Autore Georges Simenon
Titolo Il fondo della bottiglia
EdizioneAdelphi, Milano, 2018, Biblioteca 680 , pag. 176, cop.fle., dim. 14x22x1,5 cm , Isbn 978-88-459-3238-0
OriginaleLe fond de la boiteille [1949]
TraduttoreFrancesca Scala
LettoreAngela Razzini, 2018
Classe narrativa francese , paesi: USA












 

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Teneva il bicchiere in mano, guardando distrattamente il pallido goccio di whisky rimasto sul fondo. Sembrava che volesse ritardare il piacere di bere l'ultimo sorso, e forse era proprio così. Alla fine, quando lo ebbe mandato giù, continuò per un pezzo a fissare il bicchiere vuoto. Non si decideva a posarlo sul bancone e a spingerlo appena appena in avanti, giusto un paio di centimetri. Bill, il barman, solo apparentemente assorto in una partita a dadi con dei cowboy, avrebbe subito còlto il segnale, perché in realtà stava all'erta: stava sempre all'erta, soprattutto con un cliente come P.M.

Tutto è organizzato alla perfezione. Ogni cosa sembra accadere per caso, uno compie i gesti più innocenti del mondo, e proprio quelli gli consentono di bere senza darlo a vedere. È un po' come nella massoneria, è un linguaggio fatto di segni comprensibili agli iniziati in ogni paese del mondo.

Per esempio, al primo bicchiere, quando P.M. ordina un whisky, o più precisamente quando pronuncia la parola «whisky» fra i denti, con aria svogliata, o addirittura come per sbaglio, che cosa fa Bill? Mormora:

«Doppio?».

Il tono interrogativo è quasi impercettibile. Perché naturalmente nessun gentleman varcherebbe mai la soglia del Montezuma Bar per bere un whisky normale. Anzi, a dirla tutta, spesso non c'è neanche bisogno di aprire bocca. Quando entri e vai ad appollaiarti su uno degli alti sgabelli davanti al bancone, Bill, o il barman di turno, con un sorrisetto complice sulle labbra, allunga la mano verso la bottiglia di bourbon giusta, la tua preferita, quella degli intenditori.

Talvolta, dopo aver riempito il primo bicchiere, aspetta a riporre la bottiglia.

A P.M. basterebbe spingere un po' in avanti il bicchiere sul bancone, ma non lo fa. Scende invece a fatica dallo sgabello e va verso il bagno.

Non è di quelli che il sabato sera perdono il controllo. E nella valle ce n'è parecchia di gente per la quale è come se fosse sempre sabato sera.

Si sente bene, soltanto un po' annebbiato, ha un'andatura lievemente ondeggiante, ma è convinto che da fuori non si noti. Va in bagno per guardarsi allo specchio e capire se può permettersi un ultimo bourbon.

«Hello, P.M.!».

«Hello, Jack...».

In uno dei gabinetti senza porte c'è un tizio tranquillamente seduto sulla tazza. Anche lui, come P.M., ha in testa il cappello da cowboy e anche lui, come P.M. e tutti gli altri uomini, al bar e in città, sopra la camicia bianca non porta la giacca. Molti non mettono neanche la cravatta, ma P.M., che ci ha sempre tenuto a conservare un certo decoro, non se la toglie mai, nemmeno al ranch.

«Allora? Piove?».

«Non ancora».

«Pioverà, e sarà un bel diluvio».

Manca poco alla mezzanotte. È tutta la sera che, dal lato del Messico, si vedono balenare i lampi e si sente il sordo brontolio dei tuoni.

P.M. si guarda nell'acqua grigia dello specchio. È robusto, ma non grasso. Lì, per via della pessima illuminazione, ha un incarnato giallognolo. Nella sala del bar, invece, i paralumi colorati glielo tingevano di un rosa confetto. Non ha ancora gli occhi gonfi. Può permettersi un ultimo bicchiere?

Sempre seduto sulla tazza, Jack continua la conversazione.

«Quanti ne restano in gara? Io avevo scommesso sull'8 giugno. Troppo ottimista!».

«Io sul 4 luglio! Troppo ottimista anch'io!».

