolissima parte delle eccezionali facoltà di Gilberto. Posso affermare infatti, in tutta coscienza, che sa snocciolare con la massima precisione tutti i sovrani europei a partire da Carlo Magno, elenca senza esitazione la lista degli imperatori romani, quella dei papi e degli antipapi, dei sovrani di tutte le dinastie mediorientali a partire dai Sumeri, cita con precisione l'elenco dei faraoni, i presidenti e i membri dei governi di tutti gli stati europei e degli Stati Uniti, tutti i membri del Politburò dal 1917 al 1952. Si ricorda persino i nomi vecchi e nuovi di tutti gli stati africani. E poi, e guardate che non esagero, ha sulla punta delle dita i dati economici e sociali di tutti i paesi del mondo. Passato, presente e futuro! Infine, last but not least, ricorda con la massima precisione il nome e le località di produzione dei quattrocento e passa formaggi italiani, nonché tutti i giocatori del grande Torino, la sventurata squadra di calcio perita dolorosamente sul colle di Superga. A volte, devo dire, nella foga delle discussioni che spesso ci vedono in contrapposizione si lascia andare anche a ricordi per così dire inventati, cioè bluffa, ma anche in quel caso tale è la sua reputazione che nessuno osa mettere in discussione le sue affermazioni. Se quindi tutto fosse legato a date, personaggi, nomi e fatti mai ci sarebbero dubbi su chi può vantare la supremazia nelle lunghe, animate e a volte violente diatribe. Spesso mi capita tuttavia di criticare la sua assoluta incapacità, almeno secondo la mia opinione, a filtrare ciò che sente o legge, per scartare idee e teorie assurde ed impossibili. Intendo impossibili nella pratica comune, quella legata alla nostra esperienza, per cui alle volte sostiene a spada tratta tesi astruse e fuori da ogni logica. Ad esempio una legge che appartiene sia alla fisica che al buon senso afferma che se un evento può verificarsi, prima o poi si verificherà. Non c'è bisogno di ricorrere al prestigio di Poincaré e neppure a complicati algoritmi matematici per capirlo. La differenza tra buon senso e fisica sta solo nell'aspetto temporale del fenomeno: prima o poi i novanta numeri del lotto usciranno in sequenza uno dopo l'altro, ma è probabile che nessuno di noi possa assistere a questo evento. Ebbene, Gilberto vive invece nella speranza di potervi assistere! Lui spera, desidera, crede ardentemente di poter presenziare di persona al verificarsi di questo come di altri eventi dello stesso tipo, nonché a paradossi che le teorie spesso ci propongono. In alcuni casi ho dovuto, mio malgrado, dargli ragione e convenire con lui che ciò che pareva assurdo o improbabile era invece divenuto realtà. Prendiamo ad esempio il famoso caso riguardante Plank. Il grande fisico tedesco al fine di superare alcuni ostacoli sperimentali sostenne, basandosi esclusivamente sulla logica, che la luce non poteva essere pura energia ma doveva essere composta da corpuscoli materiali che chiamò "quanti". All'inizio questa parve a tutti una ipotesi assurda. Ecco, se Gilberto fosse vissuto allora, sono sicuro, lui avrebbe accettato subito questa teoria senza la minima esitazione, mentre io, scettico come sono, avrei avuto un sacco di dubbi e avrei aspettato le prove. E come si sa le prove vennero. Un'altra ipotesi della quale Gilberto si è innamorato è quella secondo la quale gli avvenimenti narrati da Omero, sia la guerra di Troia che le peripezie di Ulisse al ritorno verso Itaca, non ebbero luogo nel Mediterraneo, bensì nel Baltico! Ogni ipotesi nuova sconvolge le conoscenze precedenti e crea una specie di nuovo mondo totalmente diverso dentro il quale ci si può trovare piacevolmente oppure a disagio. A me questa teoria pareva e pare tuttora del tutto insostenibile, perché non posso accettare che quelle che considero tra le basi della nostra cultura greco-romana si dimostrino improvvisamente false. A cosa si può credere allora? Ogni storia può essere contestata e dichiarata falsa e ogni radice spezzata, ma questa di Omero è veramente inaccettabile. Per contrastarla ho dedicato gran parte del mio tempo a rileggere testi omerici e tutti i commentari che ne sono seguiti alla ricerca di frasi, di parole, di situazioni che potessero confortarmi e a mio avviso le ho trovate. | << | < | > | >> |Pagina 70«Via ragazzi, che vi prende? Vi sembra il caso di discutere su questioni del genere? Quanto a me, ve lo dico subito, se studiamo è un conto, ma se continuate così me ne vado. E del resto, Giovanni, non vorrai trascurare l'allenamento, spero, lo sai bene quanto è importante la partita di domenica. Se dovessimo vincere avremmo buone probabilità di assicurarci il torneo e sarebbe la prima volta del Brughello! Ci pensate?» «Già», rimuginava Giovanni, «ha ragione lui, accidenti». E tuttavia qualcosa lo tratteneva. Trovava piacevole restare lì con Marta e parlare con lei. Era stata Marta a sollecitarlo a discutere di argomenti che lui imprevedibilmente, aveva trovato di grande interesse. Con il solo obiettivo di far colpo tra gli amici, ne aveva accennato qualche giorno prima sollevando in tutti qualche curiosità e parecchia ironia. Si trattava nientemeno che del Qohelet biblico! [...] «No, no, invece è proprio così», continuò, «si tratta proprio di un testo di rivolta contro Dio. Che