L'idea è stata lanciata diversi anni fa dal giornale di Nogales, un piccolo giornale per una piccola città che, nella parte statunitense, non conta più di settemila anime.

Quando si avvicina la stagione delle piogge, quando per strada la gente comincia ad arrancare, l'asfalto a sciogliersi, il termometro a segnare costantemente 40 gradi e quando i rancher si chiedono se non saranno costretti, come capita certi anni, a trasferire il bestiame nel New Mexico o addirittura nel Nevada per ovviare alla penuria di pascoli, il giornale indìce una specie di concorso. Ognuno scrive la data in cui prevede che cominceranno le piogge su una tabella, che poi viene affissa in vetrina.

Ormai non ci sono quasi più nomi sulla lista, al massimo quattro o cinque; P.M. è andato a dare un'occhiata poco fa. Nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbero arrivati al 24 luglio senza una goccia d'acqua.

«Se non sbaglio, quella che ci è andata più vicino è una donna. Non mi ricordo come si chiama».

P.M. si passa il pettine fra i capelli. Tiene sempre in tasca un piccolo pettine. Quando torna nella sala del bar, Bill capisce subito che può tendere il braccio verso una delle bottiglie.

P.M. si siede immancabilmente allo stesso posto, in fondo, dove il bancone forma una curva a elle, sicché dà l'impressione di presiedere un'assemblea. Insomma, ha gusti un po' diversi dagli altri. Quelli che come lui vengono dalla valle stanno per lo più in gruppo e parlano a voce alta.

Passando, Patrick Martin Ashbridge distribuisce strette di mano, con un atteggiamento confidenziale e riguardoso insieme, e scambia con tutti qualche frase, ma in realtà resta sempre un po' sulle sue.

Questione di contegno? Forse. Ma questione anche di gusti. Fra le altre cose gli piace, il sabato sera, essere uno degli ultimi a lasciare il locale. Il bar è quasi vuoto. Si sente bene, sul suo sgabello, con il bicchiere in mano e Bill che, fra un cliente e l'altro, va a fare due chiacchiere con lui.

Bili alza la testa.

«Ci siamo!».

Sembra che, all'improvviso, sul tetto crepitino dei pallini di piombo. Qualcuno è andato ad aprire leggermente la porta e, nell'oscurità della strada, si vede il marciapiede striato da lunghi rivoli di pioggia grigia.

«Avrete una bella piena!».

Avrà fatto bene, P.M., a farsi un ultimo bicchiere? Tutta quell'acqua comincia a mettergli addosso una certa agitazione. Tanto più che il barman aggiunge: Mi sa che per qualche giorno non la vedremo da queste parti».

Capita, in effetti. Per raggiungere la strada principale gli abitanti della valle devono attraversare un fiume, che per la maggior parte dell'anno è in secca, ma che può ingrossarsi in una notte di tempesta, a volte in un'ora o anche meno quando l'acqua defluisce dalle montagne del Messico. Non ci sono ponti. Se l'acqua non è troppo alta, si riesce in un modo o nell'altro a passare in macchina, o magari a cavallo quando il fondale è eccessivamente cedevole per le auto. Ma può anche succedere di restare per più di dieci giorni bloccati sull'altra sponda del Santa Cruz.

Forse è proprio quella prospettiva a fargli venire voglia di varcare il confine. Vede la propria immagine fra due bottiglie: ha la faccia arrossata, gli occhi sgranati e lucidi. È imbarazzato. Non si piace in quel modo.

«Ne conosco parecchi che domani faranno fatica a tornarsene a casa» dice il barman.

Soprattutto fra i cowboy. Quando arrivano in città il sabato sera, è raro che se ne vadano prima dell'alba.

P.M. non ha intenzione di attardarsi tanto. Pazienza. Andrà. Tira fuori qualche dollaro dalla tasca posteriore dei pantaloni, dove tiene sempre un fascio di banconote. Il suo passo, mentre si dirige verso la porta, è più incerto di quanto pensasse, ma non lotta più, sa benissimo che, ora che si è ficcato in testa quell'immagine, c'è un solo modo per sbarazzarsene. Il tempo di attraversare il marciapiede sotto la pioggia scrosciante, e ha già la camicia appiccicata alla pelle. Cerca a tentoni di infilare la chiave nel cruscotto e di mettere in moto. Cento metri più in là ecco la barriera che divide in due la città, da una parte gli Stati Uniti, dall'altra il Messico. Rallenta, si ferma. Vede avanzare verso di lui la sagoma di un impiegato dell'Ufficio immigrazione. Naturalmente lo riconosce. Non deve esibire i documenti.

È incredibile: persino con la pioggia, che dovrebbe rendere tutto indistinto, il contrasto salta agli occhi. P.M. supera lo sbarramento, procede per qualche istante e di colpo ha la sensazione di entrare in un mondo strano, equivoco, proibito.

Nella zona che si è appena lasciato alle spalle tutto era calmo, rassicurante: la strada larga, con le sue vetrine familiari, i marciapiedi puliti e solo due bar ancora aperti; all'improvviso invece eccolo immerso in uno scenario misterioso e brulicante di vita. A mezzanotte passata, sotto il diluvio, ci sono ancora ombre che si aggirano per la città, gente che se ne sta sulla soglia di casa, commercianti che ti adescano all'entrata dei negozi per venderti alcolici e souvenir. Lungo le strade dissestate scorrono già torrenti di acqua gialla e in ogni angolo buio si percepiscono il calore dei corpi, i gesti furtivi, i bisbigli.

Andrà lassù. Ma non a cuor leggero. Non ci va mai a cuor leggero. Forse è per via dell'ultimo whisky, che gli ha fatto tornare in mente certe immagini torbide, o forse – ed è più probabile – per via della pioggia, che ha riportato a galla una marea di ricordi.

Per arrivarci bisogna percorrere un intrico di viuzze che si inerpicano sinuose lungo i fianchi della collina; e dopo un po' un odore intenso ti aggredisce le narici, luci e ombre smettono di avere il significato consueto, braccia nude si agitano per farti cenno, e donne in abiti succinti vanno incontro alle macchine con passo sicuro.

P.M. sa benissimo che al ritorno, per tutto il tragitto, si sentirà come al solito pieno di rancore, un rancore fatto per lo più di disgusto, sa che terrà il volante in un modo particolare, quasi temesse di contaminarlo, che eviterà di toccarsi la faccia, di prendere il sigaro dall'estremità che entra in contatto con la bocca.

L'acqua gronda da ogni parte. I tergicristalli funzionano a singhiozzo. Quando ridiscende la collina, le ruote della macchina sollevano spruzzi d'acqua melmosa, e ha la sensazione di avere ancora addosso quell'odore, e soprattutto gli è rimasta negli occhi la ripugnante visione dei catini, quei catini smaltati a cui non è mai riuscito ad abituarsi.

Per lavarsi le mani avrebbe voglia di fare una sosta alla Caverna, un ristorante messicano con un enorme bar, che resta aperto tutta la notte per la clientela americana. Ci passa davanti, intravede i suonatori in costume da operetta che girano fra i tavoli con le loro chitarre e i cappelli variopinti. Se entra, gli tocca bere e, se beve, rischia di guidare in modo pericoloso.

È un deputy-sheriff, come del resto quasi tutti nella valle, o almeno tutte le persone perbene e i rancher. Alcuni se ne infischiano e corrono lo stesso come pazzi.

Quello che non sempre la gente capisce è che lui è un uomo scrupoloso. Ecco la parola giusta! La stava cercando da un po'. Avrebbe potuto dire un uomo onesto, ma non avrebbe detto tutto. Pur avendo bevuto, è stato attento a mantenere un contegno dignitoso. È persino andato a guardarsi allo specchio prima di concedersi un ultimo bourbon. D'accordo, è salito lassù, ma...

Sorride amaramente nella penombra della macchina, in cui per la prima volta dopo tanti mesi si respira aria fresca. Ai suoi occhi la cosa è chiarissima. Lui non sale lassù per spassarsela con due o tre donne, come certi depravati di sua conoscenza. Quanto alle precauzioni che usa, Dio solo sa come ne riderebbero quelli!