io sappia», aggiunse dandosi un atteggiamento da vero esperto, «nessun altro testo biblico mostra un Dio tanto lontano, freddo, assente. Nelle sue considerazioni mai Qohelet fa trasparire la presenza di Dio tra gli uomini. Si tratta proprio di parole di un uomo che guarda il mondo e giudica con la sua testa e quello che vede non gli piace. Non gli piace e lo dice, lo rinfaccia apertamente a Dio in un modo tanto violento da lasciare esterrefatti». «È vero», disse Marta, «è incredibile, proprio non mi aspettavo parole tanto severe, anche se non mi sento di essere così categorica. Comunque l'altro giorno mi è parso che tu volessi sostenere una tesi che mi era sembrata un po' azzardata. O mi sbaglio? Parlavi di versioni diverse del Qohelet. È possibile? Dico, è possibile che un testo biblico abbia versioni diverse?» «Beh, forse non proprio diverse, ma certo con differenze significative, questo sì, posso dirlo», continuò Giovanni, compiaciuto oltre ogni limite per l'attenzione della ragazza. «Il fatto è che mi è capitato di confrontare due versioni del Qohelet: una è quella contenuta nella Bibbia edita da Salani nel 1958; il Qohelet è tradotto da Bonaccorsi. L'altra è quella di Mons. Gianfranco Ravasi, è recente, del 2001, e come dicevo le versioni mi sono sembrate diverse». «Ecco», interruppe Marta, «è proprio questo che sostenevi. Ma come possono essere diverse?» Giovanni si fermò apparentemente pensieroso e sorrise. «Sai», disse, «forse ha proprio ragione Francesco, se qualcuno ci sentisse discutere su un tema biblico non so proprio cosa penserebbe». «Oh, sei anche tu come lui allora? Ma se vuoi andare a giocare fa pure», disse Marta con tono deluso, «mi pareva che per te anche questi argomenti potessero avere importanza. Scusami, probabilmente mi sono sbagliata». «Beh, non prendertela così, non volevo dire che non mi interessa», disse Giovanni allarmato dal comportamento deciso della ragazza, «volevo solo dire che sono argomenti particolari e non tutti ne sarebbero interessati». «Ma non sei stato tu a dire proprio poco fa che noi giovani dobbiamo poter discutere di tutto? O forse pensi che sia io a non essere all'altezza?» «Ma no, anzi», disse Giovanni che si sentiva preso in castagna e temeva di aver deluso irreparabilmente la ragazza. «Se proprio vuoi, allora, dobbiamo partire dall'inizio». Prese dallo scaffale i due testi biblici e li aprì per un confronto. «Senti, sul testo Salani è scritto: Vanità delle vanità - dice l'Ecclesiate vanità delle vanità, tutto è vanità che vantaggio ha l'uomo di tutta la sua fatica con cui si travaglia sotto il sole? E invece il Ravasi scrive: Un immenso vuoto - dice Qohelet un immenso vuoto, tutto è vuoto Quale valore ha tutta la fatica che affatica l'uomo sotto il sole? «Beh, sin qui non vedo tutta questa diversità», disse Marta, «alcune parole sono tradotte con sinonimi. Ravasi ha una scrittura forse meno lirica, più asciutta, più diretta, più moderna insomma e d'altra parte le due versioni rispecchiano la capacità interpretativa del traduttore, la sua sensibilità, non ti pare?» «Proprio qui ti volevo», disse Giovanni. «Dunque la parola di Dio, la parola contenuta in un testo sacro, può variare in funzione del traduttore? Questo mi lascia perplesso. E comunque non è questo il problema. Il problema più importante sta nelle diversità che a volte sono veramente notevoli». «In che senso?», chiese Marta. «Non vedo differenze sostanziali, in un testo si parla di vanità e nell'altro di vuoto, ma se segui i commenti del Ravasi, puoi capire l'origine di quelle differenze. Entrambi i termini nascono dalla traduzione del vocabolo "hebel", che può essere tradotto con "assurdo", "caducità", "inutilità", "fumo", "soffio", "non senso", "zero", "nulla", "disillusione", "vuoto". Non mi pare una differenza tanto grande. Bonaccorsi ha scelto "vanità" probabilmente secondo un'antica tradizione. Ravasi ha scelto "vuoto", tutto qui». «E dici poco! Non vorrai dirmi che per te l'uso di termini così diversi è irrilevante; io vedo invece una grande differenza». «E quale sarebbe?»
«A me pare chiaro: vanità implica inutilità, ogni azione è inutile a chi la
compie in quanto non produce nulla; il vuoto invece implica direttamente il
nulla, Qohelet si guarda intorno e cosa vede? Il nulla, è circondato dal nulla e
ogni azione che l'uomo può compiere non solo è inutile, in realtà è come non
esistesse. È
una pura parvenza. E poi, andiamo avanti, nel Bonaccorsi si parla di
"vantaggio", nel Ravasi di "valore", e anche in questo caso esiste tra i due
termini una notevole differenza: "vantaggio" è un termine concreto, materiale,
quantizzabile, implica un dare e un avere, io compio un'azione con l'obiettivo
dichiarato di trarne un vantaggio. Cosa ci guadagna l'uomo faticando? questa è
la domanda, qual è il suo tornaconto? Mentre nell'altro caso, il concetto di
"valore" è più astratto, ma anche più ampio, non ti pare? Non solo non c'è
tornaconto ma addirittura le azioni mancano di qualsiasi contenuto, anche etico.
In definitiva, questo voglio dire, a me pare che il testo di Ravasi intenda dare
del Qohelet una interpretazione assai più profonda, assoluta e assolutamente più
pessimista: nulla ha valore e nulla in realtà esiste».
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