Nora sarà rientrata? È improbabile. Di sicuro avrà bevuto più di lui. Anche se ha sempre l'aria sobria. È andata a giocare a bridge dai Cady, a due ranch di distanza dal loro. È il giorno del bridge. Solo che a casa dei Cady, come d'altronde in tutte le case, appena vedono che hai il bicchiere vuoto te lo riempiono. E così, giocando, non ti rendi conto di quanto bevi.

Ma dopotutto che importa? Perché mai dovrebbe preoccuparsi? Ha attraversato Nogales. Il bar di Bill è chiuso, il che significa che è l'una passata. Rientreranno quasi insieme, lui e Nora. Se arriverà prima lui, si verserà un bicchiere di birra, perché la birra dopo il bourbon pulisce. A un certo punto passa vicino al Santa Cruz, che serpeggia alla sua destra, e dal gorgoglio capisce che nel fiume c'è già acqua.

L'auto davanti a lui procede a passo d'uomo. Non osa superarla, per paura di sbandare, e si spazientisce. Per la birra? Per Nora? Ha fretta di lavarsi le mani, di farsi una doccia calda, di insaponarsi dalla testa ai piedi.

In genere, per arrivare al ranch, non ci vuole più di mezz'ora; stavolta, per colpa del temporale e di quella macchina che non si muove, ci mette quasi un'ora.

Attraverso la pioggia scorge a stento i pali bianchi da cui capisce che è arrivato e che deve girare a destra. La strada sterrata porta a diversi ranch. Dopo duecento metri, è sbarrata dal Santa Cruz, e i fanali illuminano una massa fluida in movimento, con i detriti trascinati dalla corrente.

L'acqua non è profonda, sicché P.M. decide di guadare il fiume con la macchina e risale a fatica sull'altra riva. Chissà. Forse ha fatto appena in tempo. Tra un'ora o due probabilmente non si potrà più passare.

Dietro il filo spinato intravede dei cavalli; un'iguana gialla e quasi diafana gli taglia la strada a pochi centimetri dalle ruote.

Le luci in lontananza, alla sua destra, dietro la cortina degli alberi, sono quelle della casa dei Cady. La partita, a quanto pare, non è ancora finita. Anche dai Noland è ancora acceso, ma lì è così quasi ogni notte. In realtà è strano che non abbia incrociato le loro macchine vicino al fiume. Forse aspettano che si ingrossi ancora. Raramente si perdono quello spettacolo. Fra poco, quando avranno bevuto a sazietà, andranno tutti lì, a guardare l'acqua che scorre.

Forse ci andrà anche lui con Nora.

Gira a sinistra. Quello è un tratto difficile, c'è una buca che viene riempita di continuo e che subito si riforma. Bisogna prendere bene la curva, poi girare di nuovo e varcare il cancello. Dal lato del Messico si continuano a scorgere i lampi, piove a dirotto come a Nogales, se non di più, ma il rombo lontano dei tuoni si percepisce appena. La porta del garage è aperta. La lasciano sempre aperta. Parcheggia l'auto, ma torna sui suoi passi perché si è dimenticato di spegnere le luci di posizione. Per entrare in casa accende la torcia elettrica e, nel preciso istante in cui punta il fascio luminoso davanti a sé, sente una voce:

«Pat!».

Nessuno lì lo chiama Pat, neppure Nora. Saranno dieci o vent'anni che nessuno lo chiama così. E già da ragazzo detestava quel diminutivo.

La cosa curiosa è che ha riconosciuto quella voce senza riconoscerla. Per essere più precisi, ha sentito una stretta al cuore come per un forte spavento ma, al tempo stesso, non ha capito il perché.

C'è qualcuno lì, un'ombra che non cerca di ripararsi dal diluvio. Non tenta di assalirlo. Se ne sta immobile, con le braccia lungo i fianchi. E in quell'atteggiamento P.M. percepisce un che di umile e minaccioso a un tempo, o di così indifferente da non sembrare neanche umano. Persino i mendicanti di Nogales, nella parte messicana, si prendevano la briga, poco prima, di cercare rifugio nei portoni.

Ha già capito. È impossibile, eppure sa che è vero. Anche lui vorrebbe pronunciare un nome, o meglio un soprannome; ma non osa, si guarda intorno terrorizzato, aspettandosi di veder spuntare da un momento all'altro i fari della macchina di Nora.

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